Incredibile come tantissimi dischi usciti all’inizio dell’estate poi inevitabilmente si perdano nel marasma di impegni, progetti e sentimenti che quel periodo assorbe come poche altre cose. Quando inizia giugno, siamo già proiettati su settembre, tutto ciò che accade in mezzo non è che un limbo: è per questo che d’estate spendiamo i soldi che non possiamo permetterci, che ascolti musica che non ascolteresti mai durante il resto dell’anno (io per primo mi sono sorpreso a cantare Calcutta con gli amici in macchina), ma poi arriva settembre, il primo settembre, e tutto deve tornare inevitabilmente alla normalità. Ed eccomi che di nuovo, affamato e stanco, ho scavato di nuovo nei dischi che mi sono stati inviati, tutti quelli inviati e che tristemente avevo lasciato andare.
Comete è il capitolo definitivo per la band di Bologna che tra sonorità di respiro internazionale che, allo stesso, forti influenze derivanti dalla tradizione cantautorale, mi avrebbero offerto la più malinconica delle estati. E tutto inizia con Senza Peso, che in realtà è anche il titolo di un album immortale dei Marlene Kuntz e ora ho voglia di riascoltarlo, e in realtà le influenze sembrano arrivare anche da quel periodo, quello dei primi anni Duemila in Italia, dove Verdena e urla sotto palco condivano la nostra adolescenza. I Van Dyne sono per noi, che nel frattempo siamo cresciuti, e difficilmente ci siamo scontrati ancora con quella voglia di farci male.
Vi mancheranno tutte le vostre ex, avrete voglia di correre sotto la pioggia, sarete felici di riabbracciare settembre e tutta la musica seria che vi siete persi, perchè questo è un piccolo disco speciale e doloroso che non dovreste lasciare andare.
CR