Categorie
Comunicato stampa

Derri e l’amore al tritolo

“TNT” è il nuovo singolo di Derri, uscito martedì 3 dicembre 2024. Un brano che, con una certa dose d’ironia, esprime il conflitto interiore delle prime fasi dell’innamoramento. Gli effetti “atomici” dell’improvviso e conturbante entusiasmo vengono esaltati dal mood danzereccio e da un tappeto di sintetizzatori 80s.

Foto: Vincent Navarro

Queste le parole con le quali il cantautore presenta la canzone:
«”TNT” è un lavoro frizzante che parla con ironia della paura di innamorarsi, che si fa viva quando è troppo tardi. Il carattere dance del brano rispecchia l’esplosività dell’entusiasmo dei primi momenti, l’agitazione della perdita di controllo e il desiderio di ingaggiarsi in una nuova relazione che fa a pugni con l’istinto di correre ai ripari.
Gli elementi elettronici e synth tipici del pop si abbinano alla chitarra acustica e allo stile indie: il risultato è un brano che fa muovere il corpo, pur mantenendo un carattere cantautorale. Il concept del conflitto interno viene mantenuto nella parte visiva dove Derri “combatte” un incontro di pugilato con una ragazza, che è il teatro delle sue peggiori preoccupazioni. Il cantautore, infatti, subisce attacchi senza reagire fin dalla conferenza stampa. L’unica possibilità che ha è provare a prepararsi inutilmente e ad esprimersi con la musica, andando verso un epilogo che lo vede, in ogni caso, sconfitto.»

Puoi ascoltare il brano qui:

BIO
DERRI è un cantautore per necessità. Crede che la vita ordinaria sia psichedelia, che dentro alle cose di tutti i giorni ci sia tutta la poesia e il dramma di cui abbiamo bisogno.
Abbracciando un ampio spettro di generi e influenze e attingendo dalle esperienze personali più diverse, ha sempre cercato, come un alchimista, il giusto equilibrio tra canone e follia, tra pensiero ed emozione, senza mai rivelare del tutto quanto ci fosse di suo in quanto veniva raccontato. Canta in modo distintivo testi vividi, di fronte a interi panorami sonori per un’esperienza pop che è tutto fuorché plasticosa, pur mantenendo il carattere da hit. I suoi brani immortalano le affascinanti stranezze e le contraddizioni dell’esperienza in uno sfondo animato e ricco di dettagli.

Contatti
Spotify
Instagram
Facebook

Fonte: Costello’s Agency

Categorie
Indie Intervista rock

La catarsi del processo creativo. L’intervista ai Facile

“Disco Shuttle”, il nuovo EP dei Facile, rappresenta pienamente il modo di vivere la musica del duo brianzolo. Li abbiamo intercettati per porgli qualche domanda esistenziale.

Artwork: Riccardo Garofalo

  • Già dal titolo, il vostro ultimo EP “Disco Shuttle” sembra voler rimandare ad un immaginario vintage ed internazionale: quali sono state le vostre influenze e dove avete cercato l’ispirazione per questo progetto?
    Diciamo che siamo stati ispirati principalmente dalle nostre esperienze di vita. Ci sono avvenimenti che ti assorbono totalmente, in quanto li si vive al 100%, nel bene e nel male. Dopo di che tende ad esserci un momento di “respiro”, e quando si ha lo spazio per metabolizzare il tutto, è lì che si riescono a mettere in musica quelle sensazioni, il che diventa anche un modo per esorcizzare. In questo senso il processo creativo è per noi molto catartico e condividerne il risultato – ovvero le canzoni – con le persone, è un modo per ridare al mondo attraverso l’arte quella stessa energia legata al vissuto e provare a portare del Bello nelle vite dei nostri ascoltatori.
  • Venite dalla Brianza, terra industriale e in qualche modo marginale, e la vostra estetica è dominata dal bianco e nero: vedete nel far musica un’occasione di riscatto per uscire dal grigiume delle periferie?
    Sì, fare musica per noi è un po’ come accendere un lampione in una strada buia, con la speranza di “illuminare” un po’ le nostre vite e quelle di tutte le persone che ci ascoltano e con cui condividiamo un pezzettino di mondo.
  • A livello sonoro, la vostra musica è fatta di un rock dominato da chitarre distorte e un cantato a tratti violento. Dall’altra parte però ci sono i testi, che raccontano spesso di relazioni personali e sentimenti; come si uniscono queste due anime in apparenza contrastanti?
    Sotto questo punto di vista non ci vogliamo nascondere, ed anzi cerchiamo essere del tutto sinceri nell’esprimere il nostro dolore verso situazioni di vita fallimentari – che siano sul piano relazionale, personale o altro. Non c’è un volere romanticizzare, ma piuttosto dare un feedback realista del nostro vissuto, e forse da questo deriva il nostro stile musicale e sonoro. Per noi l’autenticità è prioritaria, senza troppi giri di parole.

  • In una realtà ormai dominata dai solisti, la vostra scelta di far musica in un duo vi allontana dalla norma; come vi rapportate allo scrivere e al lavorare in coppia?
    Per noi è importante rispettare lo spazio sacro della condivisione quando scriviamo musica. È un procedimento complesso che richiede tanta cura. Di per sé c’è un tacito accordo nell’alimentare l’uno la creatività dell’altro, e questo crea un clima dove singolarmente abbiamo la libertà di apportare un contributo personale, che poi è arricchito da un lavoro di scambio e confronto.
  • I quattro brani di “Disco Shuttle” sono caratterizzati da ritmi e sonorità in parti differenti, ma risultano coesi attorno agli stilemi del rock. Se doveste scegliere un brano che meglio degli altri rappresenta questo nuovo capitolo del vostro percorso, quale sarebbe?
    Noi facciamo del nostro meglio per mantenere un filo conduttore ed una cifra stilistica coerente nei nostri lavori, più che altro per un discorso estetico. Al di là di questo però, ogni brano racconta la sua storia e ci racconta in modo differente, per questo pensiamo che ciascuno ci rappresenti a modo suo e per noi sono tutti significativi. L’aspetto di critica a livello musicale lo lasciamo ai critici: noi ci preoccupiamo di fare le cose in modo autentico, le “stelline” le lasciamo a Rolling Stone.
  • Come già accennato, i testi dei brani dell’EP tornano spesso all’idea di legami personali che si disgregano, lasciando l’idea di una crescente disillusione nei confronti della vita. Vedete la scrittura come un modo di esorcizzare la tentazione di lasciarsi andare o come un tentativo di risollevarsi?
    Come dicevamo prima per noi la scrittura è catartica, e in questo c’è una duplice volontà: da una parte quella di non prendersi troppo sul serio, e di non dare un’accezione apocalittica agli avvenimenti negativi della vita; e dall’altra cogliere anzi l’occasione per crescere, ed imparare a capire l’importanza di sapere vivere non solo nella felicità e nella spensieratezza, ma anche nel dolore. Di fatto nelle nostre performance dal vivo c’è un rivivere il dolore che è stata la matrice del moto creativo che ha generato la canzone, ma c’è anche la risposta stessa a quel dolore, e quindi un senso di catarsi, pace e serenità.

    Volevamo chiudere ringraziandovi per lo spazio ed il tempo dedicato ai nostri pensieri!

BIO
Facile nascono in un garage nella bassa Brianza, disconnessi dalla frenesia metropolitana.
Spinti dall’esigenza di trasformare in musica le quotidiane esperienze della vita di periferia, scrivono per guarirsi da una visione metereopatica e disillusa della vita.
Vivono nella scena underground brianzola dove si raccontano attraverso distorsioni e groove decisi, partoriti in lunghe sessioni di rilascio emotivo e ricostruzione musicale in studio di registrazione.

Contatti
Spotify
Instagram
Facebook
YouTube
TikTok

Fonte: Costello’s Agency

Categorie
Indie Pop

“Se voglio salvarmi la vita”: il nuovo EP di Vienna che racconta l’equilibrio tra fragilità e forza

Con il suo nuovo EP “Se voglio salvarmi la vita”, la cantautrice di origini pugliesi Vienna ci invita a immergerci in un percorso musicale che è al tempo stesso un viaggio emotivo e una dichiarazione di consapevolezza. Cinque tracce che rivelano con autenticità e profondità un’evoluzione personale e artistica, trasformando le vulnerabilità in un punto di forza.

Il cuore di questo lavoro è la ricerca di equilibrio, un tema che attraversa ogni canzone come un filo conduttore. L’EP si apre con il brano omonimo, “Se voglio salvarmi la vita”, che già dal titolo esplicita la tensione tra il bisogno di cambiamento e la paura di perdere il controllo. Ogni traccia rappresenta una tappa di un viaggio interiore, dal confronto con le proprie emozioni in “Stomaco”, al riconoscimento dei propri limiti e trigger in “Domande // Trigger”. Il viaggio culmina in “I girasoli sono dei fiori come tutti gli altri”, un inno dedicato alla bellezza nascosta nelle cose semplici e nel quotidiano.

Vienna non si limita a raccontare la propria storia, ma riesce a toccare corde universali, offrendo uno specchio in cui chiunque può riconoscersi. La scrittura, diretta e sincera, riflette un percorso di autoanalisi che l’artista ha intrapreso parallelamente alla creazione dell’EP, arricchito da esperienze come la meditazione e la psicoterapia.

La forza di “Se voglio salvarmi la vita” risiede anche nella sua produzione, che si distingue per una raffinata commistione di generi. L’incontro tra il background musicale di Vienna e il lavoro dei produttori Diego Ceo e Giuliano Vozella ha dato vita a un sound che esplora l’hip-hop old school, l’elettronica dei sintetizzatori analogici e accenti rock nei momenti più intensi.
Questa varietà non è mai fine a se stessa, ma rispecchia fedelmente il flusso emotivo dei testi, creando un legame forte tra forma e contenuto. Ogni scelta sonora è un tassello che arricchisce la narrazione, trasportando l’ascoltatore in uno spazio intimo e coinvolgente.

Anche l’estetica visiva dell’EP aggiunge significato all’opera. La cover, che raffigura un tavolo a tre gambe sorretto dall’artista stessa, simboleggia la precarietà dell’equilibrio e il coraggio di affrontare le proprie instabilità. È un’immagine che completa il messaggio dell’EP: quando le fondamenta vacillano, sta a noi trovare la forza per mantenersi stabili.

Questo tema è enfatizzato dalla cura con cui Vienna ha costruito il progetto, collaborando con un team che conosce e condivide il suo mondo. Ogni elemento – dalla produzione musicale alla direzione creativa, fino alle fotografie – contribuisce a creare un universo coerente, che abbraccia e amplifica il messaggio di autenticità e vulnerabilità.

“Se voglio salvarmi la vita” non è solo un EP, ma un’esperienza che invita a fermarsi, riflettere e accettare le proprie imperfezioni. Vienna, con la sua sensibilità artistica, riesce a parlare al cuore di chi ascolta, trasformando il personale in collettivo e il dolore in bellezza.
Questo progetto segna un importante passo avanti nel percorso artistico della cantautrice pugliese, confermandola come una voce autentica e innovativa nel panorama alternative-pop italiano. Un lavoro che non solo arricchisce chi lo ascolta, ma lascia anche una traccia profonda e duratura.

Contatti
Spotify
Instagram

Fonte: RC Waves

Categorie
Comunicato stampa Post-Punk

I VIZIOSA feat. Drew McConnell te lo dicono in faccia

“Davide” è il nuovo singolo dei VIZIOSA feat. Drew McConnell, uscito venerdì 29 novembre 2024. La band piemontese porta avanti il sodalizio con l’ex membro di Babyshambles e Liam Gallagher, realizzando una traccia furiosa che decolla con le chitarre impetuose e taglienti del musicista irlandese.

Foto: Ivan Cazzola

Queste le parole con le quali la band presenta la canzone:
«”Davide” è un inno alla follia e alla purezza d’animo. Un racconto onesto e tagliente che scava nell’anima di una persona pura, che spesso non viene capita fino in fondo. Senza saperlo potresti essere stato il suo Golia.»

Puoi ascoltare il brano qui:

BIO
VIZIOSA è l’incontro malato fra generazioni punk differenti, quella del ‘77 e quella del post punk più attuale.
Le canzoni raccontano in modo crudo di persone messe ai margini dalla società, maltrattate e offese, ma anche di amore e di speranza, il tutto condito da un sound acido, potente e tumultuoso. VIZIOSA mette a nudo la parte più intima e schifosa di ognuno di noi, quella che tutti cerchiamo di nascondere dentro noi stessi.

Contatti
Spotify
Instagram
Facebook
YouTube

Fonte: Costello’s Agency

Categorie
Intervista Rap

Animali notturni contro la monotonia. L’intervista ai DFWU

“Dedicato alla Luna” è il nuovo EP manifesto dei DFWU, piena espressione della loro libertà creativa. In occasione dell’uscita di questo esordio abbiamo fatto qualche domanda alla band.

Artwork: Martina Platone

  • Il vostro EP “Dedicato alla Luna” sembra un canto rivolto verso una musa ispiratrice, capace di essere al contempo stimolo artistico e meta inarrivabile. Cosa vi ha portato a trovare nella luna e nell’atmosfera notturna l’ispirazione per questo progetto?
    “Dedicato alla Luna” è dedicato a una compagna di camminate, una presenza costante nel nostro progetto e in noi come persone. È la luce nel buio che illumina il percorso verso lo studio dopo essere usciti dal lavoro, insomma una linea guida che porta in posti migliori. Siamo tendenzialmente animali notturni, quindi la notte è il momento in cui riusciamo a lavorare meglio, quel periodo di tempo in cui tutto quello che viviamo nell’arco della giornata si quieta e finalmente riusciamo a dare spazio a noi stessi e alle nostre creazioni.
  • In “Cronico” avete collaborato con Moder, leggenda del rap underground romagnolo e italiano. Come è nata la collaborazione e quali sono state le sensazioni di confrontarsi artisticamente con lui?
    La collaborazione con Moder è nata quando ci ha invitato a suonare nel suo locale Cisim di Lido Adriano, ormai un’istituzione per quanto riguarda musica live e hip hop in generale all’interno del nostro territorio. Abbiamo chiesto se si potesse incastrare una data e così è stato. Siamo entrati subito in buon rapporto. Prima di sentirci, quando abbiamo messo giù “Cronico”, avevamo una strofa su cui fare un feat con qualcuno. Siccome, a nostro parere, è la traccia all’interno dell’EP che più richiama l’hip hop vero e proprio, abbiamo pensato che Moder sarebbe stato l’artista giusto per valorizzare la strofa, e infatti è andata proprio così. Una bomba, pathos, workflow fortissimo e rime taglienti nel suo stile. Non potevamo chiedere di meglio, sia umanamente che artisticamente.
  • Al di là degli incastri e dei tecnicismi, il vostro rap appare contaminato da una fortissima componente strumentale, dovuta ovviamente alla natura collettiva della vostra formazione. Quanto conta nella vostra ricerca artistica l’approccio “analogico” al suono?
    Siamo molto felici di questa domanda perché amiamo parlare della nostra strumentazione, specialmente dell’equipaggiamento vintage, che usiamo per rendere ogni brano unico. Come avete notato, i suoni analogici sono parte integrante di ogni nostra produzione perché partiamo sempre da lì, cercando il massimo confronto con lo strumento. La ricerca del suono più adatto è un’esperienza che pochi apprezzano al giorno d’oggi, con librerie di plug-in e VST che, con qualche click, suonano perfettamente. Capiamo che molti preferiscano il digitale perché è più economico e semplice, ma noi siamo tra quelli che amano ancora girare manopole, sentire ronzii e smontare e rimontare strumenti per farli funzionare. Tuttavia, usiamo anche il digitale per migliorare l’ analogico quando necessario. Il nostro obiettivo è mescolare sapientemente strumenti old school e tecnologie moderne, per creare un suono nuovo con una base tradizionale.

  • Fra le vostre ispirazioni citate i Sangue Misto e Robert Glasper, in qualche modo icone dell’old school della cultura rap. Come riportate questi riferimenti così importanti all’interno della vostra scrittura?
    Questa risposta la divideremo in due parti, proprio perché con la domanda siete riusciti a racchiudere da una parte la scrittura testuale e dall’altra la scrittura musicale. Partiamo dai primi citati: di sicuro il riferimento e gli spunti presi dai Sangue Misto derivano soprattutto dal loro album iconico “SXM”, da canzoni come “Lo straniero”, “Cani sciolti” o “Clima di tensione”, brani in cui gli artisti hanno caratterizzato il loro dissenso, il loro “rigurgito sociale” e la resistenza a uno stato repressivo come quello dei fine anni ’90. Questo in particolare ci ricongiunge molto alle sensazioni e a quello che viviamo noi oggi, per questo in molti casi capita che nei testi Rampa riporti le stesse sensazioni. Arriviamo così a un altro riferimento importantissimo per noi, Robert Glasper. Con album come “Dinner Party” con Terrace Martin e Kamasi Washington, “Black Radio” o album in collaborazione come “Drones”, ha rivoluzionato e portato su un altro livello il nostro modo di suonare e approcciarci alla musica. La nostra ispirazione parte da lui perché ha ripreso quel concetto di jazz che Miles Davis proponeva all’interno dei suoi ultimi album, quel concetto da cui hanno iniziato negli anni ’80 i primi DJ hip hop a tagliare sample e fare i primi loop. Riportando in live quelle vibes ma con una nuova essenza: pasta vecchia, suono nuovo!
  • Avete descritto questo EP come “un manifesto di ribellione e autenticità musicale”. Il vedere la musica come strumento di ribellione non è un concetto nuovo, ma ad oggi da cosa vi sembra che serva liberarsi?
    Rispondiamo a questa domanda partendo dal nostro nome, D.F.W.U., che è già un urlo di per sé. È una manifestazione di ribellione contro la monotonia di una vita che prova a schiacciarti ogni giorno. È presente in ogni sfida, in ogni momento difficile, in ogni sistema corrotto e schifoso che vuole farti abbassare la testa o convincerti che la vita non può essere vissuta come la vuoi vivere tu. Don’t fuck with us è un promemoria per noi stessi e per gli altri che nulla può intaccare la nostra determinazione. È quell’esclamazione che dovresti avere ogni volta che ti rialzi. Per noi, Don’t fuck with us è una filosofia: avere dei diritti, impegnarsi per creare la vita che desideri e non accettare passivamente ciò che non vuoi. Quando ti arrendi e accetti le imposizioni, è lì che ti hanno fregato.

BIO
Don’t Fuck With Us è un’odissea sonora nata durante la quarantena, quando il trio Rampa, Mattia e Anton inizia a sperimentare con synth, loop e prime rime. Fondendo hip-hop, jazz e funk, ispirati da Sangue Misto e Robert Glasper, creano una sinfonia urbana. Sul palco, Daniel alla batteria e Lorenzo al basso amplificano l’esperienza, mentre Marco al piano aggiunge una nuova dimensione al sound.
DFWU incarna l’energia e la diversità della scena musicale romagnola.

Contatti
Spotify
Instagram
Facebook
YouTube

Fonte: Costello’s Agency

Categorie
Comunicato stampa Elettronica

Gli occhi possono comunicare, ma la voce di Giulia Impache non smette mai di incantare

“Occhi” è il nuovo singolo di Giulia Impache, uscito venerdì 22 novembre 2024. Ci sono certe compositrici per le quali la sperimentazione è il primo motore, ciò che le spinge a creare. Giulia è una di queste. Vi sfido a trovare un’artista della scena alternativa italiana che miscela con tale maestria glitch e suggestioni ambient a reminiscenze di musica medievale. Il risultato è incredibile.

Foto: Luce Berta
Styling: Sarah Podestani

Queste le parole con le quali l’artista presenta la canzone:
«”Occhi” è il brano con cui mi sono avvicinata alla musica antica e medievale.
L’ho scelto come singolo perché è un nuovo capitolo del mio percorso musicale, il tentativo che prova a conciliare tutti quelli che sono i miei ascolti.
Abbiamo passato un periodo della nostra vita in cui erano solo gli occhi a parlare. Gli occhi cambiano, patiscono in silenzio, gli stessi occhi che io ho voluto.»

Puoi ascoltare il brano qui:

BIO
Giulia Impache è una cantante e compositrice italiana. Il suo suono e la sua ricerca musicale esplorano la voce in relazione al corpo su un piano tecnico ed emotivo. Si tiene lontana da etichette e generi, cercando di mantenere la sua natura ibrida, data dalla miscela di influenze che vanno dalla musica antica al folk e dall’ambient all’elettronica “spaziale”. Aperta all’ascolto, è stata in grado di plasmare una miscela stilistica e sonora che coinvolge la voce come strumento per creare suoni avvolgenti, eterei e oscuri.
La sua ricerca mira anche a rompere il legame canonico con le parole. Sperimentando con le sonorità, si trova a parlare nuovi linguaggi basati sulla connotazione, sul fonema libero da qualsiasi legame concettuale predefinito, lo stesso impasto emotivo ed evocativo che un suono può portare.

Contatti
Spotify
Instagram
YouTube

Fonte: Costello’s Records

Categorie
Elettronica Intervista

Rievocare la sensazione di un luogo attraverso il suono. L’intervista a Marco Scipione

Abbiamo fatto qualche domanda al sassofonista Marco Scipione, fresco dello sperimentale disco d’esordio solista, per il quale ha avuto la percezione di essere “disperso in una foresta dove volevo andare da tempo”.

Artwork: Pietro Bonaiti

  • Dopo aver già pubblicato musica con i DANG!, la tua band post punk hardcore, “H(ost)” rappresenta il tuo vero e proprio debutto solista: che sensazione è aver rilasciato un progetto totalmente personale?
    Il lavoro compositivo con i DANG! è una palestra dove tutti portano idee e guidati dalla risolutezza del trio si arriva sempre ad una soluzione in modo molto efficiente. Invece, lavorare su un progetto originale in solo, da la sensazione di essere dispersi in una foresta. Se hai i mezzi e le capacità, puoi procacciarti cibo, acqua e costruire a mani nude una capanna, ma devi prendere delle decisioni. Devi seguire una direzione in un sentiero senza segnali e tirare dritto nella speranza di trovare degli indizi che ti suggeriscano cosa potrai trovare al prossimo checkpoint del tuo cammino. Al momento comincio a trovarmi bene in questa foresta e sto cercando di trarre ispirazione il più possibile da essa anche perché ci sono andato volontariamente e volevo farlo da tempo. Non è il primo disco di originali della mia vita (anzi…) ma è il primo in solo e sono molto emozionato anche solo ad immaginarne una sua evoluzione. Ovviamente averlo pubblicato è meraviglioso e mi sono tolto un gran peso dalle spalle che ora si stanno appesantendo nuovamente per il suo seguito.
  • Già dal titolo, il tuo disco esprime l’intenzione di unire generi e suggestioni diverse tra loro, dalla colonna sonora all’ambient, dal jazz alle influenze elettroniche, l’album include uno spettro di riferimenti poliedrico e sfaccettato. Qual è il filo rosso della tua ricerca sonora, al di là dell’utilizzo del sassofono?
    Penso siano i miei viaggi e la ricerca ossessiva di descriverla a suoni, non a melodie, come si potrebbe pensare da un sassofonista. Con suono intendo, texture sonora che rievoca in me la sensazione di un luogo. Ad esempio “Morning Mist” è la rappresentazione sonora delle mie passeggiate all’alba con il mio cane (Sergio) immersi nella nebbia più fitta, molto spesso al buio. Il telefono non squilla, si è in totale solitudine, al freddo, si ha la possibilità di pensare molto e per noi artisti è una cosa molto importante.
  • La stessa volontà di pubblicare un album dominato dal suono del sassofono può rappresentare un azzardo all’interno di un panorama musicale che esclude quasi totalmente la musica strumentale. Ciononostante, il tuo approccio artistico e sperimentale riesce a includere elementi pop che intrattengono e catturano l’ascoltatore; come riesci ad elaborare uno stile capace di non risultare eccessivamente virtuosistico?
    Semplicemente non ci penso, non mi sono mai posto il problema. “H(ost)” è quello che ero al momento della sua composizione senza nessun filtro, pensando solo ad esternare la semplice voglia di creare e cercare. Ovviamente è un disco che comprende una summa delle mie esperienze musicali, quindi anche il pop da cui ho appreso molto.

  • Oltre all’ampia varietà di generi toccati da “H(ost)”, dichiari di esserti ispirato a una gamma di prodotti culturali davvero ampia, dalla musica dei Radiohead ai videogiochi e alla cultura cinematografica. Come trasformi questo complesso background culturale in musica?
    Come un jazzista parla il suo linguaggio e affonda le mani nella tradizione senza pensarci attivamente, grazie al mio “Sassofono Modificato” ho la possibilità di esprimermi in 4 dimensioni e creare senza nessun tipo di filtro. I videogame, i manga, le colonne sonore, il rock, il death, i viaggi durante i tour, sono già parte di quello che sono perciò, nel momento esatto in cui mi esprimo, queste cose riaffiorano naturalmente, senza che io debba sforzarmi per farlo.
  • Al di là della tua attività di musicista dal vivo e session man, con questo progetto hai avuto la possibilità di esprimere a pieno il lato più intimo e personale della tua riflessione artistica. Che sensazioni vorresti trasmettere attraverso il suono di “H(ost)”?
    La prima cosa di cui mi preoccupo quando riascolto il brano che ho appena registrato è se riesce a trasmettere il “colore” che ho in mente a me stesso. Devo sentire lo stomaco che si stringe in una leggera sofferenza, allora capisco che la direzione è giusta. Penso che ognuno di noi elabori la realtà in maniera differente e di conseguenza anche le emozioni che si provano ascoltando musica. Spero di trasmettere, anche solo in parte, quello che provo durante la composizione ripensando ai miei viaggi e alle mie esperienze nell’intimità del mio studio.

BIO
Marco Scipione è un sassofonista italiano considerato uno dei nomi più rilevanti della scena emergente. Sassofonista anomalo, virtuoso nel jazz e nella fusion ma con un solido background nel rock e nel metal, è uno dei principali utilizzatori di effetti sul suo strumento che distorce e modifica ispirandosi a Kurt Cobain, ai riff di Tom Morello e alle suggestioni sonore eteree dei Radiohead. Un approccio che esprime a pieno nel suo trio post punk hardcore DANG!
La passione per le colonne sonore, la musica di ricerca, i videogames hanno spinto Marco a continue esplorazioni sonore, maturate in diversi progetti e concerti in solo.
L’anima rock e quella sperimentale si chiudono in un perfetto ed eterogeneo triangolo musicale con la sua attività di session man che lo vedono girare il mondo assieme ad alcuni dei più autorevoli artisti pop e jazz italiani (Eros Ramazzotti, Mario Biondi, Tommaso Paradiso).
“H(ost)” è il debutto di Marco Scipione come solista. Registrato al Bunker Studio di Brooklyn è un disco di solo sax, senza sovraincisioni o loop.

Contatti
Spotify
Instagram
Facebook
YouTube

Fonte: Costello’s Agency

Categorie
Indie Intervista Pop

Come un album di fotografie. L’intervista a Jacopo Gobber

Il lungo viaggio delle canzoni perdute di Jacopo Gobber le ha portate a confluire nella mega raccolta antologica “20 anni di manicaretti” (18.10.2024, Labellascheggia). Abbiamo colto l’occasione per fare qualche domande al cantautore veronese.

Artwork: Sara Vivian

  • “Vent’anni di manicaretti” ha una storia particolare, perché è un disco in cui hai scelto di raccogliere brani provenienti da diversi momenti della tua carriera, donando loro unità e distribuendoli per la prima volta tramite i circuiti ufficiali. Come mai hai preso questa decisione, a vent’anni di distanza dai primi pezzi?
    Il primo motivo è personale: volevo come per un album di fotografie, mettere in ordine le foto e catalogarle, così per poterle riguardare quando avrò 80 anni e fumerò la pipa sulla poltrona. Il secondo motivo è quello di poter dare la possibilità anche ad altri di ascoltare queste canzoni, “pisciarsi sulle scarpe” ad esempio potrebbe essere il classico brano che fischietta un serial killer prima di commettere un massacro.
  • La decisione di creare un album ha portato con sé la necessità di dargli una copertina ed una rappresentazione estetica; hai affidato la cover a Sara Vivan, che ha creato per te un artwork stracolmo di colori e affollato da figure di animali che sembrano nascondere una qualche simbologia; tu che interpretazione dai a questa immagine?
    Domenico dell’etichetta Labellascheggia, che cerca sempre di associare alla musica che distribuiscono il lavoro di un grafico coerente, mi ha proposto delle immagini già pronte di Sara Vivan, quindi la copertina non è stata fatta propriamente per l’album ma è un disegno di Sara fatto in totale libertà. Siccome io mi immaginavo come copertina un negozio con sopra una targhetta storica tipo “indie dal 2003, 20 anni di manicaretti” come fanno le attività storiche, chessò “pizza fatta con antica farina dei Sumeri direttamente dalla Mesopotamia”. In quell’immagine di Sara mi sono rivisto io come cameriere in un bar artigianale che serve robe strane a clienti particolari (tucani, giraffe, elefanti), e mi sembrava adatta allo scopo.
  • Oltre al suo spirito collettivo, l’album è segnato da un elemento non trascurabile, ovvero quello della sua lunghezza. In un’epoca in cui il singolo ha preso il sopravvento sul concetto di disco, decidere di pubblicare un lavoro che si avvicina all’ora di durata rischia – purtroppo – di diventare controproducente. Secondo te, è ancora possibile comporre un disco capace di intrattenere un pubblico sempre più abituato a progetti mordi e fuggi?
    Uno potrebbe essere appassionato di macchine da scrivere: conoscere tutti gli inchiostri, i vari metalli con i quali le producono, e riconoscere, solo sentendo il battito dei tasti la marca e il modello della macchina. Probabilmente sarebbe controproducente dato che oggi quasi nessuno è interessato alle macchine da scrivere ma se vai ad ascoltare questa persona, lui può portarti nel suo mondo e raccontarti tutti gli aneddoti sulle macchine da scrivere. È una persona ricchissima dunque, anche se commercialmente potrebbe essere povera. Io voglio sempre fare musica per la quale non mi debba vergognare e questo si scontra spesso con le esigenze di mercato. Cosa resterà di questi progetti mordi e fuggi tra 50 anni? A questo punto è meglio che i miei parenti stretti, tipo i pronipoti, non si debbano vergognare del bisnonno quando ascolteranno la mia musica, se lo faranno.

  • L’aver raccolto brani provenienti da epoche diverse della tua carriera fa sì che l’album risulti essere una mescolanza di stili e atteggiamenti diversi fra loro. Si notano quindi brani maggiormente leggeri e altri che richiedono una maggiore analisi: ascoltando l’album e tornando a rapportarti con il te stesso del passato, come ti rapporti a questa duplicità?
    Nella raccolta ho cercato di non mettere doppioni, ma di far vedere un po’ tutti i “colori” che mi uscivano fuori quando componevo musica pop, ma in realtà anche i 3 album dai quali vengono fuori quelle canzoni erano così, liberi, con momenti più divertenti e momenti più riflessivi. Anche quei 3 album sembrano delle raccolte, mi piace mescolare gli elementi e vedere cosa viene fuori, se un esperimento l’ho già fatto e so già cosa viene fuori, non mi interessa ripeterlo. Anche se è musica che ho fatto perché sia “easy listening”, pop, comunicativa, è, nello stesso tempo, musica sperimentale.
  • A vent’anni dall’inizio della tua carriera, con questo album hai messo una sorta di punto fermo su questa parte del tuo percorso. Come pensi che saranno i prossimi vent’anni della tua vita artistica?
    Oltre a questo percorso nella musica pop, ho fatto delle cose sempre matte ma più giovani tipo hyperpop con il progetto “Giostre”, e cose sempre matte ma più da vecchi col progetto di elettronica sperimentale e free jazz “CK722”. Nei prossimi anni, come al solito, mi piacerebbe rimescolare le carte in tavola e vedere cosa succede cercando di fare un hyperpop con un po’ di jazz e con dei testi surreali, così da fare un ampio featuring: Jacopo Gobber feat. Giostre feat. CK722. Viva l’autoerotismo!

BIO
Jacopo Gobber è un cantautore che dal 2004 compone in totale libertà e autonomia un art pop psichedelico con arrangiamenti massimalisti. Le sue produzioni sono artigianali e bitorzolute ma grazie alle melodie easy listening e ai ritornelli scritti come degli slogan, diventano in qualche modo comunicative.

Contatti
Spotify
Instagram
Facebook
YouTube

Fonte: Costello’s Agency

Categorie
Elettronica Intervista Pop

La musica elettronica è jazz. L’intervista a Giovanni Milani

Abbiamo seguito da vicino il recente percorso artistico di Giovanni Milani e siamo rimasti colpiti dal suo modo di sperimentare. Non potevamo quindi non fargli qualche domanda sul suo ultimo lavoro e sul futuro del progetto.

Artwork: Alberto Zampano

  • La copertina di “Fotografia N.2” ti ritrae mentre uccidi metaforicamente un’altra versione di te. Da dove nasce questa scelta, e come mai hai deciso di veicolare questa idea in maniera così diretta già dalla copertina?
    Il gesto di puntarmi una pistola alla testa è un’immagine che purtroppo non mi libera da qualche anno, e in qualche modo la copertina vuole anche esorcizzare quest’azione, poiché in questo caso l’atto di uccidermi significa anche rinascere.
  • Compositore, sassofonista e cantautore: sei un artista in costante cambiamento, e ascoltando questo disco è chiaro come tu abbia provato a unire tutte le tue anime traendone un progetto coeso ed unitario. Credi di esserci riuscito, o pensi di essere ancora immerso nel processo di sperimentazione?
    No, non credo di esserci riuscito, credo sia solo l’inizio di un processo molto lungo. Ciò non toglie il fatto che sono soddisfatto del mio lavoro.
  • Oltre ai riferimenti musicali provenienti dalla tua formazione, tra cui il jazz e il conseguente utilizzo del sassofono, hai deciso di integrare nell’album anche delle componenti apparentemente estranee, come il pop e l’elettronica. Per quale motivo hai deciso di affrontare questa sfida cercando di trovare un punto di congiunzione fra elementi così apparentemente diversi?
    Perché a mio avviso non sono affatto diversi, in particolare jazz e musica elettronica. Jazz è avanguardia, non è Swing, non è Cool, non è Bebop, è un movimento costante e a mio avviso la musica elettronica a livello concettuale è Jazz. Poi chiaramente ascoltando generi riconosco che ognuno di essi ha delle caratteristiche particolari che ho voluto unire nell’intento di creare una mia estetica personale.

  • Un’altra sfida che hai lanciato, questa volta nei confronti del mercato musicale attuale, è stata quella di inserire delle vere e proprie pause strumentali all’interno della tracklist del disco. Credi in qualche modo nella possibilità di educare il pubblico anche a generi musicali, come il jazz, spesso lasciati da parte o ritenuti eccessivamente “intellettuali”?
    Sì è proprio così, credo che sia importante educare gli ascoltatori e essere consapevoli che ciò che facciamo è destinato a loro.
  • Scegliendo un titolo come “Fotografia N.2” hai voluto in qualche modo superare la versione precedente di te stesso e avviare un nuovo capitolo del tuo percorso. Come credi che sarà il prossimo Giovanni?
    Il prossimo Giovanni sarà musicalmente più duro, molto più elettronico e scuro, più moderno nella scelta dei suoni e nelle ispirazioni.

BIO
Compositore, sassofonista e cantante mugellano, Giovanni Milani si propone di creare una musica che unisca il suo vissuto musicale: il jazz nell’ambito accademico, il pop nella vita quotidiana e l’elettronica nella vita notturna. Un suono che scalda ma non brucia.

Contatti
Spotify
Instagram
YouTube

Fonte: Costello’s Agency

Categorie
Indie Intervista Pop

La rinascita alla fine della nebbia. L’intervista a Satellite

Con l’EP d’esordio “Mare di Nebbia” Satellite ha espresso un modo raro e profondo di esplorare le proprie emozioni. L’abbiamo intervistato su questa e altre tematiche legate al suo songwriting.

Artwork e foto: Marco Pellegatta

  • Il tuo primo EP, “Mare di nebbia”, è riempito di un pop etereo che trasfigura il percorso di qualcuno che cerca la propria strada nel mondo. A che punto ti senti nel tuo percorso? Quanto conta il passo compiuto con questo progetto?
    Mi sento appena all’inizio del mio percorso. Questo primo passo conta moltissimo per me poiché mi ci è voluto molto coraggio per uscire allo scoperto, presentare alle persone la mia visione e la mia intimità. E sappiamo come esporsi, anche al giudizio, possa essere complicato.
  • I tuoi brani fondono una scrittura pop a suggestioni variegate, dall’elettronica all’alternative, sfociando anche in momenti ambient e tesi verso il classico. Come si uniforma questa schiera di sperimentazioni nei tuoi brani?
    Nella composizione seguo sempre ciecamente quello che ho in testa e ciò che voglio esprimere. Se si è coerenti e sinceri nella scrittura le proprie influenze e i propri gusti si uniformano da soli proprio perché messi all’interno di una linea chiara e definita. Cerco di essere sempre sincero, nel bene e nel male.
  • A livello testuale, le tue canzoni vanno spesso a cercare un lato emotivo e personale all’interno del quale ti riveli nella tua intimità. Quali sensazioni vorresti lasciare a chi ti ascolta, e quale messaggio ti piacerebbe che venisse recepito?
    Vorrei che chiunque ascolti si possa immedesimare nel mio racconto o in qualche immagine. Che possa riconoscersi. Capire che c’è qualcun’altro che sente ciò che lui sente. Credo che questo sia fondamentale. Non ci fa sentire piú soli, ci fonde con la musica.

  • Delle tue canzoni dici che nascono dalla tua realtà personale, ma anche che per scriverle è necessario porre davanti ai tuoi occhi un filtro fatto di emozioni e colori; da dove nasce la necessità di prendere in qualche modo le distanze da ciò che ti circonda?
    Non è una decisione che prendo in partenza. Questo “filtro” mi consente di vedere le cose da un lato differente. Spesso riusciamo a capire molte cose di noi stessi e della nostra vita cambiando il punto di vista o guardandole da un’altra prospettiva e anche io faccio questo grazie a questo “filtro”. Quindi direi che non prendo le distanze da ciò che mi circonda ma cambio il punto di osservazione. Forse entrando ancora piú a fondo dentro i miei ricordi e le sensazioni.
  • Un’altra cosa che rimane impressa durante l’ascolto dell’EP è l’alternarsi di immagini sfuggenti e piccoli dettagli che si susseguono nel corso delle canzoni e che contribuiscono in qualche modo a raccontare una storia che si evolve. Che cosa c’è in fondo, oltre il mare di nebbia?
    I brani dell’EP raccontano senza dubbio una storia, non tanto perché accomunati da una trama comune ma in quanto ogni brano rispecchia ognuno un periodo della mia vita nel corso di tre anni. Infatti ho ordinato i brani in ordine cronologico di scrittura. Direi che alla fine della nebbia vi è una distruzione e una rinascita. Una visione piú limpida verso una strada nuova. È come se avessi finalmente rotto una barriera che avevo costruito intorno a me. Adesso dovrò andare sempre avanti senza piú guardarmi indietro.

BIO
Giacomo Maria Colombo, in arte Satellite, è un cantautore nato a Milano nel 1998. Con il suo progetto solista intende parlare al lato intimo dell’animo umano, toccando le corde dell’emozione quando ci sentiamo vulnerabili. I suoi brani parlano a coloro che si sentono soli, abbandonati e che desiderano scappare. Satellite vuole offrire un rifugio emotivo attraverso la sincerità della sua musica.

Contatti
Spotify
Instagram

Fonte: Costello’s Agency