“Burro al Karitè” è il nuovo singolo di LaFede, artista milanese che ha esordito il 5 settembre con il suo primo brano. Noi, per conoscerla un po’ di più le abbiamo chiesto di raccontarci quali sono le sue 5 cose preferite.
GENERE INDIE
Fonte di ispirazione in questo periodo sia come scrittura che come modo di cantare.
PIANOFORTE
Strumenti, mezzo, tasti neri e bianchi. Musica che prende forma nella realtà. Accordi e note. Lo descriverei così.
LIBERTÀ
Mente libera, di esprimersi, viaggiare, pensare ed esplorare. La parola chiave che mi ha portato a scrivere le canzoni.
SPERIMENTAZIONE
Mi piace ascoltare artisti appartenenti a diversi generi perché mi permette di sperimentare anche nella scrittura.
ACCORDI IN MAGGIORE
In questa fase della mia vita ricerco prevalentemente melodie con accordi in maggiore perché rendono l’idea di melodie con “positive vibes”.
“Una sera” è il secondo singolo di Claudio in questo 2022, ed esce esattamente due mesi dopo il precedente “Deeodato”.
Il singolo gode di un arrangiamento accattivante e propone suoni che strizzano l’occhio sì agli anni 80,
ma affrontati attraverso una chiave moderna che dà vita ad una canzone pop dal ritornello da urlare a squarciagola con gli occhi gonfi.
Il brano racconta di due persone che si rincontrano in un bar a bere una birra, a pensare su come è andata la loro vita fino a lì e… che magari questo potrebbe essere solo un nuovo inizio.
BIO
Claudio Barzetti è un cantautore bergamasco con all’attivo numerose pubblicazioni. Milita in una band rock per anni (Requiem for Paola P.), poi il passaggio verso una svolta da solista dove abbandona le chitarre elettriche e i ritornelli urlati per una nuova strada decisamente più pop e cantautorale.
Il suo esordio arriva nel 2018, con l’uscita dell’EP “Partenze”, album d’esordio che lo vede addirittura piazzare in top10 tra i dischi più venduti di iTunes Alternative Chart Italia. A fine 2018 esce un singolo: “Antonello da Milano”;
il suo videoclip viene rilasciato in anteprima da RockIt e riscuote un ottimo successo.
Nel 2019 è la volta del singolo “La Segreteria” e sarà l’unica produzione del cantante bergamasco. In primavera 2020 invece arriva “Era Satomi a scrivere i pezzi”, il suo secondo EP, dove spicca fra tutti il singolo “Carbonara”.
Nel 2022 esce un nuovo singolo “Deeodato”, un pezzo che segna il ritorno dell’artista bergamasco.
IL NUOVO SINGOLO DEL VINCITORE DEL MEETING MUSIC CONTEST Tripletta racconta la storia di un’estate piena di amori e di fuochi, bugie e litigi.
Tripletta è un racconto di scelte difficili e forzate.
Il testo si sviluppa screditando una delle tre persone di cui parla, quasi per autoconvincersi che una di esse sia la scelta sbagliata, facendo esempi di una continua situazione “tira e molla” e piena di menzogne.
La storia poi si chiude con una consapevolezza, quasi imposta autonomamente dal protagonista, di quello che è l’elemento marcio in questa tripletta con la frase:
“Era bello stare in tre ma a fare in culo ci vai te”.
BIOGRAFIA
Mattia “Stifanelli” è un cantautore nato nel 1999 e cresciuto in provincia di Lecce.
Ha studiato batteria per dieci anni, suonando principalmente funk e jazz in varie formazioni locali, ma nel 2017, complice il trasferimento a Venezia per intraprendere studi universitari e stufo di non riuscire a trovare progetti musicali che potessero assecondare le proprie ambizioni, ha deciso di prendere lezioni di canto e imparare a suonare la chitarra, iniziando a dedicarsi alle proprie composizioni musicali come cantautore con lo pseudonimo “STIFANELLI”.
Le sue canzoni, dapprima acerbe, hanno iniziato a prendere sempre più forma, e sono giunte nel 2021, a vincere il Meeting Music Contest organizzato dal MEI, che gli ha dato la possibilità di registrare nei primi mesi del 2022 le canzoni che erano solo dei provini, facendole diventare il primo vero lavoro discografico, che avrà luce il 17 Giugno con il primo singolo “Tedesca” e che verrà supportato dallo stesso MEI e Amor Fati Dischi con distribuzione Ingrooves / Universal.
La musica degli Electric Circus è groove funk, ricami blues, note jazz, psichedelia e profumi world.
Guarda subito il nuovo video degli Electric Circus Dhimma!
Dhimma è un riferimento alla lingua e alla cultura araba: è la tassa che veniva pagata dai non musulmani per la protezione legale in uno Stato islamico. Con questo brano paghiamo il pedaggio per entrare in terre straniere.
Il paesaggio sonoro desertico fa da sfondo al tema principale dalle sonorità turche e medio-orientali, eseguito all’unisono dastrumenti elettrici e tradizionali (come l’oud ed il saz). Successivamente i suoni si dissolvono in sfumature spagnole ed unbreak di percussioni ci riporta all’inizio per un crescendo finale.
Il pezzo è stato prodotto nel 2022, registrato fra Torino e il Trentino, partendo dalla sezione ritmica, per poi aggiungerechitarre, fiati e strumenti a corda nelle sessioni successive. Grazie alla co-produzione di Marco Sirio Pivetti al Metrò RecStudio di Riva d/G, le fasi finali sono state dedicate alla cura dei suoni e dei dettagli, con l’idea di un risultato che parta dauna composizione world-music, ma fortemente influenzato da sonorità acide e psichedeliche.
Videoclip
Il videoclip è totalmente astratto e lascia al pubblico la possibilità di percorrere il proprio viaggio attraverso suoni e formeinaspettate.
Non so perchè ormai tutta la musica italiana sia per me un grandissimo enigma. Non riesco ad affezionarmi a niente, non riesco a legarmi a niente. Una mia amica cantautrice, che ahimè, nonostante l’amicizia riesco ad ascoltare ben poco mi aveva fatto un discorso delirante sul fatto che troppo spesso “piega” i suoi pezzi a sonorità che le piacciono di meno, per fare in modo che possa rientrare più facilmente nei canoni delle playlist Spotify. E troppo facilmente mi viene da pensare a quando mi padre mi faceva ascoltare i Marlene Kuntz in macchina, era la metà degli anni Novanta. Che cosa penserebbe mio padre oggi delle playlist Spotify? Di questa mia amica che si attacca a regole cosmiche e incredibilmente distanti da me, per una manciata di gloria.
Ecco, i Baseball Gregg non sono così. I Baseball Gregg piacerebbero a mio padre, se solo avessi un modo di farglieli ascoltare che non includa niente di tecnologico. Sono degli alieni in questa scena musicale, che intrecciano folk e alternative rock, che piacerebbero a chi ascolta Stu Larsen tra le montagne, ma anche agli irriducibili del Covo che vogliono pogare e fumare fino a consumarsi tutti i polmoni. Io sono un indeciso e un introverso molto espansivo, e così spesso mi ritrovo a metà tra queste due cose. E vivo l’ultima domenica della mia estate immergendomi in Nevertheless, affondando nella mia vasca da bagno che avrò usato sì e no un paio di volte da quando abito in questo sgabuzzino milanese. In vasca da bagno si può leggere con una concentrazione incredibile tra l’altro, perchè non è saggio avvicinare il cellulare all’acqua.
I Baseball Gregg hanno pubblicato tre EP in attesa di un album in arrivo a fine mese, la raccolta finale, la fine dell’estate che per me è stata scandita da lettura, pizzichi di Joyce e da questi mini dischi che duravano giusto il tempo di raggiungere il lido ferrarese più vicino. Non so neanche bene come sia successo: ma forse mi sono innamorato di un disco italiano (quasi comunque, in realtà italo-californiano), che sfugge a tutte quelle regoline, a tutta quella voglia di gloria e di numeri. Abbiatene cura anche voi.
Incredibile come tantissimi dischi usciti all’inizio dell’estate poi inevitabilmente si perdano nel marasma di impegni, progetti e sentimenti che quel periodo assorbe come poche altre cose. Quando inizia giugno, siamo già proiettati su settembre, tutto ciò che accade in mezzo non è che un limbo: è per questo che d’estate spendiamo i soldi che non possiamo permetterci, che ascolti musica che non ascolteresti mai durante il resto dell’anno (io per primo mi sono sorpreso a cantare Calcutta con gli amici in macchina), ma poi arriva settembre, il primo settembre, e tutto deve tornare inevitabilmente alla normalità. Ed eccomi che di nuovo, affamato e stanco, ho scavato di nuovo nei dischi che mi sono stati inviati, tutti quelli inviati e che tristemente avevo lasciato andare.
Comete è il capitolo definitivo per la band di Bologna che tra sonorità di respiro internazionale che, allo stesso, forti influenze derivanti dalla tradizione cantautorale, mi avrebbero offerto la più malinconica delle estati. E tutto inizia con Senza Peso, che in realtà è anche il titolo di un album immortale dei Marlene Kuntz e ora ho voglia di riascoltarlo, e in realtà le influenze sembrano arrivare anche da quel periodo, quello dei primi anni Duemila in Italia, dove Verdena e urla sotto palco condivano la nostra adolescenza. I Van Dyne sono per noi, che nel frattempo siamo cresciuti, e difficilmente ci siamo scontrati ancora con quella voglia di farci male.
Vi mancheranno tutte le vostre ex, avrete voglia di correre sotto la pioggia, sarete felici di riabbracciare settembre e tutta la musica seria che vi siete persi, perchè questo è un piccolo disco speciale e doloroso che non dovreste lasciare andare.
Ho scoperto una grande verità su me stesso. Il fatto che spesso mi piaccia la musica strumentale e che lo scorso luglio abbia praticamente usurato quel disco di Jon Hopkins che non avevo considerato quando era uscito (uguale a quello precedente, tra l’altro, ma non diciamolo troppo a voce alta) non è perchè sono un’inguaribile intellettuale, ma solo uno schiavo del lavoro. In estate, quest’estate, quando finalmente ho potuto scollarmi da questo dannato computer per un po’, son tornato ad ascoltare le playlist del Miami, tutto quel vergognoso cantautorato pop che riesco a snobbare durante il resto dell’anno. In estate mi piace Ibisco, Margherita Vicario e persino Calcutta. In inverno Jamie XX, le Modern Boxes di Thom York e quel dannato Jon Hopkins.
Questo perchè ascolto mentre lavoro, assorbo tutto, e cerco inconsapevolmente la colonna sonora perfetta per il mio freddo declino verso la pensione minima, se mai ci arriverò. Ed è così che, scavando tra tutti i dischi che mi sono perso durante l’anno, scopro il misterioso The 24 Project, il progetto di Rodolfo Liverani che è un elettrico tuffo nel vuoto. Un viaggio subacqueo di cerchi e suoni, pesci pagliacci alienati e bottiglie di plastica che si incagliano sul fondale marino, emanando bellissimi e tragici riflessi. Il mondo elettronico di atmosfere dilatate e notturne è qui raccolto, a disposizione per gli ascoltatori che ancora non si sono adeguati alla sovrabbondanza musicale e alle dinamiche delle playlist digitali.
Questo disco, uscito in realtà all’inizio dell’estate, pone ufficialmente fine alla mia, ripiombandomi in quel mood di pioggia, autobus e stress da ufficio, lavoro, routine e stranezze. In questo clima anche un disco fantastico sembra una cosa normale, passabile, sarà l’ultimo disco per il quale mi emozionerò fino all’estate prossima. Questo disco è la fine ufficiale dell’estate, e ve lo consiglierei tantissimo, se non ponesse fine ineluttabilmente anche alla vostra.
APE, dopo il successo degli eventi tenutosi in Piazza degli Affari, è pronto per iniziare la stagione più bella dell’anno al Parco Sempione (Arena Civica) a partire da martedì 31 maggio dalle ore 18 all’01. Il concept di questa stagione di APE è “A NEW CLASSIC”, che celebra il decimo anniversario dalla fondazione, creando un ponte tra l’attività che l’associazione ha svolto in passato e quello che ha in programma per il futuro. Una sfida a trovare nuove soluzioni, adattandosi al cambiamento e dialogando con esso.
Nel corso degli anni APE si è consolidata come una delle principali realtà milanesi, creando eventi all’aperto con l’obiettivo di valorizzare l’aggregazione sociale. In questa nuova stagione ritroveremo come sempre l’accesso gratuito, street food e drinks per l’aperitivo, concerti, djset e tanto divertimento. APE promuove da sempre tutte le forme di espressione artistica, coinvolgendo artisti indipendenti e realtà affermate nella creazione di contenuti originali. Ma APE è anche musica e intrattenimento, un luogo di incontro tra novità musicali locali e internazionali, un palco su cui esibirsi per i nuovi talenti, ma soprattutto uno spazio da vivere e condividere insieme.
Il prossimo appuntamento sarà martedì 31 agosto, i Grill Boys si esibiranno live e Aligi si occuperà del DJ set. Eravamo piuttosto curiosie abbiamo fatto qualche domanda ai Grill Boys: risposte stringate ed enigmatiche, ma ce le siamo fatte andar bene in attesa di martedì.
Come avviene il vostro primo incontro? E quando avete capito che sareste diventati i Grill Boys? E come mai questo nome?
Ci conosciamo da quando siamo al liceo. Dopo qualche screzio siamo diventati amici e siamo stati grill Boys dal primo momento. Mentre, per quanto riguarda il nome, Grill significa grigliare, dal glossario della grill grigliare sta per rimorchiare le tipe. Il Nome che divento la nostra maledizione
C’è qualcuno della scena contemporanea a cui fate particolare riferimento, che vi assomiglia per mood o genere?
Riferimenti non li prendiamo da artisti contemporanei. Ci piace rimanere in contatto con altre realtà simili alla nostra, soprattutto con la scena di Roma.
Che poi, qual è il vostro genere? (potete anche inventarvi un nome) E quali sono le vostre influenze musicali? C’è qualcosa che non ci aspetteremmo mai?
Non credo ci sia, un genere che ci contraddistingua, forse è più il tono di comunicazione che è sempre stato unico. L’auto-ironia è una cosa che non è mai esistita nella scena di oggi. Influenze musicali, ognuno dei 3 ha la propria, gio ascolta solo bossanova, Ruben postpunk, e cony….solo Niko pandetta.
E cosa dovremmo aspettarci dal live ad APE?
Non aspettatevi nulla, perché ogni nostro live è a sè stante, se dovremmo trovarci a nostro agio, allora aspettatevi il degenero. Postivo o negativo che sia
E quest’anno è stata piuttosto dura, posso dirlo? Perchè l’estate scorsa c’era ancora il Covid e allora aveva senso che dicessi di no quando mi proponevano le feste in spiaggia, la discoteca e le cene infinite con tutti i compagni dell’università. Potevo dire che mia madre stava male e che quindi non mi fidavo a farmi vivo ai matrimoni, potevo persino evitare i concerti, quelli che non mi interessavano s’intende, gli amici di amici che suonavano al contest della provincia più inculata che possiate immaginare, e tutte quelle cose collaterali che rendono difficile la vita sociale. Questo mondo non è fatto per gli introversi che si ricaricano stando da soli, le vacanze e l’estate in generale per gli introversi dovrebbe essere un ritiro spirituale, solitario e silenzioso, e invece in vacanza gli introversi finisce che si stancano ancora di più.
Ed eccomi qui invece in quest’estate dannata dove se eviti tutto e tutti non sei responsabile per tua madre che sta male, ma sei un coglione che preferisce passare le giornate ad ascoltare dischi e a scriverne, senza vedere nessuno. Ed eccomi qui, in questa cameretta dove sono cresciuto, mia madre che in realtà è morta nel 2018 quando il Covid non c’era nemmeno, a non fare assolutamente niente. Alti momenti di crisi riempirà la prossima ora immediata, un disco che non avevo avuto tempo di ascoltare quando era uscito, e invece ora posso addirittura lasciare in loop tutto il giorno, perchè da fare non ho assolutamente niente. E non c’è titolo più adatto per segnare quest’estate di rifiuti.
Un disco che contiene i primi due anni del progetto musicale, nato nel più complicato dei periodi, e qui rappresentato dalla focus track “Intrisi”, il primo brano, che racchiude in sè tutte le sonorità dell’album: analogiche ed elettroniche, il sound desertico e quello urban, un racconto di una notte all’eccesso, tra luci ed ombre, in cui i momenti di lucidità si mescolano a percezioni incerte. Influenze diverse che si intrecciano, come gli I Hate My Village ma più accessibili, come il rock che ascoltavo al liceo, ma senza sentirmi un coglione. I Dejawood potrebbero essere la mia band preferita, quella per cui in fondo uscirei anche di casa per andarmela a vedere.
Respirate, perchè potreste ritrovare la voglia di vivere. Io che sono un caso davvero disperato ho avuto qualche dubbio a riguardo, quando mi è venuta voglia di concerti, rave, liceali impazziti e addirittura una sbronza. E’ tantissimo che non mi prendo una sbronza, la cosa che più si avvicina è decisamente questo disco.
Cercherò di spiegarvi in breve perchè “La via di un pellegrino” di Tobjah è il disco che mi ha salvato l’estate, e che spero mi terrà qui, in quest’estate quasi perfetta fatta di solitudine e libri, ancora a lungo. Perchè di fatto in estate mi sento sempre un cretino, tutti che fanno questo e quell’altro e che lo postano su Instagram, e io che come uno scemo rimango a Milano a non fare assolutamente niente, a fissare il vuoto e ad amare donne incredibili, prima fra tutte Madame Bovary, ma quest’anno anche con Agnes Grey (bruttina e sottovalutata, lasciatevelo dire) ci ho dato dentro. Mi sento un outsider, mi sento male, mi sento solo. Le mie estati sono sempre così, una catarsi che si conclude a settembre, dove mi preparo ad accumulare nuovo dolore da espiare l’anno prossimo.
E quest’anno, scavando come sempre tra le uscite che mi sono perso durante le mie giornate di macchina, lavoro, ufficio, aperitivo con gli amici e letture distratte e interrotte dalla stanchezza, mi sono incagliato in La via di un pellegrino. Un disco che suona primordiale, sentito, viscerale, un disco primitivo che non rinuncia all’elettronica, in cui Tobjah mi accompagna in quest’estate di solitudine che, inevitabilmente, racconta la mia vita. Era da parecchio che non avevo un legame così adolescenziale con un disco, come quando pensi che ogni parola, ogni nota, parla di me. Mi ricordo come fu con i Verdena, e tutte quelle mattinate ad andare a scuola ad ascoltarli. Con Tobjah è stato esattamente così, è stato la colonna sonora di dolore e noia, anche se la scuola è finita da un pezzo.
Il disco, fuori per l’etichetta indipendente TEGA e già stato anticipato dal singolo “Nuova Stagione”, è un cammino tortuoso tra luce e oscurità, dove attitudine dub, reminiscenze hip hop e atmosfere ambient incontrano la canzone contemporanea. Un nuovo inizio che arriva alla fine del mondo, quando il Covid sembrava ci avesse tolto tutto, senza passare dal via. E in quest’estate che è sembrata la prima normale da un po’, io non ho avuto quasi la forza di uscire di casa.