Che poi io non ce la faccio neanche più. A star dietro alle mille uscite settimanali, a capire di cosa parlano tutti, a cercare di riconoscere il volto della copertina di Scuola Indie e tutto il resto. Essere un musicofilo nel 2021 è davvero un casino. Ed è passato qualche anno da quando la realtà di Dischi Sotterranei, che in un periodo dove tutti si stupiscono di quanto sia incredibilmente creativa ARIETE (che poi nulla in contrario, sono stato anche a un suo concerto a Bergamo e mi sono innamorato della ragazza che poi mi ha riportato in stazione e non mi ha più risposto su Instagram), partoriscono un progetto come quello dei Post Nebbia: contro ogni regola, contro tutti, sempre. E quindi eccomi lì, qualche giorno fa, a prendere un treno per Padova per due giorni di musica firmati Dischi Sotterranei, due giorni di cui mi è piaciuto tutto tranne: il fatto che i bagni del cso Pedro erano abbastanza hardcore e mi sono scoperto vecchio e schizzinoso, il fatto che non sia riuscito a mangiare la pizza neanche una volta, il fatto che sia già finita.
Entro al centro sociale occupato (ecco la CSO per chi, straniero in terra padovana come me, se l’è chiesto tante volte) con il cappotto tirato su fino alle orecchie, le scarpe di tela rigorosamente estive inzuppate e gli Orange Car Crash che fanno già un casino speciale, di quelli a cui non ero più abituato, di quelli che mi ricordano il 2019 e mi fanno venire la nostalgia di tutto quello che ho perduto in questi due anni, anni in cui sono invecchiato, in cui cominciano a farmi schifo i bagni sporchi, anni che nessuno mi ridarà più indietro. Birre, un freddo boia, le pizze che mi dicono tutti che sono buone (non riuscirò mai a mangiarle perchè ogni volta mi accorgerò di non avere cenato alle 2 inoltrate), libri ovunque, due palchi, gente che poga con la mascherina (essere ribelli rispettando le regole mi commuove e mi affascina), una gioia immensa. Palco piccolo, la follia ordinata di Vipera, palco grande i Vanarin, che sanno di casa e mi mancavano tantissimo.
Palco piccolo il post punk dei Kick, sarebbero piaciuti a quella ragazza che non mi ha più risposto su instagram, palco grande i New Candys già visti a Milano qualche giorno fa, ma qui la gente si abbraccia, si limona felice pensando quanto siamo cazzo fortunati che stiamo vedendo un concerto vero tutti vicini che volendo possiamo anche pogare malissimo, e il pogo malissimo arriva sul palco piccolo con gli Halley DNA che quasi qualcuno ci rimette qualche costola sputata fuori come in un film di Tarantino (sicuramente ritrovata il lunedì, quando qualcuno si sarà messo d’impegno a ripulire il cso Pedro), palco grande a ballare fino a tardi con quei pazzi dei Planet Opal. Non mi sono sentito solo neanche un momento, neanche quando ho chiamato un taxi per tornare a casa di quell’amico di mio padre che mi ha ospitato sul suo divano e tutti continuavano a spingermi da una parte all’altra. Padova ti vuole rapire e portare a ballare, a tutti i costi.
Sabato. Mi sveglio alle 2 del pomeriggio, leggo che c’è uno showcase dei Giallorenzo in un bar ma me lo perdo in pieno perchè non riesco a capire come arrivarci a piedi da dove sono io (sono anche un po’ pigro comunque, non prendetemi per scemo). Mi mangio le mani quando poi ritrovo delle storie su instagram di due miei conoscenti che invece erano lì. Finisco di nuovo al Pedro, mi innamoro di MIVERGOGNO! perchè si sente come mi sento io, e di nuovo palco piccolo Baobab!, una voce bellissima e libera di una ragazza che mi tormenterà, immenso Pietro Berselli che ritrovo dopo una data sempre a Bergamo, in tutto lo splendore che merita e un pubblico che conosce a memoria ogni suo brano, il benvenuto a te caro mio. Visconti & The Giallorenzos con quel rock, amore e svastiche, Jesse The Faccio che mancava come l’aria che più che un live ci regala una psicoterapia collettiva e catartica. Palco piccolo con i Laguna Bollente, surreali e con un attaccamento malsano per gli Oro Ciok, Post Nebbia: mia piccola rivelazione dell’anno, ma non di quest’anno, di tutti gli anni a venire, che mi ricorda che si può essere giovani e amare le chitarre, non vedo l’ora di poter dire io quella volta lì, c’ero.
Un DJ set di cui mi ricordo poco perchè finisco a bere con un gruppo di sconosciuti sotto la pioggia. Questi due giorni mi hanno portato ad una dimensione vera, quella dove ci si può toccare, quella dove ci si può scontrare, dove si possono conoscere persone nuove anche se si è sudati da far schifo, dove ci si può ubriacare senza venire giudicati, quella dove si vive di musica e quella dove ci si emoziona davvero. Perchè, e mi spiace dirlo, di come ci si sentisse a con certo di Jesse The Faccio io, dopo tutto questo casino globale, me n’ero dimenticato, e per qualche mese ho persino creduto che i concerti non mi mancassero davvero, non come l’andare a mangiare fuori o al baretto con gli amici. Stupido me, la musica dal vivo mi mancava come l’aria fresca, mi son sentito come quando si trattiene il respiro a lungo, per poi ritrovarsi affannati e respirare di nuovo. Così.
Che a non respirare a lungo, finisce che si muore.
Grazie.
CM
foto di Simone Pezzolati, con pellicole Lomography