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Internazionale

Nictagena: gli anni Novanta, lo spazio e i lunatici

Un passo regolare, quello che introduce “Plutone”, prima canzone e primo singolo tratto da “Lunatica”, il nuovo album di Walter Tocco, in arte Nictagena. Progetto nato vent’anni fa ma sicuramente rimasto al passo con i suoni dei decenni successivi, Nictagena vede la collaborazione di svariati musicisti, per esempio qui Francesco Tedesco, che ha collaborato sostanzialmente a tutte le fasi del disco, ma che conserva come unico punto fermo Tocco.

Rock alternativo, in particolare internazionale ma non solo, in particolare anni ’90 ma non solo, filtrato attraverso testi per lo più in italiano. Ma non solo, ça va sans dire.

L’idea di fondo è un concept album che finga di raccontare di pianeti lontani, mentre nella realtà fa riferimento a vite ed emozioni vicinissime, troppo umane. Le angosce di oggi passano attraverso chitarre molto insistite e anche vagamente lamentose, qui e là.

Il cantato di Nictagena si modella secondo il brano, con versatilità interessante e passione conclamata. Le sonorità non puntano alla pulizia estrema, le influenze vagano tra il post grunge e l’indie rock, con universi che si congiungono in quel grande calderone che sta tra Mark Lanegan e i Csi.

Il lavoro di Nictagena è anche la riscoperta di una vena produttiva per un po’ smarrita: “Ritrovare la musica è stato come riemergere e ritornare indietro nel tempo e stabilire le priorità nella mia vita. C’era qualcosa scritta che andava ripresa, una mezza idea di un concept album sui pianeti che mi era venuta 8 anni fa ma mai realizzata. La pandemia arriva al momento giusto per me: riprendo in mano la chitarra e la penna e così comincio la stesura dei brani del disco. I brani sono stati scritti con un forte desiderio di far sentire che la calma di cui si era appropriata della mia anima era solo un passaggio importante per ritornare a vivere come musicista”.

Un album di ottima fattura, consistente e convinto, che merita l’ascolto e l’attenzione che richiama. E che può trovare la propria collocazione anche nei pur affollatissimi schemi d’ascolto di oggi. 

Redazione

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rock

Le 5 cose preferite di BONNY JACK

Abbiamo chiesto a BONNY JACK di raccontarci quali sono le sue 5 cose preferite dopo aver ascoltato il suo nuovo doppio singolo “Uncle Jack/ Tell me”.

Film western

Mi hanno affascinato e incuriosito da sempre, con le loro ambientazioni così selvagge e lontane, lo spirito di avventura, scoperta e rischio che pervade ogni scena. Le musiche, dal country folk a quelle orchestrali di Morricone nei film di Sergio Leone. Penso che in qualche modo tutto questo abbia influenzato la mia creatività e la mia fantasia e si possa ritrovare nelle canzoni che scrivo!

Il vino

È uno dei piaceri della vita, insieme al cibo!! Un bicchiere di rosso vicino al camino durante le sere invernali o di bianco nel fresco delle sere di primavera o estate… È linfa vitale per l’anima e di conseguenza per noi! Aiuta il relax e quindi può aiutare a liberare la mente e la creatività!!

Viaggiare

È forse la cosa più bella che si possa fare, scoprire nuovi posti, nuove usanze, nuove idee. Ho sempre pensato che fosse una gran fortuna voler fare il musicista perché mi avrebbe portato a viaggiare di posto in posto. E non solamente in posti dove si desidera andare ma anche in altri a cui non avevi pensato o che magari non avevano stuzzicato la tua curiosità e quindi è sempre una scoperta. come quando si è bambini si torna a guardare il mondo con stupore!

L’arte

Intendo arte in generale, come tentativo dell’essere umano di dar vita a qualcosa che non esisteva prima, di dar forma a qualcosa che esiste al proprio interno solamente come idea, sensazione o scintilla e che poi in maniera incredibile diventa reale e tangibile. È comunicare qualcosa che hai dentro e lanciarlo nel mondo e penso sia la forma più alta di creazione dell’uomo.

La comunicazione

È forse molto legato al punto precedente ma penso che sia la cosa più importante di tutte. La nostra capacità di comunicare con gli altri, di entrare in contatto, in empatia. Possiamo condividere e questo fa sì che non siamo soli e fa sì che i punti precedenti, e tutto il resto, abbia senso. Un film racconta una storia, reale o inventata che sia e quindi comunica, così come l’attore o il regista. il viaggiare, il bere un bicchiere, fare una scultura o scrivere una canzone, sono modi per rompere un silenzio e un isolamento ed entrare in contatto con qualcuno o qualcosa, espandersi e arricchirsi. Questa è la mia idea e vedere i tanti esempi di fallimento della comunicazione che ci sono è davvero brutto!

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Pop

Cosa c’è nella camera (studio) di SUPERNINO

“B-uongiorno” è il primo singolo estratto dall’album “BOH”, in uscita il 17 febbraio per la nascente TSCK Records. Supernino lo ritroviamo nelle vesti di autore compositore e produttore, una scelta questa che lui definisce come un “ritorno alle origini”, in linea con lo spirito di TSCK Records, nata come etichetta sotto il segno dell’originalità e della qualità.

Noi siamo entrati in casa sua ed ecco cosa ci ha mostrato!

1 – Il trasloco

Ho lasciato Torino, mia città natale, per spostarmi a Milano circa 4 anni fa. Ho cambiato varie case, vari coinquilini, varie stanze, ma due cose sono rimaste invariate: la lampada da terra e la pianta finta dell’IKEA. Me lo son portate sempre dietro, la maggior parte delle volte erano le uniche cose che mi portavo dietro durante i traslochi, il resto lo rivendevo, loro invece no. Sono sempre stato convinto che fossero in grado di dare quel tocco in più alle stanze, anche quelle più orribili che puoi trovare a Milano. Semplicemente aggiungendo questi due elementi la camera prende tutta un’altra atmosfera, non trovate anche voi? Non potevo non portarle anche nella mia nuova casa di Sesto San Giovanni.

2 – Il salotto di casa mia è diventato uno studio

Come vi anticipavo sopra, l’anno mi sono trasferito a Sesto San Giovanni, luogo remoto a nord di Milano che però a sua differenza offre prezzi della vita un po’ più abbordabili. Qui ho allestito un piccolo e accogliente salottino dove spesso ospito amici artisti, sia per suonare che per caz… ehm, chiacchierare amabilmente: il mio SUPERCOZYSTUDIO. Non è uno studio come gli altri, è un salotto al 100% e non si vergogna di esserlo, anzi, proprio per questo è molto più accogliente di qualunque altro studio (da qui “SUPER COZY”). Basti vedere la colazione che ho preparato ad una mia band in occasione della nostra ultima sessione.

3 – Gli strumenti sono passati di moda

In foto vedete la mia postazione, si tratta di una scrivania con sopra un computer, delle casse monitor, una scheda audio e un piccolo midi controller. Credo che nel 2023 non serva poi molto altro per fare musica, infatti sto piano piano vendendo tutti gli strumenti musicali che ora non utilizzo più. Chi sa quando gli strumenti torneranno di moda (un po’ mi mancano lo ammetto), per adesso direi che va bene così: tutto ridotto all’osso, tutto minimal, così è anche più semplice togliere la polvere in studio.

“La mia postazione minimale”

4 – Tutti tranne uno

A proposito di strumenti, l’unico che pare non esser passato di moda nel mio SUPERCOZYSTUDIO è forse lo strumento più brutto ed economico che possiate trovare in circolazione: la Roland E-20. Piccola nota: in foto vedete anche un’altra tastiera posta al piano superiore ma in realtà non è uno strumento vero, è semplicemente un controller midi (ovvero non suona se non lo si collega al computer). Ho comprato questa Roland a 40 euro ad un mercatino dell’usato, mi piacevano un sacco i suoni di batteria, tuttavia tutti gli altri suoni fanno abbastanza schifo. Negli anni mi sono liberato di strumenti bellissimi ma non di lei, non saprei dirvi perché (forse perché per quello che vale avrei fatto prima a regalarla). In ogni caso è la classica tastiera che tieni in studio per i momenti di ispirazione improvvisa, clicchi un bottone e lei suona, male, ma suona.

5 – Il microfono che gioca a nascondino

Proprio perchè prima che uno studio il SUPERCOZYSTUDIO è un salotto, ho pensato agli spazi in maniera da ridurre al minimo la sensazione di disordine, non volevo che il mio salotto diventasse un casino ma allo stesso tempo volevo avere la possibilità di disporre di un microfono per le registrazioni sempre pronto all’uso. Sono infatti convinto che se vuoi essere produttivo in casa devi poter avere tutto a portata di mano, se ogni volta che devi registrare devi perdere mezz’ora per montare tutto fidatevi che vi passa la voglia. Per questo motivo ho riservato al mio microfono e alla mia asta una fantastica nicchia dietro la porta della stanza, il microfono in questo modo è sempre pronto all’uso ma senza creare disordine.

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Internazionale

Un viaggio nel tempo con una Delorean chiamata “Wendy Night”, ecco com’è andata a Milano!

É stato strano? É stato strano. Ma strano bello? Strano bello. Perchè era da veramente tantissimo che non ritrovavo così tante persone, concentrate in un posto solo, che riescono a sfoggiare senza vergogna questi pantaloni stretti, queste vans a scacchi, capelli freschi di tinta di colori assurdi, non vedevo certi personaggi (incredibilmente sopravvissuti) dal 2008, ed è stato strano ritrovarsi, vecchi, e sempre emo. La Wendy Night ha avuto su di me quell’effetto amarcord, quel ritrovare quelle situazioni, vibes e persone che mi riempivano e mi salvavano quando ero un adolescente.

É un giovedì sera, e c’è la Wendy Night al Gate, in questa serata a Milano dove fa freddissimo. e già una vociare all’ingresso attira l’attenzione. L’idea è quella di portare per la prima volta dal vivo (con band) artisti appartenenti alla scena emo-punk romana, che finora hanno sempre e solo collaborato attraverso produzioni e featuring, con l’intento di proporre uno spettacolo unico! Il tutto era già avvenuto a Roma, al Monk, e da lì, la Wendy Night è diventata itinerante con l’obbiettivo di toccare le maggiori città italiane e inserire in line-up nuovi progetti di questo panorama musicale. 

Batteria e chitarra sono coperti dai membri della band Il Corpo Docenti (Luca Sernesi e Lorenzo Manenti), e sul palco si sussegguono xDiemondx, Suicide Gvng, Ego, Decrow, IN6N, Giuze, ANSIAH e Spidy & Biso. Un concentrato adrenalinico dove è successo di tutto: un ragazzo con le stampelle è salito sul palco, il sudore addosso, il pogo che ci era così mancato durante gli anni del Covid. Quegli anni così brevi che ci hanno fatto così male, perchè ci hanno fatto invecchiare e ritrarre nella nostra comfort zone. Roma da urlare anche qui, a Milano, dove senza tregua, Decrow ci invita a fare un casino pazzesco, precedendo una cover fantascientifica di “Sere Nere” di Tiziano Ferro.

La sottocultura emo non sta tornando di moda, forse è stata dormiente nella testa di tutti noi, che non abbiamo mai dimenticato cosa significasse stare nelle piazzette, parlarsi per ore su internet, innamorarsi di quella ragazza con le gambe nude e i calzini a strisce, anche in pieno inverno. Siamo tutti Mercoledì della serie di Netflix, anche se abbiamo passato i trenta, e non potrei essere più contento di tutti quei ragazzetti che ho visto giovedì, che forse pensano che sono ancora un figo a vestirmi così. Mi domando come si siano avvicinati a queste sonorità e colori, come è successo che dei ragazzi come Spidy & Biso, classe 2004 o di lì, si vestano come avrei voluto vestirmi io 15 anni fa. E questo vortice di domande e passione, rende tutto bellissimo.

Due ore serrate, a cui segue anche il DJ set emo-punk di Emo Sucks e Yuks. Ed è un giovedì sera di gennaio che sa di estate, di fine degli esami e di spensieratezza, quella che non ti costringe alla sveglia delle 7, domani mattina.

J.

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Internazionale

Torna Kublai (e ci siamo pentiti di non aver ascoltato meglio il suo debutto del 2020)

Il 2020 è stato un anno bulimico di uscite, tutte quelle che non avevamo voglia di ascoltare (per ovvi motivi) e che ci siamo ritrovati a collezionare nelle mail, a spalmare sul calendario come degli ossessi, senza forse la forza di ammettere che non eravamo pronti a quella tonnellata di musica nuova, e che forse avevamo ancora voglia di rifugiarci nei dischi e nei telefilm che già conoscevamo a memoria. Tutto ricominciava, a partire dai concerti che a singhiozzi, tra chiusure ed aperture, riprendevano, ma nessuno riusciva ad inseguire quell’ossessa e insistente coda di uscite. E sul finire di quest’anno assurdo, il lontanissimo 2020, usciva Kublai, il disco di debutto del progetto solista di Teo Manzo.

Lui, tra le menti che hanno portato avanti anche De Andrè 2.0, progetto amarcord che ha visto, tra le altre cose anche un sold out all’Alcatraz di Milano, si è rifugiato qui, in questo disco che parla di terre lontane (il vastissimo impero di Kublai Khan) ma anche delle più conosciute strade padane, di due amici che si separano, come Kublai Khan e Marco Polo, anche in un presente che ci può sembrare più banale. Di brani concatenati, che ad ascoltarli di seguito non si capisce l’inizio di uno e la fine dell’altro, di immagini che vanno a pescare nell’immaginario di Italo Calvino (e delle sue Città Invisibili) ma che in realtà parlano di una perdita molto più personale e meno onirica. Conversazioni perdute, e sepolte sotto gli effetti elettronici, e avvinghiate alla musica. Parole, melodia, e musica che sono meravigliosamente tutt’uno.

Il nostro consiglio è quello di iniziare la settimana con il suo nuovo singolo, Una notte più lunga, pubblicato proprio oggi, primo spiraglio di un nuovo disco di prossima uscita: un’abisso che sarà positivo, così promette il cantautore e compositore. Da qui, immergetevi nella tristezza catartica del suo disco di debutto, l’omonimo Kublai.

Buon inizio settimana!

J.

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Pop

Cosa c’è nella camera di Rayo

Esce venerdì 13 Gennaio 2023 BUIO”: il secondo singolo di Rayo, cantautore indiepop, prodotto da Paci Ciotola

La canzone rappresenta l’accettarsi per come si è, anche nelle parti più buie della propria essenza, quelle che normalmente si nascondono agli occhi degli altri perché se ne ha paura. Il buio dell’anima si riversa anche all’esterno, infatti Rayo ci dipinge un quadro cupo e oscuro attraverso le sue parole. L’artista si chiede se abbia senso portare avanti una relazione con una persona che non lo “vede” davvero, esprimendo il desiderio di vivere una connessione più profonda che però con lei non potrà mai avere.

Noi siamo stati a casa sua, ed ecco cosa ci ha mostrato.

Cuarenta y tres 

Solo alla vista di questa bottiglia mi tornano alla mente le risate, le nottate, i tramonti, i bagni a mezzanotte nell’oceano freddissimo ma irrinunciabile.. in una sola parola: Tenerife. Me ne sono innamorato dalla prima volta in cui ci sono stato ed è ogni anno tappa fissa per me. Il 43 accompagna da sempre le mie notti canarie ed è stato partecipe di tante serate indimenticabili.

La fine del mondo

È immancabile il calendario Maya se hai visitato il Messico. È un oggetto molto suggestivo e anche se non ho idea di come si legga, mi ha sempre impressionato il suo rappresentare la fine del mondo. È come un promemoria tangibile dell’ineluttabile scorrere del tempo. Guardarlo mi ricorda di godermi ogni momento e di vivere l’hic et nunc, il qui ed ora.

Keyblade del cuore 

Questo è uno dei miei oggetti preferiti. No, non è solo una chiave gigante, è un keyblade ed è l’arma utilizzata dal protagonista di una delle mie serie di videogiochi preferite, Kingdom Hearts. Con il keyblade Sora libera i cuori delle persone, intrappolati all’interno di involucri vuoti fatti di sola oscurità, chiamati Heartless. Anche io spero un giorno di liberare i cuori dei miei ascoltatori dal peso delle loro ombre.. in un certo senso si potrebbe dire che il mio keyblade è la musica.

The Answer 

Sono un grande appassionato di Basket e durante il mio viaggio a New York nel 2018 non potevo mancare la tappa all’NBA storeAllen Iverson è il mio cestista preferito da sempre e, sebbene non abbia mai vinto un titolo con i 76ers, per me ha cambiato la storia di questo sport. È stato d’ispirazione anche a livello umano, la dimostrazione che con la determinazione anche le situazioni più difficili possono avere speranza di riscatto. Allen Iverson è “The Answer”, la risposta alle batoste della vita.

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Pop

Le 5 cose preferite di Giuseppe D’Alonzo

Disponibile su tutte le piattaforme digitali “Fantasmi di carta”, il nuovo album di Giuseppe D’Alonzo. Un disco con un sound blues rock accompagnato da testi cantautorali e profondi.

“Fantasmi di carta” è un viaggio alla ricerca di ciò che davvero conta. L’amore, l’arte, la natura e tutto quello che ci riporta in contatto con chi siamo nel profondo. Giuseppe D’Alonzo ha dedicato questi brani all’arte e in particolare agli artisti, trasformandoli in figure in grado di salvarci dalla mediocrità. In fondo è proprio nell’arte, che sia dipinta o musicale, che l’uomo ha sempre trovato se stesso e una via di fuga.

Il disco è composto da sedici brani legati da un fil rouge melodico, ma ogni pezzo riesce a mantenere la propria essenza differenziandosi dagli altri. Abbiamo dei brani più cantautorali come “Parlare di me, parlare di te”, “Cenere” e “Perduto nel tempo”.Interessante è la title track uno dei pezzi più ritmati con un rock intenso e intrigante. A questi si alternano brani più pop come “A piedi nudi” e “La crudeltà”. Tra i pezzi più frizzanti troviamo “Gravità” e “Ecce Homo”.

Noi come sempre non abbiamo resistito e gli abbiamo chiesto quali fossero le sue cinque cose preferite, ecco com’è andata!

Il Legno

È un materiale che mi ha sempre affascinato, e mi è sempre piaciuto a pelle.

Ha delle proprietà straordinarie, ci dona calore, resistenza, vibrazioni, atmosfera, bellezza, insomma è il materiale che preferisco e tra gli oggetti in legno che adoro ovviamente ci sono le chitarre Acustiche che, nel mio piccolo, colleziono.

Viaggiare

Da sempre una delle cose che preferisco fare e il motivo per cui guadagno soldi è per poterli spendere in viaggi. Abbiamo un pianeta meraviglioso e una sola vita a disposizione…affrettatevi.

Gli Agapornis (Pappagalli inseparabili)

Amo gli animali in genere, ma con questi pappagallini ho una certa affinità, ci capiamo “al volo”

A parte gli scherzi secondo me sono spesso sottovalutati come animali domestici, invece sono dei giocherelloni, vivacissimi, curiosissimi e tenerissimi esserini che si legano all’uomo in un modo molto particolare, ovviamente devono poter uscire dalla gabbietta, altrimenti non prendeteli.

La cucina libanese

Amo la cucina mediterranea ma la Libanese cattura il mio palato da diversi anni ormai.

I Motel americani

Non chiedetemi perché ma dei tanti viaggi negli Stati Uniti una delle cose che ispirano la mia musica sono proprio i motel on the Road. Per me è ancora un mistero ma li sogno spesso, mi vengono in mente quando ascolto musica Country, hanno ispirato tanti miei brani. Sono fortemente evocativi.

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Comunicato stampa

Marta Lucchesini firma la colonna sonora del film “Sul sentiero blu” di Gabriele Vacis

É disponibile da lunedì 9 gennaio su tutte le piattaforme di streaming digitali la colonna sonora di “Sul sentiero blu”, prodotto da Indyca, distribuito da Wanted Cinema, e diretto da Gabriele Vacis.

A firmare la colonna sonora (edita da New Lanark Film and Music) è la compositrice Marta Lucchesini, nota anche come cantautrice con lo pseudonimo Marat. Dieci tracce che raccontano l’avventura di un gruppo di giovani con autismo e dei loro educatori e medici che hanno camminato per 200 km in 10 giorni lungo la via Francigena per dimostrare e dimostrarsi che la gestione delle difficoltà e delle emozioni è possibile.

Marta Lucchesini, le cui canzoni sono già state sincronizzate in Tv Series di successo come Christian, Il Cacciatore e Non Mi Lasciare, collabora da due anni con il compositore Giorgio Giampà con il quale ha firmato la colonna sonora del film Netflix italiano più visto dalla nascita della piattaforma ad oggi “Il mio nome è vendetta” e quella del documentario di Sabina Guzzanti “Spintime”, presentato al Festival di Venezia nel 2021.

Reduce dalla pubblicazione del suo ultimo ep “Tempesta e calci” (ad aprile per Le Siepi Dischi, come Marat), in “Sul Sentiero Blu”, Marta Lucchesini percorre parallelamente la strada della musica per film intrecciando temi strumentali e canzoni in una colonna sonora che si muove tra sussurri ed esplosività. Lucchesini è ora al lavoro alla colonna sonora del documentario messicano “Imposters”, ha prestato la sua voce alle musiche di Giorgio Giampà per la Tv Series Disney+ “The Good Mothers” e sta preparando il suo nuovo disco come Marat.

SCOPRI IL DISCO SU SPOTIFY: 
https://open.spotify.com/album/1SSNnq2UQ84L3VRiwJcsQD?si=1TEnpRUmSwCLbG_F7HdeFw
 




Mix: Dario Giuffrida
Violino: Gabriele Campagna
Editore e Label: New Lanark Film and Music


BIO:

Marta Lucchesini, compositrice, cantautrice e polistrumentista, nasce a Monterotondo (Roma) nel 1995. Il suo percorso intreccia il mondo delle canzoni con quello delle colonne sonore, dove l’uso della voce si fonde con la sperimentazione su tantissimi strumenti diversi.

Dopo essersi laureata, nel 2020, al Conservatorio di Santa Cecilia a Roma in “Composizione per la musica applicata alle immagini”, debutta al Festival del Cinema di Venezia 2021 con il docufilm di Sabina Guzzanti “Spin time – Che fatica la democrazia!” firmando la colonna sonora originale insieme al compositore Giorgio Giampà, con il quale lavora anche nel ruolo di assistente da due anni. Altre colonne sonore originali: “Sul sentiero blu” (2022), “Ugo, storia di una piccola grande idea” (2022) e, appena uscito, prodotto da Netflix, “Il mio nome è Vendetta”.

Ha all’attivo due EP: “Le Facce” (2017) e “Tempesta e Calci” (2022). Dopo il diploma (2017) a Officina Pasolini porta il suo progetto live in tutta Italia con più di 100 concerti fatti e tantissime partecipazioni a concorsi. Nel 2019 vince la Targa Tenco per il miglior Disco a Progetto con il collettivo Adoriza.

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Comunicato stampa

“Una notte più lunga” è il nuovo singolo di Kublai, in uscita il 30 gennaio

É in uscita lunedì 30 gennaio 2023 in distribuzione Artist First “Una notte più lunga“, il nuovo singolo del progetto solista di Teo Manzo, Kublai, e primo capitolo di un nuovo EP previsto per questa primavera. “Una notte più lunga” segue l’album omonimo d’esordio del 2020, e ci accompagna nuovamente verso l’universo onirico – urbano del cantautore di Milano: venature elettriche e psichedeliche si intrecciano alle parole e creano un baratro per l’ascoltatore. Non parliamo qui di un abisso minaccioso, ma di un vuoto che occupa spazio, che completa, che informa. 
 

L’attesa, la sospensione, la precarietà che la canzone ci chiede non sono più insopportabili, e il nostro paradosso è – infine – contemplabile.

Kublai 


Kublai è un disco nuovo, ma fuori dal tempo […], è un ibrido tra canzone d’autore ed elettronica, con echi di progressive. È cantautorato progressive, se vi piace la definizione.” (Rolling Stone)

“Cos’altro si può dire di quest’esordio? Un piccolo grande capolavoro, arte a trecentosessanta gradi, poco altro da aggiungere per qualcosa che è in grado di coniugare istanze artistiche e letterarie con talento e originalità. Perfetto.” (Rockit)

KUBLAI SU SPOTIFY: http://spoti.fi/3GtksUo


BIO:

Il primo omonimo album di Kublai (2020) prende le mosse dalla collaborazione fra Teo Manzo, autore dei testi e delle musiche, e Filippo Slaviero, che ha curato produzione, registrazione e mixaggio, oltre a essere coautore delle musiche. Le registrazioni sono avvenute a Milano, presso Il Vicolo Studio dei fratelli Slaviero, Hit Factory Studio di Nicolò FragileAdesiva Discografica di Paolo Iafelice. Masterizzato presso La Maestà Mastering da Giovanni Versari.

Nel 2023, il progetto Kublai torna con un nuovo EP, realizzato con la collaborazione di Mamo, co-autore delle musiche, e la produzione di Vito Gatto. Il nuovo disco è anticipato dal singolo “Una notte più lunga“, ouverture dell’EP, in uscita lunedì 30 gennaio in distribuzione Artist First.

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Internazionale

Colombo riporta in vita Emily Dickson, ed è incredibilmente molto pop

Sembra incredibile ma abbiamo anche noi il nostro James Blake, si chiama Alberto, ma più semplicemente Colombo per Spotify, da Brescia ma itinerante per studiare musica tra Parma e Milano, classe 1994 e gioca con influenze di respiro internazionale per riportare in vita la poetessa Emily Dickinson che ben si intreccia con una voce eterea e giri di piano ipnotici. “Where children strove” non è il primo disco di Colombo, ma sicuramente il primo con feat. dall’aldilà: le parole di Emily Dickinson diventano tutt’uno con un universo malinconico a tinte pastello, che piacerebbe ai fan dei Coldplay.

É sempre soddisfacente e bellissimo quando si inizia l’anno con piccoli dischi del genere, quattro tracce in grado di svoltarti le giornate di pioggia, che sono l’equivalente di una passeggiata solitaria alla Pinacoteca di Brera (cosa che, se non avete mai fatto, vi consiglio assolutamente di provare), che affondano nei pensieri e che è impossibile lasciare andare. Io che ho lasciato che il disco riempisse casa, e si infiltrasse attraverso le tapparelle e i fasci di luce del pomeriggio, con un caffè e le ultime mail di lavoro da leggere, mi sono ritrovato ad ascoltarlo tre volte di seguito: le parole sono immortali, tristi e, oserei dire, universali, e Colombo le fa proprie in una maniera moderna e a tratti anche ironica.

Musicalmente ogni traccia è liberamente ispirata alle melodie di Dvořák (Sinfonia “Dal nuovo mondo”), Chopin (Notturno op.9 n.2), Tchaikovsky (Concerto per pianoforte e orchestra) e Ravel (Concerto in sol). Lui parla di pop neoclassico, e forse, immaginandoci le statue di Canova e culi sodi in marmo, non potremmo che dargli ragione, con la triste consapevolezza che, forse, per fare qualcosa di davvero originale non bisogna che andare a pescare ciò che ci siamo persi nel passato. Nella musica come nella vita, chissà… Quello che so è che raramente un disco mi ha fatto amare l’arte così tanto, a trecentosessanta gradi, con la voglia di scoprire di più, leggere di più, e sicuramente ascoltare di più anche Colombo. Non perdetevelo.

J.