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Rugo e l’arte dell’affondo

“Affondo” è il titolo del nuovo album di Rugo, che torna sulle scene a cinque anni dal precedente “Panta Rei”. Questo nuovo disco può essere visto, per certi versi, come una sorta di concept album intorno al concetto di “abbandono”, da intendersi in tutte le sue accezioni possibili. Non è infatti solo un abbandono “sentimentale” quello di cui Rugo parla in questi nove brani, ma più in generale di un abbandono “esistenziale”.

Desiderosi di saperne di più l’abbiamo incontrato per fargli qualche domanda.

Ciao Rugo, “Affondo” è un titolo che si presta a una doppia interpretazione. Da un lato l’idea dell’affondare fa pensare a una situazione che si subisce senza riuscire a reagire, dall’altro viene invece spontaneo cogliere il riferimento all’attacco dello schermitore che con l’affondo mette l’avversario spalle al muro. In quale delle due definizioni riconosci maggiormente te e il tuo album?

Mi piace spesso utilizzare parole o frasi che presentano una doppia interpretazione ma penso che per farlo debba comunque esserci un motivo, queste parole vanno usate con cognizione di causa. Per questo, all’interno dell’album, il doppio significato del titolo si riflette nella doppia valenza che assume il tema principale, l’abbandono, quindi l’abbandonare e l’essere abbandonati. Io a fasi alterne mi riconosco in entrambe le definizioni, forse una condizione comune a tutti. Non si può vincere sempre, ma di questo ne parlerò forse più avanti.

Che cos’è la “Muzic Italien” che hai nominato in diverse occasioni?

La Muzic Italien è nata come risposta ad una volontà altrui di catalogare sempre tutto. Una parola – il cui suono riporta alla lingua tedesca – si unisce ad un’altra che “suona” francese, per poi poter essere tradotte in “Musica Italiana”. Muzic Italien è una risposta alla domanda: “Ma tu dove ti inserisci a livello musicale?” che viene spesso fatta da tutte quelle persone a cui non interessa inquadrare il genere, ma il raggiungimento di un risultato. Diventa quindi sì una classificazione per sfuggire alla classificazione, ma lo fa in un modo non definito da un genere musicale. Questo è quello che possiamo dire della Muzic Italien e se la risposta non è stata esauriente, bene così.
W la Muzic Italien.

I due video che sono usciti, quello di “Don Bosco” e quello di “Formiche”, raccontano la stessa storia, tant’è che nel titolo sono dichiaratamente suddivisi in Capitolo 1 e Capitolo 2. Ci racconti meglio l’idea che sta alla base di questa scelta?

In Don Bosco e Formiche abbiamo voluto raccontare una storia parallela. Non è didascalica nei confronti delle canzoni ma racconta anche questa, in un modo diverso, l’abbandono. Due personaggi crescono ed affrontano gli incontri che si fanno normalmente nel corso della vita. Succede poi che alcuni incontri ci segnano e ci indirizzano nelle nostre scelte e nelle nostre rinunce. Le maschere rappresentano per i due personaggi il loro punto di incontro, tant’è che sembrano non essere viste dalle altre persone. Le spade, o meglio le sciabole, portano tutto in un mondo parallelo, irrazionale, ma forse solo per la modalità di esecuzione. “Non è una scazzotata”.
Devo ringraziare chi ha permesso tutto questo: le produzioni di The Blink Fish ed Eclettica Video, la regia di Paolo Lobbia ed Elia Tombacco, Marta Lorenzi direttrice di produzione, Elisa Fioritto D.O.P.. Loro, insieme a tutti i ragazzi della troupe, sono riusciti a creare qualcosa nella quale mi rivedo a pieno. Un valore aggiunto. Un bel vestito.

Alla produzione dell’album ha partecipato, insieme ad Andrea Pachetti, anche il tuo illustre “collega” Ciulla. Come è nata questa collaborazione?

Con Ciulla ci siamo letteralmente scontrati su un palco. Ci chiamarono insieme sbagliandosi e da quel momento ci siamo ascoltati. Io stavo iniziando a lavorare alle pre-produzioni del disco, e proprio grazie alla sintonia da subito presente abbiamo iniziato questa collaborazione. Abbiamo passato un anno insieme durante il quale ci siamo conosciuti direi abbastanza Af-fondo e sono molto felice di questo perché la musica ha questo potere, se ti lega ti lega stretto.
Anche con Andrea (Pachetti) è successo questo. In lui ho trovato non solo quello per cui ero entrato in studio ma una sorta di confidente che è riuscito a tradurre, indirizzare e ripulire i miei pensieri.
E poi la musica gli ha fatto dimenticare che sono un pisano.

In tempi di singoli e instant songs, Rugo esce con gli album. In futuro cambierai qualcosa da questo punto di vista o continui a pensare che il formato “lungo” rimanga quello migliore per ciò che hai da dire?

Ogni cosa ha la sua modalità di presentarsi. Purtroppo è vero non siamo più abituati ad ascoltare gli album, vogliamo tutto e subito e adesso non abbiamo nemmeno tempo di ascoltare i vocali su whatsapp, abbiamo sentito la necessità di velocizzarli a 2x (odio questa cosa). Affondo è un album che si è mostrato da solo come tale, non avevo alcuna idea che le canzoni scritte in questi anni avessero cosi tanto in comune. Quindi ho preferito seguire il concetto non pensando a quello che invece funziona e va di questi tempi. Al contempo non nego l’uscita futura di alcuni singoli o meglio canzoni solitarie.

Saluta i lettori di Perindiepoi con cinque cose che proprio ti fanno affondare.

Ciao a tutti o lettori!
Le cose che mi fanno affondare (sta a voi capire quando assume significato di attacco o meno) sono: il mare pieno di gente, le mele a fine pasto, scrivere, il contatto con le persone e PERINDIEPOI.

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Pop

P L Z, gli alieni che caddero sulla Terra

Ormai è da un anno che questo misterioso duo mascherato ci regala un singolo più bello dell’altro e a questo punto è lecito aspettarsi un album. Nell’attesa siamo saliti sulla nostra navicella per andare a parlare con loro nello spazio, ma niente, alla fine li abbiamo incontrati a Milano. E ci hanno rapiti.

Ciao P L Z, partiamo dal vostro nome che ovviamente fa pensare alla parola “please”. Elencateci cinque cose alle quali non chiedereste mai “please”.

Non chiediamo mai il permesso per alzare il volume, svuotare il frigorifero, far traboccare la vasca, disfare il letto, far andare le lingue.

Siete alieni, ma a giudicare dalle vostre numerose collaborazioni avete fatto amicizia con un sacco di terrestri. Avete già delle idee (o dei desiderata) per eventuali featuring futuri?

Ci piacerebbe collaborare con Alien Alien, Ellen Alien, My Cat Is An Alien e Lil Mayo.

Preferite stare su un palco o chiusi in studio a sperimentare e comporre?

D’estate meglio lo studio con l’aria condizionata; d’inverno invece nei club con le maschere trapuntate di extensions davanti a un MEGA ventilatore come Beyoncé.

A proposito di MEGA, il testo del vostro ultimo singolo, è una sorta di mantra: una frase breve ripetuta; niente strofe, niente ritornelli. Questo è un elemento di novità rispetto alle vostre uscite precedenti. Rappresenta l’inizio di un nuovo percorso o solo un’eccezione?

I mantra sono bellissimi, risparmi un sacco di neuroni a seguire il senso della storia e ti concentri più sui suoni. Vogliamo fare testi sempre più minimi e didascalici, al limite della cantilena rincoglionente, roba che cura l’anima e aiuta a produrre endorfine. Poi però la canzonetta riflessiva ci scappa sempre, damn!

In “Secoli” cantate: “Oh mio dio, parli di futuro e io non ho risposte ma semplici domande”. Siete più tipi da futuro o da passato?

Guardiamo avanti, ma giorno per giorno. Il passato tanto raffiora sempre, non puoi rinnegarlo ed è pure bello vedere come si trasforma nel presente. Insomma, non riusciamo a non darti una risposta retorica, sorry.

Quest’estate non si potrà ballare in discoteca. Salutate i lettori di Perindiepoi con cinque meravigliosi brani svuotapista.

  • Tim Exile – Family Galaxy
  • Minor Science – Blue Deal
  • Rhyw – It Was All Happening
  • Planningtorock – Misogyny Drop Dead
  • Piezo – A Touch of
  • Smerz – You See
  • Chrome Sparks – Marijuana

Oddio, forse sono troppi, ma quando si tratta di svuotapista-meraviglia, non ci conteniamo.

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Indie

Il mondo colorato di Davide Diva

Non è facile essere cantautori indie oggi. Da un po’ di tempo, dopo la sbornia di Calcutta ed epigoni, l’attenzione del pubblico si è un po’ spostata altrove. Eppure, per fortuna, la tradizione cantautorale del nostro Paese continua a farsi sentire e a rinnovarsi con nuovi nomi molto interessanti. Davide Diva è uno di questi. Se non l’avete ancora fatto, vi invitiamo a scoprire il suo EP “Piccolo album colorato”, un autentico gioiellino.

Ciao Davide, partiamo dal tuo EP “Piccolo album colorato” che ha un titolo curioso reso ancora più interessante dall’artwork che lo accompagna. Ce lo vuoi raccontare?


In realtà il pensiero dietro al lavoro è molto semplice e fanciullesco. Nelle canzoni ci sono molti riferimenti diretti ai colori o a immagini vivide. Quando ho dovuto pensare al nome sotto cui raccogliere questi cinque pezzi mi sono subito venuti in mente i quaderni da colorare dei bambini e quindi al piccolo album colorato. Da qui Veronica Moglia è stata bravissima a pensare a un prodotto e a un impatto grafico che rimandassero a quei ricordi infantili.

In Italia, negli ultimi anni, siete in tanti a scrivere “canzoni indie”. Secondo te quanto è conseguenza di una moda di ormai “calcuttiana memoria” e quanto invece è legato al fatto che noi italiani siamo indissolubilmente legati alla canzone d’autore?


Bella domanda. Da un certo punto di vista spero che nessuno nello scrivere una canzone pensi di voler scrivere a priori con una certa attitudine (indie ad esempio) ma semplicemente ci sia volontà di esprimersi liberamente. In questa direzione Calcutta, ma come anche Contessa o Bugo molto prima, hanno dato esempi su come la canzone d’autore possa evolversi da un punto di vista linguistico e sonoro. Sono d’accordo però sul fatto che ci sia da chiedersi quanto di ciò che è venuto dopo sia sincero o artificioso. Parlando della musica d’autore in Italia non so se si possa fare un discorso generico ma, per quanto mi riguarda, sono cresciuto ascoltando esclusivamente De Andrè, Guccini e De Gregori fino ai 12 anni. Poi, fortunatamente, ho ampliato un po’ i miei orizzonti musicali.

In “Einstein” canti: “Ma se sono con te parlo male di tutti, non si salva nessuno”. Non ti chiediamo di fare nomi (se li vuoi fare ovviamente siamo contenti), ma ci dici quali sono le cose che proprio non salvi dell’indie italiano?


Una cosa che mal tollero è la sovraesposizione e la spettacolarizzazione del normale. Al giorno d’oggi sembra di dover dimostrare sempre di fare qualcosa (che sia bello o brutto poco importa). Credo che questa modalità di vivere tolga molto valore al quotidiano e sia presente non solo tra gli artisti, ma a nella società in generale.

Hai paura degli squali (Einstein), hai paura degli addii (Miami). Dicci altre tre paure che descrivono bene chi sei.


Ho paura che il tempo sfugga dalle mani; ho paura che il digitale faccia disimparare il fisico; ho paura della coerenza o, per dirla meglio, di non riuscire ad adattare le idee al nuovo.

A proposito di nuovo, cosa c’è nel futuro di Davide Diva?


Ho scritto, e sto scrivendo, un sacco di canzoni. Dopo quest’estate voglio tornare di sicuro in studio a registrare, nel frattempo suonerò in giro.

Saluta i lettori di Perindiepoi consigliando cinque piccole canzoni colorate.

  • Strangers di Dayglow
  • Parigi di Carella
  • Hope di Arlo Parks
  • 715-creeks di Bon Iver
  • Cosa sarà di Dalla e De Gregori
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Indie

Les Enfants. E tutto BRILLA.

È finalmente uscito “Brilla”, il nuovo disco dei Les Enfants. Un album maturo, intelligente, che dice tutto quello che deve dire senza concedersi (e concederci) facili scorciatoie. Un album pieno di notte e luci, scene intime e confessioni all’alba. Un album che suona come una serata con un amico di vecchia data. Di quelli che sai che non tradiscono. Ecco perché siamo così felici di averli incontrati!

Ciao Les Enfants, lo scorso giugno avete sorpreso tutti mettendo in vendita il disco completo su Bandcamp, in largo anticipo rispetto all’uscita sulle varie piattaforme streaming. Vi va di parlare di questa vostra scelta?

(Marco) Abbiamo voluto dare la possibilità ai nostri fan più attivi di ascoltare in anteprima il disco e sostenerci concretamente a livello economico: le piattaforme di streaming non garantiscono un guadagno per noi artisti, purtroppo! Eppure le spese per fare un disco, almeno nel nostro caso, ovvero di una band che vuole registrare tutti gli strumenti, in studio, sono molto alte.
Con un piccolo contributo (il costo di una pizza) abbiamo dato la possibilità di supportarci a chi ci vuole bene. D’altronde la musica ci dà tutto: energia, emozione, forza, compagnia.
E’ sbagliato pagare poco!
Noi pensiamo sia necessario un cambio nella cultura dell’ascolto e della fruizione musicale.

L’ultimo anno e mezzo, lo sappiamo, è stato un duro colpo per il mondo musicale. Prima della pandemia lo streaming si completava con l’esperienza dell’ascolto live. Dopo tutti questi mesi di assoluto protagonismo dello streaming, non è che ci siamo assuefatti? Al di là degli hashtag, abbiamo ancora voglia di andare ai concerti? E al netto delle problematiche pratiche, secondo voi, il mondo live uscirà da tutto questo con le ossa irrimediabilmente rotte oppure ha solo bisogno di un po’ di tempo per rimettersi in carreggiata?

(Marco) Mi sembra che lo streaming sia rapidamente sparito e molte delle proposte che erano state fatte non siano andate benissimo. Il bello della musica è soprattutto il live, che negli ultimi anni stava crescendo tantissimo in Italia. Basta pensare ai vari sold out degli artisti del mondo “Indie”, fino a cinque anni fa era qualcosa di impensabile, negli ultimi anni c’è stata una vera impennata di partecipazione e penso che questa necessità ci sia ancora nel pubblico Italiano.

Quando esce un vostro singolo o un vostro disco lo riascoltate oppure lo lasciate andare e non ci pensate più?

(Marco) Noi abbiamo tempi molto lunghi di produzione e registrazione, buttiamo tanto materiale che non ci piace e fino a che non siamo contenti al 100% non lo pubblichiamo.
Quindi siamo soddisfatti delle nostre opere, quando escono siamo contenti e non ci pensiamo più.
Ogni tanto mi capita di ri-ascoltarlo ma tanto lo sappiamo già a memoria! Ci concentriamo più sulle prossime creazioni.

Brilla” è un titolo bellissimo, perché da un lato fa pensare a qualcosa che risplende, qualcosa di piacevole e consolatorio, dall’altro rimanda all’energia incontenibile di una bomba che esplode. Quale di questi due aspetti è predominante nel vostro disco?

(Francesco) Abbiamo scelto Brilla in un istante e poi non abbiamo avuto dubbi. Più che a fare brillare le bombe come artificieri ci siamo ispirati allo sbrilluccichio lontano che esprimono le stelle. Un barlume malinconico ma ristoratore come un abbraccio, splendido ma non accecante, una luce fioca, opaca. Quindi direi che siamo d’accordo sulla 1.

Il vostro primo EP è uscito nel 2012, quasi dieci anni fa. Qual è stato il momento migliore e quale il più difficile della vostra esperienza?

(Francesco) Di esperienze belle ne abbiamo vissute molte, così al volo mi viene in mente l’ultimo concerto al Magnolia di Milano per il Linoleum Late Night Show. Tornare su un palco è stato super. Abbiamo chiesto a due amici e ottimi musicisti di suonare con noi (Martin del duo “Clio e Maurice”, e Luca de “Il Cairo”). In tanti è più bello: ci siamo divertiti aggiungendo al nostro nuovo live un violino e altri strumenti come gli Arcade Fire. Il periodo più difficile X Factor, senza ombra di dubbio. Ci siamo sentiti come pesci fuor d’acqua per gran parte del tempo. Cover, trucco e parrucco, videocamere e cose stressanti a caso che non ci appartengono. Davvero, non è per tutti, e sicuramente non per me. A posteriori è stata un’esperienza davvero ricca. In senso metaforico, non economico, come potete immaginare.

Salutate i lettori di Perindiepoi con cinque cose brillanti per illuminare la loro estate.

Se non basta aver vinto gli europei, aggiungiamo i nostri quattro singoli che non sono ancora usciti su Spotify. Li trovate sul nostro Bandcamp e c’è tutta la nostra passione dentro!
Buona estate!