Ho ascoltato il nuovo singolo di Marco Scaramuzza sotto consiglio di un amico cantautore, che di solito mi propone solo ascolti di un certo spessore: perle per lo più nascoste nel fondo sabbioso e – qui più che mai – lagunare di una canzone d’autore che oggi pare aver perso di vista la natura di sé stessa, nell’affannosa ricerca di una propria nuova identità.
Ecco, Marco Scaramuzza si è presentato così alle mie orecchie: lagunare (eccerto, parliamo di un veneziano!) e cantautore. Due aggettivi che fanno coppia non per caso: dopotutto, che cos’è la canzone se non un tentativo di costruire ponti sui tortuosi e imprevedibili canali che la vita prende, spesso assalendoci e facendoci naufragare?
Naufragare nelle parole di “Rosa”, il secondo singolo da totale indipendente di Scaramuzza, risulta in effetti piuttosto semplice: testo che si infittisce di una narrazione mai banale, che racconta allegoricamente una libertà agognata e anelata. Insomma, Marco si presenta come un menestrello 2.0 che, a cavallo tra De André, De Gregori e del buon vecchio folk americano (la chitarra rimane la lead voice di tutto il brano, in pratica) riesce a descrivere con semplicità non banale concetti importanti. E di questo, indubbiamente, abbiamo bisogno: portare semplicità nella complessità senza rendere “piccoli” discorsi fatti per essere necessariamente “grandi”. Certo, qualche sbavatura ci potrà anche essere (ma qui si entra in un fatto di gusti personali), ma a chi importa quando si sente la genuinità di qualcosa che non è fatto per rimanere invischiato in qualche etichetta di settore?
Ecco perché, per me, intervistare Marco è stato un dovere, oltre che un piacere: dobbiamo incoraggiare le cose belle, soprattutto quando sincere. Scoprite “Rosa” – ma anche “Cuore di plastica”, il singolo precedente – e se potete ricordatevi di Scaramuzza quando uscirà il suo EP, in autunno. Ne vale la pena. Non lo dice solo il mio amico cantautore (che sicuramente leggerà queste parole), ma anche io.