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Perdersi, trovarsi e perdersi di nuovo nella musica: alla ricerca dei simboli dei CABle21

Si dice spesso che la musica unisce, e questo luogo comune è particolarmente vero per una band come i CABle21, nata anni fa, persa e poi ritrovata a dispetto del fatto che i componenti del gruppo si trovano addirittura in Paesi diversi. Ciononostante, come pandemia insegna, la band genovese è riuscita a comunicare da lontano abbastanza da realizzare il proprio nuovo disco, “Simbolatria”, un album oscuro e intriso di new wave.

I CABle21 ri-nascono nel 2021. Dopo che molti anni fa le esigenze di una vita da costruire avevano spento le luci sul gruppo originario, due dei componenti, Gazza e Orlenz, si sono rincontrati e, pur vivendo in luoghi molto distanti tra loro, hanno deciso di rimettersi a fare musica. 

Da quel momento è stato subito chiaro che le vite e le esperienze alle spalle trovavano nella composizione dei pezzi il modo migliore di esprimersi, l’urgenza di dare suoni e parole a quello che circonda per entrare più profondamente dentro di sé e nel mondo. Le composizioni si sono susseguite di getto. 

Poi c’è stato l‘incontro con Zilva, bassista e appassionato di mixing e con lui il gruppo ha trovato un’altra sponda per avere un feedback su ciò che si produceva e la tecnica necessaria per completare i pezzi. 

Si parla di simboli e dei loro significati in un lavoro molto magmatico e vivo, articolato su undici brani, influenzato dal post punk italiano e internazionale. Suoni che arrivano principalmente dagli anni Ottanta e Novanta, con una certa profondità di risonanze ma anche di testi, che spesso sconfinano in zone più o meno fantascientifiche.

Il basso si fa sentire in modi robusti su pezzi come “La paura sulla porta”. E mentre ci si muove spesso attorno a concetti misterici, è molto poco misterioso chi siano gli obiettivi polemici di “Iraq body count”.

“Facciamo musica – dichiara la band – guardandoci attorno, facendo attenzione agli scarti e pulendoli con cura. Cercando di non interrompere il sogno”.

E infatti ci sono anche sogni nel disco, ma è difficile distinguerli dagli incubi, persi come sono in sonorità molto claustrofobiche, sottolineate da una voce sussurrata, quasi sofferente.

“Simbolatria” è un disco, per certi versi, fuori tempo, perché la sua collocazione corretta forse sarebbe in qualche decennio diverso. Ma la musica negli ultimi anni si è rimescolata talmente tanto che si fa fatica a riordinare la cronologia. E comunque è particolarmente piacevole rivivere i suoni di un passato che suona così contemporaneo.