Mica facile tornare alla vita, ricordarsi come scrivere di musica dopo così tanto tempo che non lo fai. Le bollette da pagare, gli affitti da sbarcare, il dentista da saldare e una liquidità alienante che ci sta condannando – in modo sempre più disperato e tragicamente “resiliente” – ad assumere le forme di contenitori che non si lasciano individuare ma che, ciononostante, danno una direzione sempre cangiante al nostro existere et cogitare, insomma, la frenesia di una quotidianità sempre più isterica mi ha tenuto, negli ultimi mesi, lontanissimo da quello che più amo fare: scoprire cose nuove, ascoltare musica che emozioni, dare un senso a tutto questo grigiore che attanaglia l’entusiasmo ed uccide la fantasia.
Ci voleva in effetti un disco come quello di Bibopolare – eccentrico cantastatorie (o meglio, auto-terapeuta lucano: ascoltate il suo ultimo lavoro, e capirete cosa intendo) originario di Potenza ma con base a Bologna – per farmi riprendere in mano il filo del discorso, restituendo un po’ di speme a questo corpo lasso e stanco di immondizie musicali (cit.) e di direttori artistici che sarebbero dovuti andare in pensione già quarant’anni fa (ai tempi, insomma, del celebre disco “Patriots” del grande Franco Battiato) e che invece, travestiti da novelli hipster e produttori rigenerati (Frank Zappa docet), continuano a vendere la rivoluzione a colpi di mercato.
Perché si sa, la moda di essere ribelli non smetterà mai di far arricchire editori e discografici sempre ben attenti ai bisogni dei più giovani, che altro non sono che «splendide invenzioni – come direbbe Alessandro Carrera – del XXI secolo» e – da almeno sessant’anni, quando cioè il boom economico ha scoperto il “tempo libero” – pacchetti azionari deambulanti per l’industria dell’intrattenimento.
Bibo, invece, dal bagno di casa sua (sì, quello che sentite nel disco è lo splendido riverbero naturale che si può apprezzare solo nel gabinetto della propria abitazione) ha registrato un disco diverso, che parla di tutte quelle cose che ho elencato sopra e che negli ultimi mesi mi hanno succhiato via a forza la voglia di ascoltare, di scrivere e di crederci: dall’ascolto denso e (volutamente) faticoso di “Com a na crap” – letteralmente, “come una capra” – emergono richiami alle radici e slanci verso un recupero del passato tanto retrò da sembrare futuristico, tanto originario da diventare originale.
E in effetti, “Com a na crap” è un disco che non possono capire tutti, che in playlist non finirà mai perché invece che consolare l’ascoltatore lo prende a pugni, con la crudezza di una poesia amara avvalorata dal filtro sempre malinconico e nostalgico della scelta dialettale, ben lontana qui dal populismo dello stornello o della tarantella (anche se, ben s’intende, nulla vi sarebbe stato di male in caso contrario) ma piuttosto vicino al cinismo onirico di un Trilussa (anche se qui il dialetto usato non è quello romano, ovviamente, ma il lucano).
Bibo racconta di dolori che appartengono alla mia, alla nostra generazione, irrisolti cronici a cavallo tra un passato da inadatti alla responsabilità e un futuro che ci obbliga al protagonismo, senza concedere margini di errore ad un popolo di eterni adolescenti immobilizzati dalla costante svalutazione della propria virtù, dalla disistima inflazionata da una crisi prima valoriale e poi economica, da una licenza di sopravvivenza che ci ha disimparato a vivere davvero.
Insomma, in “Com a na crap” Bibopolare racconta tutti i motivi che mi hanno spinto, come dicevo, a desistere dall’ascoltare musica nuova, dal cercare «nell’inferno ciò che inferno non è» e dal credere che possa servire a qualcosa; allo stesso tempo, nello stesso disco, si annidano tutti i motivi necessari a non smettere di resistere, a non cessare di lottare.
Sapere di non essere soli, in questa disperata trincea, fa bene al cuore rimettendolo al proprio posto, dov’è sempre stato. Qui, trovate qualche domanda fatta all’artista, che ha risposto con la sua proverbiale e serafica semplicità. Su tutte le piattaforme d’ascolto digitale, invece, trovate “Com a na crap”, il disco d’esordio di Bibopolare.
Fatevi del bene: sudatevelo; ne vale la pena.