Quale periodo migliore di questo, quello dove si avvicinano i pranzi e cene coi parenti, i regali forzati, e le ferie mai godute abbastanza, per rispolverare un po’ di quei dischi che ascoltavamo da adolescenti o che, almeno, io ascoltavo come un pazzo furioso sul punto di farla finita. Quella maglietta dei Joy Division, che ho consumato tantissimo e che ormai non ha un colore definito, ma è tutt’uno con le ondine delle copertina, e che ormai è un pigiama, mi farà compagnia nell’ascolto di questo “Altrove“, l’EP di debutto di Nebbia. Cantautore dichiaratamente di provincia, quella lombarda fatta di scighera, smog e giornate corte, di tristezza tipica di chi ha ascoltato troppo post punk, ma anche di quell’ironia di chi è disposto a pagare 10 euro un gin tonic.
In questo tunnel di synth e ritmi serrati dalla malinconia, Matteo Bonavitacola, questo il nome secolare di Nebbia, ci accompagna per mano nel suo mondo agrodolce di oscurità e luci al neon, con la colonna sonora perfetta per il più fumoso dei locali padani. Qui dentro, mascherato da disco pop, c’è un passato tormentato (chissà se, come molti, anche Nebbia non se la sia passata bene negli ultimi due o tre anni, tra guerre e pandemie), in cui è impossibile non lasciarsi assorbire.
“Altrove” è un disco che racconta tutto quello che in qualche modo è altro da sé: le persone, gli amori, i posti da cui si passa. Un insieme di pezzi di vita condensati in un contenitore fatto di synth, atmosfere anni ‘80 e neon tra i capannoni. Un disco dedicato a tutti gli ultimi romantici. Con una nota di merita a “Texas Ravioli”, singolo indiscusso che si fa ballare. E ballare su un brano triste è quanto di più bello possiamo augurarvi per il 2023.
Milano d’inverno è una di quelle città che ti consuma, che ti fa scendere zampettando come uno scemo dall’autobus, crepando di freddo. Che ti fa fare le file nei locali, che ti fa schiacciare contro mille sconosciuti ogni giorno in metropolitana, che ti fa spendere quaranta euro per una cena mediocre, e rimane comunque una città da amare. Quella delle cene con gli amici, quella delle ore piccole e degli spiccioli in tasca, quella che ti fa guadagnare tanto e spendere altrettanto. I Nolo, duo del celebre quartiere al nord di Loreto, hanno di recente pubblicato il loro nuovo EP dal titolo Luminia, un omaggio a questa città di luci e contraddizioni incredibili.
Qui dentro troviamo una città ai confini del mondo Occidentale, quella Milano scintillante, la città delle luci che ci circonda fin da piccoli: i neon, i semafori, le metropolitane, le finestre dei palazzi. Per noi nati e cresciuti a Milano sono luci calde, accoglienti e domestiche. Il pop malinconico dei NOLO, diventa un ritratto generazionale per una generazione cittadina che si perde e si ritrova continuamente: una dichiarazione d’amore alla città di Milano.
Basta questa location suggestiva, che spesso manca ai dischi indie che ritroviamo in ripetizioni violente nelle playlist di Spotify, per farci piacere questo disco. Di un pop dichiarato e sfacciato, che però nasconde quella sofferenza generazionale che consuma, come questo freddo che mi porto dietro fino a casa, in questa città così accogliente e scontrosa. Milano è come la musica dei Nolo, brillante e scintillante, divertente, ballabile, eppure solitaria, triste e scontrosa. Qui dentro ci sono gli sguardi in metropolitana, quelli che ci fanno innamorare, ci sono le chitarre degli anni Sessanta che piaceranno a vostro padre (provate a mettergli questo disco in macchina!), e la produzione di Plastica.
Atmosfere crepuscolari e inquiete. Luca Gemma è tornato dopo una lunga assenza con “Fantastiche visioni“, un nuovo capitolo che arriva dopo una lunga assenza. Un’assenza che ha compreso molti cambiamenti, a partire dal mercato della musica che è diventato Spotify-centrico a una pandemia globale. Cambia tutto, ma certi nomi ritornano con quell’aria eterna e imponente, Luca Gemma è uno di questi, elegante ed imponente cantautore rock tra i più significativi di una scena di cui non sono rimaste che poche briciole. “Fantastiche visioni” è la perfetta compagnia per una serata solitaria, una di quelle dove io mi ritrovo a scivolare sul parquet come uno scemo, un bicchiere di vino in mano e quell’aria spettrale di questi tempi difficili, guanti e sciarpa: tempi duri per noi freddolosi che non riusciamo a vivere con quel massimo di venti gradi in casa.
“Fantastiche visioni” è un disco compatto, in questo 2022 bulimico di ascolti frammentati è piuttosto strano. L’immaginario alla Cormac McCarthy è innegabile, chissà se voluto, echi di scenari lontani alla Ennio Morricone, un disco per la fine del mondo. In questa colonna sonora apocalittica, ma non tragica, ci si muove lentamente, toccando scene che vanno dagli anni Ottanta al grande cantautorato italiano, ciò che ci hanno lasciato i songwriter americani con gli stivali a punta e il rock alternative degli anni Novanta in Italia. Luca Gemma, non collocabile, ci regala un disco incredibilmente bello e sentito. Scivolando su questo parquet entro nella testa di Luca Gemma, che scava senza remore e filtri portandoci dai suoi demoni.
Ma di questi tempi dove un disco dura meno di un mese, forse viene difficile trovare 40 minuti per godere di questa piccola meraviglia, in questo slalom di singoloni e playlist, questo disco non vuole neanche competere: si presenta alla festa senza parlare con nessuno, e ad osservare con giudizio tutto ciò che succede nella stanza. Benvenuti nel mondo sbilenco e visionario di Luca Gemma che non tarderete a riconoscere e ad accogliere, ma vi avviso: sarete da soli.
Di nuovo quel momento dell’anno, di quella cosa che è solo al secondo album ma sta diventando un appuntamento fisso: quel momento dell’anno dove mollo qualsiasi cosa per farmi tre giorni sul divano di un mio amico che è felicissimo di avermi a casa sua, anche se a mala pena gli rivolgo parola e abbiamo orari completamente invertiti. Siamo a Padova, ovviamente, e fa un freddo incredibile. L’anno scorso, questo stesso weekend mi aveva fatto realizzare che, in fondo, ero una persona felice e, anche se entravo violentemente nella vita adulta, potevo continuare a fare il coglione chiedendo a degli sconosciuti di sollevarmi durante un assolo dei Giallorenzo che accompagnavano un generico e allora sconosciuto Visconti. Oggi guardo le mie classifiche di Spotify e Visconti è tra gli artisti che ho ascoltato di più quest’anno.
Ho di nuovo quel cappotto di merda, che realizzo di non aver neanche lavato dall’altra volta, faccio schifo, ma non quanto i bagni del CSO Pedro che già risuonano i primi gruppi. Mi tolgono Pietro Berselli a causa del Covid, e piango interamente come un coglione, perchè in realtà, da trentenne che si rispetti, era tra i nomi che più mi era rimasto dentro dall’anno scorso. Merli Armisa è una piacevole sorpresa, i Vanarin sono il mio primo viaggio in Inghilterra che per ovvie ragioni mi ricordo pochissimo, Visconti, la mia storia platonica e omosessuale più riuscita, Post Nebbia, classiconi incredibili anche se avranno tipo vent’anni e mi fanno sentire un cretino, TA GA DA e le prime gomitate, e poi un infinito DJ set che mi accompagna al bar.
Cose che cambiano alla festa di Dischi Sotterranei rispetto a qualsiasi altro evento: oltre ai bagni più sporchi, persone vere, musica vera, pochissimi cellulari alzati, i biscotti con la droga al merch, gli artisti che vanno a vedere i set degli altri artisti e pogano sulla musica degli altri artisti e sanno tutte le canzoni a memoria, meglio di me che sono uno schifoso fan che si è fatto tutto il viaggio in treno cantando è solo un giocooooo…
Vinnie Marakas foto di Simone Pezzolati
Il Pedro è un concentrato di sbandati, di amici incondizionati. Ci parliamo, ci seguiamo su Instagram e poi non ci parleremo mai più, mangiamo la pizza migliore del mondo all’interno del centro sociale, siamo tristi alla fine del primo giorno. Mi sento una persona normale, un impiegato qualsiasi, alla fine di un giorno di ordinaria follia. Ho come la sensazione che quella di Dischi Sotterranei sarà la mia vacanza obbligata: il Primavera Sound in estate, due giorni chiuso al Pedro d’inverno.
Secondo giorno. Jesse The Faccio, immenso profeta vestito da cugino sfigato, Michele Novak alla chitarra sul palco con lui dopo l’assenza, sentitissima da molti che alzavano cori in suo favore, Roncea che non era molto a fuoco con il resto della festa, ma è stato così godibile che mi sono scolato due birre solo durante il suo set, Baobab! e il progetto più raffinato del roster, la follia di Vinnie Marakas, l’annuncio dei C+C=Maxigross nel roster e il set più bello del mondo, Dead Cells Corporation che mi sono sorpreso non venisse giù qualsiasi cosa, Ulisse Schiavo che è il nostro James Blake.
Ammetto che ci sono stati diversi cambi di line up e mi sono perso ad una certa, non riuscivo più a capire cosa sarebbe successo di lì a poco, ma ad una certa non me ne è più importato. É stato bello ritrovarmi i Planet Opal quando non li aspettavo, o forse avrei dovuto ma ero ubriaco, i Dead Cells Corporation quando invece mi aspettavo il pogo dell’anno scorso con gli Halley DNA e via così. Sono stato rapito, assorbito, confuso, metaforicamente picchiato. Ed è stato bellissimo, anche quest’anno.
LE CANZONI GIUSTE hanno pubblicato il loro nuovo singolo il 25 Novembre “TISCA TUSCA TOPOLINO”. Noi gli abbiamo chiesto quali sono le loro 5 cose preferite!
LIVE
Se dovessimo rispondere a cosa non rinunceresti mai nella vita, la risposta è all’unisono “Suonare”.
CIBO
Almeno una cena di band al mese obbligatoria, Pantagruelica!
SESSO
Non credo ci sia molto da aggiungere.
Pensare alle prime tre cose insieme.
VIAGGI
Andare in tour per noi è come andare in gita di quinto tutti i giorni. Quando ami il lavoro che fai, non pesa niente.
É di nuovo la Music Week, quella settimana fredda in cui bisogna sgambettare da una parte all’altra di Milano per vedere quel professorone parlare di qualcosa, vedere quella band in acustico, e prendersi una birra con quel discografico del basso Lazio che è venuto apposta per questa settimana. Ciò che appare evidente è che in questa bulimia musicale, per quanto riguarda la parte live, sia spesso banale, tirata. Progetti assurdamente belli e complessi ridotti a un paio di brani con una chitarra acustica e un microfono gracchiante, live sold out con la gente tutta al bar, e una serie infinita di incongruenze del genere.
E poi è un giovedì sera, quel giovedì sera di quella maledetta settimana, e siamo al Nibada Theatre sui Navigli. Non ci entravamo da tempo, ed eccoci qui, con quei panini giganti e quel palco piccolissimo che sembra impossibile possa contenere tutti i Rumba De Bodas. Un progetto musicale imponente con una storia il cui inizio risale al 2008.
Il loro nome deriva dall’unione di due espressioni bolognesi: “rumba”, ovvero far rumba, far casino, e “bodas” che deriva dai matrimoni e, in questo caso, diventa simbolo del connubio tra i generi musicali con cui il gruppo sembra ancora oggi non riuscire a decidersi. Per anni si esprimono prima per le strade cittadine, con un’attività di busking che li porta a girare e a ed esibirsi nelle piazze europee e italiane. Già nei primi anni della loro formazione iniziano a fare le prime apparizioni in alcuni festival importanti del continente: il Boomtown Festival in Inghilterra, il Fusion Festival in Germania e il Cous Cous Festival in Sicilia.
E 13 anni dopo eccoli qui, con un magnetismo trascinante, un live vero in mezzo ad una settimana di piccole delusioni, un locale sudato e caldo dove rimbomba un sax seducente, e la voce inconfondibile di Monique. I Rumba De Bodas fermano il tempo, siamo in un qui e ora dove non ci sono storie da fare, non ci sono conversazioni e sessioni di networking da fare assolutamente in questa Music Week di nerd e primi della classe. Improvvisamente sembra tutto chiaro, la musica è questa cosa qui, e non quella che ci siamo trascinati dietro negli scorsi giorni.
Stupisce sempre abbastanza pensare quanto in realtà la scena rock sia così consolidata e resistente (nel senso vero e proprio del participio, che resiste) in Italia. Nei giorni tristi e milanesi del mio monolocale mi convinco che tutto si riduca alla playlist Scuola Indie su Spotify, a quell’immenso piattume di canzoni che si imitano tra di loro, creando una scena immensa che vive solo di numeri e dinamiche interne alle piattaforme digitali, così poche poi esistono effettivamente dal vivo (alcuni nomi mi rimbalzano in testa, ma poi non li vedo nei localini, ai festival, alle aperture di qualcosa di più importante), solo un nome che ribalza tra gli artisti consigliati da Spotify, un multiverso che non ha mai un riscontro nella vita vera, quella di chi la musica la respira.
E di polvere, locali sudati e scontri, sembrano essersi nutriti molto i Basiliscus P, band messinese che da pochissima si è imposta con il nuovo album dal titolo “Spuma“: un meraviglioso intreccio di chitarre e sentimenti, richiami jazzistici e tormenti strumentali che sono stati registrati in presa diretta in un ex Forte di fine Ottocento. Un mondo a sè, fuori da ogni schema o regola che possa imporsi da quel multiverso rognoso delle piattaforme di streaming. Questo perchè Spuma è un viaggio che si ascolta dall’inizio alla fine, un tunnel psichedelico e oscuro da percorrere con coraggio.
Questo disco prende vita da lunghe sessioni di improvvisazione in sala che poi sono state sviscerate e riarrangiate sotto la guida di Marco Fasolo, leader dei Jennifer Gentle e produttore tra gli altri di I Hate My Village e Bud Spencer Blues Explosion. “Spuma” è stato concepito durante il lockdown. Più che dalla spuma, o schiuma del mare, il nome deriva dalla bibita, vera e propria passione dei tre, che è molto graffiante come gusto ma allo stesso tempo dolce, ed è un po’ quel che può ricordare il suono dei Basiliscus P.
Fresco della pubblicazione del nuovo singolo “Cleopatra”, il rapper (ma in realtà la parola gli va stretta) Giovanni Paura si racconta attraverso le sue cinque cose preferite. Tra musica, posti del cuore e sport.
HOW I MET YOUR MOTHER
Per molti sarà solo una serie tv, per me, invece, è qualcosa di più. Penso di aver visto questo capolavoro una decina di volte e sono fermamente convinto non mi stancherà mai. Riesce ad emozionarmi, a farmi ridere e ha formato tantissimo il mio carattere mostrandomi aspetti della vita e delle relazioni che prima trascuravo completamente. L’ho citata moltissime volte nei miei pezzi e ho anche tatuata una delle mie scene preferite. Grazie HIMYM per avermi accompagnato nel percorso della vita e per avermi reso un piccolo Ted Mosby.
MAC MILLER
Mac Miller è più di un rapper, è più di un semplice artista. Malcolm è quel rifugio sicuro dove rintanarsi quando il mondo esterno gioca i suoi brutti scherzi (che stanno diventando sempre più frequenti aggiungerei). Ho iniziato a pubblicare la mia musica dopo aver ascoltato “The Divine Feminine” e aver capito come certi messaggi e certe tematiche possano essere affrontante in modo dolce ma non melenso e strizzando l’occhio a un genere musicale che ho sempre adorato. Grazie Mac, per tutto, e, anche se purtroppo non potrò mai assistere ad un tuo concerto, sarai per sempre parte di me.
NBA
Quante nottate passate a guardare l’NBA. Le triple di Steph, le schiacciate di LeBron, le penetrazioni a canestro di Westbrook, i crossover di Iverson. Spesso rimpiango di non essere nato negli anni ’80, così da riuscire a godermi a pieno quello che per me è stato il periodo di più grande splendore della pallacanestro americana, ma non fa niente, va bene così. Che bello lo sport e sopratutto tu, che sei a metà tra un uomo e una divinità, che sei l’atleta più influente della storia. Grazie Michael Jordan (vedetevi “The Last Dance”, fidatevi).
CURIOSITA’
Penso sia la cosa che muove tutto, o, almeno, muove me. Sono una persona che si informa su ogni cosa, a cui piace scavare nel passato, studiare, sapere qual è il motore che aziona ogni meccanismo. Questa stessa curiosità mi ha avvicinato molto alla mitologia, alla storia, soprattutto quella Egizia. La figura di Cleopatra mi ha sempre affascinato e sono felice di aver trasposto questo immaginario nella mia ultima canzone, dal titolo “Cleopatra” per l’appunto. (Ascoltatela, è bella, fidatevi).
BELMONTE CALABRO
Non saprei spiegare a parole cosa significhi questo posto per me. Per alcuni è un paesino di 300 abitanti distante dal mondo. Per me è casa, famiglia, è il mio posto sicuro, la mia estate. Grazie per avermi fatto conoscere persone stupende che mi accompagnano da tutta la vita.
Se quest’estate abbiamo ondeggiato sulle note di “Limonata”, dal 21 ottobre possiamo invece assaporare le note dolci e morbide di una canzone che ci scalderà il cuore. Stiamo parlando di “Eschimesi”, il nuovo singolo di Serepocaiontas prodotto insieme a DSonthebeat (producer multiplatino di base a Milano) e al chitarrista Marco Torresan.
Noi l’abbiamo ascoltata e la prima sensazione che ci ha suscitato non è stata per niente glaciale, come potrebbe invece suggerire il riferimento all’immaginario artico. L’igloo della copertina altro non è che una metafora del freddo che ti lascia un bacio mai dato e un amore non ricambiato.
“Eschimesi” si riferisce per l’appunto al bacio con lo stesso nome e che è proprio in questa dimensione raccontata da Serepocaiontas che diventa emblematico.
Se Serepocaiontas siamo abituati a vederla se non accompagnata dall’ukulele, “Eschimesi” diventa anche il primo singolo con cui possiamo assaporare la bravura dell’artista anche senza questo strumento. Sonorità che ricordano una ballad malinconica ma allo stesso tempo dolce e un mood perfettamente autunnale (proprio in contrapposizione a quello estivo di cui si caratterizzava “Limonata”). Ad arricchire il tutto anche stavolta c’è la magia di DSonthebeat e la bravura del chitarrista Torresan.
Insomma, anche questo nuovo singolo dell’artista di Latina e milanese di adozione, non ha fatto altro che farci sentire ancora più legati al lei e alla sua musica, e per questo non possiamo che essere in trepidante attesa di ascoltare cosa ci sta preparando!
La Route Rougeè il titolo del nuovo singolo di Edifici, progetto musicale composto da Nancy e Martina, polistrumentiste e compositrici. Un brano originale, dalla lingua prescelta (il francese) alle sonorità.
ERIC CLAPTON
La passione comune per questo artista è stata la scintilla che ha fatto nascere in noi la voglia di collaborare, infatti il nostro primo video caricato sui social è stato una cover del suo celebre brano “Layla”. Da quel momento il nostro lavoro insieme non si è più fermato; quindi grazie Eric, hai fatto nascere il nostro primo album “Edifici”.
NEW YORK
Oltre ad essere la copertina del nostro omonimo album “Edifici”, durante i nostri viaggi è stata fonte d’ispirazione e motivo di crescita musicale.
L’energia che scorre sulle strade, tra le persone, negli edifici, ci ricorda che l’evoluzione corre veloce e ciò ti da la spinta per correre a tua volta. Noi abbiamo molta voglia di metterci in gioco e NY rappresenta la sfida perfetta: spaventosa ovvio, ma che ci fa sentire vive.
POLIRITMI
Nancy li studia da sempre, io invece (Martina) ne subisco il fascino da anni e cerco nuovi modi per inserirli nei miei fraseggi. Poter imporre alla musica di rallentare o accelerare a prescindere dalla sua velocità originale è davvero gratificante, ma d’altronde a chi non piacerebbe controllare il tempo?
LEGGENDA DEL PIANISTA SULL’OCEANO
“E quando erano bambini, tu potevi guardarli negli occhi, e se guardavi bene, già la vedevi, l’America, già lì pronta a scattare, a scivolare giù per nervi e sangue e che ne so io, fino al cervello e da lì alla lingua, fin dentro quel grido, AMERICA, c’era già, in quegli occhi, di bambino, tutta, l’America.”
Le ore a sognare sulle parole e le scene di questo film sono state tante e tutte le volte rilasciavano una spinta da dentro come se tutto fosse davvero possibile, che i sogni potessero veramente diventare la nostra realtà concreta per ispirare e fare sognare altre persone ancora. Vogliamo che la nostra vita sia una bell’avventura, perché come dice Danny Boodmann T.D Lemon Novecento “Non sei fregato veramente finché hai da parte una buona storia e qualcuno a cui raccontarla.”
LA COSTA AZZURRA
Ognuno di noi ha luoghi che ricorda con affetto e che si ritrova a dover abbandonare per lunghi periodi (a volte anche per sempre) a causa di questioni lavorative, familiari o sentimentali. La Costa Azzurra ha da sempre il profumo di casa, il legame che ci unisce a questa terra ha ispirato il nostro recente singolo “La Route Rouge”.
Affascinato da queste coste anche Claude Monet ha reso omaggio a Mentone dipingendo il quadro “La route rouge près de Menton”, dal quale prende il titolo il nostro singolo.