Dove vuoi che sia è il primo singolo degli Euphoria pubblicato su tutte le piattaforme streaming, disponibile anche nelle playlist editoriali di Spotify New Music Friday e Fresh Finds Italia. “Per noi questo brano rappresenta e identifica un periodo della nostra vita, l’inizio e la rottura di un rapporto.”
Benvenuti ragazzi e grazie per questa intervista, allora diteci un po’ questo sound in dove vuoi che sia come nasce?
Grazie dell’invito. è un piacere. questo sound, come tutte le nostre canzoni, nasce dall’influenza dei nostri ascolti quotidiani. abbiamo tutti e tre dei gusti diversi e quindi arriviamo sempre in studio con delle idee nuove. le nostre canzoni sono un incrocio di queste idee.
Come avete lavorato alla produzione del pezzo?
L’idea originale nasce da William McLion e Dezzo (si parla di ottobre). poi la demo è stata girate ad yEMA che ha scritto la sua strofa dopo il ritornello di Dezzo. abbiamo subito una battuta d’arresto in inverno per poi riprendere in mano la traccia ad aprile insieme a Tanarouge, con cui abbiamo portato un’evoluzione al pezzo.
Due cantanti, tastierista e chitarrista. Quindi è questa la vostra formazione ufficiale?
Più o meno. Dezzo e yEMA sono i due cantanti, insieme a Willy che è il produttore e pianista. e questa è la formazione originale. Giovanni si è aggiunto di recente a noi come chitarrista e ci ha aiutato tantissimo nelle produzioni. siamo alla ricerca di musicisti veri anche in ottica di live. gli strumenti reali non si possono battere.
Chi effettivamente scrive i pezzi e come li arrangiate?
Strofe e ritornelli sono scritti da Dezzo ed yEMA. ognuno scrive le proprie parti ma si confrontano sempre per aggiustamenti o modifiche. nelle nostre canzoni c’è tanto del loro vissuto. per gli arrangiamenti invece partiamo sempre dalle idee di Willy ma poi durante la fase creativa è un continuo scambiarsi opinioni. per noi discutere sulla musica è importantissimo
Invece della band cosa ci volete dire? Come vi siete conosciuti?
Ci piace definirci un collettivo più che una band, vogliamo avere una certa libertà nel fare musica. comunque noi di base siamo grandi amici prima ancora di formare il gruppo: yEMA e Dezzo si conoscono dall’asilo e Ema ha conosciuto Willy alle superiori facendolo conoscere a Dezzo. non sarebbe esistito EUPHORIA senza prima una confidenza reciproca.
Aliperti è un nome che abbiamo scoperto recentemente, quando qualche settimana fa arrivò in redazione la proposta di “Vintage”, il suo ultimo singolo prima della pubblicazione d’un disco d’esordio compatto, ben scritto e – se siam qui a parlarne – capace di catturare la nostra attenzione sin dal titolo: “Camera Oscura” (Formica Dischi) è una delle più belle “fotografie” che Aliperti potesse scattare all’ispirazione genuina di un progetto da tenere d’occhio, e con attenzione.
Sì, perché in “Camera Oscura”, attraverso la sua densa tracklist, prendono forma mondi musicali resi omogenei da una produzione curata con identità e “coerenza” (qualità, questa, della quale spesso rimangono orfane le pubblicazioni discografiche contemporanee, tutte votate a ragionare “singolo per singolo” a discapito di una compattezza sonora e poetica) ma, allo stesso tempo, dotati di immagini tali da renderli “unici”: dieci piccole isole che, pur facendo parte di un preciso arcipelago, celano sorprese e atmosfere diverse.
Basti pensare al taglio pop dei singoli pubblicati, che si completano idealmente con “Zaino” (singolo “pitchato” con il disco) nella direzione di un mainstream di estrema qualità, pensato – almeno, così pare – per essere “suonato” senza rimanere incastrato nella volatilità digitale: ci auguriamo, in questo senso, di riuscire presto a goderci Aliperti anche dal vivo, perché i presupposti ci sono tutti per presumere uno show all’altezza delle aspettative.
La radice cantautorale, quella che ricerca l’immagine poetica con la stessa dedizione di un setacciatore d’oro, emerge invece in brani più “autonomi”, quasi monadici, come “Sonno” o “Gonfiabile” o “Oscar”, capaci regalano cartoline ben precise di momenti che finiscono col stamparsi nella memoria visiva di tutti. Anche se, ovviamente, solo Aliperti sa ciò che ha visto, vissuto e provato in quei momenti d’infanzia che paiono permeare così profondamente la struttura di “Camera Oscura”: eppure, la magia della scrittura rende la parola “strumento esplosivo”, capace di conflagrare – quando ben scelta, e ben posizionata – nella testa di chi ascolta con coscienza.
Ovviamente, l’ascolto di “Camera Oscura” pretende alla base un attenzione che l’ascoltatore deve conquistare, per non finire preda di una liquidità che a tutto toglie valore; tuttavia, anche l’ascolto “leggero” del primo disco di Aliperti non dispiace, perché la cura del particolare porta il prodotto finale (ah, che male ci fa utilizzare, per brevitas, questa definizione ingrata…) ad essere non solo ottimo spunto “culturale” (perché l’approccio di Aliperti è quello del cantautore, ed è innegabile) ma anche “oggetto” ben posizionabile su un mercato che, oggi più che mai, ha un disperato bisogno di rinnovarsi nei valori.
Parole, parole, parole: parole che rimbalzano contro i finestrini di macchine lanciate a tutta velocità verso il fraintendimento, mentre accanto a noi sfilano cortei di significati e di interpretazioni che si azzuffano per farsi strada nella Storia, provando a lasciare un segno. Parole giuste, parole sbagliate; parole che diventano mattoni per costruire case, ma anche per tirare su muri; parole che sono bombe, pronte a fare la guerra o a ritornare al mittente dopo essere state lanciate con troppa superficialità: parole intelligenti, parole che sembrano tali solo a chi le pronuncia, mentre chi le ascolta cerca le parole giuste per risanare lo squarcio. Parole che demoliscono, parole che riparano. Spesso, parole che sembrano altre parole, che pesano una tonnellata per alcuni mentre per altri diventano palloncini a cui aggrapparsi per scomparire da qui. Parole che sono briciole seminate lungo il percorso da bocche sempre pronte a parlare, ma poche volte capaci di mordersi la lingua: se provi a raccoglierle, come un Pollicino curioso, forse potresti addirittura risalire all’origine della Voce, e scoprire che tutto è suono, e che le parole altro non sono che corpi risonanti nell’oscurità del senso.
Parola, voce, musica: matrioske che si appartengono, e che restituiscono corpo a ciò che sembra essere solo suono.
Ogni mese, tre parole diverse per dare voce e corpo alla scena che conta, raccogliendo le migliori uscite del mese in una tavola rotonda ad alto quoziente di qualità: flussi di coscienza che diventano occasioni di scoperta, e strumenti utili a restituire un senso a corpi lessicali che, oggi più che mai, paiono scatole vuote.
NIVEO
Tutto quello che ti viene in mente se ti diciamo “originalità, tormentone, playlist”.
Se mi dite originalità mi viene in mente le caratteristiche su cui ho basato il mio lato artistico come l’essere spontaneo e genuino proprio come il ragazzino che sono.
Per tormentone penso alla continua ricerca di un ritornello per i miei pezzi, questa è una cosa che purtroppo mi contraddistingue, i ritornelli che mi piace tanto scrivere non soddisfano mai completamente il mio produttore quindi ci troviamo sempre a discuterne a riguardo perché abbiamo gusti differenti, però mi aiuta molto uscire dai miei soliti schemi per provare a scrivere cose diverse, questo mi aiuta molto a variare metodo di scrittura. Se mi dite Playlist mi vengono in mente le mie playlist preferite di Spotify come ‘scuola indie’ o ‘Indie Italia’ oppure la mia amatissima playlist di Spotify dove ho un migliaio di canzoni che continuo ad ascoltare ormai da non so quanto anni!
BEATRICE PUCCI
Tutto quello che ti viene in mente se ti diciamo “originalità, tormentone, playlist”.
Per me l’originalità è contagiosa, se vedo qualcosa di originale fatto da qualcuno, mi sento ispirata a creare qualcosa di mio. Al di là delle dinamiche di mercato e delle playlist, creare qualcosa di proprio senza farsi bloccare da retropensieri è un’abilità importante per chiunque voglia fare musica su lungo periodo, per chi non punta soltanto a fare la hit del momento.
URANIA
Tutto quello che ti viene in mente se ti diciamo “originalità, tormentone, playlist”.
Laura: Originalità: ricerca di se stessi e della propria personalità, creazione di un pensiero personale e di elementi rappresentativi della propria persona che rimangono simbolici e di riferimento per gli altri, trovare il proprio modo di dire le cose ed esprimerle tramite mezzi diversi come arte, look, musica, fotografia attraverso i quali poter dare una propria visione della realtà che ci circonda;
Tormentone: Hit estiva, canzone con melodia forte, persona ripetitiva, pensieri ricorrenti.
Playlist: raccolta di brani in base ai vari mood, compagne per lo studio, il relax e i momenti no, posti in cui scoprire nuova musica e conoscere altri artisti, mezzi per arrivare a più persone.
Stefania: Originalità per me vuol dire semplicemente avere personalità, non avere paura di essere ciò che si è, osare, viversi completamente e avere il coraggio di sentire. Tormentone per me significa qualcosa che il più delle volte, vuoi o non vuoi ci buttano addosso e poi ci caschi anche tu. Playlist per me vuol dire raccolta di suoni, canzoni, mood che possano racchiudere un periodo, dei ricordi e dei momenti importanti.
MAELSTROM
Tutto quello che ti viene in mente se ti diciamo “originalità, tormentone, playlist”.
Penso che l’originalità di un progetto sia un valore che spesso viene oscurato dalle dinamiche delle playlist. Viviamo in un momento storico in cui se non rientri all’interno di un certo contenitore mangia ascolti fai fatica ad essere considerato. Per dirla alla Willie Peyote “se non fai numeri la gente non ti calcola, è una Repubblica fondata ormai sull’algebra”. Personalmente sento la necessità di lottare affinché si possa fare una rivoluzione musicale collettiva anche senza sottostare necessariamente a questi parametri.
YASSMINE JABRANE
Tutto quello che ti viene in mente se ti diciamo “originalità, tormentone, playlist”.
Quando penso a “originalità” mi vengono in mente i Sottotono, un po’ per associazione al disco “Originali” e un po’ perché lo sono sempre stati effettivamente.Per me sono senza tempo. Se penso alla parola “tormentone”, invece, mi vengono in mente vari brani che sono stati tormentoni personali: figli delle stelle, perfect places o anche yo x ti tu x mi. Per quanto riguarda “playlist” sicuramente mi vengono in mente le mie. Mi piace crearne per quando viaggio in macchina, devo dire che sono abbastanza brava!
Marāsma
Tutto quello che ti viene in mente se ti diciamo “originalità, tormentone, playlist”.
Originalità: Calcutta Tormentone: Completamente – Thegiornalisti Playlist: Indie Italia.
KASHMERE
Tutto quello che ti viene in mente se ti diciamo “originalità, tormentone, playlist”.
Credo che l’originalità che sia la caratteristica fondamentale di qualsiasi progetto artistico. Personalmente, ritengo che un artista non sufficientemente originale, anche se dotato di capacità notevoli, abbia meno possibilità di emergere. Portare novità nel panorama artistico attuale è troppo importante per essere notato e destare curiosità.
Quando penso al tormentone mi vengono in mente le canzoni che difficilmente possono avere vita lunga. In un certo senso, nascono per sopravvivere soltanto nei pochi mesi seguenti alla loro uscita. Se invece pensiamo ai tormentoni intesi come quelle canzoni che sembrano non tramontare mai perché sempre incredibilmente attuali, anche se scritte decenni e decenni fa, allora l’unica cosa che ci resta da fare è battere le mani e inchinarsi alla genialità di chi le ha scritte.
Ad oggi, le playlist sono le mete più ambite da qualsiasi artista. In un mondo in cui la musica non viene più venduta fisicamente, i digital stores rimangono l’unica risorsa per poter raggiungere i propri ascoltatori, e purtroppo, soltanto entrando all’interno delle playlist maggiormente seguite, è possibile raggiungere streams realmente soddisfacenti.
AIDA
Tutto quello che ti viene in mente se ti diciamo “originalità, tormentone, playlist”.
Originalità un ideale impossibile, tormentone psicosi collettiva, playlist si prega. Ora presta attenzione e dimentica il mio nome.
FEDERICO CACCIATORI
Ciao a tutti gli amici di Perindiepoi, parlare di originalità può sembrare semplice, in realtà non è proprio così… vi dirò la mia. Credo che l’originalità sia molto importante per qualsiasi lavoro artistico e non. Questa permette intanto di farci riconoscere da chiunque, di eccellere rispetto ad un qualcosa o un qualcuno che si veste di monotonia e piattezza. Credo che ogni compositore, ogni autore abbia un suo modello al quale si ispira, le idee non nascono dal nulla, penso che chiunque tragga spunto da ciò che legge, ciò che vede ma soprattuto da ciò che ascolta, perché dico da ciò che ascolta? Perché le parole hanno un peso e molte volte rimangono molto più impresse nella mente rispetto ad una rappresentazione visiva o tattile.Tornando al discorso, l’originalità oltre ad essere un fattore predominante e difficile da ottenere a volte può essere anche un “pericolo”, perché un autore, un compositore chiunque esso sia o rappresenti, nel momento in cui si crea, o, comunque gli viene cucito sulle spalle un certo ramo di originalità, nel momento in cui esso volesse cambiare repentinamente, stile genere o volesse seguire l’onda del momento … potrebbe risultare molto difficile apprezzare la propria originalità e allo stesso modo, potrebbe risultare non originale. E’ molto difficile rimanere originali! Come dicevo, quello che ruota intorno a noi, che sia la società in cui viviamo, che siano le persone che ci circondano, in qualche modo ci influenzano e noi non siamo altro che una ruota piccolina che gira intorno ad altre infinite ruote che girano a sua volta dietro una grande ruota che è la vita.
Tormentoni? Beh, questa la faccio più breve promesso! A contrario di quanto si pensi, apprezzo i tormentoni. Esiste una strada segreta per ritrovarsi a scrivere o ritrovarsi a cantare un tormentone? Non credo, i tormentoni si basano su una delle parole più utilizzate in tutte le lingue del mondo che è: semplicità. Sì, perché è di questo che al novanta su cento sono formati i tormentoni, ma soprattuto non possono mancare di un’altra parola magari utilizzata un po’ meno che è la ripetitività, sì, perché anche questa credo che sia uno dei caratteri fondamentali di essi. La ripetitività la suddivido sotto due aspetti, il primo è quello legato alla periodicità, ripetere in maniera praticamente identica l’operazione fatta negli scorsi anni sicuramente è un punto di forza delle “hit” e l’altro fattore è legato strettamente al testo alle parole e soprattuto ai temi che vengono trattate all’interno di queste canzoni. Sarà una caso che queste siano quasi sempre le stesse tematiche? Non credo, ed ecco i motivi per cui i tormentoni funzionano. Se li apprezzo? Certo che sì, essere semplici, costanti e ciclici è una tra le cose più difficili in campo artistico musicale.
Le playlist, esse credo che siano utili soprattuto per la visibilità di un artista, possono essere un buon trampolino di lancio verso quella che oggi è chiamata, con un termine che io odio particolarmente, visibilità. Perché dico questo, perché comunque quel tipo di visibilità digitale è ben diversa da un tipo di visibilità reale; in quanti preferiscono quel tipo di visibilità rispetto alla capacità di vedere, ascoltare o godersi un concerto dal vivo? Io rimango più per il “real”, ma nonostante tutto come dicevo credo che, queste, più che un mezzo siano un grande strumento, più tagliato per gli ascoltatori che per chi scrive musica. Ma noi che di musica ne parliamo ne scriviamo ne raccontiamo, non siamo anche noi degli ascoltatori? Ebbene sì, quindi ecco che forse anche le playlist, possono essere di nostro gradimento e godimento.
MARONNA
Tutto quello che ti viene in mente se ti diciamo “originalità, tormentone, playlist”.
Originalità:
Le band a cappella secondo me sono originali… è quel tocco che ogni musicista dovrebbe dare alle proprie canzoni. Le nostre prime creazioni erano davvero bizzarre e molto originali.
Tormentone:
La mia vita è un tormentone. Vivo di tormentoni creati da me stesso che spesso non hanno un senso. A volte sono troppo autoreferenziale; soprattutto quando parlo con Andrea andiamo avanti a forza di citazioni di personaggi, amici o conoscenti che praticamente abbiamo creato noi.
Playlist:
La playlist della mia vita spazia da Bach a Ruggero dei Timidi, da Battisti a Cosmo, dai Tame Impala a Sven Vatt… praticamente è un mappazzone con qualsiasi cosa dentro.
TARA
Tutto quello che ti viene in mente se ti diciamo “originalità, tormentone, playlist”.
Originalità:
Direi: “osare a modo tuo”. Riuscire a leggere al buio, a scrivere con una penna senza inchiostro, a ragionare al contrario, a lasciarsi guidare dal flusso naturale delle cose, degli eventi, delle circostanze, delle sensazioni e seguire quel sentiero che si viene a creare sotto le suole, senza lasciarsi frenare dagli standard già preimpostati. Essere il buco nero al centro della galassia che brilla intorno a te, come se fosse tutto ciò che ti sei creato, in grado di esaltare la tua essenza con la sua preziosità e unicità.
Tormentone:
Penso subito a: “Ossessione continua”. Sia in senso positivo che negativo. In senso positivo, mi viene in mente la mia ossessione verso i mirtilli con la cannella, i viaggi di
notte, in particolare quelli accompagnati dalla pioggia che scandisce il tempo sui vetri della tua auto, penso alla mia ossessione verso ciò che amo dai miei rituali quotidiani, alle persone e alle cose che fanno parte della mia vita. In senso *non* positivo, mi viene da pensare alle persone pressanti. Il primissimo pensiero va lì, a quelle persone che ti tormentano psicologicamente, che si infiltrano, anche furtivamente, nella tua vita, per poi girarti intorno, proprio come i satelliti fanno con la terra: la osservano alla ricerca profonda di ogni sua manifestazione e movimento, tenendone sotto controllo ogni respiro.
Playlist:
Mi viene subito da pensare a “Hey, gioca con me!” Playlist è un invito a giocare con la propria essenza. Una playlist è ciò che può rappresentare la tua personalità sotto tantissime prospettive ed elementi differenti. È come un viaggio su un altro pianeta -per restare in tema- un mondo che però ti appartiene e quando si apre al prossimo, accoglie e invade di migliaia di suoni, di musiche che risuonano sotto qualsiasi forma possibile, comunicandoti “chi/ciò che hai davanti”. Ma solo se realmente si sa leggere dentro.
MIRIAM RICORDI
Tutto quello che ti viene in mente se ti diciamo “originalità, tormentone, playlist”.
Trovo originale fottersene delle playlist e pubblicare a giugno un singolo che non punta a essere un tormentone estivo. (Giovanni Truppi docet)
AURORA
Tutto quello che ti viene in mente se ti diciamo “originalità, tormentone, playlist”.
Con originalità mi viene in mente il fatto che vedo troppa gente che perde l’originalità per “essere” qualcun altro. Ad oggi commettiamo l’errore di voler assomigliare magari a un prototipo di persona perché così crediamo sia meglio, crediamo di attirare l’attenzione di qualcuno. Anche dire “cerco di essere originale “ è una convenzione che vorrebbe che fossimo tutti originali, ma non tutti lo possiamo essere. C’è chi lo è, c’è chi invece la semplicità gli sta così bene addosso… ed è questa secondo me la vera originalità. Essere tutti come si è, essere sé stessi… così saremo davvero originali.
Con tormentone penso ovviamente a quei brani che passano così tanto alla radio, quelli che senti tantissime volte. Ma penso che siano poi quelli che uno si stanca più facilmente di ascoltare e rischiano anche di venire un po’ dimenticati.
Con playlist mi viene in mente una cosa più personale. Mi spiego meglio: mi vengono in mente quelle canzoni scelte da noi stessi, ognuna delle quali ci trasmette una cosa diversa dall’altra, e quindi le mettiamo nella nostra playlist, creata da noi e da nessun altro.
Come ormai avrete capito, ho una certa passione per scandagliare le profondità della nuova musica emergente: monadi che rimbalzano da una parte all’altra, provando a trovare sfiatatoi e vie d’uscita dalla bolla, sempre più preoccupante, in cui dilagano le voci di tante, troppe proposte lasciate alla potenzialità del talento, nel silenzio assordante di un sistema tritacarne che, quando ti considera, ti finisce con il consumare.
E dato che, come ormai avrete capito bis, le mie prefazioni sono solitamente fuori argomento e utili solo ad annoiare i poveri lettori, qui vi lascio l’ascolto di quello che, naufragando tra i resoconti delle proposte settimanali, ho trovato essere una delle proposte più interessanti che possiate reperire, almeno questa settimana, in circolazione: lei è Yassmine Jabrane, il suo è un secondo singolo che si fa conferma della qualità di un esordio che – qualche mese – ci passò colpevolmente inosservato; rimediamo stavolta con “Baazar”, e lo facciamo ben volentieri.
Poche cose da dire, prima di chiudere i miei soliti sermoni esplicativi: Yassmine ha talento, ma sopratutto ha un modo di proporre la propria musica che riesce, con dimestichezza, a tenersi in equilibrio fra mainstream e nicchia, ricerca e popolare; lo dimostrano le influenze mediterranee di una proposta musicale che si snoda con eleganza anche laddove la scrittura si fa più scarna, più “catchy”.
Lo dimostra la resa di una produzione che rimane in testa, anche senza toccare i soliti tasti lusinghieri e prevedibili che l’ItPop ci ha portato ormai a rigettare con disgusto ma piuttosto a cercare la particolarità del suono, l’attenzione al particolare della sfumatura timbrica.
In ultimo – ma non per ultimo – lo dimostra la gentilezza chirurgica e tagliente di una penna che racconta l’intimità con leggerezza, senza ricerca troppe scappatoie per dire le cose come devono.
Insomma, il progetto convince e se lo fa a primo ascolto, beh, secondo me vale la pena di un secondo, di un terzo, e via così; in attesa di un disco che, così confidiamo, non tarderà ad arrivare.
Maelstrom ci piace, l’abbiamo detto sin dal primo giorno in cui la sua musica è entrata qui, in redazione da noi: c’è qualcosa, nella proposta del cantautore calabrese (ma da anni di stanza in Piemonte) che ci fa dire che un futuro ancora possa esistere per la canzone d’autore; se in “Coralli”, il suo singolo precedente, il suo amore per il cantautorato italiano veniva reso esplicito attraverso una scrittura che evocava i grandi del passato, qui in “Bassa Marea” il groove ammicca certamente di più alla Gen Z ma nella scelta delle parole il riferimento rimane un certo tipo di “poetica” ben precisa.
Il brano parte con calma, mettendo subito in primo piano il groove di una produzione che cresce e si dilata, fino ad arrivare all’esplosione di un ritornello che mette voglia di “rivoluzione”: dentro, c’è tutta la voglia di ripartenza di chi, in questi anni, pare aver perso il coraggio e la forza di buttarsi nei flutti del presente, per attraversare la spazio che separa “paura” ed “ambizione”. Insomma, la bassa marea di cui canta Maelstrom pare essere metafora di un mondo interiore che ha bisogno di ritrovare le sue sicurezze per non andare a fondo.
Un brano energico, dal retrogusto estivo senza però adagiarsi in pose mainstream eccessive: certo, lo potreste trovare nei generalissimi cataloghi editoriali di Spoty, ma la verità è che la cifra identitaria del progetto sfugge ai canoni classici del pop, e ci regala una nuova, piccola stella da veder crescere.
Parole, parole, parole: parole che rimbalzano contro i finestrini di macchine lanciate a tutta velocità verso il fraintendimento, mentre accanto a noi sfilano cortei di significati e di interpretazioni che si azzuffano per farsi strada nella Storia, provando a lasciare un segno. Parole giuste, parole sbagliate; parole che diventano mattoni per costruire case, ma anche per tirare su muri; parole che sono bombe, pronte a fare la guerra o a ritornare al mittente dopo essere state lanciate con troppa superficialità: parole intelligenti, parole che sembrano tali solo a chi le pronuncia, mentre chi le ascolta cerca le parole giuste per risanare lo squarcio. Parole che demoliscono, parole che riparano. Spesso, parole che sembrano altre parole, che pesano una tonnellata per alcuni mentre per altri diventano palloncini a cui aggrapparsi per scomparire da qui. Parole che sono briciole seminate lungo il percorso da bocche sempre pronte a parlare, ma poche volte capaci di mordersi la lingua: se provi a raccoglierle, come un Pollicino curioso, forse potresti addirittura risalire all’origine della Voce, e scoprire che tutto è suono, e che le parole altro non sono che corpi risonanti nell’oscurità del senso.
Parola, voce, musica: matrioske che si appartengono, e che restituiscono corpo a ciò che sembra essere solo suono.
Ogni mese, tre parole diverse per dare voce e corpo alla scena che conta, raccogliendo le migliori uscite del mese in una tavola rotonda ad alto quoziente di qualità: flussi di coscienza che diventano occasioni di scoperta, e strumenti utili a restituire un senso a corpi lessicali che, oggi più che mai, paiono scatole vuote.
AIGI’
PERINDIEPOI (bollettino che raccoglie le migliori uscite del mese, in uscita a fine mese)
Tutto quello che ti viene in mente se ti diciamo “informazione, consapevolezza, potere”.
Con “informazione” mi viene in mente una gran confusione; “consapevolezza” mi ricorda il mio ultimo periodo, che è stato molto prolifico da questo punto di vista; con “potere” mi viene in mente la causa di tanti problemi che affliggono gli uomini da sempre.
BEATRICE PUCCI
Tutto quello che ti viene in mente se ti diciamo “Potere, informazione, consapevolezza”.
Mi viene in mente che le informazioni sono porte che possono portarci ovunque, e che alla base del proprio potere personale ci sono giorni e anni trascorsi a leggere e ricercare, seguendo i propri gusti e le proprie ispirazioni e soprattutto rimanendo fedeli a noi stessi scopriamo la consapevolezza di essere collegati gli uni con gli altri.
SCICCHI
Tutto quello che ti viene in mente se ti diciamo “Potere, informazione, consapevolezza”.
Mi viene in mente che chi è molto seguito, per qualunque cosa faccia ha la responsabilità di informare (se vuole) oltre che influenzare il proprio pubblico su quello che succede fuori dai social. Molte persone non hanno la voglia di informarsi tramite i soliti mezzi, o semplicemente tendono a non volersi far affogare dal mare di melma che c’è lì fuori. Bisogna essere consapevoli di ciò che si sta facendo e di ciò che si sta dicendo, i social possono essere un potere, come l’ennesima conferma che la consapevolezza di ciò che si dice o si fa non è così scontata.
LA PREGHIERA DI JONAH
Tutto quello che ti viene in mente se ti diciamo “informazione, consapevolezza, potere”.
Stiamo parlando di “E così sia” un disco con carattere, forte, che vuole raccontare la verità con una consapevolezza di chi sà che ogni traguardo è solo un punto di partenza.
CARLA GRIMALDI
Tutto quello che ti viene in mente se ti diciamo “informazione, consapevolezza, potere”.
(mi state provocando!)
Sono tre parole molto importanti, dai significati e dagli effetti più svariati. Direi che “Informazione” è la parola chiave della nostra epoca storica; la comunicazione è praticamente tutto, il perno principale attorno al quale ruotano gli ingranaggi principali della società attuale. Tanto per fare una citazione “Ventiquattromila pensieri al secondo fluiscono inarrestabili alimentando voglie e necessità… comodo ma come dire poca soddisfazione”; per me è precisamente quello che succede quando ci esponiamo, volontariamente o no, al fuoco dell’informazione che, però, resta indispensabile per una seconda parola chiave “consapevolezza”. Per me è l’unica strada possibile, l’unico percorso e l’unica meta; riuscire a “sentire” il proprio tempo, comprenderlo in profondità, conservando uno sguardo dall’alto, una visione ampia. Questo a ben vedere dovrebbe essere, a parer mio, l’obiettivo dell’artista, del cittadino, della persona che, filtrata l’informazione, acquisita consapevolezza, raggiunge il “potere”. Una parola bellissima, che parla di futuro, di facoltà di espletare un effetto e quindi di modificare il presente, di cambiarlo.
Queste tre parole sono in definitiva fondamentali se proiettate nella volontà di un mondo migliore, nel salvataggio del nostro pianeta, nella ricerca del bello, ma, come detto, sono tre ottimi strumenti, che ci rivelano ogni istante la loro natura cangiante.
MONTEGRO
Tutto quello che ti viene in mente se ti diciamo “Potere, informazione, consapevolezza”.
Credo che le tre parole siano strettamente legate tra di loro e portano ad una fotografia attuale di tutto quello che viviamo nel mondo oggi, la “buona” informazione è uno degli strumenti più grandi che abbiamo per avere consapevolezza.
FRAMBO
Tutto quello che ti viene in mente se ti diciamo “potere, consapevolezza, informazione”.
Mi viene in mente Internet. L’informazione è il potere più grande che una persona possa avere, e oggi con internet possiamo informarci su qualsiasi cosa vogliamo. Ci vuole consapevolezza però, non possiamo definirci dei geni su un argomento solamente perché abbiamo letto un articolo al riguardo.
LOURDES
Tutto quello che ti viene in mente se ti diciamo “Informazione, potere, consapevolezza”.
Sono 3 belle parole che se unite fanno paura, anche perché ormai siamo tutti più o meno consapevoli che l’informazione è gestita dal potere. Ma tralasciando questo voglio pensare all’accezione positiva del termine e cioè del potere che la musica esercita su tantissime persone, compreso me. Quante volte sentire una bella canzone ti svolta una giornata? A me capita sempre spessissimo soprattutto con i pezzi più oldies che magari non ascolto da tanto tempo.
DAVIDOF
Tutto quello che ti viene in mente se ti diciamo “Informazione, potere, consapevolezza”.
L’informazione è cultura ti dà potere e consapevolezza.
MALPELO
Tutto quello che ti viene in mente se ti diciamo “Potere, informazione, consapevolezza”.
Vorrei trattare dei tre termini sottoposti come se fossero l’uno contenuto nell’altro come all’interno di una matrioska.
Ritengo che il termine “consapevolezza”, per ciò che io vi associo al primo pensiero, sia il risultato dei primi due.
Essere consapevoli o avere consapevolezza, per esempio, di se stessi, significa essere ben informati su quali sono le nostre potenzialità; le nostre possibilità di poter fare qualcosa, qualunque cosa.
Il secondo termine “informazione” è strettamente legato agli altri due; come ho detto essere ben informati ci dà la possibilità di capire ciò che è giusto e cosa è sbagliato e ci mette in una condizione di vantaggio (quindi più potenti )rispetto a chi non sa dove sta andando.
“Potere” infine per me è sinonimo di “libertà”: poter fare tutto ciò che vogliamo, tutto ciò che possiamo, senza precluderci nulla, consapevoli, appunto, di noi stessi e ben informati su quali siano i nostri limiti e le nostre potenzialità.
Non voglio associare il termine “potere” a quello per esempio espresso da re e regine nei romanzi cavallereschi. Quello sarebbe sinonimo di “dominio” sugli altri. Io voglio associarlo al concetto di libertà di tutti, poter fare tutto ciò che si può, possibilità di cui negli ultimi due anni e mezzo siamo stati privati.
BIAGIO
Tutto quello che ti viene in mente se ti diciamo “potere, informazione, consapevolezza”.
Mi piacerebbe intavolare una filippica su – i poteri forti che ci manipolano controllando l’informazione ma noi non facciamo nulla nonostante ne abbiamo consapevolezza – ma non ho né la voglia né le competenze adatte.
Quindi useró, tra le tre, la parola che più mi fa pensare al mio album in uscita, cioè consapevolezza.
“Come farsi appendere con sette semplici canzoni” è una raccolta di episodi messi in musica vissuti a cavallo dei miei trent’anni. Le sette semplici canzoni descrivono persone, cani, luoghi, eventi ed oggetti che mi hanno accompagnato attraverso la tragicomica transizione da -enti ad -enta, e mi hanno portato esattamente dove sono adesso donandomi consapevolezza di me stesso e di ciò che mi circonda.
NUELLE
Tutto quello che ti viene in mente se ti diciamo “potere, informazione, consapevolezza”.
Capisco la motivazione per cui è stata scelta questa parola e le parole a seguire, ma mi limiterò e non farò politica, mi limiterò a dire, per me, la funzione che svolgono queste parole nella mia vita.
“Potere“: parola molto generica, esistono tanti poteri diversi e tutti sono la causa di problemi con cui dobbiamo
coesistere. Nella mia vita vorrei tanto potere, un potere che anche adesso ho, ma sfortunatamente è molto ridotto per il momento. Il potere che io voglio è quello di poter comunicare a tante persone “il bello”, generare passione e amore per se stessi, il mondo e tutte le cose tangibili e non. Il potere di far ballare le persone, di farle incontrare o di essere indirettamente una spalla su cui piangere.
Informazione
Sono una persona abbastanza strana…mi piace più informarmi e informare su cose astratte che sulle cose concrete. Mi informo ed informo su cose che mi affascinano, che mi fanno riflettere, spesso provo una sensazione di colpa per non prendere parte alle battaglie sociali, proteste etc… oggi per la guerra, domani per la pace, domani perche tizio è meglio di tizio. Credo che semplicemente ho altre battaglie da combattere e la prima è con me stesso.
Consapevolezza
La prima cosa che vorrei per me stesso e gli altri è la consapevolezza di se stessi, dei proprio obbiettivi, dolori, traumi, amori, debolezze e soprattuto di che cosa significhi vivere la vita. Il giorno in cui un individuo si trova a far fronte alla vita, da solo, sarà il giorno in cui si risveglieranno e usciranno fuori tutti i sentimenti più dolci e spaventosi che per anni hanno trovato riposo nell’inettitudine. La cosa più bella è che magicamente ci sarà tendenzialmente una considerazione sull’importanza dell’amore e dell’empatia.
NUBE
Quello che ti viene in mente se ti diciamo “Informazione, potere, consapevolezza”.
Devo ammettere che la domanda mi ha colto di sorpresa, non è di certo una di quelle per cui hai la risposta pronta. Tutte e tre sono parole di estrema attualità, sia nel campo della musica che del periodo socialmente instabile in cui stiamo vivendo da qualche anno, in questo caso però parlerò di musica. Per quanto riguarda la parola “informazione” mi viene in mente la poca informazione che c’è riguardo tanti aspetti dell’industria musicale e dell’essere un musicista in generale.
“Il potere di tanti in mano di pochi” è una frase che può essere applicata anche al mondo musicale. La corsa alla playlist è la nuova corsa all’oro, un meccanismo dal quale non è semplice staccarsi ma che è doveroso farlo.
Ed infine “consapevolezza”, penso sia fondamentale in un campo come l’arte sapere quanto si vale per raggiungere i propri obbiettivi e non farsi abbattere da fattori esterni.
Bella scoperta per me Davidof, che oggi torna a far sentire la propria voce dopo aver consegnato alle stampe, poco, “Riad”; il cantautore classe ’87 di Formica Dischi rivela fin da subito un appeal efficace a farsi godere, pur nella sua leggerezza, senza risultare retorico o stucchevole: giuro, considerate le esigenti e spocchiose orecchie del sottoscritto non è cosa affatto scontata.
Ebbene, Pietro (nome secolare del buon Davidof) sembra avere una scrittura che ha saputo far tesoro, negli ultimi anni, delle esperienze maturate: ascoltando la sua discografia, la crescita e la maturazione dell’artista si fa avvertire sia in scelta delle sonorità che in capacità poetica: oh, non aspettatevi il classico cantautorato da bar di paese, niente chitarrine asfittiche e canzoni che si trascinano: Davidof scrive con identità anche nel fare mainstream, con reminiscenze che di certo affondano le radici negli ultimi dieci anni di pop (dai Thegiornalisti agli Ex-Otago) ma ammiccano anche alla storia della canzone d’autore (su tutti, Venditti e Dalla).
“Drive in” dipinge un mondo sospeso tra presente e passato, con le camporelle adolescenziali (si dice così anche da voi, quando uno si apparta in qualche strada di campagna con la morosa?), i pop corn al cinema con le luci spenti e gli ormoni che schizzano alle stelle, i film anni Ottanta sullo sfondo che ricordano nostalgie di tempi mai vissuti: in linea con il testo, anche l’arrangiamento del brano sorride a quel pop da bomberino e paninari che se da un lato fa pensare a Tommaso Paradiso dall’altro richiama ad un mondo musicale che, in primis, fu frequentato da grandi nomi della canzone nostrana.
Non sono solito, come saprà bene chi legge questa rivista, sbilanciarmi troppo nei confronti degli artisti emergenti che incontro lungo la mia via di implacabile censore: aspetto, solitamente, la carne al fuoco che solo un disco di debutto può dare, nell’era in cui tutto e tutti sembrano essersi affidati alla volatilità del singolo; con Aliperti, però, mi sento di fare una delle mie rarissime eccezioni, e a ragion veduta.
Sì, perché il giovanissimo talento (classe 2000, il tempo passa per tutti ma lui è ancora giovane, eccome…) di scuola Formica Dischi (realtà toscana da approfondire: nomi interessanti in roster) è in realtà ad un passo dalla pubblicazione di un disco d’esordio che, ne sono certo, farà parlare di lui; da dove mi deriva tutta questa sicurezza? Beh, basta che diate un ascolto alla già densa discografia del ragazzo: una manciata di brani che rivelano il gusto per un certo tipo di ricerca, di scrittura, di sonorità che fa scorgere un cuore antico tra le pieghe moderne, modernissime del progetto Aliperti.
Non a caso, il titolo del suo nuovo singolo (l’ultimo prima della pubblicazione del disco) non poteva che essere “Vintage”, perché in Aliperti tutto diventa patinato di un velo di nostalgia che fa guardare al passato, impreziosendolo: il brano parte con sonorità compassate, lasciando crescere poco a poco il groove attraverso una sapiente scrittura ritmica del testo, che rotola felicemente verso l’akmé di un ritornello che si fa “mantra”; se il mood del brano ammicca agli Ottanta per scelta di suoni e arrangiamento, nell’anima di Aliperti si scorge una deriva Settanta che fa godere i più “attempati” come me e potrebbe ricordare, ai più giovani, la musica di Giorgio Poi, altro campione della nuova leva cantautorale.
Il brano, poi, sa raccontare un’intimità fatta di ricordi e insicurezze che si mescolano nel sapore dolce della rimembranza, perché una foto venuta male è comunque una traccia indelebile (spesso, l’unica che abbiamo) del nostro passaggio, o del passaggio di person che amiamo e che, talvolta, dobbiamo accettare di perdere: la centralità della fotografia, ribadita anche in questo nuovo brano, si era già fatta avvertire nei singoli precedenti, come “Isola”, dimostrando una certa abitudine in Aliperti alla contaminazione fra linguaggi, all’incontro fra mondi artistici diversi.
Insomma, i presupposti ci sono tutti per continuare a credere che esista musica per la quale valga il tempo di scrivere una recensione, e la pena di leggerla. Ci aggiorniamo presto, perché quel tanto agognato disco d’esordio è oramai alle porte..
Abbiamo ascoltato il nuovo singolo (il primo) di Beatrice Pucci, cantautrice classe ’98 che ha esordito con “Figli”, brano che spicca fra le uscite del weekend riuscendo a farci dimenticare, almeno per il tempo di un fine settimana, la desolazione che ci circonda: no, non è certo uno di quei brani che si lascia “masticare” facilmente (e ben venga!), quindi preparate le “mascelle uditive”; noi, per aiutarvi nel districare i significati del progetto, abbiamo fatto qualche domanda all’artista stessa. Buona lettura!
Beatrice Pucci, oggi esordisci con “Figli”: quanto hai “cullato” questo esordio, e come ti senti oggi, all’alba della tua prima pubblicazione?
Ciao, ho imparato ad essere zen riguardo la pubblicazione e riguardo il fatto che per la prima volta nel mondo esca la mia musica. Si passa molto tempo a ponderare e riflettere ma poi bisogna gettarsi nell’avventura, al momento la vedo in questo modo. “Figli” secondo me ha seguito il giusto iter di crescita, 6-7 mesi.
Ti va di raccontarci un po’ di te? Chi sei, da dove vieni e quando hai cominciato a scrivere canzoni, ad esempio.
Sono Beatrice, in questo momento ho 23 anni, vengo da Civitavecchia, una città che ha il mare di fronte a sé e alle sue spalle colline e boschi. Ho cominciato a scrivere a 14 anni, il motivo esatto non lo so, probabilmente perché le cose nella mente di un’adolescente sono amplificate a un livello incredibile.
E questo brano? C’è qualche aneddoto, qualche “motivo” preciso che ti ha portato a scrivere “Figli”?
L’aneddoto più vivo nella mia mente riguardo il momento in cui ho scritto questa canzone è questo: era l’una di notte e non riuscivo a dormire, non volevo proprio perché sentivo che dovevo fare qualcosa, così faccio quello che fanno tutte le persone che non riescono a dormire… ho guardato la tv ma ho finito per annoiarmi, poi ho preso la chitarra e ho scritto “Figli”.
Nella canzone, sembri alludere alle canzoni e alla musica come unici strumenti capaci di cambiare le cose, o meglio, di resistere al cambiamento e allo sfacelo del tempo. Abbiamo colto nel segno?
Le canzoni sono specchi dell’interiorità di chi ascolta quindi assolutamente sì, c’è del vero!
Tra l’altro, la data decisa per l’uscita del tuo disco “Le colline dell’argento” (prevista per giugno 2022) stupisce per velocità di pubblicazione. Sembra che tu avessi una gran fretta di pubblicare il risultato del tuo lavoro: ti va di spiegarci un po’ come sono state realizzate, e in quali tempi, le registrazioni del tuo disco d’esordio?
Le canzoni sono state scritte e registrate tra marzo e settembre del 2021, ma diciamo che l’idea di una pubblicazione era già in atto dal 2020, anno in cui ho cercato di capire come collegare alcune cose tra loro da un punto di vista tecnico e non solo. Le registrazioni sono avvenute in casa mia, perché è un modo in cui mi trovo a mio agio, senza avere fretta di dover fare tutto velocemente.
Prima di salutarci, prova a consigliarci un film che, a tuo parere, si sposa alla perfezione con l’atmosfera di “Figli”.
Bella storia, quella di Marsali: spalle rese robuste da una frequentazione riuscita di canzoni e ascolti belli, da anni di scrittura e di testi lasciati nel cassetto prima di trovare la via espressiva giusta al fianco di un produttore capace, Nicola Marotta, che ha saputo restituire alle parole di Rebecca la giusta densità emotiva attraverso una “visione” d’insieme che in “Bouganville“, l’EP d’esordio dell’autrice pescarese, si fa sentire eccome.
Nella melina dei cinque brani dell’EP è praticamente impossibile non rimanere invischiati e coinvolti: c’è qualcosa, nelle parole di Marsali, che non può che ricordare i tempi di un’infanzia perduta, di una famigliarità con le piccole cose del quotidiano che sembra essersi sempre più persa tra i rumori di metropoli tentacolari, di strade che non hanno uscita ma solo entrata.
Insomma, nell’Ep di Marsali ci sono motivazioni giuste e sufficienti per fermarsi un attimo, riflettere sul presente e capire quanto ci mancano tante cose che credevamo essere superate, se non addirittura perse, e invece continuano a guardarci dallo spioncino degli anni, ricordandoci che – sotto certi punti di vista – non si cresce mai.
Bentornata su Perindiepoi, Marsali! Allora, partiamo dalle cose importanti: da poco hai pubblicato il tuo disco d’esordio, “Bouganville”. Perché proprio un EP, e non un album?
Ciao Perindiepoi! Beh per un’artista emergente ad oggi è rischioso anche pubblicare un ep, figuriamoci un album, ma ci tenevo che dopo i due primi singoli ci fosse un prodotto più corposo che potesse rappresentarmi nelle varie sfaccettature.
“Bouganville” è un EP che sembra avere un profumo tutto suo: a me, personalmente, ricorda l’odore di lavanda della casa al mare dei miei nonni. Ed effettivamente, ascoltando la title-track, tutti questi elementi emergono e mi fanno pensare che alla fine l’aroma di “Bouganville” sia proprio quello. Che profumo hanno, per te, le bouganville?
Che bello! Sono felice che questo EP t’ispiri un ricordo così intimo.
In verità “le Bouganville fuori alla finestra” (la frase con cui chiudo il disco) sono proprio quelle del giardino di casa di mia nonna e da lì sono partita per costruire tutto l’immaginario del brano e dell’intero disco.
Quant’è durata la gestazione del disco? Hai lavorato singolo per singolo avendo già in testa la forma dell’EP oppure è stato un “cantiere aperto” fino all’ultimo?
In realtà ci abbiamo messo poco ad avere un’idea chiara di quello che sarebbe stato il disco quindi abbiamo lavorato singolo per singolo lavorando a 360 gradi.
Dopo “La versione migliore di noi”, “Booking” ti ha anche regalato la soddisfazione di essere inserita tra i nomi caldi delle playlist editoriali Spotify. Insomma, la risposta alla domanda “si può essere indipendenti ed essere notati dagli addetti al settore” sembra essere sì, con te! Qual’è l’ingrediente segreto, secondo te, della riuscita di un progetto indipendente?
Forse non c’è una formula precisa ma credo che l’autenticità e la credibilità di un progetto siano buoni punti di partenza per aspirare ad un viaggio che duri nel tempo.
“Smarties” è forse il singolo più efficace dell’intero disco, con una spiccata propensione al racconto di un’intimità che ha radici profonde. La tua idea di pop, in effetti, rimane molto legata ad un’introspezione e ad una leggerezza che non cede alla superficialità. Ecco: cosa c’è nel pop di Marsali?
Hai detto bene, per me il pop è tutt’altro che banalità, anzi, è un genere che permette con semplicità ma in modo decisivo di comunicare dei messaggi con linguaggi universali. Nel mio pop vorrei che ci fosse sempre questo: una storia che si fa ricordare.
Domande defaticanti: associa ogni brano di “Bouganville” ad un cibo!
La versione migliore di noi – Spaghetti al pomodoro
Booking – Pop corn
Smarties – Gelato al pistacchio
Non parlo più – Patatine fritte
Bouganville – Cioccolata calda
E se invece dovessi dirci chi vincerà Sanremo nel 2030? Puoi rispondere, ovviamente, “Marsali”!