Categorie
Indie Pop

Il lockdown secondo Porto Leon

Esce venerdì 9 aprile 2021 per Sbaglio Dischi in distribuzione The Orchard, il nuovo singolo di PORTO LEON dal titolo SAN PIETRO. Un racconto sfrontato di chi è cresciuto desiderando nascere 25 anni prima ed essere Liam Gallagher, rinascere di nuovo ed essere Axl Rose per urlareYou’re in the fucking jungle, baby. SAN PIETRO è un omaggio agli Stooges, un racconto di una serata allucinante e alcolica, le vibes alternative della scena internazionale degli anni Novanta, influenze urban e la peggiore rabbia che avete mai incontrato in adolescenza. PORTO LEON si presenta come ultima e improbabile rockstar italiana.

Abbiamo parlato con lui del suo lockdown.

Come stai passando questo strano periodo, qual è la tua routine?
Abbastanza male, anche se forse la mia routine in questo periodo è diventata un po’ più sana. Causa le maledette chiusure notturne sto riuscendo ad avere orari più normali e godermi qualche mattina ed erano anni che non succedeva.

L’arrivo della pandemia ti ha sconvolto qualche piano? Quale?
Beh si come a tutti credo, anche se non sono uno che pianifica tanto. Però certo, per noi ragazzi che cerchiamo di emergere facendo la nostra musica questo bell’imprevisto mondiale non ha aiutato molto.

Te la ricordi la primissima quarantena? Come la passasti?
Beh forse la prima almeno aveva quell’aspetto di novità che rendeva la cosa un minimo più suggestiva, ma chiaramente è durato poco poco, alla seconda settimana già si impazziva.

Di cosa parla il tuo ultimo singolo? L’hai scritto nell’ultimo anno?
Parla di me che ubriaco piscio dal balcone e grazie all’ebbrezza datami dal vino immagino di essere il papa che si affaccia su San Pietro

Cosa ti manca più di qualsiasi cosa?
La libertà, lo stadio, i concerti e la vita notturna in generale, come ho detto prima, erano anni che avevo gli orari completamente sballati rispetto alla consuetudine, vivevo soprattutto di notte, ora è quasi inutile

Ti ricordi ancora l’ultima serata che hai fatto post 22.00?
Devo ammettere che qualcuna si riesce a fare anche in questo periodo e francamente non ci vedo nulla di male. Chiaramente senza essere in 500 ma una serata tra amici, proprio come potrebbe essere nel legale pomeriggio, ogni tanto l’ho fatta

Categorie
Indie Pop

Quello che ho capito ascoltando Alda Merinos della Croce Atroce

Venerdì 19 marzo sono usciti tantissimi dischi, ne ho trovato uno che sembrava fuori dal mondo, e ho deciso di parlane. Per capire Alda Merinos, questo il titolo del disco, bisogna partire dal principio. Quindi: c’era una volta MYSS KETA che durante la prima quarantena un bel giorno si è rotta il cazzo e, dopo un cocktail a base di xenofemminismo e Prozac, si è costruita un bozzolo intorno a sé utilizzando la sua mascherina e scomparendo dalla faccia dell’universo. Non a caso, non abbiamo più notizie di MYSS KETA da allora. Coincidenze? Io non credo. Da quel bozzolo, in questi giorni, ne è uscita fuori una bellissima farfalla di nome Croce Atroce. Definita da molti una vera e propria entità in cui la Madonna in confronto pare una povera scappata di casa (cosa che è stata davvero, ma lasciamo questi dettagli ai teologi).

Si narra che, una volta uscita dal suo bozzolo non più realizzato dagli stessi materiali della mascherina di MYSS KETA ma bensì divenuto un involucro fatto di glitter e lacrime degli omofobi, sia stata proprio Croce Atroce tramite la sua saliva a creare i vaccini contro il covid e non Bill Gates, come ci hanno voluto fatto credere i poteri forti. Pochi lo sanno, ma con uno sputo sugli occhi di Croce Atroce si può guarire anche dall’ingordigia capitalistica: infatti, lo stesso Bill Gates è divenuto filantropo proprio grazie a una sua bella scatarrata.

Bando alle ciance. Oltre a queste piccolezze, quello che sappiamo su Croce Atroce è che non è stato creato ancora alcun culto pagano in suo onore, ma nel deep web italiano – Grindr – gira voce che dalle 22 alle 5 di ogni notte gli adolescenti si nascondono tra i boschi a coltivare alberi di ginepro ed usano i loro frutti per poterla vedere in visione. Molti si perdono tra i meandri onirici: purtroppo nella catalessi non sono più tornati centinaia di loro, in completa estasi dopo avere scorto soltanto la luce di Croce Atroce. Ai genitori di costoro è stato detto che è stata tutta colpa della DAD, ma in realtà la motivazione principale è perché non hanno creduto abbastanza in Croce Atroce, completamente soggiogati dai live Twitch di Cerbero Podcast. Questa condizione l’ha riscontrata addirittura Dante Alighieri nella Divina Commedia: non si sa come, ma l’estasi atrociana elimina il concetto non solo dello spazio ma anche del tempo, catapultando le povere vittime nel cerchio dell’Inferno dove si trovano gli eretici. Dante non ne parla per paura di un giudizio negativo dell’Altissima, ma poco prima della sua morte ha confidato ai figli che erano proprio gli eretici atrociani a patire di più: non solo infuocati dalla luce esagerata emanata da Croce, ma anche condannati a venire evirati dalla stessa Croce con in sottofondo gli effetti di Paperissima Sprint e i commenti di Gerry Scotti tipo “Ahi ahi ahi, che male ahahah!” oppure “Attenzione, non si scherza col fuoco… perché è poco simpatico ahahahah!” in loop.

Coloro che invece riescono a gestire e ad elaborare le visioni di Croce Atroce sono più fortunati, ai quali aspetta una sorte migliore: si pensa che inebriati dal gin riescano ad assorbire l’entità interamente nel loro subconscio divenendo così omniscienti. La lotta tra generazioni più giovani e quelle più anziane è partita da loro e quello che possiamo presagire è che vinceranno la guerra tramite l’amore e la benevolenza. In molti stanno pensando di creare una sorta di Bibbia per parlare di tutte le parabole di Croce Atroce, ma per adesso tutti vedono il suo album Alda Merinos, fuori da venerdì 19 marzo, come ciò che diffonderà il verbo in tutti i luoghi, In tutti i laghi, in tutto il mondo. E ci riuscirà, eccome se ci riuscirà.

Categorie
Indie Pop

Il lockdown secondo Francesco Savini

Esce giovedì 15 aprile 2021 Bombe Nucleari, il nuovo singolo di Francesco Savini, fuori per Le Siepi Dischi, in distribuzione Believe Digital. Un brano che si muove dal mito di Narciso alle bombe nucleari. È con un salto temporale quasi kubrickiano che Francesco Savini affronta il testo del suo nuovo singolo, una riflessione sull’odissea nello spazio social in cui il nostro mondo si ritrova immerso ogni giorno. Uno spazio dove le persone diventano sempre più schiave dei social media e degli smartphone, pubblicando e commentando senza spesso dar peso alle parole che si utilizzano. Bombe nucleari è il singolo con cui Francesco Savini inaugura la collaborazione con l’etichetta Le Siepi Dischi e conferma la caratura dell’artista abruzzese nel ruolo di osservatore e cantore della generazione a cui appartiene, già assunto fin dal singolo d’esordio, Maratoneti. “Siamo animali sociali a cui piace stare anche da soli in mezzo alla gente” sono le parole che non a caso aprono il brano e che racchiudono in una sola frase il messaggio del testo.

Abbiamo scambiato quattro chiacchiere con lui, sul lockdown.

Come stai passando questo strano periodo, qual è la tua routine?

Ciao amici!! Sto cercando di non pensare che “è uno strano periodo”. Sto scrivendo tanto, pianificando il lavoro, sto continuando a studiare e pubblico canzoni. La mia routine è molto semplice: mi sveglio, colazione con una puntata di qualche serie (perché ho bisogno di almeno un’ora per essere operativo al mattino), poi lavoro/studio e mi alleno prima di pranzo, oppure faccio una passeggiata al mare; poi nel pomeriggio lavoro/studio e dato che alle 21.30 il mio cervello si spegne passo la serata a giocare alla Playstation con gli amici. Devo dire di essermi quasi “affezionato” a questa routine ma dall’altra parte non vedo l’ora di tornare a fare tutte le cose che una volta reputavo “normali”.

L’arrivo della pandemia ti ha sconvolto qualche piano? Quale? 

L’arrivo della pandemia aveva sconvolto il mio piano di pubblicare il mio primo singolo a marzo 2020 (che se ci ripenso adesso credo mi abbia fatto anche un favore). Ma più di tutto la pandemia mi ha impedito di lavorare la scorsa stagione estiva e quindi tolto la possibilità di mettere da parte dei soldi da investire nel progetto. Però sto cercando di vedere in questa cosa un lato positivo: mi sono goduto la scorsa estate a pieno e, anche se “anomala”, credo sia stata una delle estati più belle di sempre (parlo per me naturalmente).

Te la ricordi la primissima quarantena? Come la passasti?

La primissima quarantena è stata un’esperienza traumatica all’inizio. Ho litigato in continuazione con la mia famiglia dato che mi ero disabituato a vivere con loro (sono 4 anni che vivo a Milano da solo). Poi man mano che le settimane passavano ho cominciato a ritrovare i miei spazi e, in fin dei conti, la seconda metà di aprile l’ho passata sereno e tranquillo. È stato un lockdown molto produttivo: ho scritto molte canzoni, ho finito la tesi, ho giocato tanto a tennis e fatto chiamate interminabili sulle piattaforme online!

Di cosa parla il tuo ultimo singolo? L’hai scritto nell’ultimo anno?

Il mio ultimo singolo, “Bombe Nucleari”, parla di quanto le nostre vite siano sempre più condizionate dall’utilizzo dei social network e di quanto stiamo diventando incapaci di esprimerci nella vita “reale”. Ho scritto questo brano intorno ad ottobre, quasi parallelamente all’uscita del mio primo singolo “Maratoneti”. Era un periodo in cui dovevo passavo continuamente il tempo sui vari social stando attento sempre alle pubblicazioni per cercare di promuovere al meglio il mio brano (visto che non è possibile suonare). Quindi succedeva spesso che mi interrogavo su quanto tempo effettivamente stessi perdendo invece di scrivere nuove canzoni o lavorare sulla tesi dato che da lì a poco mi sarei laureato. Così è nata “Bombe Nucleari” e parla anche di quante volte ci nascondiamo dietro una tastiera senza pesare le parole senza ricordarci che dall’altra parte c’è un’altra persona.

Cosa ti manca più di qualsiasi cosa? 

Mi manca fare le cose senza dover poi pensare alle conseguenze. Mi mancano gli abbracci, mi manca viaggiare, mi manca sudare all’aria aperta per il caldo e non per delle mascherine che non fanno respirare. Mi rendo conto che tutte le cose che ho scritto si possono fare ad un concerto…

Dio come mi manca andare ai concerti e suonare dal vivo…

Ti ricordi ancora l’ultima serata che hai fatto post 22.00?

L’ultima serata che ho fatto post 22.00 è stata a Milano e ricordo che alle 3 di notte eravamo al McDonald’s di Cormano ad ordinare degli hamburger, con i finestrini abbassati e la musica a palla.

Categorie
Indie Pop

Il lockdown secondo i Queen Of Saba

Da poco è uscita Chiodo Fisso, una canzone “senza filtri, leggera, disperatamente ironica. Traendo ispirazione dal Soul dei crooner degli anni ‘60, si spinge fino a toccare le soglie della Trap, in un connubio fra R&B e Hip Hop. Il testo irriverente ed esplicito camuffa con spavalderia una dichiarazione d’amore non corrisposto, dando voce a chi in amore è perdente ma con stile”, scrivono i Queen of Saba.

I Queen of Saba sono un duo elettronico, supercompatto ed eclettico di Venezia. Il progetto nasce nel 2019 dall’incontro fra Lorenzo Battistel e Sara Santi. Alieni in un mondo che spinge al binarismo, bianco o nero, vero o falso, lui o lei, i Queen of Saba si inseriscono con colorata irruenza, intenzionati a smantellare i dogmi di genere e a spaziare ed esplorare le infinite sfaccettature dell’arte, della musica, dell’essere.

Abbiamo scambiato quattro chiacchiere con loro, sul lockdown.

Come state passando questo strano periodo, qual è la vostra routine?
In questi tempi matti e disperatissimi (cit.) ci dividiamo tra studio, lavoro e musica. Sara sta frequentando un corso a distanza a Torino e Lorenzo insegna percussioni in una scuola ad indirizzo musicale di Venezia: stiamo transitando verso la quasi normalità cercando di conservare più tempo possibile per completare l’album a cui stiamo lavorando e creare nuova musica. Per fortuna è finito il periodo in cui la nostra routine consisteva in fare pilates, preparare torte in casa e sfondarci di Netflix.

L’arrivo della pandemia vi ha sconvolto qualche piano? Quale?
“Qualche piano” è un eufemismo (risata isterica). Ormai l’abbiamo superata, ma pensiamo ancora con tristezza al tour di date che avevamo organizzato a Marzo-Aprile 2020 nel Triveneto e oltre. Quella è stata probabilmente la mazzata più dolorosa per noi, che viviamo ogni concerto come un’esperienza insostituibile di crescita e scoperta, ai limiti del magico.

Ve la ricordate la primissima quarantena? Come la passaste?
Ce la ricorderemo per un bel po’.
Sara l’ha passata a casa con il gatto truccandosi da Drag King, scrivendo testi e facendo gli addominali con la birra di fianco e Dua Lipa nelle cuffie.
Lorenzo si è ritrovato in una Venezia assolutamente inedita, deserta, surreale. Esiste da qualche parte su Instagram un bellissimo video in cui suona i bonghi davanti alla finestra aperta sul ponte degli Scalzi completamente vuoto.
Come Queen of Saba, comunque, abbiamo continuato a lavorare insieme a distanza, condividendo idee e anche pubblicando due singoli.

Di cosa parla il vostro ultimo singolo? L’avete scritto nell’ultimo anno?

“Chiodo Fisso” è stata scritta a San Valentino 2020 (già parte malissimo) e parla di un desiderio che diventa ossessione, ma senza sfociare nel creepy. Nasce da sentimenti negativi, come la frustrazione per un amore dato a una persona assente emotivamente e fisicamente, e li trasforma in autoironia, sfumandoli con una buona dose di doppi sensi, giochi di parole e scuse. L’abbiamo pensata per chi in amore è dalla parte dei perdenti ma vuole comunque essere sottone con stile.

Cosa vi manca più di qualsiasi cosa?

Fino a un mese fa avremmo detto “salire su un palco”, ma quando il 25 marzo siamo saliti sul palco di Musicultura e ci siamo guardati intorno nel teatro vuoto abbiamo capito che quello che veramente ci manca più di qualsiasi cosa è il pubblico, i nostri amici che cantano le nostre canzoni, la gente che balla.

Vi ricordate ancora l’ultima serata che avete fatto post 22.00?

Lorenzo: Io faccio serata tutte le sere di cosa stai parlando?

Sara: Dipende cosa intendi per serata: se intendi stare fuori fino a tardi con un gruppo di amici e dell’alcool in corpo allora l’ultima volta è stata in concomitanza con il mio compleanno, prima della seconda ondata; se intendi sbocciare dentro anche se fuori sei in pigiama, quoto Lorenzo, tutte le sere.

Categorie
Indie Pop

Il lockdown secondo Saera

PRIMA VOLTA è il singolo di debutto di SAERA, moniker della giovanissima cantautrice romana Sara Errante Parrino, in uscita oggi, venerdì 23 aprile, per Sbaglio Dischi (in distribuzione The Orchard). Il sound del brano, curato da Winniedeputa, vive tra la black music, di cui Saera è appassionata da anni, e la nuova scena R&B; una scrittura matura e una voce ammaliante ci trascinano dentro un brano chill e avvolgente.

La cantautrice romana classe 1997 ci racconta i sentimenti di una storia estiva destinata a finire, “non vedo l’ora di mancarti” diventà così la frase simbolo di PRIMA VOLTA, ovvero la nostalgia di qualcosa che era destinata ad andare persa.

Le abbiamo chiesto di parlarci del suo lockdown.

Come stai passando questo strano periodo, qual è la tua routine?
Impossibile dire che io la stia passando bene, ma cerco di essere produttiva tutti i giorni. Non studio e non lavoro, diciamo che è un periodo un po’ difficile per stare così tanto tempo da sola con me stessa. La mattina mi sveglio sempre verso le 9 e cerco di allenarmi almeno 3/4 volte alla settimana. Di solito preparo il pranzo e il pomeriggio mi faccio qualche giro in bici al parco, oppure semplicemente una passeggiata. Ovviamente sempre tutto accompagnato da musica di sottofondo e da note registrate sul cellulare. La sera è l’unico momento in cui posso suonare senza dare fastidio a nessuno, poi mi guardo qualche puntata di The Office e, soltanto dopo la camomilla, riesco a prendere sonno e ricominciare le giornate da capo.

L’arrivo della pandemia ti ha sconvolto qualche piano? Quale?
Si, la pandemia ha rallentato tutto. Ho conosciuto i ragazzi di Sbaglio Dischi proprio il mese prima della pandemia e ho iniziato a lavorare con il mio produttore quest’estate. Nonostante la situazione, abbiamo sfruttato tutto il tempo possibile per lavorare e siamo riusciti a chiudere tutti i brani.

Te la ricordi la primissima quarantena? Come la passasti?
Impossibile scordarsela. Ancora avevo lezioni in Accademia, quindi tra una lezione e l’altra il tempo volava e almeno due/tre giorni alla settimana volavano via. Leggevo tantissimo, dipingevo, prendevo il sole, allenamento come sempre e videochiamate infinite con tutte quelle persone che erano la mia quotidianità.

Di cosa parla il tuo ultimo singolo? L’hai scritto nell’ultimo anno?
Prima Volta parla di nostalgia. Una relazione che sai che andrà persa, ma che comunque fino all’ultimo cerchi di viverla. L’ho scritta proprio quest’anno, fine estate, circondata dalle mie amiche, chitarra, cicale e un po’ di lacrime. Non potevo trovare momento migliore per tirare giù tutto quello che sentivo.

Cosa ti manca più di qualsiasi cosa?
Palesemente lo spritz a qualsiasi ora con i miei amici, le 5 di mattina in giro per Roma, gli abbracci, le giornate fuori Roma, montagna o mare che sia, i viaggi in Italia e all’estero, i concerti, tutte le serate nei locali qui a Roma che frequentavo, i conoscenti.

Ti ricordi ancora l’ultima serata che hai fatto post 22.00?
Partiamo dal presupposto che ho una memoria pessima, diciamo che ero sicuramente o in un locale a sentire qualche live, o in giro con i miei amici.

Categorie
Indie Pop

Il lockdown secondo Ama Il Lupo

Esce venerdì 16 aprile 2021 per l’etichetta Visory Indie (e in distribuzione Believe Digital) Appunti di vista, nuovo EP di Ama Il Lupo. Un nuovo capitolo definitivo per chi si sente un lupo, un animale da branco che, per una serie di eventi più o meno sfortunati, può diventare solitario. Ecco il capitolo definitivo del progetto solista di Amedeo Mattei.

Per l’occasione, gli abbiamo chiesto com’è andato il suo lockdown.

Come stai passando questo strano periodo, qual è la tua routine?
Sto cercando di focalizzarmi su quello che sarà il prossimo periodo, che di quest’ultimo ne abbiamo abbastanza. Da sempre mi proietto istintivamente avanti nel tempo e provo ad immaginare cosa potrei vivere di nuovo, realizzare. Ho stretto la cinghia e progettato i prossimi anni lavorati. Poi ci vuole un pó di ‘suerte’ sempre.

L’arrivo della pandemia ti ha sconvolto qualche piano? Quale?
Ne ha scolvonti più di uno. Sul piano lavorativo, personale, sentimentale. Ma quello che ha più colpito la mia serenità è stato il non poter suonare Live con un pubblico vero davanti. Aver perso un annetto di concerti ha inciso parecchio sui miei piani discografici. Ora bisogna recuperare.

Te la ricordi la primissima quarantena? Come la passasti?
Non so perché ma io vivo spesso in controtendenza. E in quel primo periodo mi sono ritrovato, per motivi lavorativi, a non avere tantissimo tempo. In più ho esordito proprio in quelle settimane come “ama il lupo” con il mio primo singolo SPACEBOY. Insomma, è stata una quarantena atipica.

Di cosa parla il tuo ultimo singolo? L’hai scritto nell’ultimo anno?
L’ultimo pezzo pubblicato è MEGLIO che assieme a MILITE hanno chiuso il primo EP da Lupo. Tutti pezzi scritti nel tempo, ma arrangiati e prodotti nell’ultimo anno. Meglio è una canzone che parla di quando capisci che, tutto sommato, sgolarsi, sbraitare, impazzire e/o urlare non serve a granché. Forse è meglio lasciarti andare.

Cosa ti manca più di qualsiasi cosa?
Dei Live ho già parlato, di quanto siano per me vitali se penso all’agenda di un cantante. Però ci aggiungo giocare a calcio, perché adoro farlo, e mi manca un casino.

Ti ricordi ancora l’ultima serata che hai fatto post 22.00?
Si, mi ricordo di una bella serata romana. Non vedo l’ora di tornarci.

Categorie
Indie Pop

Il lockdown secondo Manfri

Manfri è il progetto solista di Manfredi Grigolo, classe 2000.
Intrepreso nel 2019 quando ho scritto il primo pezzo e gli altri hanno seguito. I miei stimoli alla scrittura arrivano dalla realtà, dalle cose che mi succedono tutti i giorni, mescolo passato presente e futuro all’interno dei testi in una chiave di lettura senza maschere. Non ho intenzione di raccontare nulla al di fuori della verità, la scrittura è il mio modo di comunicare la mia esperienza. Traggo ispirazione da diversi generi musicali, principalmente un mix fra RnB e Soul.

Fragile è un brano che parla della condizione fisica al momento in cui si affronta la separazione da una persona. Nei minuti della canzone si riassume un’intera relazione raccontata fra passato, presente e futuro. Impressioni ed episodi fluttuano all’interno del testo, che non è altro che un flusso di pensieri, lo stesso che pervade la mente al momento della rottura. Manfri racconta vere e proprie immagini che riassumono stralci di vita vera, ora lenta, ora veloce, ora più triste ora più felice, metamorfica. Questo concetto viene anche riassunto dalle atmosfere musicali del singolo, che alternano approcci ritmici ad altri più melodici e fluidi.

Come stai passando questo strano periodo, qual è la tua routine?
Come per tutti gli altri penso sia un periodo storico ma anche personale abbastanza particolare, lo studio e la musica mi tengono parzialmente impegnato e quindi in qualche modo le giornate passano. Mi alzo alle 8:20 tutti i giorni, che io abbia lezione la mattina oppure no. Spesso l’università mi tiene abbastanza impegnato in vari progetti. All’una pranzo con mia mamma e a seconda degli impegni organizzo il mio pomeriggio, in genere lo passo a suonare chitarra o piano o a fare passeggiate in giardino. Musicalmente ammetto che è un momento difficile per me, dato che traggo molta ispirazione dal mio vissuto e dalle mie esperienze, e l’essere confinato in casa è molto limitante, dopo cena solitamente guardo qualche film, mi piacciono quelli che hanno un significato profondo (ultimamente mi sono buttato su Dario Argento per esempio).
L’orario in cui vado a dormire dipende principalmente dalla durata del film.

L’arrivo della pandemia ti ha sconvolto qualche piano? Quale?
Direi di si, non ho potuto fare live di alcun tipo e le uscite sono slittate, anche lavorare con Kyv per l’uscita di “Fragile” non è stato semplice: essendo io in Toscana e lui in Campania abbiamo dovuto fare tutto via Webcam.


Te la ricordi la primissima quarantena? Come la passasti?
Penso sia stato uno dei periodi più cupi e complessi per me, ero indeciso sul cosa fare della mia vita, e il non poter fare niente non ha risolto le cose, con la fine del lockdown questo mio stato emotivo è passato.

Di cosa parla il tuo ultimo singolo? L’hai scritto nell’ultimo anno?
Fragile è un brano che tratta del proprio stato emotivo nel momento in cui si conclude una relazione, è un pezzo relativamente recente, ero sdraiato sul letto quando la melodia del ritornello mi è saltata in mente, stile illuminazione… Il testo l’ho scritto velocemente, che è un bene perché
significa che avevo molte cose da dire, questo pezzo ha rappresentato per me la fine di un periodo privo di ispirazione.

Cosa ti manca più di qualsiasi cosa? 
Sicuramente andare con i miei amici in discoteca; mi manca un po’ tutto, dal pre-serata alla dancefloor fino al post. Vivo in una città relativamente piccola ma la nightlife è molto ben considerata, era anche un modo per evadere, vedere qualche faccia nuova.

Ti ricordi ancora l’ultima serata che hai fatto post 22.00?
Probabilmente risale all’estate 2020 ma non mi ricordo con esattezza

Categorie
Elettronica Internazionale

Siamo stati a casa Ohimeme

In una location segreta (ma poi neanche tanto, è per fare un po’ atmosfera) in Piemonte, c’è la base operativa di Ohimeme, il Flat Scenario. Una casa e un punto di riferimento per gli Ave Quasàr, Torchio e Dado Bargioni. Artisti molto diversi tra di loro, che spaziano dall’elettronica al cantautorato rock e che sembrano azzeccarci ben poco eppure, durante un pomeriggio di marzo, sono andato a trovarli per capire qualcosa in più e me li sono ritrovati tutti davanti a un caffè, senza barriere o differenze di sorta, a parlare di musica.

Ma da cosa sono accumunati gli artisti di Ohimeme?
Da un disco prodotto presso Flat Scenario, dallo stesso produttore artistico (www.lucagrossi.me). In alcuni casi da un’amicizia pregressa, in altri da un’amicizia sbocciata.

Fausto degli Ave Quasàr

Ave Quasàr rappresenta la naturale conseguenza delle precedenti esperienze musicali di Luca e Fausto. Insieme hanno fatto parte di Sintomi di gioia (l’ultimo disco è uscito nel 2012 ed è stato prodotto insieme ad Umberto Giardini, ex Moltheni) e hanno collaborato con Cristiano Lo Mele (Perturbazione) e con Tony Pagliuca (Le Orme). Prima dell’incontro con Fausto, Luca ha partecipato alla registrazione di diversi provini in numerose formazioni e in diversi ruoli. Per esempio nelle formazioni embrionali di Ufomammut (batteria) e dei Miura (voce) insieme a Diego Galeri (ex-Timoria, oggi Adam Carpet).

E in cosa sono diversi allora?
Ascoltano musica totalmente diversa tra di loro. Hanno una visione molto distante tra loro rispetto agli ingredienti che servono per considerare una canzone “finita” e questo è un aspetto molto stimolante.

Come vi siete incontrati e quando siete finiti a lavorare al Flat Scenario?
Registrare e produrre questi dischi a Flat Scenario è stato frutto di un passaparola tra amici e conoscenti, è capitato tutto in modo incredibilmente spontaneo e fisiologico.

Dado Bargioni e Torchio

Dado Bargioni, musicoterapista/cantautore nato anagraficamente a cavallo fra la pianura e le colline nel cuore del Monferrato, ma artisticamente un songwriter cresciuto assimilando il sound prodotto tra Londra, New York e la west coast degli anni 70 e 80. Uno spirito di confine, come le sue canzoni.

Nelle precedenti esperienze musicali con i RISERVATO, Massimo Torchio ha partecipato al “SIM” di Milano arrivando alle finali, al “Festival Sonora” di Latina, ha vinto il “Festival degli Sconosciuti” di Ariccia e il festival “Asti e Musica”, ha presto parte al “3° Festival Internazionale di Lignano Sabbiadoro” e tenuto concerti in tutta la penisola negli anni ‘90 e 2000. Da pochisismo è uscito il suo nuovo singolo solista “Non vi appartengo”

Cosa c’era prima in quel seminterrato?
Una stalla, queste mura esistono da almeno 250 anni.

Come sarà Ohimeme tra qualche anno?
Sarà ancora un posto in cui vivere serenamente la propria artisticità. Un posto in cui cercare un suono, un’idea senza piegare i tempi della creatività ai tempi del mercato. Avremo diversi partner e collaboratori, saremo sempre più attivi nel comunicare con gli altri addetti del settore.

I singoli e il disco di Torchio, di prossima uscita, sono stati registrati presso Flat Scenario e prodotti da Luca Grossi. “Lavorare sulla voce di Torchio è un’esperienza molto particolare perché la traccia registrata sembra sempre provenire da un palco, la dove l’istinto guida l’esecuzione e la dove le emozioni prevalgono sul controllo. Abbiamo passato molto tempo in studio insieme, ascoltando musica, parlando di cosa volevamo dalle sue canzoni e cercando di guardarle sempre dal punto di vista dell’ascoltare. Lavorare con Massimo significa passare del tempo di qualità. Credo che i prossimi lavori insieme gioveranno delle fondamenta solide che abbiamo gettato con NON VI APPARTENGO.

Qual è il problema delle etichette della scena indie in Italia?
Non so se li definirei veri problemi ma mi vengono in mente questi due aspetti: 1 applicano a volte metodi un po’ troppo “industriali” 2 vogliono essere a tutti i costi etichette di genere 3 hanno tutte il profilo Instagram troppo “pettinato” ahahahahah

Luca degli Ave Quasàr

foto inedite di Simone Pezzolati

Categorie
Indie Pop

Il lockdown secondo caspio

Esce giovedì 25 marzo 2021 mai, il nuovo singolo di caspio (fuori per Le Siepi Dischi, in distribuzione Believe International). Un nuovo capitolo per l’atipico cantautore nato a Roma, ma trapiantato a Trieste che si muove influenze che derivano dagli anni Novanta, passando per il trip hop dei Massive Attack o dei Nine Inch Nails ed elettronica anni Ottanta. mai è un manifesto generazionale e che descrive una generazione, quella dei trentacinquenni, difficile da definire. “Millenials” li chiamano, per il solo merito di aver assistito alla rivoluzione digitale e di essere stati coscienti – ma non troppo – quando il 2000 è diventato l’oggi. Una generazione disillusa da un lavoro che non si fa trovare, piegata da una società che non appartiene loro, sempre troppo giovani o troppo vecchi, rattristata da genitori che, per la prima volta della storia, stanno meglio di loro. Istruiti, cinici, scettici, in grado di reinventarsi: caspio omaggia la sua generazione. Una generazione che ha voglia di riprendersi ciò che le spetta, che ha voglia di riscatto. Una generazione che non si arrende, che non molla.

Gli abbiamo chiesto, come al solito, com’è stato il suo lockdown.

Come stai passando questo strano periodo, qual è la tua routine?
Lavoro, scrivo musica, penso a nuovi progetti, al futuro, a sistemare una casa appena comprata.

L’arrivo della pandemia ti ha sconvolto qualche piano? Quale?
A dire il vero no. Anzi, mi ha cambiato la vita in positivo. Ho “costruito” di più in quest’ultimo anno che negli ultimi 10. Però adesso anche basta: un po’ di normalità ci vuole.

Questo è Gino che mi ricorda quanto sia bella la sua vita rispetto alla mia. Per lui non esiste neppure lo smart-work.

Te la ricordi la primissima quarantena? Come la passasti?
L’ho passata a casa, in studio, o sul divano in pigiama praticamente ogni giorno. Per certi versi è stato un po’ alienante ma venivo fuori da anni di pendolarismo, lavori che mi avevano logorato e che non mi avevano permesso di dedicarmi a quello che mi piace fare. Ed eccoci qui.

Di cosa parla il tuo ultimo singolo? L’hai scritto nell’ultimo anno?
Il mio ultimo singolo parla di me, dei miei coetanei, di tutti quelli che ogni tanto si fermano a guardarsi allo specchio e si chiedono dove stanno andando, chi sono e cosa possono ancora fare.

Questo è quello che vedo quando scendo dall’autobus per andare al lavoro.

Cosa ti manca più di qualsiasi cosa?
Lo dico a bassa voce visto che sono un “orso”: conoscere altre persone e vedere amici che vivono lontano da qui. Nell’ultimo anno ho conosciuto parecchie persone sul web e vorrei prendere un treno e poterci passare una serata.

Ti ricordi ancora l’ultima serata che hai fatto post 22.00?
Sinceramente no e poi ormai sono anni che per me le “serate” equivalgono a stare a casa, con gli amici, un buon vino. “Restare a casa” is the new “uscire a divertirsi”.

Categorie
Indie Pop

Cranìa mi ha portato in giro per Milano

A fine gennaio è uscito A fondo, il nuovo singolo di Cranìa. Un brano che ci ricorda che le bugie hanno le gambe corte. Per Cranìa sanno nuotare. Recita così il suo ultimo singolo, “A fondo”. La cantautrice presenta un brano dal carattere intimista che continua il filone dark di “Stomachion”, non senza innovazioni. L’introduzione eterea, l’assenza di ritmica nel ritornello equilibrato dalla reiterazione testuale, l’utilizzo di suoni che ricreano l’acqua più profonda lo caratterizzano e mettono in luce la voce, qui lasciata nuda e cruda. Crude come le parole impiegate per esprimere che a volte è indispensabile toccare il fondo per risalire.

Lei, di Brescia ma di casa a Milano, mi ha portato in un bar che si chiama Colibrì vicino al Duomo, e ci ho scambiato quattro chiacchiere.

Che tipo di sensazione descrive il brano A fondo?
A fondo è in primo luogo una canzone d’amore, essendo nata dopo uno sfogo di un’amica in preda a moti amorosi. È altresì un brano di presa di coscienza; si può sempre risalire dall’abisso, mettendo la propria persona sopra ogni cosa.

Sappiamo che sei di ritorno da Musicultura, com’è andata?
Benissimo! È stato vitale tornare a suonare, a maggior ragione in un teatro magnifico come il Lauro Rossi

Avevi già cantato dal vivo i tuoi pezzi su un palco vero?
No, in quanto ho pubblicato il primo singolo, Stomachion, ad ottobre, in piena pandemia. Musicultura è stata quindi la “mamma” dei live con il mio progetto.

C’è differenza tra cantare i propri brani e quelli di altri?
Cambia tutto. Chi meglio di te sa conoscerti? Lo psicologo, forse.

Siamo nuovi di Milano. Dove ci porti e perché?
Vi porterei a fare la cosa che amo di più, cioè vagare senza meta per perdersi, facendoci stupire dalla città.

Quando potremo sentirti con qualcosa di nuovo? Qualche spoiler?
Quando qualCosa sarà cambiato – leggete tra le righe.

foto inedite di Simone Pezzolati