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La Festa di Dischi Sotterranei è (e sarà per sempre) l’appuntamento musicale dell’anno

Di nuovo quel momento dell’anno, di quella cosa che è solo al secondo album ma sta diventando un appuntamento fisso: quel momento dell’anno dove mollo qualsiasi cosa per farmi tre giorni sul divano di un mio amico che è felicissimo di avermi a casa sua, anche se a mala pena gli rivolgo parola e abbiamo orari completamente invertiti. Siamo a Padova, ovviamente, e fa un freddo incredibile. L’anno scorso, questo stesso weekend mi aveva fatto realizzare che, in fondo, ero una persona felice e, anche se entravo violentemente nella vita adulta, potevo continuare a fare il coglione chiedendo a degli sconosciuti di sollevarmi durante un assolo dei Giallorenzo che accompagnavano un generico e allora sconosciuto Visconti. Oggi guardo le mie classifiche di Spotify e Visconti è tra gli artisti che ho ascoltato di più quest’anno.

Ho di nuovo quel cappotto di merda, che realizzo di non aver neanche lavato dall’altra volta, faccio schifo, ma non quanto i bagni del CSO Pedro che già risuonano i primi gruppi. Mi tolgono Pietro Berselli a causa del Covid, e piango interamente come un coglione, perchè in realtà, da trentenne che si rispetti, era tra i nomi che più mi era rimasto dentro dall’anno scorso. Merli Armisa è una piacevole sorpresa, i Vanarin sono il mio primo viaggio in Inghilterra che per ovvie ragioni mi ricordo pochissimo, Visconti, la mia storia platonica e omosessuale più riuscita, Post Nebbia, classiconi incredibili anche se avranno tipo vent’anni e mi fanno sentire un cretino, TA GA DA e le prime gomitate, e poi un infinito DJ set che mi accompagna al bar.

Cose che cambiano alla festa di Dischi Sotterranei rispetto a qualsiasi altro evento: oltre ai bagni più sporchi, persone vere, musica vera, pochissimi cellulari alzati, i biscotti con la droga al merch, gli artisti che vanno a vedere i set degli altri artisti e pogano sulla musica degli altri artisti e sanno tutte le canzoni a memoria, meglio di me che sono uno schifoso fan che si è fatto tutto il viaggio in treno cantando è solo un giocooooo…

Vinnie Marakas
foto di Simone Pezzolati

Il Pedro è un concentrato di sbandati, di amici incondizionati. Ci parliamo, ci seguiamo su Instagram e poi non ci parleremo mai più, mangiamo la pizza migliore del mondo all’interno del centro sociale, siamo tristi alla fine del primo giorno. Mi sento una persona normale, un impiegato qualsiasi, alla fine di un giorno di ordinaria follia. Ho come la sensazione che quella di Dischi Sotterranei sarà la mia vacanza obbligata: il Primavera Sound in estate, due giorni chiuso al Pedro d’inverno.

Secondo giorno. Jesse The Faccio, immenso profeta vestito da cugino sfigato, Michele Novak alla chitarra sul palco con lui dopo l’assenza, sentitissima da molti che alzavano cori in suo favore, Roncea che non era molto a fuoco con il resto della festa, ma è stato così godibile che mi sono scolato due birre solo durante il suo set, Baobab! e il progetto più raffinato del roster, la follia di Vinnie Marakas, l’annuncio dei C+C=Maxigross nel roster e il set più bello del mondo, Dead Cells Corporation che mi sono sorpreso non venisse giù qualsiasi cosa, Ulisse Schiavo che è il nostro James Blake.

Ammetto che ci sono stati diversi cambi di line up e mi sono perso ad una certa, non riuscivo più a capire cosa sarebbe successo di lì a poco, ma ad una certa non me ne è più importato. É stato bello ritrovarmi i Planet Opal quando non li aspettavo, o forse avrei dovuto ma ero ubriaco, i Dead Cells Corporation quando invece mi aspettavo il pogo dell’anno scorso con gli Halley DNA e via così. Sono stato rapito, assorbito, confuso, metaforicamente picchiato. Ed è stato bellissimo, anche quest’anno.

Sarà così dura tornare indietro ora.

Planet Opal
foto di Simone Pezzolati