Mi piacciono sempre i dischi che sembrano dare inizio a qualcosa di nuovo, in qualsiasi senso. Mi ricordo la prima volta che ho ascoltato un disco degli Arctic Monkeys (forse ero in prima superiore), e sapevo che quel momento avrebbe segnato per sempre la mia vita: avrei preso una posizione musicale, quella alternativa rispetto a quello che ascoltavano tutti gli altri, e avrei portato magliette ridicole con nomi di band che non avevo mai visto dal vivo. Whatever People Say I Am, That’s What I Am Not ha cambiato per sempre le cose, c’è un definitivo prima e dopo. Non so dicendo che Anna Soares centri qualcosa con gli Arctic Monkeys, ma con i cambiamenti sì e i nuovi inizi sì: Anna Soares ha unito definitivamente sesso e musica nel più elegante dei modi, con una sensualità esplicita e mai volgare che mi era sinora sconosciuta. Questo disco mi ha fatto venir voglia di amare, tantissimo, e questa voglia è davvero pericolosa per tutti i nerd davanti al computer che finiscono a leggersi le recensioni dei dischi.
Anna Soares ci porta in un mondo oscuro e vibrante, dove l’elettronica si fonde con i brividi sensuali di parole sussurrate che ci fanno sentire a disagio se, come me, state ascoltando questo disco in pubblico, su un treno diretto alla stazione di Scandicci (Firenze). Mi sento osservato, esposto, in difetto: la sicurezza estrema che Anna Soares si porta dietro con un carisma non indifferente, che ci dà il pieno controllo per avere il controllo su di lei nelle fantasie sessuali che la musica di Sacred Erotic inevitabilmente scatena. La BDSM Music, finora mondo sconosciuto, forse sta qui, nell’immergerci in questo vortice di sensazioni dove siamo completamente sottomessi al volere di Anna Soares che, ossimoricamente, ci dà il pieno controllo.
La cantautrice e producer, madre della BDSM Music, crea un percorso che celebra la sacralità dell’universo sessuale, toccando tematiche come la sapiosessualità, l’ipnosi erotica, dominazione e sottomissione, la potenza dello spirito femminino, la connessione intima che porta all’evoluzione interiore. Ogni brano compone un universo sonoro a sé, toccando trip hop, future garage, elettronica cantautorale, senza mai chiudersi in degli schemi predefiniti, sia vocalmente che a livello compositivo.
Questo disco suona come il sentirsi a disagio in una stanza dove tutti si stanno divertendo, come un sorriso forzato ad una di quelle serate dove avremmo voluto sempre essere presenti, di un mondo lontano e altolocato di cui noi non facciamo parte. Come quella volta che mi ritrovai, sempre al liceo, a bere una birra con Miles Kane e non riuscii a dire una parola, tornato a casa ero comunque l’uomo più felice del mondo. Sacred Erotic è così: un mondo sconosciuto, un nuovo inizio, un nuovo genere musicale, un mondo immersivo che ci fa sentire strani, e bisognerebbe davvero indagare su questa stranezza e che risulta infine bellissimo. Speriamo davvero che possa esserci presto un seguito.
CM