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8 domande per Il Solito Dandy

Alzi la mano chi non ha mai perso la testa per una persona conosciuta ad un concerto, o su un tram, la mattina di sfuggita. E quante volte invece abbiamo indossato una maschera tradendo noi stessi, perché non siamo riusciti a dire alla persona che ci stava di fronte che, in realtà, non è vero che capiamo “il calcio, la convinzione di chi torna da Londra e si crede Liam Gallagher”.
Tra mille fantasie, amanti blu ed aragoste, abbiamo fatto otto domande (sì, ci piace essere precisi) a Fabrizio Longobardi, in arte Il Solito Dandy; ci ha parlato del suo nuovo singolo Thailandia, dei suoi video artistici e dei progetti per il futuro.

Ciao Fabrizio! Come stai? Come hai passato quest’ultimo periodo?

Ciao, io sto bene. O almeno, è strano non rispondere ad un “Come stai?” senza un “Tutto bene” dopo, sembra che ormai questo faccia parte di un meccanismo per cui diventa assurdo rispondere diversamente. Figurati che una volta una mia amica mi ha salutato dicendomi “Tutto bene, tu?” senza che io le avessi fatto la domanda. Ma comunque, mi piace pensare che l’umore sia un po’ come il tempo che cambia spesso, perciò ti direi che mi sento sereno variabile.
L’ultimo periodo, invece, è stato parecchio movimentato, come quelle scene dei film dove il protagonista fa mille cose alla velocità della luce e sotto passa la musica di Benny Hill; ecco direi che l’ho passato così, ma con in mezzo un bel po’ di personaggi dipinti, piadine al salmone, vestiti in miniatura e siparietti esilaranti.

Raccontaci, cosa rappresenta Thailandia per te?

Thailandia è più l’idea dello scherzo che della canzone. Credo che oggi vogliamo tutti prenderci troppo sul serio e a forza di fare così ci ritroviamo a passeggiare imbronciati o con la faccia come quei pesci degli abissi nelle illustrazioni dei libri di scienze per bambini, quando basterebbe essere un pochino più leggeri e ridere non del mondo ma con il mondo, un po’ come facevano i pittori e i cineasti surrealisti. Per questo ho scritto Thailandia, perché per insicurezza o per conforto tendiamo spesso a metterci in contenitori o scatole che non ci rappresentano e, facendo così, rischiamo di perdere quello che è davvero la nostra natura.
La canzone è scritta con un linguaggio ben specifico e lo utilizza facendo un po’ lo scimmiotto a questo mondo che pare un catalogo, proprio come i due protagonisti che fanno finta di essere quello che non sono solo per apparire brillanti o comunque interessanti l’uno agli occhi dell’altra. Ma a forza di fare così, vengono travolti da un mare di folla e di luoghi comuni che li allontana facendoli perdere per sempre. Quindi, sia nell’uscita ravvicinata con Boh, che nel modo in cui è stata lanciata, Thailandia è un modo per ridere ed un invito a essere più umani o perlomeno a credere nei pesci d’aprile, anche se in questo caso era maggio.

Nel testo, la persona della quale parli posta la foto di un tatuaggio per “discutere di gatti, yoga, santi e veg food”. Che rapporto hai tu con i social?

Credo che sia buono, o perlomeno mi piace questa cosa che ci sia un sacco di gente al mare, mi piacciono anche quelli che tagliano le saponette, anche se non capisco bene il perché lo facciano; forse non hanno abbastanza spazio sul lavandino. A me invece piace postare le foto dei pesci e, in realtà, utilizzo i social più che altro come un diario o per fare le scenette, soprattutto per fare le scenette, e questa cosa mi diverte un sacco. Oltre all’aspetto ludico, però, non amo particolarmente il mondo dei social, o almeno, preferisco vivere la realtà. Anche perché il mondo è davvero molto più incredibile di come ci viene mostrato e resta solo a noi viverlo con lo stesso spirito di meraviglia di quando inciampiamo su un video di un gatto sugli sci o delle feste tribali in chissà quale luogo sconosciuto.

Ci raccontano la storia due amanti dipinti di blu, entrambi con dei guanti alle mani. Ci ha colpito molto questa scelta! Com’è nata e perché proprio il blu?

Sai che questa cosa me la chiedo pure io. Credo che sia stata una visione, un sogno o qualcosa di simile, tipo Nel Blu Dipinto di Blu ma per Villa Borghese che muta in una giungla con le statue che fanno da spettatori. Poi forse non avevo mai visto il Maestro Guzzino [Simone Guzzino, produttore] blu e quindi perché no?
L’idea della coppia invece arriva da un sogno nel dormiveglia della Dottoressa Sandrucci che s’immaginava azzurrina tra le braccia del Maestro, e così TA DAH! Andiamo tutti a Villa Borghese con il diluvio a girare un filmino di nozze per amori surreali! Oltre il blu però mi interessava che uscisse il nocciolo della canzone: i personaggi sì, hanno la faccia dipinta ma sotto i guanti azzurri si vede la loro vera pelle, proprio a mostrare quanto nella vita tendiamo a mascherarci da qualcosa che non siamo, non rendendoci conto che, al di là del travestimento, siamo molto più simili di quanto pensiamo.

Thailandia arriva dopo Boh, il tuo primo singolo, che parla di luoghi comuni e mode che vanno e vengono. Ma come decidi l’ordine di uscita delle tue canzoni?

Mi affido ad una squadra di scienziati con le ampolle, che sbuffano e fanno le bolle fino a diventare come gli elefanti di Dumbo, che dopo un giretto sulle scrivanie arrivano alla cornetta del telefono e, quando rispondo, parliamo ore ed ore del più e del meno, finché non sbuffo pure io, ma le mie bolle non sono elefanti ma delfini ballerini che quando raggiungono la cornetta del telefono hanno tutto un po’ più chiaro. E così riparte il giro.

I tuoi video hanno tutti un’estetica ben precisa! A che cosa ti ispiri per creare questo tuo mondo?

Più che ispirarmi a qualcosa faccio girare tanto la fantasia, la possibilità di immaginare senza limiti mi pone nella condizione di massima libertà, un po’ come nei sogni. Sì, ecco, mi piace l’idea di poter vivere la vita come fosse un gigantesco sogno da cui escono personaggi fantasmagorici, coccodrilli che ballano il liscio, piscine giganti di pasta al pomodoro e chissà cosa mi passa per il mondo e la testa.

Il tuo nuovo album è in uscita dopo l’estate e non vediamo l’ora di ascoltarlo! CI puoi anticipare qualcosa?

Sì, sarà come un film, o almeno mi piace pensarlo così; come uno di quei film neorealisti dove i personaggi trovano grandi sorprese nei piccoli gesti quotidiani della vita e tutto questo li fa talmente ridere, che ad un certo punto, non si sa il perché, si commuovono. Ecco!

Fabrizio, grazie di averci accolti nel tuo pianeta onirico! A proposito, vedo che l’aragosta è un tema ricorrente nel tuo immaginario (e anche nella tua bio di Instagram, @ilsolitodandy); è un simbolo portafortuna?

Sai che il mio animale totem è il delfino? L’ho sognato una notte che usciva dal lago, arrancando nel giardinetto di fronte casa di una zia, ma credo che questo non c’entri molto, anche perché è successo dopo. L’aragosta invece credo che sia un animale rappresentativo di questo nuovo percorso, le canzoni parlano tanto di mare e sentimenti, non di amore, con quel velo di malinconia dietro cui si nasconde la morte dell’aragosta nella pentola che bolle. Non trovi un po’ di disillusione e amarezza in tutto questo? Un po’ anche come The Lobster di Yorgos Lanthimos, è un film che ti consiglio tanto.

Di Cecilia Nicolè

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