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Intervista Rap

Animali notturni contro la monotonia. L’intervista ai DFWU

“Dedicato alla Luna” è il nuovo EP manifesto dei DFWU, piena espressione della loro libertà creativa. In occasione dell’uscita di questo esordio abbiamo fatto qualche domanda alla band.

Artwork: Martina Platone

  • Il vostro EP “Dedicato alla Luna” sembra un canto rivolto verso una musa ispiratrice, capace di essere al contempo stimolo artistico e meta inarrivabile. Cosa vi ha portato a trovare nella luna e nell’atmosfera notturna l’ispirazione per questo progetto?
    “Dedicato alla Luna” è dedicato a una compagna di camminate, una presenza costante nel nostro progetto e in noi come persone. È la luce nel buio che illumina il percorso verso lo studio dopo essere usciti dal lavoro, insomma una linea guida che porta in posti migliori. Siamo tendenzialmente animali notturni, quindi la notte è il momento in cui riusciamo a lavorare meglio, quel periodo di tempo in cui tutto quello che viviamo nell’arco della giornata si quieta e finalmente riusciamo a dare spazio a noi stessi e alle nostre creazioni.
  • In “Cronico” avete collaborato con Moder, leggenda del rap underground romagnolo e italiano. Come è nata la collaborazione e quali sono state le sensazioni di confrontarsi artisticamente con lui?
    La collaborazione con Moder è nata quando ci ha invitato a suonare nel suo locale Cisim di Lido Adriano, ormai un’istituzione per quanto riguarda musica live e hip hop in generale all’interno del nostro territorio. Abbiamo chiesto se si potesse incastrare una data e così è stato. Siamo entrati subito in buon rapporto. Prima di sentirci, quando abbiamo messo giù “Cronico”, avevamo una strofa su cui fare un feat con qualcuno. Siccome, a nostro parere, è la traccia all’interno dell’EP che più richiama l’hip hop vero e proprio, abbiamo pensato che Moder sarebbe stato l’artista giusto per valorizzare la strofa, e infatti è andata proprio così. Una bomba, pathos, workflow fortissimo e rime taglienti nel suo stile. Non potevamo chiedere di meglio, sia umanamente che artisticamente.
  • Al di là degli incastri e dei tecnicismi, il vostro rap appare contaminato da una fortissima componente strumentale, dovuta ovviamente alla natura collettiva della vostra formazione. Quanto conta nella vostra ricerca artistica l’approccio “analogico” al suono?
    Siamo molto felici di questa domanda perché amiamo parlare della nostra strumentazione, specialmente dell’equipaggiamento vintage, che usiamo per rendere ogni brano unico. Come avete notato, i suoni analogici sono parte integrante di ogni nostra produzione perché partiamo sempre da lì, cercando il massimo confronto con lo strumento. La ricerca del suono più adatto è un’esperienza che pochi apprezzano al giorno d’oggi, con librerie di plug-in e VST che, con qualche click, suonano perfettamente. Capiamo che molti preferiscano il digitale perché è più economico e semplice, ma noi siamo tra quelli che amano ancora girare manopole, sentire ronzii e smontare e rimontare strumenti per farli funzionare. Tuttavia, usiamo anche il digitale per migliorare l’ analogico quando necessario. Il nostro obiettivo è mescolare sapientemente strumenti old school e tecnologie moderne, per creare un suono nuovo con una base tradizionale.

  • Fra le vostre ispirazioni citate i Sangue Misto e Robert Glasper, in qualche modo icone dell’old school della cultura rap. Come riportate questi riferimenti così importanti all’interno della vostra scrittura?
    Questa risposta la divideremo in due parti, proprio perché con la domanda siete riusciti a racchiudere da una parte la scrittura testuale e dall’altra la scrittura musicale. Partiamo dai primi citati: di sicuro il riferimento e gli spunti presi dai Sangue Misto derivano soprattutto dal loro album iconico “SXM”, da canzoni come “Lo straniero”, “Cani sciolti” o “Clima di tensione”, brani in cui gli artisti hanno caratterizzato il loro dissenso, il loro “rigurgito sociale” e la resistenza a uno stato repressivo come quello dei fine anni ’90. Questo in particolare ci ricongiunge molto alle sensazioni e a quello che viviamo noi oggi, per questo in molti casi capita che nei testi Rampa riporti le stesse sensazioni. Arriviamo così a un altro riferimento importantissimo per noi, Robert Glasper. Con album come “Dinner Party” con Terrace Martin e Kamasi Washington, “Black Radio” o album in collaborazione come “Drones”, ha rivoluzionato e portato su un altro livello il nostro modo di suonare e approcciarci alla musica. La nostra ispirazione parte da lui perché ha ripreso quel concetto di jazz che Miles Davis proponeva all’interno dei suoi ultimi album, quel concetto da cui hanno iniziato negli anni ’80 i primi DJ hip hop a tagliare sample e fare i primi loop. Riportando in live quelle vibes ma con una nuova essenza: pasta vecchia, suono nuovo!
  • Avete descritto questo EP come “un manifesto di ribellione e autenticità musicale”. Il vedere la musica come strumento di ribellione non è un concetto nuovo, ma ad oggi da cosa vi sembra che serva liberarsi?
    Rispondiamo a questa domanda partendo dal nostro nome, D.F.W.U., che è già un urlo di per sé. È una manifestazione di ribellione contro la monotonia di una vita che prova a schiacciarti ogni giorno. È presente in ogni sfida, in ogni momento difficile, in ogni sistema corrotto e schifoso che vuole farti abbassare la testa o convincerti che la vita non può essere vissuta come la vuoi vivere tu. Don’t fuck with us è un promemoria per noi stessi e per gli altri che nulla può intaccare la nostra determinazione. È quell’esclamazione che dovresti avere ogni volta che ti rialzi. Per noi, Don’t fuck with us è una filosofia: avere dei diritti, impegnarsi per creare la vita che desideri e non accettare passivamente ciò che non vuoi. Quando ti arrendi e accetti le imposizioni, è lì che ti hanno fregato.

BIO
Don’t Fuck With Us è un’odissea sonora nata durante la quarantena, quando il trio Rampa, Mattia e Anton inizia a sperimentare con synth, loop e prime rime. Fondendo hip-hop, jazz e funk, ispirati da Sangue Misto e Robert Glasper, creano una sinfonia urbana. Sul palco, Daniel alla batteria e Lorenzo al basso amplificano l’esperienza, mentre Marco al piano aggiunge una nuova dimensione al sound.
DFWU incarna l’energia e la diversità della scena musicale romagnola.

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Fonte: Costello’s Agency

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Comunicato stampa Elettronica

Gli occhi possono comunicare, ma la voce di Giulia Impache non smette mai di incantare

“Occhi” è il nuovo singolo di Giulia Impache, uscito venerdì 22 novembre 2024. Ci sono certe compositrici per le quali la sperimentazione è il primo motore, ciò che le spinge a creare. Giulia è una di queste. Vi sfido a trovare un’artista della scena alternativa italiana che miscela con tale maestria glitch e suggestioni ambient a reminiscenze di musica medievale. Il risultato è incredibile.

Foto: Luce Berta
Styling: Sarah Podestani

Queste le parole con le quali l’artista presenta la canzone:
«”Occhi” è il brano con cui mi sono avvicinata alla musica antica e medievale.
L’ho scelto come singolo perché è un nuovo capitolo del mio percorso musicale, il tentativo che prova a conciliare tutti quelli che sono i miei ascolti.
Abbiamo passato un periodo della nostra vita in cui erano solo gli occhi a parlare. Gli occhi cambiano, patiscono in silenzio, gli stessi occhi che io ho voluto.»

Puoi ascoltare il brano qui:

BIO
Giulia Impache è una cantante e compositrice italiana. Il suo suono e la sua ricerca musicale esplorano la voce in relazione al corpo su un piano tecnico ed emotivo. Si tiene lontana da etichette e generi, cercando di mantenere la sua natura ibrida, data dalla miscela di influenze che vanno dalla musica antica al folk e dall’ambient all’elettronica “spaziale”. Aperta all’ascolto, è stata in grado di plasmare una miscela stilistica e sonora che coinvolge la voce come strumento per creare suoni avvolgenti, eterei e oscuri.
La sua ricerca mira anche a rompere il legame canonico con le parole. Sperimentando con le sonorità, si trova a parlare nuovi linguaggi basati sulla connotazione, sul fonema libero da qualsiasi legame concettuale predefinito, lo stesso impasto emotivo ed evocativo che un suono può portare.

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Fonte: Costello’s Records

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Elettronica Intervista

Rievocare la sensazione di un luogo attraverso il suono. L’intervista a Marco Scipione

Abbiamo fatto qualche domanda al sassofonista Marco Scipione, fresco dello sperimentale disco d’esordio solista, per il quale ha avuto la percezione di essere “disperso in una foresta dove volevo andare da tempo”.

Artwork: Pietro Bonaiti

  • Dopo aver già pubblicato musica con i DANG!, la tua band post punk hardcore, “H(ost)” rappresenta il tuo vero e proprio debutto solista: che sensazione è aver rilasciato un progetto totalmente personale?
    Il lavoro compositivo con i DANG! è una palestra dove tutti portano idee e guidati dalla risolutezza del trio si arriva sempre ad una soluzione in modo molto efficiente. Invece, lavorare su un progetto originale in solo, da la sensazione di essere dispersi in una foresta. Se hai i mezzi e le capacità, puoi procacciarti cibo, acqua e costruire a mani nude una capanna, ma devi prendere delle decisioni. Devi seguire una direzione in un sentiero senza segnali e tirare dritto nella speranza di trovare degli indizi che ti suggeriscano cosa potrai trovare al prossimo checkpoint del tuo cammino. Al momento comincio a trovarmi bene in questa foresta e sto cercando di trarre ispirazione il più possibile da essa anche perché ci sono andato volontariamente e volevo farlo da tempo. Non è il primo disco di originali della mia vita (anzi…) ma è il primo in solo e sono molto emozionato anche solo ad immaginarne una sua evoluzione. Ovviamente averlo pubblicato è meraviglioso e mi sono tolto un gran peso dalle spalle che ora si stanno appesantendo nuovamente per il suo seguito.
  • Già dal titolo, il tuo disco esprime l’intenzione di unire generi e suggestioni diverse tra loro, dalla colonna sonora all’ambient, dal jazz alle influenze elettroniche, l’album include uno spettro di riferimenti poliedrico e sfaccettato. Qual è il filo rosso della tua ricerca sonora, al di là dell’utilizzo del sassofono?
    Penso siano i miei viaggi e la ricerca ossessiva di descriverla a suoni, non a melodie, come si potrebbe pensare da un sassofonista. Con suono intendo, texture sonora che rievoca in me la sensazione di un luogo. Ad esempio “Morning Mist” è la rappresentazione sonora delle mie passeggiate all’alba con il mio cane (Sergio) immersi nella nebbia più fitta, molto spesso al buio. Il telefono non squilla, si è in totale solitudine, al freddo, si ha la possibilità di pensare molto e per noi artisti è una cosa molto importante.
  • La stessa volontà di pubblicare un album dominato dal suono del sassofono può rappresentare un azzardo all’interno di un panorama musicale che esclude quasi totalmente la musica strumentale. Ciononostante, il tuo approccio artistico e sperimentale riesce a includere elementi pop che intrattengono e catturano l’ascoltatore; come riesci ad elaborare uno stile capace di non risultare eccessivamente virtuosistico?
    Semplicemente non ci penso, non mi sono mai posto il problema. “H(ost)” è quello che ero al momento della sua composizione senza nessun filtro, pensando solo ad esternare la semplice voglia di creare e cercare. Ovviamente è un disco che comprende una summa delle mie esperienze musicali, quindi anche il pop da cui ho appreso molto.

  • Oltre all’ampia varietà di generi toccati da “H(ost)”, dichiari di esserti ispirato a una gamma di prodotti culturali davvero ampia, dalla musica dei Radiohead ai videogiochi e alla cultura cinematografica. Come trasformi questo complesso background culturale in musica?
    Come un jazzista parla il suo linguaggio e affonda le mani nella tradizione senza pensarci attivamente, grazie al mio “Sassofono Modificato” ho la possibilità di esprimermi in 4 dimensioni e creare senza nessun tipo di filtro. I videogame, i manga, le colonne sonore, il rock, il death, i viaggi durante i tour, sono già parte di quello che sono perciò, nel momento esatto in cui mi esprimo, queste cose riaffiorano naturalmente, senza che io debba sforzarmi per farlo.
  • Al di là della tua attività di musicista dal vivo e session man, con questo progetto hai avuto la possibilità di esprimere a pieno il lato più intimo e personale della tua riflessione artistica. Che sensazioni vorresti trasmettere attraverso il suono di “H(ost)”?
    La prima cosa di cui mi preoccupo quando riascolto il brano che ho appena registrato è se riesce a trasmettere il “colore” che ho in mente a me stesso. Devo sentire lo stomaco che si stringe in una leggera sofferenza, allora capisco che la direzione è giusta. Penso che ognuno di noi elabori la realtà in maniera differente e di conseguenza anche le emozioni che si provano ascoltando musica. Spero di trasmettere, anche solo in parte, quello che provo durante la composizione ripensando ai miei viaggi e alle mie esperienze nell’intimità del mio studio.

BIO
Marco Scipione è un sassofonista italiano considerato uno dei nomi più rilevanti della scena emergente. Sassofonista anomalo, virtuoso nel jazz e nella fusion ma con un solido background nel rock e nel metal, è uno dei principali utilizzatori di effetti sul suo strumento che distorce e modifica ispirandosi a Kurt Cobain, ai riff di Tom Morello e alle suggestioni sonore eteree dei Radiohead. Un approccio che esprime a pieno nel suo trio post punk hardcore DANG!
La passione per le colonne sonore, la musica di ricerca, i videogames hanno spinto Marco a continue esplorazioni sonore, maturate in diversi progetti e concerti in solo.
L’anima rock e quella sperimentale si chiudono in un perfetto ed eterogeneo triangolo musicale con la sua attività di session man che lo vedono girare il mondo assieme ad alcuni dei più autorevoli artisti pop e jazz italiani (Eros Ramazzotti, Mario Biondi, Tommaso Paradiso).
“H(ost)” è il debutto di Marco Scipione come solista. Registrato al Bunker Studio di Brooklyn è un disco di solo sax, senza sovraincisioni o loop.

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Fonte: Costello’s Agency

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Indie Intervista Pop

Come un album di fotografie. L’intervista a Jacopo Gobber

Il lungo viaggio delle canzoni perdute di Jacopo Gobber le ha portate a confluire nella mega raccolta antologica “20 anni di manicaretti” (18.10.2024, Labellascheggia). Abbiamo colto l’occasione per fare qualche domande al cantautore veronese.

Artwork: Sara Vivian

  • “Vent’anni di manicaretti” ha una storia particolare, perché è un disco in cui hai scelto di raccogliere brani provenienti da diversi momenti della tua carriera, donando loro unità e distribuendoli per la prima volta tramite i circuiti ufficiali. Come mai hai preso questa decisione, a vent’anni di distanza dai primi pezzi?
    Il primo motivo è personale: volevo come per un album di fotografie, mettere in ordine le foto e catalogarle, così per poterle riguardare quando avrò 80 anni e fumerò la pipa sulla poltrona. Il secondo motivo è quello di poter dare la possibilità anche ad altri di ascoltare queste canzoni, “pisciarsi sulle scarpe” ad esempio potrebbe essere il classico brano che fischietta un serial killer prima di commettere un massacro.
  • La decisione di creare un album ha portato con sé la necessità di dargli una copertina ed una rappresentazione estetica; hai affidato la cover a Sara Vivan, che ha creato per te un artwork stracolmo di colori e affollato da figure di animali che sembrano nascondere una qualche simbologia; tu che interpretazione dai a questa immagine?
    Domenico dell’etichetta Labellascheggia, che cerca sempre di associare alla musica che distribuiscono il lavoro di un grafico coerente, mi ha proposto delle immagini già pronte di Sara Vivan, quindi la copertina non è stata fatta propriamente per l’album ma è un disegno di Sara fatto in totale libertà. Siccome io mi immaginavo come copertina un negozio con sopra una targhetta storica tipo “indie dal 2003, 20 anni di manicaretti” come fanno le attività storiche, chessò “pizza fatta con antica farina dei Sumeri direttamente dalla Mesopotamia”. In quell’immagine di Sara mi sono rivisto io come cameriere in un bar artigianale che serve robe strane a clienti particolari (tucani, giraffe, elefanti), e mi sembrava adatta allo scopo.
  • Oltre al suo spirito collettivo, l’album è segnato da un elemento non trascurabile, ovvero quello della sua lunghezza. In un’epoca in cui il singolo ha preso il sopravvento sul concetto di disco, decidere di pubblicare un lavoro che si avvicina all’ora di durata rischia – purtroppo – di diventare controproducente. Secondo te, è ancora possibile comporre un disco capace di intrattenere un pubblico sempre più abituato a progetti mordi e fuggi?
    Uno potrebbe essere appassionato di macchine da scrivere: conoscere tutti gli inchiostri, i vari metalli con i quali le producono, e riconoscere, solo sentendo il battito dei tasti la marca e il modello della macchina. Probabilmente sarebbe controproducente dato che oggi quasi nessuno è interessato alle macchine da scrivere ma se vai ad ascoltare questa persona, lui può portarti nel suo mondo e raccontarti tutti gli aneddoti sulle macchine da scrivere. È una persona ricchissima dunque, anche se commercialmente potrebbe essere povera. Io voglio sempre fare musica per la quale non mi debba vergognare e questo si scontra spesso con le esigenze di mercato. Cosa resterà di questi progetti mordi e fuggi tra 50 anni? A questo punto è meglio che i miei parenti stretti, tipo i pronipoti, non si debbano vergognare del bisnonno quando ascolteranno la mia musica, se lo faranno.

  • L’aver raccolto brani provenienti da epoche diverse della tua carriera fa sì che l’album risulti essere una mescolanza di stili e atteggiamenti diversi fra loro. Si notano quindi brani maggiormente leggeri e altri che richiedono una maggiore analisi: ascoltando l’album e tornando a rapportarti con il te stesso del passato, come ti rapporti a questa duplicità?
    Nella raccolta ho cercato di non mettere doppioni, ma di far vedere un po’ tutti i “colori” che mi uscivano fuori quando componevo musica pop, ma in realtà anche i 3 album dai quali vengono fuori quelle canzoni erano così, liberi, con momenti più divertenti e momenti più riflessivi. Anche quei 3 album sembrano delle raccolte, mi piace mescolare gli elementi e vedere cosa viene fuori, se un esperimento l’ho già fatto e so già cosa viene fuori, non mi interessa ripeterlo. Anche se è musica che ho fatto perché sia “easy listening”, pop, comunicativa, è, nello stesso tempo, musica sperimentale.
  • A vent’anni dall’inizio della tua carriera, con questo album hai messo una sorta di punto fermo su questa parte del tuo percorso. Come pensi che saranno i prossimi vent’anni della tua vita artistica?
    Oltre a questo percorso nella musica pop, ho fatto delle cose sempre matte ma più giovani tipo hyperpop con il progetto “Giostre”, e cose sempre matte ma più da vecchi col progetto di elettronica sperimentale e free jazz “CK722”. Nei prossimi anni, come al solito, mi piacerebbe rimescolare le carte in tavola e vedere cosa succede cercando di fare un hyperpop con un po’ di jazz e con dei testi surreali, così da fare un ampio featuring: Jacopo Gobber feat. Giostre feat. CK722. Viva l’autoerotismo!

BIO
Jacopo Gobber è un cantautore che dal 2004 compone in totale libertà e autonomia un art pop psichedelico con arrangiamenti massimalisti. Le sue produzioni sono artigianali e bitorzolute ma grazie alle melodie easy listening e ai ritornelli scritti come degli slogan, diventano in qualche modo comunicative.

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Fonte: Costello’s Agency

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Elettronica Intervista Pop

La musica elettronica è jazz. L’intervista a Giovanni Milani

Abbiamo seguito da vicino il recente percorso artistico di Giovanni Milani e siamo rimasti colpiti dal suo modo di sperimentare. Non potevamo quindi non fargli qualche domanda sul suo ultimo lavoro e sul futuro del progetto.

Artwork: Alberto Zampano

  • La copertina di “Fotografia N.2” ti ritrae mentre uccidi metaforicamente un’altra versione di te. Da dove nasce questa scelta, e come mai hai deciso di veicolare questa idea in maniera così diretta già dalla copertina?
    Il gesto di puntarmi una pistola alla testa è un’immagine che purtroppo non mi libera da qualche anno, e in qualche modo la copertina vuole anche esorcizzare quest’azione, poiché in questo caso l’atto di uccidermi significa anche rinascere.
  • Compositore, sassofonista e cantautore: sei un artista in costante cambiamento, e ascoltando questo disco è chiaro come tu abbia provato a unire tutte le tue anime traendone un progetto coeso ed unitario. Credi di esserci riuscito, o pensi di essere ancora immerso nel processo di sperimentazione?
    No, non credo di esserci riuscito, credo sia solo l’inizio di un processo molto lungo. Ciò non toglie il fatto che sono soddisfatto del mio lavoro.
  • Oltre ai riferimenti musicali provenienti dalla tua formazione, tra cui il jazz e il conseguente utilizzo del sassofono, hai deciso di integrare nell’album anche delle componenti apparentemente estranee, come il pop e l’elettronica. Per quale motivo hai deciso di affrontare questa sfida cercando di trovare un punto di congiunzione fra elementi così apparentemente diversi?
    Perché a mio avviso non sono affatto diversi, in particolare jazz e musica elettronica. Jazz è avanguardia, non è Swing, non è Cool, non è Bebop, è un movimento costante e a mio avviso la musica elettronica a livello concettuale è Jazz. Poi chiaramente ascoltando generi riconosco che ognuno di essi ha delle caratteristiche particolari che ho voluto unire nell’intento di creare una mia estetica personale.

  • Un’altra sfida che hai lanciato, questa volta nei confronti del mercato musicale attuale, è stata quella di inserire delle vere e proprie pause strumentali all’interno della tracklist del disco. Credi in qualche modo nella possibilità di educare il pubblico anche a generi musicali, come il jazz, spesso lasciati da parte o ritenuti eccessivamente “intellettuali”?
    Sì è proprio così, credo che sia importante educare gli ascoltatori e essere consapevoli che ciò che facciamo è destinato a loro.
  • Scegliendo un titolo come “Fotografia N.2” hai voluto in qualche modo superare la versione precedente di te stesso e avviare un nuovo capitolo del tuo percorso. Come credi che sarà il prossimo Giovanni?
    Il prossimo Giovanni sarà musicalmente più duro, molto più elettronico e scuro, più moderno nella scelta dei suoni e nelle ispirazioni.

BIO
Compositore, sassofonista e cantante mugellano, Giovanni Milani si propone di creare una musica che unisca il suo vissuto musicale: il jazz nell’ambito accademico, il pop nella vita quotidiana e l’elettronica nella vita notturna. Un suono che scalda ma non brucia.

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Indie Intervista Pop

La rinascita alla fine della nebbia. L’intervista a Satellite

Con l’EP d’esordio “Mare di Nebbia” Satellite ha espresso un modo raro e profondo di esplorare le proprie emozioni. L’abbiamo intervistato su questa e altre tematiche legate al suo songwriting.

Artwork e foto: Marco Pellegatta

  • Il tuo primo EP, “Mare di nebbia”, è riempito di un pop etereo che trasfigura il percorso di qualcuno che cerca la propria strada nel mondo. A che punto ti senti nel tuo percorso? Quanto conta il passo compiuto con questo progetto?
    Mi sento appena all’inizio del mio percorso. Questo primo passo conta moltissimo per me poiché mi ci è voluto molto coraggio per uscire allo scoperto, presentare alle persone la mia visione e la mia intimità. E sappiamo come esporsi, anche al giudizio, possa essere complicato.
  • I tuoi brani fondono una scrittura pop a suggestioni variegate, dall’elettronica all’alternative, sfociando anche in momenti ambient e tesi verso il classico. Come si uniforma questa schiera di sperimentazioni nei tuoi brani?
    Nella composizione seguo sempre ciecamente quello che ho in testa e ciò che voglio esprimere. Se si è coerenti e sinceri nella scrittura le proprie influenze e i propri gusti si uniformano da soli proprio perché messi all’interno di una linea chiara e definita. Cerco di essere sempre sincero, nel bene e nel male.
  • A livello testuale, le tue canzoni vanno spesso a cercare un lato emotivo e personale all’interno del quale ti riveli nella tua intimità. Quali sensazioni vorresti lasciare a chi ti ascolta, e quale messaggio ti piacerebbe che venisse recepito?
    Vorrei che chiunque ascolti si possa immedesimare nel mio racconto o in qualche immagine. Che possa riconoscersi. Capire che c’è qualcun’altro che sente ciò che lui sente. Credo che questo sia fondamentale. Non ci fa sentire piú soli, ci fonde con la musica.

  • Delle tue canzoni dici che nascono dalla tua realtà personale, ma anche che per scriverle è necessario porre davanti ai tuoi occhi un filtro fatto di emozioni e colori; da dove nasce la necessità di prendere in qualche modo le distanze da ciò che ti circonda?
    Non è una decisione che prendo in partenza. Questo “filtro” mi consente di vedere le cose da un lato differente. Spesso riusciamo a capire molte cose di noi stessi e della nostra vita cambiando il punto di vista o guardandole da un’altra prospettiva e anche io faccio questo grazie a questo “filtro”. Quindi direi che non prendo le distanze da ciò che mi circonda ma cambio il punto di osservazione. Forse entrando ancora piú a fondo dentro i miei ricordi e le sensazioni.
  • Un’altra cosa che rimane impressa durante l’ascolto dell’EP è l’alternarsi di immagini sfuggenti e piccoli dettagli che si susseguono nel corso delle canzoni e che contribuiscono in qualche modo a raccontare una storia che si evolve. Che cosa c’è in fondo, oltre il mare di nebbia?
    I brani dell’EP raccontano senza dubbio una storia, non tanto perché accomunati da una trama comune ma in quanto ogni brano rispecchia ognuno un periodo della mia vita nel corso di tre anni. Infatti ho ordinato i brani in ordine cronologico di scrittura. Direi che alla fine della nebbia vi è una distruzione e una rinascita. Una visione piú limpida verso una strada nuova. È come se avessi finalmente rotto una barriera che avevo costruito intorno a me. Adesso dovrò andare sempre avanti senza piú guardarmi indietro.

BIO
Giacomo Maria Colombo, in arte Satellite, è un cantautore nato a Milano nel 1998. Con il suo progetto solista intende parlare al lato intimo dell’animo umano, toccando le corde dell’emozione quando ci sentiamo vulnerabili. I suoi brani parlano a coloro che si sentono soli, abbandonati e che desiderano scappare. Satellite vuole offrire un rifugio emotivo attraverso la sincerità della sua musica.

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Fonte: Costello’s Agency

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Comunicato stampa Post-Punk

I paladini della new wave adriatica. Ascolta il nuovo singolo delle Risorse Umane

“GRUPPI D’ASCOLTO per persone silenziose” è il nuovo singolo delle Risorse Umane, uscito martedì 5 novembre 2024 via Notturno Dischi. La band, germogliata sull’asse che collega Ancona a Milano, pubblica un pezzo torbido dal potere evocativo, che picchia duro e lascia attoniti.

Foto: Risorse Umane

Queste le parole con le quali il trio presenta la canzone:
«“Ci sono cose che possono succedere solo quando ci si annoia, in una tarda sera di novembre, in una grande città. Partecipare a un gruppo d’ascolto in una palestra degli anni 80 è una di queste cose, ma sicuramente, non è la più strana.»

Puoi ascoltare il brano qui:

BIO
“Ci duole rimarcare come la posizione di responsabile del Dipartimento F4 sia vacante da qualche mese.
Durante la conseguente autogestione, le Risorse Umane del suddetto dipartimento hanno di fatto prevaricato i ruoli a loro assegnati contravvenendo alle linee guida aziendali e formando un trio PP/NW.
L’azienda sta attualmente prendendo provvedimenti.”

Le Risorse Umane sono una band post punk / new wave nata sulla direttrice che divide le due grandi metropoli italiane di Milano ed Ancona.
Al momento in numero di tre, i membri del gruppo si sono incontrati all’inizio degli anni 20 seguendo certe rotte in diagonale.
80, 90, 00 sono le decadi di riferimento da cui le risorse attingono a piene mani per creare il loro immaginario sonoro.

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Comunicato stampa

“Dottoressa” è il nuovo singolo di Stefano Groppo, un brano intimo e profondo.

“Dottoressa” è il nuovo singolo di Stefano Groppo, uscito venerdì 8 novembre 2024. Il cantautore ventitreenne di Torino affonda le proprie radici nell’indie folk e nel folk pop e pubblica un brano intimo e profondo con cui inaugura la sua collaborazione con Costello’s Agency.

Foto: Stefano Sciuto

Queste le parole con cui l’artista presenta la canzone:
«Con evidenti ispirazioni dal mondo indie folk, il brano Dottoressa riproduce un dialogo tra una psicologa e un suo paziente offrendo uno sguardo concreto su quanto possa essere disorientante urtare contro i dubbi e le domande che più ci spaventano. Ci vuole tanto coraggio per credere che sia possibile uscire da una sofferenza che siamo convinti di meritare e occorre sognare che un giorno sapremo sentirci in diritto di stare bene, proprio come tutti gli altri.»

Puoi ascoltare il brano qui:

Stefano Groppo è un cantautore ventitreenne di Torino. Il suo progetto artistico nasce nella primavera 2021 ed affonda le proprie radici nell’indie folk e nel folk pop, trovando grande ispirazione in artisti come Bon Iver, Phoebe Bridgers, Novo Amor e Noah Kahan. Questa pulsione verso la musica acustica incontra il desiderio di esplorare sonorità elettroniche tipiche del dream pop e del cinematic pop. L’inclinazione verso un sound etereo e fluttuante scaturisce dalla necessità di trovare e restituire un senso di quiete e di creare spazi ampi, sconfinati, in cui immergersi liberi di indossare tutte le proprie fragilità.

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Comunicato stampa Indie rock

L’urlo di Adult Matters

“Eating Disorder” è il nuovo singolo di Adult Matters, uscito venerdì 8 novembre 2024 via Costello’s Records / Wires Records. Pregevoli chitarre 90s sostengono lyrics colme di franchezza e genuinità, rendendo questa traccia preziosa e commovente. Il nuovo percorso del cantautore che ama l’indie rock a stelle e strisce promette grande musica.

Foto: Simona Catalani

Queste le parole con le quali l’artista presenta la canzone:
«“Eating Disorder” è il primo singolo estratto da “A Modern Witch”. Un brano in pieno stile indie rock anni 90 con un testo sincero e profondo che arriva dritto all’ascoltatore. Luigi racconta dei suoi disturbi alimentari con cui convive da tantissimi anni in un modo talmente viscerale che sembra di entrare dentro la sua testa. Racconta il suo desiderio di essere spezzato e frantumato dagli uomini che incontra, il desiderio di divorare sentimenti e relazioni e la necessità di distruggere tutto.
L’artista ci tiene a precisare che questo brano è stato scritto durante un periodo particolarmente duro della sua vita: “ho fatto i conti con il non avere avuto un’adolescenza normale, con il mio disturbo alimentare e con il mio disturbo ossessivo compulsivo. Ora finalmente so chi sono, cosa voglio e quindi ora capisco quando è il momento di scappare. Non voglio più sentirmi in quel modo”.»

Puoi ascoltare il brano qui:

BIO
Adult Matters è il progetto solista di Luigi Bussotti.
Chitarre 90’s, testi onesti e brutali. La sua musica è il diario segreto di una persona queer non binaria.
Luigi cresce con l’indie rock degli anni ’90, Elliott Smith e le cantautrici americane, influenze che segnano profondamente il suo percorso artistico e gli offrono la possibilità di comunicare le proprie emozioni senza filtri. Inizia a scrivere fin da piccolissimo per scappare dalla realtà di provincia, e successivamente si dedica allo studio della chitarra da autodidatta (“ho imparato a suonare la chitarra guardando i live delle mie band preferite su KEXP”).
Nel 2016 registra il suo primo album “Endings” in un home studio. Questo disco, che porta in giro per l’Italia in power trio, gli permette di ritagliarsi un piccolo spazio nella scena bedroom-pop italiana. Nel 2021 esce “Flare Up”, il suo secondo disco, un lavoro di natura lo-fi che suona ininterrottamente in tour per 2 anni con oltre 50 date italiane.
II 21 febbraio 2025 è in uscita il suo terzo disco, pubblicato da Wires Records e Costello’s Records, registrato e suonato al VDSS studio insieme ad un team di musicisti: Anton Sconosciuto, Cecilia Pellegrini, Konstantin Gukov Borisovich, Adele Altro, Beatrice Miniaci e Marcello Rotondella.

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Fonte: Costello’s Records

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Comunicato stampa Pop

Tenete d’occhio Anna Nata

“Mattoni rossi” è il nuovo EP di Anna Nata, uscito venerdì 1 novembre 2024. Un debutto discografico ragguardevole, fotografia accurata e sincera del breakup, quel momento intenso che chiunque, prima o poi, si trova ad affrontare. La chitarra è la prima attrice del disco, essenziale mezzo espressivo della cantautrice.

Foto: Andrea Franchino

Queste le parole con le quali la cantautrice presenta il disco:
«Mattoni rossi è una storia d’amore. E sono due temi diversi: la storia, e l’amore. L’amore è ovviamente il tema principale: un sentimento intensissimo, capace di dare significato agli oggetti del mondo, e alla vita stessa. La storia è quella che è necessario ri-costruire per restituire un senso a tutte le cose quando l’amore finisce, e lascia il mondo frammentato come uno specchio rotto. Le voci del racconto sono due: quella dell’autrice, e quella della chitarra – o meglio delle chitarre: acustica, elettrica e classica, protagoniste indiscusse degli arrangiamenti.Ogni brano dell’EP racconta un episodio chiave della storia d’amore. Prima, come nasce, un po’ per caso, senza aspettative, come gli amori nascono; e come esplode, trasformandosi immediatamente in una specie di profezia. In Pisa di notte, la chitarra classica, i cori armonici, le percussioni accennate dei ritornelli raccontano la meraviglia di un incontro inatteso, che sembra aprire un nuovo mondo nella città dopo il temporale. In Voglio vederti, un brano più veloce ed energico, la trepidazione e poi l’euforia dell’amore che conflagra è rappresentata dai colpi dei tom nel pre-chorus, che esplodono nell’apertura dei ritornelli, e nel finale.Altri due brani, la title track Mattoni rossi e Le voci, raccontano l’amore dal volto nero, quello della separazione disperata e piena di rabbia. Mattoni rossi è la prima reazione, certamente triste, ma ancora energica, infuriata. La chitarra acustica detta un ritmo incalzante sin dall’inizio; alla fine del ritornello, il brano si apre con l’entrata della batteria; infine, il brano si chiude con un riff di chitarra elettrica ed una voce arrabbiata ed incredula. Le voci è l’altro volto della tristezza, quello malinconico e stanco. È il brano in cui l’artista si mostra più vulnerabile, descrivendo i suoi ricordi in modo lucido e crudo, accompagnata dall’arpeggio dolcissimo e sconsolato della chitarra acustica, dagli archi, e da una linea di pianoforte leggermente dissonante – e in perfetta armonia emotiva.Infine, Sette mesi, che è un po’ il cuore e la sintesi di tutto l’EP, rappresenta il ritorno e la presa di coscienza amara della natura labirintica dell’amore. Anche qui, l’arrangiamento lascia grande spazio alla voce e all’arpeggio di chitarra, che alternano in sintonia note di dolcezza euforica a momenti di consapevolezza amara e rassegnata.»

Puoi ascoltare l’EP qui:

BIO
Anna Nata è una cantautrice pugliese di stanza a Milano. Inizia a studia chitarra e canto da giovanissima e comincia a comporre poco dopo. Dal 2022 decide di trasformare la vocazione per la scrittura in un vero progetto artistico.
Il suo EP di debutto è Mattoni Rossi, coprodotto insieme al musicista Angelo Brillante.

Per Anna, scrivere è una necessità più che un desiderio. Raccontare restituisce senso agli eventi – dolorosi, o anche solo dolorosamente intensi – che colpiscono con la casualità del fulmine, lasciando dietro di sé un barbaglio di luce e un’eco di tuono.
Narrare è trasformare il rumore in musica: come tale, il ricordo può ancora recare meraviglia senza generare sgomento. La chitarra – acustica soprattutto, ma non solo – è la grande protagonista degli arrangiamenti. Lo strumento è attento interprete delle sottili traiettorie emotive dei brani: in sintonia perfetta con la voce calda dell’autrice, oscilla tra la delicatezza nostalgica dell’acqua che si ritira, e lo schiaffo dirompente dell’onda sullo scoglio.

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Fonte: Costello’s Agency