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Elettronica

Sem&Stènn si autodefiniscono eroi, e forse fanno anche bene

Che ormai Sem&Stènn, duo electro-pop divenuto celebre inizialmente per aver partecipato ad X-Factor, durante la stessa edizione dei Maneskin, sono in giro da parecchio. Me li sono ritrovato spesso a scegliere canzoni in serate assurde, di cui mi ricordo poco se non queste eteree figure con, bisogna dirlo, sempre scarpe bellissime. Loro sono il duo della Milano che balla, dei Navigli fino a sera tardi, del Rocket prima del Covid, del Plastic tra la ressa e il sudore. Ci hanno scritto anche un pezzo qualche tempo fa, si chiamava Ho pianto in discoteca, che riassumeva bene come mi sentivo per la maggior parte del tempo: un disastro, senza una vera vita sociale, ma sempre e perennemente in fila per entrare in un club.

Ammetto di aver detto anche un paio di cose brutte su di loro, che sono sempre perennemente alla ricerca del successo, e che i loro pezzi son paraculi, plastici, confezionati apposta per piacere. Il problema è che poi è vero, che i loro pezzi piacciono. E facendomi due conti, devo dire che non è vero che i loro pezzi sono paraculi, perchè facendomi un giro su Scuola Indie, mi sembra inevitabile notare un’estrema voglia di essere alternativi, di candidarsi come gruppo di punta alla festa dell’Unità di Buccinasco, con il mullet, le Dr. Martens basse e i calzini bianchi, e forse anche un Urania tascabile ficcato nella tasca dei jeans. Sem&Stènn, i veri punk di una scena che forse noi pseudo intellettuali di sinistra non ci meritiamo, se ne fottono e arrivano, oggi con un nuovo EP, sfacciato, pop, ballabile, senza giri di parole nè occhiolini ad una scena in declino schiava dell’algoritmo. Eroi, veri e propri.

Bromance è l’ultimo brano che passano alle 5 mattina di un bar di provincia, forse l’unico in zona, dove ci raduniamo tutti a sudare fino a fare schifo. I sentimenti elettronici che frizzano sotto i piedi e ci fanno ballare, sulla cassa dritta (che non sbaglia mai).

Rocky di Mudimbi è la mia personalissima colonna sonora di quando mi sento una merda (spesso) ma comunque mi ritrovo a fare le 4 del mattina in un giorno infrasettimanale, e Mudimbi, dalla tomba dei fenomeni musicali che ci eravamo dimenticati, è una scelta fantastica e particolarmente riuscita. Un po’ come me, che faccio pace con Sem&Stènn. Eroi, il titolo dell’EP pubblicato oggi, giovedì 12 gennaio, sono cinque tracce, e le dedico a tutti noi radical che in realtà sogniamo solo saperci vestire bene e saper portare le scarpe giuste nel locale giusto, fottendocene di chi pensa che siamo dei modaioli paraculo.

Grazie

J.

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Internazionale

“Mondo Peplum” di Torso Virile Colossale, e il rock muscolare epico del futuro

Vorrei davvero, ma davvero tanto, che qualcuno proponga una serata in un cinema, di quelli vecchi e un po’ polverosi in via d’estinzione, dove venga proiettato un Ben Hur con musica dal vivo, rigorosamente necessaria la presenza delle chitarre elettriche. Non che sia una cosa nuova, quella di chiedere a band e artisti della scena alternative di musicare dei film: ricordo con particolare piacere un episodio in cui i Marlene Kuntz suonarono sulle immagini di Signorina Else, degli anni Trenta. Un contrasto che ancora adesso mi mette i brividi. E di questo stesso contrasto vive il mio ascolto di Torso Virile Colossale, il personalissimo e folle progetto del cantautore e compositore Alessandro Grazian, la cui passione per il cinema peplum, genere che consideriamo, tristemente, di serie B, lo ha portato a mettere in piedi uno dei mondi musicali più interessanti della scena alternativa di questi giorni. Giorni dove sembra imperante la presenza sui social, degli algoritmi, delle tendenze, a contendersi quei pochi spazi dalla vita breve.

Ed è qui, che come una sirena, la voce di Rachele Bastreghi in “Estasi a Tor Caldara” ci conduce ipnotica in questo mondo di colonne sonore fantascientifiche. E questa chitarra di “Chi guida l’orgia?” non mi fanno che desiderare ancora più ardentemente di vedere una battaglia epica, tra uomini e scheletri magari, come quella de Gli Argonauti, in compagnia di Alessandro Grazian e di questi suoi sinuosi subbugli.

Mondo Peplum, il nuovo disco e secondo capitolo di Torso Virile Colossale, è, come per il primo disco, in bilico tra musica classica,  la colonna sonora e il rock più muscolare, la cui forza nel farsi apprezzare anche dai miei genitori, che tagliano Torino in macchina a suon de “Il Trionfo”, fregandosene altamente di ciò che è indie e cosa no.

Torso Virile Colossale è solo una finestra su un mondo ampissimo, e fa venir voglia di scoprire, ascoltare e vedere cose nuove. E non credo ci siano molti altri dischi che possono avere questo potere. Ascoltate Mondo Peplum.

M

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Post-Punk rock

Le 5 cose preferite degli Hornytoorinchos

Gli Hornytoorinchos hanno pubblicato il loro nuovo disco “Non aspettatevi granchè”. Noi gli abbiamo chiesto quali sono le loro 5 cose preferite!

Alberto Angela

In lui è coltivato il gene della sapiosessualità, cultura e sex appeal miscelati in uno spettacolare esemplare di homo sapiens. E’ il protagonista del nostro singolo e brano di apertura del disco.

Gli ornitorinchi

Animaletti incredibili, non si capisce se siano talmente evoluti da allattare dopo aver deposto uova o se per lo stesso motivo siano invece una specie involuta. Sono bellissimi e ci siamo ispirati a loro per il nome della band.

Le fantasie sessuali

Un mondo fantastico fatto da centinaia di variabili sorprendenti e incredibili. Abbiamo dedicato due brani del nostro disco a questo mondo meraviglioso, “La Savana” e “Mucca Rimming”. Inoltre la protagonista del nostro ultimo videoclip è Mistres Lady Demonique una dominatrice professionista, i suoi racconti ci hanno affascinato.

Woman and man playing domination games in bed together

La Patafisica

E’ la scienza dell’assurdo e delle soluzioni immaginarie. La destrutturazione della scienza, il bizzarro a cui ci ispiriamo per comporre ogni pezzo, nessuna regola, nessuna logica, nonsense, ironia e immaginazione. Inoltre adoriamo la fisica della patata.

Greta Thumberg

Altra protagonista di un nostro brano, personaggio estremamente affascinante, idolo della masse e bandiera della generazione Z. Gira il mondo e combatte le sue battaglie insieme a milioni di giovani, noi ci chiediamo per quale motivo sia sempre arrabbiata. Abbiamo provato e rispondere con il nostro brano.

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Pop

La dark wave padana di Nebbia, nel suo EP di debutto “Altrove”

Quale periodo migliore di questo, quello dove si avvicinano i pranzi e cene coi parenti, i regali forzati, e le ferie mai godute abbastanza, per rispolverare un po’ di quei dischi che ascoltavamo da adolescenti o che, almeno, io ascoltavo come un pazzo furioso sul punto di farla finita. Quella maglietta dei Joy Division, che ho consumato tantissimo e che ormai non ha un colore definito, ma è tutt’uno con le ondine delle copertina, e che ormai è un pigiama, mi farà compagnia nell’ascolto di questo “Altrove“, l’EP di debutto di Nebbia. Cantautore dichiaratamente di provincia, quella lombarda fatta di scighera, smog e giornate corte, di tristezza tipica di chi ha ascoltato troppo post punk, ma anche di quell’ironia di chi è disposto a pagare 10 euro un gin tonic.

In questo tunnel di synth e ritmi serrati dalla malinconia, Matteo Bonavitacola, questo il nome secolare di Nebbia, ci accompagna per mano nel suo mondo agrodolce di oscurità e luci al neon, con la colonna sonora perfetta per il più fumoso dei locali padani. Qui dentro, mascherato da disco pop, c’è un passato tormentato (chissà se, come molti, anche Nebbia non se la sia passata bene negli ultimi due o tre anni, tra guerre e pandemie), in cui è impossibile non lasciarsi assorbire.

Altrove” è un disco che racconta tutto quello che in qualche modo è altro da sé: le persone, gli amori, i posti da cui si passa. Un insieme di pezzi di vita condensati in un contenitore fatto di synth, atmosfere anni ‘80 e neon tra i capannoni. Un disco dedicato a tutti gli ultimi romantici. Con una nota di merita a “Texas Ravioli”, singolo indiscusso che si fa ballare. E ballare su un brano triste è quanto di più bello possiamo augurarvi per il 2023.

Non perdetevelo.

CM

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Pop

I Nolo omaggiano Milano, la città dalle mille luci

Milano d’inverno è una di quelle città che ti consuma, che ti fa scendere zampettando come uno scemo dall’autobus, crepando di freddo. Che ti fa fare le file nei locali, che ti fa schiacciare contro mille sconosciuti ogni giorno in metropolitana, che ti fa spendere quaranta euro per una cena mediocre, e rimane comunque una città da amare. Quella delle cene con gli amici, quella delle ore piccole e degli spiccioli in tasca, quella che ti fa guadagnare tanto e spendere altrettanto. I Nolo, duo del celebre quartiere al nord di Loreto, hanno di recente pubblicato il loro nuovo EP dal titolo Luminia, un omaggio a questa città di luci e contraddizioni incredibili.

Qui dentro troviamo una città ai confini del mondo Occidentale, quella Milano scintillante, la città delle luci che ci circonda fin da piccoli: i neon, i semafori, le metropolitane, le finestre dei palazzi. Per noi nati e cresciuti a Milano sono luci calde, accoglienti e domestiche. Il pop malinconico dei NOLO, diventa un ritratto generazionale per una generazione cittadina che si perde e si ritrova continuamente: una dichiarazione d’amore alla città di Milano. 

Basta questa location suggestiva, che spesso manca ai dischi indie che ritroviamo in ripetizioni violente nelle playlist di Spotify, per farci piacere questo disco. Di un pop dichiarato e sfacciato, che però nasconde quella sofferenza generazionale che consuma, come questo freddo che mi porto dietro fino a casa, in questa città così accogliente e scontrosa. Milano è come la musica dei Nolo, brillante e scintillante, divertente, ballabile, eppure solitaria, triste e scontrosa. Qui dentro ci sono gli sguardi in metropolitana, quelli che ci fanno innamorare, ci sono le chitarre degli anni Sessanta che piaceranno a vostro padre (provate a mettergli questo disco in macchina!), e la produzione di Plastica.

Benvenuti.

CM

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Pop

Chiudere l’anno con le fantastiche visioni di Luca Gemma è la cosa migliore che vi possa capitare

Atmosfere crepuscolari e inquiete. Luca Gemma è tornato dopo una lunga assenza con “Fantastiche visioni“, un nuovo capitolo che arriva dopo una lunga assenza. Un’assenza che ha compreso molti cambiamenti, a partire dal mercato della musica che è diventato Spotify-centrico a una pandemia globale. Cambia tutto, ma certi nomi ritornano con quell’aria eterna e imponente, Luca Gemma è uno di questi, elegante ed imponente cantautore rock tra i più significativi di una scena di cui non sono rimaste che poche briciole. “Fantastiche visioni” è la perfetta compagnia per una serata solitaria, una di quelle dove io mi ritrovo a scivolare sul parquet come uno scemo, un bicchiere di vino in mano e quell’aria spettrale di questi tempi difficili, guanti e sciarpa: tempi duri per noi freddolosi che non riusciamo a vivere con quel massimo di venti gradi in casa.

Fantastiche visioni” è un disco compatto, in questo 2022 bulimico di ascolti frammentati è piuttosto strano. L’immaginario alla Cormac McCarthy è innegabile, chissà se voluto, echi di scenari lontani alla Ennio Morricone, un disco per la fine del mondo. In questa colonna sonora apocalittica, ma non tragica, ci si muove lentamente, toccando scene che vanno dagli anni Ottanta al grande cantautorato italiano, ciò che ci hanno lasciato i songwriter americani con gli stivali a punta e il rock alternative degli anni Novanta in Italia. Luca Gemma, non collocabile, ci regala un disco incredibilmente bello e sentito. Scivolando su questo parquet entro nella testa di Luca Gemma, che scava senza remore e filtri portandoci dai suoi demoni.

Ma di questi tempi dove un disco dura meno di un mese, forse viene difficile trovare 40 minuti per godere di questa piccola meraviglia, in questo slalom di singoloni e playlist, questo disco non vuole neanche competere: si presenta alla festa senza parlare con nessuno, e ad osservare con giudizio tutto ciò che succede nella stanza. Benvenuti nel mondo sbilenco e visionario  di Luca Gemma che non tarderete a riconoscere e ad accogliere, ma vi avviso: sarete da soli.

CM

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Internazionale

La Festa di Dischi Sotterranei è (e sarà per sempre) l’appuntamento musicale dell’anno

Di nuovo quel momento dell’anno, di quella cosa che è solo al secondo album ma sta diventando un appuntamento fisso: quel momento dell’anno dove mollo qualsiasi cosa per farmi tre giorni sul divano di un mio amico che è felicissimo di avermi a casa sua, anche se a mala pena gli rivolgo parola e abbiamo orari completamente invertiti. Siamo a Padova, ovviamente, e fa un freddo incredibile. L’anno scorso, questo stesso weekend mi aveva fatto realizzare che, in fondo, ero una persona felice e, anche se entravo violentemente nella vita adulta, potevo continuare a fare il coglione chiedendo a degli sconosciuti di sollevarmi durante un assolo dei Giallorenzo che accompagnavano un generico e allora sconosciuto Visconti. Oggi guardo le mie classifiche di Spotify e Visconti è tra gli artisti che ho ascoltato di più quest’anno.

Ho di nuovo quel cappotto di merda, che realizzo di non aver neanche lavato dall’altra volta, faccio schifo, ma non quanto i bagni del CSO Pedro che già risuonano i primi gruppi. Mi tolgono Pietro Berselli a causa del Covid, e piango interamente come un coglione, perchè in realtà, da trentenne che si rispetti, era tra i nomi che più mi era rimasto dentro dall’anno scorso. Merli Armisa è una piacevole sorpresa, i Vanarin sono il mio primo viaggio in Inghilterra che per ovvie ragioni mi ricordo pochissimo, Visconti, la mia storia platonica e omosessuale più riuscita, Post Nebbia, classiconi incredibili anche se avranno tipo vent’anni e mi fanno sentire un cretino, TA GA DA e le prime gomitate, e poi un infinito DJ set che mi accompagna al bar.

Cose che cambiano alla festa di Dischi Sotterranei rispetto a qualsiasi altro evento: oltre ai bagni più sporchi, persone vere, musica vera, pochissimi cellulari alzati, i biscotti con la droga al merch, gli artisti che vanno a vedere i set degli altri artisti e pogano sulla musica degli altri artisti e sanno tutte le canzoni a memoria, meglio di me che sono uno schifoso fan che si è fatto tutto il viaggio in treno cantando è solo un giocooooo…

Vinnie Marakas
foto di Simone Pezzolati

Il Pedro è un concentrato di sbandati, di amici incondizionati. Ci parliamo, ci seguiamo su Instagram e poi non ci parleremo mai più, mangiamo la pizza migliore del mondo all’interno del centro sociale, siamo tristi alla fine del primo giorno. Mi sento una persona normale, un impiegato qualsiasi, alla fine di un giorno di ordinaria follia. Ho come la sensazione che quella di Dischi Sotterranei sarà la mia vacanza obbligata: il Primavera Sound in estate, due giorni chiuso al Pedro d’inverno.

Secondo giorno. Jesse The Faccio, immenso profeta vestito da cugino sfigato, Michele Novak alla chitarra sul palco con lui dopo l’assenza, sentitissima da molti che alzavano cori in suo favore, Roncea che non era molto a fuoco con il resto della festa, ma è stato così godibile che mi sono scolato due birre solo durante il suo set, Baobab! e il progetto più raffinato del roster, la follia di Vinnie Marakas, l’annuncio dei C+C=Maxigross nel roster e il set più bello del mondo, Dead Cells Corporation che mi sono sorpreso non venisse giù qualsiasi cosa, Ulisse Schiavo che è il nostro James Blake.

Ammetto che ci sono stati diversi cambi di line up e mi sono perso ad una certa, non riuscivo più a capire cosa sarebbe successo di lì a poco, ma ad una certa non me ne è più importato. É stato bello ritrovarmi i Planet Opal quando non li aspettavo, o forse avrei dovuto ma ero ubriaco, i Dead Cells Corporation quando invece mi aspettavo il pogo dell’anno scorso con gli Halley DNA e via così. Sono stato rapito, assorbito, confuso, metaforicamente picchiato. Ed è stato bellissimo, anche quest’anno.

Sarà così dura tornare indietro ora.

Planet Opal
foto di Simone Pezzolati
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Indie Pop

Le 5 cose preferite di LE CANZONI GIUSTE

LE CANZONI GIUSTE hanno pubblicato il loro nuovo singolo il 25 Novembre “TISCA TUSCA TOPOLINO”. Noi gli abbiamo chiesto quali sono le loro 5 cose preferite!

LIVE

Se dovessimo rispondere a cosa non rinunceresti mai nella vita, la risposta è all’unisono “Suonare”.

CIBO

Almeno una cena di band al mese obbligatoria, Pantagruelica!

SESSO

Non credo ci sia molto da aggiungere.

Pensare alle prime tre cose insieme.

VIAGGI

Andare in tour per noi è come andare in gita di quinto tutti i giorni. Quando ami il lavoro che fai, non pesa niente.

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Internazionale

La Music Week a Milano si è fermata al live dei Rumba De Bodas

É di nuovo la Music Week, quella settimana fredda in cui bisogna sgambettare da una parte all’altra di Milano per vedere quel professorone parlare di qualcosa, vedere quella band in acustico, e prendersi una birra con quel discografico del basso Lazio che è venuto apposta per questa settimana. Ciò che appare evidente è che in questa bulimia musicale, per quanto riguarda la parte live, sia spesso banale, tirata. Progetti assurdamente belli e complessi ridotti a un paio di brani con una chitarra acustica e un microfono gracchiante, live sold out con la gente tutta al bar, e una serie infinita di incongruenze del genere.

E poi è un giovedì sera, quel giovedì sera di quella maledetta settimana, e siamo al Nibada Theatre sui Navigli. Non ci entravamo da tempo, ed eccoci qui, con quei panini giganti e quel palco piccolissimo che sembra impossibile possa contenere tutti i Rumba De Bodas. Un progetto musicale imponente con una storia il cui inizio risale al 2008.

Il  loro nome deriva dall’unione di due espressioni bolognesi: “rumba”, ovvero far rumba, far casino, e  “bodas” che deriva dai matrimoni e, in questo caso,  diventa simbolo  del connubio tra i generi musicali con cui il gruppo sembra ancora oggi non riuscire a decidersi. Per  anni si esprimono prima per le strade cittadine, con un’attività di busking che li porta a girare e a ed esibirsi nelle piazze europee e italiane. Già nei primi anni della loro formazione iniziano a fare le  prime apparizioni in alcuni festival importanti del continente: il Boomtown Festival in Inghilterra, il  Fusion Festival in Germania e il Cous Cous Festival in Sicilia. 

E 13 anni dopo eccoli qui, con un magnetismo trascinante, un live vero in mezzo ad una settimana di piccole delusioni, un locale sudato e caldo dove rimbomba un sax seducente, e la voce inconfondibile di Monique. I Rumba De Bodas fermano il tempo, siamo in un qui e ora dove non ci sono storie da fare, non ci sono conversazioni e sessioni di networking da fare assolutamente in questa Music Week di nerd e primi della classe. Improvvisamente sembra tutto chiaro, la musica è questa cosa qui, e non quella che ci siamo trascinati dietro negli scorsi giorni.

CM

foto di Simone Pezzolati
foto di Simone Pezzolati

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Internazionale

Il mare d’inverno dei Basiliscus P

Stupisce sempre abbastanza pensare quanto in realtà la scena rock sia così consolidata e resistente (nel senso vero e proprio del participio, che resiste) in Italia. Nei giorni tristi e milanesi del mio monolocale mi convinco che tutto si riduca alla playlist Scuola Indie su Spotify, a quell’immenso piattume di canzoni che si imitano tra di loro, creando una scena immensa che vive solo di numeri e dinamiche interne alle piattaforme digitali, così poche poi esistono effettivamente dal vivo (alcuni nomi mi rimbalzano in testa, ma poi non li vedo nei localini, ai festival, alle aperture di qualcosa di più importante), solo un nome che ribalza tra gli artisti consigliati da Spotify, un multiverso che non ha mai un riscontro nella vita vera, quella di chi la musica la respira.

E di polvere, locali sudati e scontri, sembrano essersi nutriti molto i Basiliscus P, band messinese che da pochissima si è imposta con il nuovo album dal titolo “Spuma“: un meraviglioso intreccio di chitarre e sentimenti, richiami jazzistici e tormenti strumentali che sono stati registrati in presa diretta in un ex Forte di fine Ottocento. Un mondo a sè, fuori da ogni schema o regola che possa imporsi da quel multiverso rognoso delle piattaforme di streaming. Questo perchè Spuma è un viaggio che si ascolta dall’inizio alla fine, un tunnel psichedelico e oscuro da percorrere con coraggio.

Questo disco prende vita da lunghe sessioni di improvvisazione in sala che poi sono state sviscerate e riarrangiate sotto la guida di Marco Fasolo, leader dei Jennifer Gentle e produttore tra gli altri di I Hate My Village e Bud Spencer Blues Explosion. “Spuma” è stato concepito durante il lockdown. Più che dalla spuma, o schiuma del mare, il nome deriva dalla bibita, vera e propria passione dei tre, che è molto graffiante come gusto ma allo stesso tempo dolce, ed è un po’ quel che può ricordare il suono dei Basiliscus P.

GR