Ci stavo riflettendo proprio l’altro giorno. Essere una rockstar di questi tempi è davvero faticoso. Sono finiti i tempi in cui ondeggiare, esporsi a tal punto, sul palco pieno di alcol (se va bene), fare schifo, distruggere camerini o piantare figli in giro e cose del genere si rivelava una cosa positiva, ora è più rock dichiarare di essere contro le droghe, è rock truccarsi, è rock raccogliere fondi per gli ospedali in Siria. Jim Morrison nel 2022 sarebbe un perfetto coglione, per intenderci. Trasgredire, non è più una cosa figa, lo è percorrere saggiamente strade già stabilite e riuscirci… riuscirci è la cosa più figa del mondo. E questo nostro atteggiamento di restare nei confini giusti lo ritroviamo ovunque: in playlist che sono tutte la copia l’una dell’altra, in progetti che sono tutti l’una la continuazione naturale l’uno dell’altra, in copie su copie di altre cose. Il concetto stesso di rockstar è finito.
E poi c’è Vinnie Marakas.
Come un profeta di quartiere, Vinnie Marakas arriva per spezzare tutti gli schemi con il suo nuovo disco dal titolo Giovane Cagliostro (fuori per Dischi Sotterranei) che si sviluppa in sei tracce che sono incredibili, indecifrabili e, soprattutto, incatalogabili. Un genere poliedrico, ibrido, che potremmo chiamare “italian touch” in cui più urgenze espressive chiedono il proprio spazio vitale, o almeno il proprio lessico per essere ascoltate. Giovane Cagliostro è un rave a cui si partecipa da lontano, la porta prima di Narnia, una fabbrica di cioccolato indie dove Vinnie Marakas è l’inevitabile Willy Wonka: un reietto felice, un sognatore anarchico, un solitario, contro tutto ciò che rimane là fuori.
Sono grato a questo disco che si può ballare anche di sera, sul parquet scivolando sui calzini, che ricorda che forse le rockstar vanno cercate nell’underground, che mi ha salvato dalla settimana più intensa della mia vita, che d’ora in poi sarà la mia personalissima fabbrica di cioccolato.
CM