Con nomi cose città, uscito il 18 aprile 2025 per Bradipo Dischi, Moretti firma il suo secondo lavoro discografico, confermando il talento di un autore capace di coniugare l’eredità dei grandi cantautori italiani con una sensibilità tutta contemporanea. In nove tracce, Moretti costruisce un universo narrativo che intreccia ironia e malinconia, leggerezza e profondità, in un equilibrio raro da incontrare oggi, in questi nostri giorni frenetici, dove i numeri e il successo spicciolo dei social ci costringe ed essere immediati, diretti, spesso banali, a costo della viralità di qualche secondo.
Fin dalle prime note è evidente il suo dialogo ideale con maestri come Roberto Vecchioni e Lucio Dalla (innegabile e apprezzata influenza): dai primi eredita la densità letteraria dei testi, dai secondi la capacità di raccontare storie personali trasformandole in emozioni universali. Ma nomi cose città non si limita a guardare al passato: è un disco profondamente radicato nel presente, nei nostri caffè solitari e nostalgici, nelle case dei fuori sede, nella solitudine intellettuale di chi si rifugia nella musica, capace di parlare la lingua di una generazione che ha perso ogni certezza ma che continua a cercare autenticità, bellezza, verità – in piccoli bagliori, come è questo disco..
Il linguaggio di Moretti è infatti diretto, quasi colloquiale, e riesce a rendere vivi anche i riferimenti più colti. Gli arrangiamenti sono volutamente essenziali: chitarre, qualche tocco di fiati, pochi effetti. Ogni suono sembra scelto con la cura di chi sa che l’emozione autentica nasce spesso dallo spazio vuoto, dal silenzio lasciato respirare. La produzione è calda e asciutta allo stesso tempo, analogica, coerente con il messaggio del disco: in un’epoca di perfezione artificiale e sovra-produzione digitale, Moretti preferisce un suono che si sporca, che traballa, che accoglie, che vive.
In questo senso, Moretti agisce come un moderno Pavese: racconta l’inquietudine, il bisogno di autenticità, la solitudine esistenziale che animava lo scrittore piemontese, ma lo fa con strumenti e sensibilità contemporanee. Come negli hipster di oggi, nella sua poetica si avverte la nostalgia di un passato forse mai esistito davvero, un culto del vissuto, dell’imperfetto, del non immediatamente consumabile. Non è un caso che anche tutta l’estetica visiva del progetto sia stata pensata per sottolineare questa coerenza: tutte le fotografie ufficiali di nomi cose città sono state scattate in analogico. Una scelta che va oltre il semplice stile vintage, diventando una dichiarazione d’intenti: cercare il vero, accettare il tempo dell’attesa, restituire dignità all’immagine imperfetta, lontana dai filtri e dalle patinature digitali.
In questo percorso di autenticità e indipendenza, Bradipo Dischi si conferma il compagno di viaggio ideale. L’etichetta milanese, lontana ancora una volta dalle logiche degli algoritmi e dalle ossessioni dei numeri che sembrano dominare la Milano musicale contemporanea, accoglie e sostiene un progetto che non chiede di essere consumato rapidamente, ma di essere ascoltato, vissuto, metabolizzato.
Tra i brani, spicca “Cesare“, uno dei singoli, omaggio delicato e struggente a Cesare Pavese. Un arrangiamento misurato, un sax che graffia senza sovrastare, parole che sanno essere leggere e pesanti allo stesso tempo: è forse il manifesto perfetto di un disco che non ha paura di mostrarsi fragile, complesso, profondamente umano.
Con nomi cose città, Moretti dimostra di essere una delle voci più interessanti e necessarie della nuova scena cantautorale italiana. Non per capacità di inseguire le mode, ma per quella, ben più rara, di costruire ponti solidi tra tradizione e presente, restituendo alla canzone d’autore il suo valore più autentico: quello di raccontare la vita, senza scorciatoie.
LV