Si pensa che il termine “di bene in meglio” sia stato creato da un linguista lombardo dopo aver ascoltato l’album d’esordio di Di Meglio, “Il Mio Divano”. Infatti, la prima cosa che ha pensato è stata “non c’è meglio di Di Meglio” e da lì ha cercato una locuzione adatta per la sintassi italiana per poter esprimere questo mood. Una volta trovata la frase adatta, l’ha diffusa usandola in contesti casuali in momenti diversi: urlandola in un pub mentre si sgranchiva in maniera falsa la schiena dopo aver giocato a biliardo, in autostrada davanti al casello con una persona fisica riferendosi a quanto fosse bello scambiare due chiacchiere con qualcuno mentre dietro di lui si formava una fila chilometrica, ma anche in maniera sarcastica dopo aver pestato prima una cacca di cane lungo Corso Como di Milano e poi una cacca di umano verso Famagosta lo stesso giorno.
La vita può essere piene di sorprese, così come per quel linguista lombardo che dopo l’ultimo episodio gli andò sempre peggio: un tizio con il monopattino elettrico gli ha sfasciato un braccio che già si era rotto precedentemente mentre sfrecciava sul marciapiede e un quarto d’ora dopo una macchina gli è passata sopra un piede mentre stava per attraversare la strada; andando in ospedale con un taxi, sfrecciando per essere curato il prima possibile, ha tamponato una vecchietta in motorino e si è beccato pure un dolorosissimo colpo di frusta mentre tassista e vecchietta incolumi; una volta arrivato in ospedale tritatissimo ha dovuto aspettare 5 ore e 50 minuti in sala d’attesa al pronto soccorso. Nonostante tutto, usava comunque il termine “di bene in meglio” alla fine di ogni situazione, fino a quando il sarcasmo divenne disperazione.
Dopo le dovute analisi, durante una tac per accertare eventuali fratture ossee, gli è stato ritrovato un aggeggio di metallo lasciato sul suo avambraccio durante l’operazione subita anni prima per risistemargli l’arto che si era già fracassato. Mandato in urgenza in un’ala dell’ospedale per la rimozione, erroneamente gli hanno operato l’altro braccio spappolandogli dei muscoli fondamentali durante la ricerca dell’aggeggio. Riuscirono a toglierglielo successivamente, ma da quell’operazione rimase storpio. Nonostante tutto, usava comunque il termine “di bene in meglio” seppure la disperazione fosse ormai diventata arrendevolezza.
Zoppicante, sfasciato e più di là che di qua, il linguista tornò a casa qualche giorno dopo con la raccomandazione da parte del medico che lo ha seguito di riposare per almeno un mese. Così fece sul suo divano e ciò lo indusse a pensare a come la sua vita fosse cambiata radicalmente da quando iniziò a usare quel maledetto termine. Lo corresse e si disse che la locuzione più adatta da usare in quei contesti in realtà era “di male in peggio”.
In pieno delirio per la sua condizione di malato con poca possibilità di movimento, riascoltò l’album di Di Meglio ma stavolta all’incontrario e ci scovò in messaggio dell’artista rivolto proprio a lui in cui diceva di incontrarlo alle 7 di sera ad Abbiategrasso il giorno seguente. Era tutto programmato, lo sapeva che le sue sfortune non potevano essere casuali o dipendere semplicemente dalle parole “di bene in meglio”. E così fece, si presentò puntuale per vedere se poteva risolvere i suoi guai grazie a lui, ma Di Meglio quel giorno aveva di meglio da fare e non si presentò. “Di male in peggio”, venne da pensare al povero linguista, ma al solo pensiero di quelle parole si sentì un po’ meglio.
foto di Simone Pezzolati