Stupisce sempre abbastanza pensare quanto in realtà la scena rock sia così consolidata e resistente (nel senso vero e proprio del participio, che resiste) in Italia. Nei giorni tristi e milanesi del mio monolocale mi convinco che tutto si riduca alla playlist Scuola Indie su Spotify, a quell’immenso piattume di canzoni che si imitano tra di loro, creando una scena immensa che vive solo di numeri e dinamiche interne alle piattaforme digitali, così poche poi esistono effettivamente dal vivo (alcuni nomi mi rimbalzano in testa, ma poi non li vedo nei localini, ai festival, alle aperture di qualcosa di più importante), solo un nome che ribalza tra gli artisti consigliati da Spotify, un multiverso che non ha mai un riscontro nella vita vera, quella di chi la musica la respira.
E di polvere, locali sudati e scontri, sembrano essersi nutriti molto i Basiliscus P, band messinese che da pochissima si è imposta con il nuovo album dal titolo “Spuma“: un meraviglioso intreccio di chitarre e sentimenti, richiami jazzistici e tormenti strumentali che sono stati registrati in presa diretta in un ex Forte di fine Ottocento. Un mondo a sè, fuori da ogni schema o regola che possa imporsi da quel multiverso rognoso delle piattaforme di streaming. Questo perchè Spuma è un viaggio che si ascolta dall’inizio alla fine, un tunnel psichedelico e oscuro da percorrere con coraggio.
Questo disco prende vita da lunghe sessioni di improvvisazione in sala che poi sono state sviscerate e riarrangiate sotto la guida di Marco Fasolo, leader dei Jennifer Gentle e produttore tra gli altri di I Hate My Village e Bud Spencer Blues Explosion. “Spuma” è stato concepito durante il lockdown. Più che dalla spuma, o schiuma del mare, il nome deriva dalla bibita, vera e propria passione dei tre, che è molto graffiante come gusto ma allo stesso tempo dolce, ed è un po’ quel che può ricordare il suono dei Basiliscus P.
GR