Ebbene si, la band dei fratelli Gallagher ci mette tutti d’accordo, siamo figli degli anni ’90, siamo cresciuti con il mito che si poteva partire dal pub di alcolizzati di paese e finire a Knebworth davanti a mezzo milione di persone, sulla prima parte ci siamo, sulla seconda ci stiamo lavorando.
Birra
Abbiamo più volte fantasticato un tour per le abbazie belghe, tra una doppio malto e una rossa corposa, i monaci là sono proprio dei simpatici mattacchioni.
PAul preferisce le IPA, Jolly le bionde e Miky le weiss, ma la birra ci mette inequivocabilmente sempre d’accordo, come dice Homer: “La causa di e la soluzione a tutti i problemi della vita”.
La Federazione Italiana Ginnastica Artistica
Insomma una cosa che piace proprio tanto a tutti noi, che ci è stata d’ispirazione fin dagli inizi, nel bene e nel male ci ha fatto scrivere le nostre canzoni migliori.
Discutere animatamente
Siamo una famiglia, due fratelli di sangue e uno acquisito, cosa fanno i membri di una famiglia di scimmie? D I S C U T U N O A N I M A T A M E N T E!
Più volte siamo stati redarguiti per discutere a d alta voce, animatamente, urlando, perdendo apparentemente il controllo, la seconda cosa che ci ha fatto sgridare di più sono i canti di chiesa urlati sguaiatamente all’esterno dei pub.
La canzone “Giorgio by Moroder” dei Duft Punk
Non fa parte dei nostri gusti musicali come propriamente si potrebbe intendere, ma più volte ci siamo ritrovati in viaggio per un live ascoltando questo pezzo.
Le parole sincere di un artista che ha fatto della sua passione la sua vita, che soprattutto ha avuto un’idea rivoluzionaria, che ha avuto quella luce speciale del genio, ci ha sempre emozionato tanto, sono parole di una poesia straordinaria.
Non sappiamo se avremo mai un’idea altrettanto valida, ma nessuno ci vieta di sognarlo.
Mi piacciono sempre i dischi che sembrano dare inizio a qualcosa di nuovo, in qualsiasi senso. Mi ricordo la prima volta che ho ascoltato un disco degli Arctic Monkeys (forse ero in prima superiore), e sapevo che quel momento avrebbe segnato per sempre la mia vita: avrei preso una posizione musicale, quella alternativa rispetto a quello che ascoltavano tutti gli altri, e avrei portato magliette ridicole con nomi di band che non avevo mai visto dal vivo. Whatever People Say I Am, That’s What I Am Not ha cambiato per sempre le cose, c’è un definitivo prima e dopo. Non so dicendo che Anna Soares centri qualcosa con gli Arctic Monkeys, ma con i cambiamenti sì e i nuovi inizi sì: Anna Soares ha unito definitivamente sesso e musica nel più elegante dei modi, con una sensualità esplicita e mai volgare che mi era sinora sconosciuta. Questo disco mi ha fatto venir voglia di amare, tantissimo, e questa voglia è davvero pericolosa per tutti i nerd davanti al computer che finiscono a leggersi le recensioni dei dischi.
Anna Soares ci porta in un mondo oscuro e vibrante, dove l’elettronica si fonde con i brividi sensuali di parole sussurrate che ci fanno sentire a disagio se, come me, state ascoltando questo disco in pubblico, su un treno diretto alla stazione di Scandicci (Firenze). Mi sento osservato, esposto, in difetto: la sicurezza estrema che Anna Soares si porta dietro con un carisma non indifferente, che ci dà il pieno controllo per avere il controllo su di lei nelle fantasie sessuali che la musica di Sacred Erotic inevitabilmente scatena. La BDSM Music, finora mondo sconosciuto, forse sta qui, nell’immergerci in questo vortice di sensazioni dove siamo completamente sottomessi al volere di Anna Soares che, ossimoricamente, ci dà il pieno controllo.
La cantautrice e producer, madre della BDSM Music, crea un percorso che celebra la sacralità dell’universo sessuale, toccando tematiche come la sapiosessualità, l’ipnosi erotica, dominazione e sottomissione, la potenza dello spirito femminino, la connessione intima che porta all’evoluzione interiore. Ogni brano compone un universo sonoro a sé, toccando trip hop, future garage, elettronica cantautorale, senza mai chiudersi in degli schemi predefiniti, sia vocalmente che a livello compositivo.
Questo disco suona come il sentirsi a disagio in una stanza dove tutti si stanno divertendo, come un sorriso forzato ad una di quelle serate dove avremmo voluto sempre essere presenti, di un mondo lontano e altolocato di cui noi non facciamo parte. Come quella volta che mi ritrovai, sempre al liceo, a bere una birra con Miles Kane e non riuscii a dire una parola, tornato a casa ero comunque l’uomo più felice del mondo. Sacred Erotic è così: un mondo sconosciuto, un nuovo inizio, un nuovo genere musicale, un mondo immersivo che ci fa sentire strani, e bisognerebbe davvero indagare su questa stranezza e che risulta infine bellissimo. Speriamo davvero che possa esserci presto un seguito.
C’era un periodo, nell’immediata post adolescenza, in cui mi ero fissato con i White Lies (no, caspio non c’entra necessariamente con i White Lies, state calmi): tristezza infinita, sintetizzatori, Dr. Martens che mi toglievo solo se dovevo andare a dormire, sguardo languido mentre mi aggiravo nei corridoi dell’università. Insomma, ascoltare i White Lies a ripetizione mi aveva fatto diventare un ventenne triste con la vita in bianco e nero, pochi mesi più tardi mi sono fissato con i Tame Impala e ho cominciato a portare dei pantaloni a zampa d’elefante. Tutto questo per dire che ciò che ascoltava tendeva ad influenzarmi, e se mi fissavo con un gruppo post-punk finivo per deprimermi. Poi son cresciuto, ho preso la mia prima busta paga, ho cambiato casa e non mai più chiesto un autografo o attaccato un poster in camera di una band musicale. Forse è strano, ma come si ama la musica da adolescenti, di un amore esclusivo e totalizzante, è qualcosa che si perde, e non torna più.
Quando ho ascoltato il nuovo EP di caspio (fugit, fuori per Le Siepi Dischi), sono stato male, come stavo male in quelle serate infinite passate a studiare, bombardandomi il sonno con volumi altissimi. Quello di caspio è un mondo elettronico oscuro, dove scorrono parole che scuotono e mi hanno fatto ricordare com’era, quel periodo in cui un disco poteva rovinarti la giornata. fugit è un concentrato brevissimo dove convivono rotture, assoluti e malinconie. Un brutto quarto d’ora per chi pensava di avere una vita monotona che non potesse essere scombussolata da un play su Spotify.
fugit è un’autobiografia con valenza universale, brani che raccontano momenti diversi, generazioni che passano: un tempo che ha cambiato tutte le carte in tavola, un tempo per le decisioni, un tempo che scandisce il ritmo sonno-veglia, un tempo presente e un tempo futuro.Un tuffo nel passato, non nel passato musicale, nel tuo passato che pensavi di aver sepolto dopo anni di maturità e responsabilità: in fondo siamo e rimaniamo adolescenti che ascoltano i White Lies. I brani contenuti in fugit sono eterogenei, confondono generi, sonorità e stile. Sono stati scritti in tempi – ed ecco il tempo che ritorna – diversi.
E l’intento dell’autore è esattamente quello di far percepire all’ascoltatore che ogni cosa ha un suo tempo, un suo momento. La copertina dell’EP rappresenta sia la diversità dei brani, sia l’idea di una stratificazione temporale: è, infatti, lo shot di una bacheca pubblicitaria in cui il tempo ha logorato l’immagine di superficie lasciando intravedere tutte quelle sottostanti, diverse tra loro, sovrapposte, che a loro volta ne erano state la copertina. È lo spaziotempo di un luogo qualunque, in cui il tempo è trascorso lasciando le sue tracce, in cui il tempo è fuggito, lasciando dietro di sé il ricordo di qualcosa che ormai non c’è più e lisciando la superficie per fare spazio a qualcosa di nuovo. Qualcosa come fugit.
caspio ci promette che non è la fine, e non mi rimane che aspettarlo.
Esce venerdì 3 dicembre 2021, per Le Siepi Dischi e in distribuzione Believe, fugit, il titolo dell’ultimo EP di caspio. L’EP interpreta le diverse sfaccettature del concetto di tempo: c’è un tempo che appartiene ad una generazione, un tempo che ha cambiato tutte le carte in tavola, un tempo per le decisioni, un tempo che scandisce il ritmo sonno-veglia, un tempo presente e un tempo futuro. I brani contenuti in fugit sono eterogenei, confondono generi, sonorità e stile. Sono stati scritti in tempi – ed ecco il tempo che ritorna – diversi.
E l’intento dell’autore è esattamente quello di far percepire all’ascoltatore che ogni cosa ha un suo tempo, un suo momento. La copertina dell’EP rappresenta sia la diversità dei brani, sia l’idea di una stratificazione temporale: è, infatti, lo shot di una bacheca pubblicitaria in cui il tempo ha logorato l’immagine di superficie lasciando intravedere tutte quelle sottostanti, diverse tra loro, sovrapposte, che a loro volta ne erano state la copertina. È lo spaziotempo di un luogo qualunque, in cui il tempo è trascorso lasciando le sue tracce, in cui il tempo è fuggito, lasciando dietro di sé il ricordo di qualcosa che ormai non c’è più e lisciando la superficie per fare spazio a qualcosa di nuovo. Qualcosa come fugit.
1. mai 2. un attimo 3. bilico 4. domani 5. non è la fine
BIO: caspio vive a Trieste, città di confine che si si sviluppa sul, intorno e grazie al mare. Suona da sempre quasi tutto e da subito. Nel 2019 esce Giorni Vuoti, il primo album maturo, sfogo di anni di soffocamento, di inibizione. La musica di caspio spazia tra l’elettronica, il trip-hop, il rock, il pop, con influenze anni ’90, in una veste completamente nuova e attuale. Ripredendo un verso di uno dei suoi brani, caspio è “perennemente fuori, non di tendenza”, anche se la sua musica può arrivare a chiunque. Rockit ha detto di caspio che “il suo stile e il suo pensiero rimangono impressi facendo riecheggiare la voce di un artista che ha qualcosa da dire”. Con l’ultimo EP, fugit, caspio ha davvero qualcosa da dire perché ci mette anche in mezzo un argomento che gli sta a cuore, che permea la sua musica e i suoi testi: il tempo.
Demoni è un album di dieci brani per scoprire una dimensione completamente nuova della band che, messa da parte l’istintività del primo album, riesce a traghettare l’ascoltatore in un viaggio in bilico tra ragione e sentimento, spaziando tra ritmiche incalzanti, arrangiamenti cangianti e suadenti melodie. Mi ritrovo qui, superati i 30 con questo disco nelle cuffie, che mi ha fatto stare male più del dovuto, con un album subdolo e suadente che ti culla con belle linee di chitarra e testi rassicuranti, per accompagnarti alla fine alla consapevolezza più estrema: la pacchia è finita, sei un adulto, nessuno ti ama davvero, e se anche ti amasse sarebbero comunque tantissimi casini. Demoni è un disco che non dovete ascoltare se stata affrontando un trasloco, come me, e vi trovate nel cuore di un misero bilocale in periferia, se vi sentite soli e siete stufi delle pacche sulle spalle degli amici. Questo disco sarà una coltellata se vi aspettate un disco pop-rock di quelli che vi rifilava vostro padre in macchina, se pensate che le band di provincia non abbiano più drammi da raccontare e se eravate abituati ai cantautori indie.
E mi ritrovo qui, in questa sera strana, in una via silenziosa, con questo dannato tram che non vuole passare: Demoni è probabilmente un disco che vuole indagare il sentimento che deriva dal sentirsi abbandonati, la responsabilità estrema che arriva quando non siamo più dipendenti da nessuno, quando siamo adulti, e incredibilmente soli. Non ci sono canzoni d’amore che tengano, quando non c’è nessuno ad ascoltarle. Avrei voluto condividere questo disco che una persona che mi ha lasciato qui, in questo bilocale, credo che ci avrebbe fatto bene, credo che avrebbe saputo comunicarci come ci sentivamo, meglio di quanto abbiamo saputo fare noi. In particolare, Tutto quello che saremo, mi ha mostrato tutte le possibilità che non abbiamo avuto e sono lì, schiaffate brutalmente dentro una canzone, con una semplicità estrema che odio tantissimo non aver saputo fare mia.
Qui dentro ci ho ritrovato i dischi dei Marlene Kuntz che mi faceva ascoltare mia madre, i Baustelle che ascoltavo io al liceo, tutti i concerti che mi sono ritrovato a fare da solo quando tutti hanno smesso di ascoltare rock e hanno cominciato a fare figli, una familiarità di una band che mi sembra di conoscere da anni. Una nostalgia infinita per un mondo che non tornerà più. Mi piace pensare che questo disco arrivi da un passato tormentato, quello adolescenziale, e che voglia ammonirmi su tutti gli sbagli che alla fine mi sono ritrovato a compiere, tutti quei demoni che ora mi porto dietro, ineluttabilmente. Un disco dedicato agli adulti che non si erano ancora resi conto di esser diventati tali, come me che neanche Zerocalcare c’era riuscito…
L’amore raccontato come lo racconta La Belle Epoque fa male, perchè affonda nella sfiducia, nelle complicità che fanno male, perchè racconta di come si possono condividere le fughe e di come la felicità è così rara che, quando arriva, sarebbe da prenderne nota.
Gabriele Ciccorelli nasce a Roma nel 1994, da sempre sensibile alle influenze storiche dei cantautori italiani. Crede che la musica sia il mezzo più potente ed immediato per trasmettere e ricevere emozioni, dei viaggi in macchina si ricordano i dischi in sottofondo, più che le destinazioni e la viabilità. Da sempre affascinato dal suono delle parole,dalle urla e dalle imperfezioni musicali. Oltre alla musica, studia recitazione, scrive romanzi, per esprimersi a tutto tondo e coccolare le parole, sottolineando la loro importanza, inventando storie e nuotare su altre realtà, che non siano necessariamente le nostre, che ogni tanto annoiano.
Dal 23 Novembre 2021 è disponibile su tutti gli store digitali, il secondo singolo della carriera artistica musicale di Ciccorelli. “Luminarie” è un brano soffice che, grazie alla particolare vocalità di Gabriele, ci abbraccia dolcemente durante l’ascolto. Dalla collaborazione con la piccola etichetta Nientedimenolab e di Rebecca Palazzolo che si è occupata della produzione del brano, distribuito da Artist First. Abbiamo fatto una chiacchierata spensierata con Gabriele per scoprire qualcosa di più sul suo mondo!
Ciao Gabriele. Iniziamo subito con le presentazioni. Parlaci del progetto musicale Ciccorelli. Da dove nasce questa spinta artistica e quali sono le tue esigenze comunicative?
Ciao a voi. Nasce tutto dalle difficoltà, soprattutto comunicative, che quando ero adolescente prendevano il sopravvento. E dall’ascolto soprattutto. Perché sono dell’idea che qualunque tipo di espressione vada in qualche modo vista prima dall’altra parte. Mi rendevo conto di ascoltare la musica mentre gli altri la sentivano e mettemo il focus sui testi dei grandi cantautori. Quindi è stato quasi naturale poi, una volta assorbito dai più grandi, provare, non ad imitarli, ma a dire la mia. Per questo a 17 anni comprai una chitarra con i soldi vinti al fantacalcio, come modo per aiutarmi a parlare, a parlarmi. E dopo tanti anni di canzoni in cameretta,ho provato a farle ascoltare a chi ne avrà voglia.
Abbiamo ascoltato anche il tuo singolo d’esordio “Manica” un brano prettamente Pop. Con “Luminarie” ti sei messo definitivamente a nudo?
È particolare proprio perché da dentro, probabilmente non lucidamente, non ho idea a quale genere ho intenzione di appartenere. Le canzoni vengono fuori sgomitando, senza progettazione e tu anche lo volessi difficilmente riesci a ribellarti a questa esplosione. Sicuramente Manica è un brano che tocca atmosfere diverse rispetto a Luminarie, abbiamo infatti pensato che potesse essere l’inizio più coerente rispetto alle canzoni che ho sempre scritto ( Una vita di storie finite prima ancora di iniziare).
Con Luminarie è stato diverso, non era in programma e anzi fino a qualche giorno prima di registrare eravamo orientati su un’altra canzone. Quando è arrivata però ho detto “è lei”, lei è la mia canzone a prescindere da tutto. È probabilmente un brano di considerazioni da uomo di mezza età, nonostante io abbia metà dell’età dell’uomo di mezza età. A prescindere da tutto, non potevo essere più sincero di così.
Cosa sono per te le luminarie? Quali sono le luci di cui non puoi fare proprio a meno?
L’idea di Luminarie nasce da una serie tv che mi ha ossessionato per anni che è “How I met your mother”, in particolare un episodio che si chiama “Sinfonia di Luminarie” in cui Robin, nel periodo di Natale, scopre di non poter avere figli ed è decisa a non raccontarlo a nessuno e Ted, senza sapere cosa la turbasse, le fa trovare a casa un gioco di luci di natale, nel buio del salotto. Senza chiederle nulla della motivazione di tanta tristezza. Da qui poi la frase “Come si trova luce al buio senza maiparlare?”
Come a sottolineare quanto sia raro nella vita fare qualcosa per qualcuno che soffre senza sapere la motivazione di tanta sofferenza. Per questo Luminarie è intesa come “Luce di speranza” che può essere una luce di natale, un Dio, una persona, una canzone, qualsiasi cosa che ci faccia stare bene senza dover spiegare il perché. Come diceva il più grande di tutti “A modo mio avrei bisogno di carezze anch’io”. Ed è così, tutti hanno bisogno di carezze, anche e soprattutto chi finge con il mondo di saper nuotare bene nella propria solitudine.
Come definiresti questo brano? Una preghiera sottovoce oppure un urlo disperato?
Tra le due direi la prima. Preferisco sempre le cose sottovoce perché non arrivano all’orecchio di cento persone, magari arrivano all’orecchio di una sola persona, ma facendo un rumore assordante. Nella canzone la parte più “ disperata” è quasi una ricerca di attenzioni, come un bambino dispettoso nei confronti dei genitori, dopo la nascita della sorella più piccola. Ma poi l’idea di dare un ritornello un po’ più vellutato, è quella di voler dare un’intenzione, a chi sente di averne bisogno.
Questa canzone è un’analisi personale, pura osservazione alle situazioni quotidiane sociali, non è una critica. Non mi piace chi nella musica vuole spiegarti come sia la vita e non potrei mai farlo io. Vuole essere speranza nelle mie intenzioni, non un modo per condividere il dolore.
Parlaci del team che ti sta accompagnando in questo percorso musicale.
Il migliore. Nientedimenolab. Sono ragazzi per bene, che hanno cercato fin dal primo momento di capire cosa volessi dire, con pazienza, entusiasmo ed esperienza. La cosa più importante nella musica è la condivisione e non parlo delle piattaforme social (anche se pure quelle..) ma del confronto, della voglia di migliorare e di crescere insieme, senza necessariamente andare in una direzione più “facile” ma mantenendo unicità, che a prescindere se bella o brutta, è la tua e quella di ogni persona che scrive qualcosa. Il brano poi è stato prodotto da Rebecca Palazzolo, che è stata super paziente con me e con tutte le mie invereconde fisime, che già ho nella vita, pensa nella musica.. Che te lo dico a fa’!
Oltre alla musica, sappiamo che hai scritto anche un libro. Ci vuoi raccontare qualcosa?
Manco a dirlo è un libro pieno di musica e manco a dirlo l’ho scritto quando stavo al terzo rewatch di quella serie lì (prima o poi me ne libererò). È una storia di tutti i giorni con un linguaggio non da tutti i giorni. Parla di questo ragazzo che ha sempre cercato “La donna della mia vita” ma in modo ossessivo, una sorta di missione. Solo che lui a differenza di Ted non è proprio il tipo che ti fa trovare le luminarie a casa se sei triste. Anzi a dirla tutta è anche un po’ stronzo. E questo libro si lega perfettamente alla musica, perché poi anche qui non c’è un vero e proprio genere, potrebbe essere rosa, ma anche commedia, una spruzzata di erotico, un po’ di dramma che sta sempre bene e una cifra di parolacce. Vai a capì.. diciamo un libro indie pop dai…che inizia e finisce con due canzoni dei Radiohead.
Salutiamoci con un consiglio per i lettori. Come districarsi e rimanere a galla in questi tempi poco inclusivi?
Mah…stanno tutti in fissa con il paddle ultimamente. Mi tocca provare pure a me. A parte gli scherzi, non sono granché bravo a consigliare, faccio già un gran casino di mio. Quello che posso dire è sempre e solo “musica”. Nella mia vita, a prescindere dalla domanda ,la risposta è sempre “Musica”. Sono tempi veloci, sta diventando tutto liquido.
Io sono dell’idea che la musica sia un grande strumento di rifugio, farla ma anche e soprattutto ascoltarla. Che è diverso sentirla. Una canzone, nel mio mondo ideale, non può mai essere un sottofondo musicale nella pausa pranzo. Una canzone è un messaggio e per capire se sia quello giusto per noi, dobbiamo cercare con forza di comprenderne ogni angolo. A prescindere da quale canzone. Anche la canzone più spensierata del mondo può salvare una vita. E ci vorrebbe una maggior attenzione, a partire dall’ educazione scolastica. Dicono semplificando “I ragazzi di oggi ascoltano solo musica di merda” ed io non sono d’accordo. I ragazzi di oggi ascoltano la musica che hanno a disposizione, se nessuno gli fa ascoltare i grandi cantautori del passato, se nessuno gli spiega quei testi, come possono appassionarsi di quella musica li? La bellezza nasce dalla conoscenza, senza conoscenza si fa quello che si può. Io a scuola odiavo il flauto e avevo insufficiente in Musica, forse se invece che farci suonare il flauto tutti insieme (Io suonavo in playback), ci avessero fatto leggere un testo di Dalla, De Andrè, Battisti/Mogol, fatti ascoltare, spiegando, forse forse avrei iniziato a suonare prima la chitarra e non avrei fatto tutto quel casino per vincere il fantacalcio.
Che poi io non ce la faccio neanche più. A star dietro alle mille uscite settimanali, a capire di cosa parlano tutti, a cercare di riconoscere il volto della copertina di Scuola Indie e tutto il resto. Essere un musicofilo nel 2021 è davvero un casino. Ed è passato qualche anno da quando la realtà di Dischi Sotterranei, che in un periodo dove tutti si stupiscono di quanto sia incredibilmente creativa ARIETE (che poi nulla in contrario, sono stato anche a un suo concerto a Bergamo e mi sono innamorato della ragazza che poi mi ha riportato in stazione e non mi ha più risposto su Instagram), partoriscono un progetto come quello dei Post Nebbia: contro ogni regola, contro tutti, sempre. E quindi eccomi lì, qualche giorno fa, a prendere un treno per Padova per due giorni di musica firmati Dischi Sotterranei, due giorni di cui mi è piaciuto tutto tranne: il fatto che i bagni del cso Pedro erano abbastanza hardcore e mi sono scoperto vecchio e schizzinoso, il fatto che non sia riuscito a mangiare la pizza neanche una volta, il fatto che sia già finita.
Entro al centro sociale occupato (ecco la CSO per chi, straniero in terra padovana come me, se l’è chiesto tante volte) con il cappotto tirato su fino alle orecchie, le scarpe di tela rigorosamente estive inzuppate e gli Orange Car Crash che fanno già un casino speciale, di quelli a cui non ero più abituato, di quelli che mi ricordano il 2019 e mi fanno venire la nostalgia di tutto quello che ho perduto in questi due anni, anni in cui sono invecchiato, in cui cominciano a farmi schifo i bagni sporchi, anni che nessuno mi ridarà più indietro. Birre, un freddo boia, le pizze che mi dicono tutti che sono buone (non riuscirò mai a mangiarle perchè ogni volta mi accorgerò di non avere cenato alle 2 inoltrate), libri ovunque, due palchi, gente che poga con la mascherina (essere ribelli rispettando le regole mi commuove e mi affascina), una gioia immensa. Palco piccolo, la follia ordinata di Vipera, palco grande i Vanarin, che sanno di casa e mi mancavano tantissimo.
Palco piccolo il post punk dei Kick, sarebbero piaciuti a quella ragazza che non mi ha più risposto su instagram, palco grande i New Candys già visti a Milano qualche giorno fa, ma qui la gente si abbraccia, si limona felice pensando quanto siamo cazzo fortunati che stiamo vedendo un concerto vero tutti vicini che volendo possiamo anche pogare malissimo, e il pogo malissimo arriva sul palco piccolo con gli Halley DNA che quasi qualcuno ci rimette qualche costola sputata fuori come in un film di Tarantino (sicuramente ritrovata il lunedì, quando qualcuno si sarà messo d’impegno a ripulire il cso Pedro), palco grande a ballare fino a tardi con quei pazzi dei Planet Opal. Non mi sono sentito solo neanche un momento, neanche quando ho chiamato un taxi per tornare a casa di quell’amico di mio padre che mi ha ospitato sul suo divano e tutti continuavano a spingermi da una parte all’altra. Padova ti vuole rapire e portare a ballare, a tutti i costi.
Sabato. Mi sveglio alle 2 del pomeriggio, leggo che c’è uno showcase dei Giallorenzo in un bar ma me lo perdo in pieno perchè non riesco a capire come arrivarci a piedi da dove sono io (sono anche un po’ pigro comunque, non prendetemi per scemo). Mi mangio le mani quando poi ritrovo delle storie su instagram di due miei conoscenti che invece erano lì. Finisco di nuovo al Pedro, mi innamoro di MIVERGOGNO! perchè si sente come mi sento io, e di nuovo palco piccolo Baobab!, una voce bellissima e libera di una ragazza che mi tormenterà, immenso Pietro Berselli che ritrovo dopo una data sempre a Bergamo, in tutto lo splendore che merita e un pubblico che conosce a memoria ogni suo brano, il benvenuto a te caro mio. Visconti & The Giallorenzos con quel rock, amore e svastiche, Jesse The Faccio che mancava come l’aria che più che un live ci regala una psicoterapia collettiva e catartica. Palco piccolo con i Laguna Bollente, surreali e con un attaccamento malsano per gli Oro Ciok, Post Nebbia: mia piccola rivelazione dell’anno, ma non di quest’anno, di tutti gli anni a venire, che mi ricorda che si può essere giovani e amare le chitarre, non vedo l’ora di poter dire io quella volta lì, c’ero.
Un DJ set di cui mi ricordo poco perchè finisco a bere con un gruppo di sconosciuti sotto la pioggia. Questi due giorni mi hanno portato ad una dimensione vera, quella dove ci si può toccare, quella dove ci si può scontrare, dove si possono conoscere persone nuove anche se si è sudati da far schifo, dove ci si può ubriacare senza venire giudicati, quella dove si vive di musica e quella dove ci si emoziona davvero. Perchè, e mi spiace dirlo, di come ci si sentisse a con certo di Jesse The Faccio io, dopo tutto questo casino globale, me n’ero dimenticato, e per qualche mese ho persino creduto che i concerti non mi mancassero davvero, non come l’andare a mangiare fuori o al baretto con gli amici. Stupido me, la musica dal vivo mi mancava come l’aria fresca, mi son sentito come quando si trattiene il respiro a lungo, per poi ritrovarsi affannati e respirare di nuovo. Così.
Che a non respirare a lungo, finisce che si muore.
Grazie.
CM
foto di Simone Pezzolati, con pellicole Lomography
Primo singolo estratto da “Failures” (2022), “Doggerel”, è una filastrocca, una canzone rapida ed immediata, composta, suonata e registrata in otto ore complessive, divise in due giorni.
Una canzone che parla di ricordi, del desiderio di uscire e del bisogno di contatto.
Scritta a maggio del 2020 durante il lockdown la canzone esce diretta, spontanea, senza filtri, arrangiamenti o altro. La nuda chitarra che suona in un pomeriggio primaverile in cui tutto il mondo è spento, o meglio, fuori dalla nostra portata. Quel momento in cui molti di noi si sono trovati ad affrontare il mostro più grande di tutti: noi stessi.
Parla di quei momenti in cui, dopo molti anni, abbiamo avuto il tempo di tirare delle somme o semplicemente guardare indietro, visto che il futuro era congelato tra bollettini medici e code ai supermercati. E lì troviamo alcune cose che avevamo lasciato indietro, pezzi di noi che improvvisamente recuperiamo. Questa è la loro canzone, una ode a ciò che è rimasto indietro, a ciò che ci ha plasmato oggi, il sospiro prima del prossimo passo.
I Viboras hanno recentemente pubblicato il nuovo disco “Eternal” (Ammonia Records). Un lavoro che sprigiona energia da ogni nota e che piacerà a tutti i fan del punk rock ma anche a chi nella musica ricerca la carica giusta per affrontare la vita. Abbiamo chiesto loro di dirci quali sono le 5 cose che preferiscono.
Rancid
Tutto inizia da loro o meglio tutto inizia ancora da loro. Non hanno inventato il punk ma hanno fatto in modo che il meglio dell’attitudine si combinasse con la modernità e il rispetto per il passato. Per noi restano un punto di partenza sempre attuale, il primo trittico della loro carriera ci ispira ancora oggi, se ascoltate bene tra le tracce di Eternal li troverete sicuramente
Animali
Molti dei nostri pezzi parlano di amicizie sincere e a volte perdute. Molti di questi amici sono i nostri amatissimi animali, esseri che hanno sempre molto da insegnare ai bipedi. Inoltre come band e singoli sosteniamo alcune associazioni senza scopo di lucro che difendono animali in gravi difficoltà e oggetto di violenza spesso per il triste uso che si fa in vari modi dei loro corpi.
Tatuaggi
Ci caratterizzano, in particolar modo i traditional, al punto che da sempre ne facciamo uno stile di vita. Non li abbiamo solo sulla pelle ma anche nelle nostre canzoni. Fiori, figure sacre, spine, serpenti, cuore e sangue sono tra le nostre figure ricorrenti. Per noi rappresentano tutta la sofferenza ma anche la rivalsa che si può avere nei confronti di una vita che ti ripaga solo se ci credi fino in fondo. Scrutate la copertina di “Bleed Eternal” (vinile che unisce i due ep) disegnata da Irene mentre ascoltate “My Fate” e capirete.
Dal Tramonto all’alba
Un film che ci ha segnato. Un concentrato di tamarraggine in cui ci identifichiamo completamente a partire dalla bifasicità della storia. Un concentrato di Pulp, vampiri e mariachi incazzati. La track portante del film (ricordate l’entrata di Salma Hayek) di Tito & Tarantula completa una storia in cui ci vediamo a pieno. Viboras e Dal tramonto all’alba? Ma certo!
Maculato
Ma quanto ci piace, sta bene ovunque! Calze, tracolle, giacche, chitarre e tutto ciò in cui si può inserire. Ovviamente rigorosamente falsissimo perché come si è già dedotto siamo animalisti convinti. Stranamente non lo abbiamo mai usato per un artwork, probabilmente sta bene ovunque ma non su una cover…o forse si. Si vedrà!
Immaginatevi di vedere il vostro cantautore preferito (che ok, magari non è il Conte Biagio – e non stiamo parlando di bravura, ma solo di statistica – ), e di poterlo avere tutto per voi e pochi altri per una sera, poterci parlare, poter condividere una bottiglia di vino e potersi vivere un concertino come se si fosse ad una cena tra amici, di quelle che ci hanno riempito le settimane durante i periodi di zona rossa, che non rimpiangiamo se non per questo: che bastava una chitarra e qualcuno con un po’ di inventiva per vivere un momento magico. Il Conte Biagio sta portando avanti la propria battaglia: un tour segreto ormai alla sua ottava tappa in piccole location di Milano, l’annuncio sui social il giorno stesso e tutti i dettagli solo per chi riesce a prenotarsi, il risultato è sempre una bevuta con lui, otto-dieci persone intorno, luci soffuse e un concertino chitarra e voce irripetibile. Un viaggio alternativo per le strade di Milano: live intimi chitarra e voce nei quartieri più belli del capoluogo lombardo.
Il Conte Biagio, all’anagrafe Biagio Conte è un cantautore classe ‘89 originario di Palomonte. Grazie ad un campagna di crowdfunding si è esibito nelle piazze delle più grandi città d’Italia, come musicista di strada da Milano a Catania – 10 città in 10 giorni. Occhiali a specchio è uno dei singoli più significativi per il suo percorso, il videoclip del brano è ambientato a Roma e qui Il Conte Biagio spacca i telefoni ai passanti, e finisce sul noto tabloid britannico “Daily Mirror” che ha voluto caricare un estratto del video sul proprio sito ed intervistare Il Conte.
Uno degli ultimi appuntamenti del Secret Tour è stato accolto all’Art Mall di via Torino a Milano. Un sabato sera, fuori la pioggia, dentro un tavolo con calici di vino, cappotti sulle sedie e un concertino privato, solo una decina scarsa di fortunati, chitarra e voce, e le canzoni del Conte Biagio. Occhiali a specchio per chi combatte sempre con i soci, Università per chi si è trovato per un periodo immerso in avventure ma a sentirsi comunque solo, Depressione per chiudere e scatenare i coretti.
Un concerto che sembra una serata tra amici, anche se in fondo il Secret Tour del Conte Biagio riunisce sconosciuti che rispondono ad una storia su Instagram e in comune hanno solo l’avere una serata libera. Sogniamo che una cosa del genere possa accedere anche con altri progetti, magari più famosi, magari anche solo diversi, per potersi riempire la settimana di seratine di concerti che ci fanno sentire importanti, che ci fanno sentire vicini agli artisti che di solito incontriamo svogliatamente solo su Spotify e ci fanno conoscere altri musicofili solitari. Il nostro consiglio? Seguire Il Conte Biagio per non perdersi le prossime tappe che potrebbero anche allargarsi fuori da Milano.