Demoni è un album di dieci brani per scoprire una dimensione completamente nuova della band che, messa da parte l’istintività del primo album, riesce a traghettare l’ascoltatore in un viaggio in bilico tra ragione e sentimento, spaziando tra ritmiche incalzanti, arrangiamenti cangianti e suadenti melodie. Mi ritrovo qui, superati i 30 con questo disco nelle cuffie, che mi ha fatto stare male più del dovuto, con un album subdolo e suadente che ti culla con belle linee di chitarra e testi rassicuranti, per accompagnarti alla fine alla consapevolezza più estrema: la pacchia è finita, sei un adulto, nessuno ti ama davvero, e se anche ti amasse sarebbero comunque tantissimi casini. Demoni è un disco che non dovete ascoltare se stata affrontando un trasloco, come me, e vi trovate nel cuore di un misero bilocale in periferia, se vi sentite soli e siete stufi delle pacche sulle spalle degli amici. Questo disco sarà una coltellata se vi aspettate un disco pop-rock di quelli che vi rifilava vostro padre in macchina, se pensate che le band di provincia non abbiano più drammi da raccontare e se eravate abituati ai cantautori indie.
E mi ritrovo qui, in questa sera strana, in una via silenziosa, con questo dannato tram che non vuole passare: Demoni è probabilmente un disco che vuole indagare il sentimento che deriva dal sentirsi abbandonati, la responsabilità estrema che arriva quando non siamo più dipendenti da nessuno, quando siamo adulti, e incredibilmente soli. Non ci sono canzoni d’amore che tengano, quando non c’è nessuno ad ascoltarle. Avrei voluto condividere questo disco che una persona che mi ha lasciato qui, in questo bilocale, credo che ci avrebbe fatto bene, credo che avrebbe saputo comunicarci come ci sentivamo, meglio di quanto abbiamo saputo fare noi. In particolare, Tutto quello che saremo, mi ha mostrato tutte le possibilità che non abbiamo avuto e sono lì, schiaffate brutalmente dentro una canzone, con una semplicità estrema che odio tantissimo non aver saputo fare mia.
Qui dentro ci ho ritrovato i dischi dei Marlene Kuntz che mi faceva ascoltare mia madre, i Baustelle che ascoltavo io al liceo, tutti i concerti che mi sono ritrovato a fare da solo quando tutti hanno smesso di ascoltare rock e hanno cominciato a fare figli, una familiarità di una band che mi sembra di conoscere da anni. Una nostalgia infinita per un mondo che non tornerà più. Mi piace pensare che questo disco arrivi da un passato tormentato, quello adolescenziale, e che voglia ammonirmi su tutti gli sbagli che alla fine mi sono ritrovato a compiere, tutti quei demoni che ora mi porto dietro, ineluttabilmente. Un disco dedicato agli adulti che non si erano ancora resi conto di esser diventati tali, come me che neanche Zerocalcare c’era riuscito…
L’amore raccontato come lo racconta La Belle Epoque fa male, perchè affonda nella sfiducia, nelle complicità che fanno male, perchè racconta di come si possono condividere le fughe e di come la felicità è così rara che, quando arriva, sarebbe da prenderne nota.
CM