Ritrovarsi a fare i conti con sè stessi è sempre una cosa difficile.
E ci tengo a precisare che in generale i dischi senza parole, tutti i dischi senza parole, sono subdoli e un po’ bastardi, perchè ti lasciano soli con i pensieri, le parole va a finire che ce le devo mettere io, nella mia testa. E finisce che penso a quanto sono stata stronza quella volta che mi sono messa a tirare i piatti e non avevo voglia di parlarti, che forse dovrei scriverti, però poi lo faccio e tu non rispondi, e quindi vaffanculo. Young Demons è il secondo disco di Savnko, che mi ha tirato fuori di tutto, persino quei ricordi assurdi di un’adolescenza lontana in cui passavo le nottate davanti al computer a guardare serie televisive, un episodio dietro l’altro, mangiando e vivendo a letto, in completa solitudine. Non sono mai stata così tormentata e isolata come allora, e Young Demons è la colonna sonora di quel periodo, e della rabbia che oggi ne deriva.
Quello di Young Demons si presenta un progetto che vuole raccogliere tutte le insolite emozioni provate durante questi ultimi due anni altrettanto insoliti: rabbia, incoscienza e voglia di tornare a una vera libertà, senza nessuna paranoia, paura o rimorso riguardanti la vita di tutti i giorni. Questa pandemia ci ha riportato in quel periodo, che tutti noi musicofili che ci leggiamo le recensioni online abbiamo passato (non mentite, per favore!), quello in cui tutti uscivano il sabato sera e ci lasciavano a boccheggiare, e noi in quel tempo lì leggevamo libri tristi, finivamo film d’autore e serie di fantascienza, tutto ciò che abbiamo dovuto riprendere durante quel maledetto 2020. Young Demons sono tutte le volte che ho provato a chiamarti, non hai risposto e sono rimasta ad aspettarti tutta la sera, quella volta che ho incrociato il tuo sguardo, che abbiamo tenuto un segreto, che poi, lontani, siamo rimasti a casa a scrivere e a consumare Antonioni.
Quelli di Savnko sono tormenti elettronici oscuri, tormentati, ossessivi. Un’atmosfera che sa di quella stanza piena di poster e pianti sul cuscino, di nottate illuminate dal pc prima che si parlasse di hikkikomori. Savnko ci porta con la sua elettronica per emarginati a conoscerlo bene, a incontrare i suoi demoni più recenti che probabilmente lo hanno ossessionato in quest’ultimo periodo. La migliore e tormentata canna sul divano, come il peggiore dei balli solitari in un club berlinese dove abbiamo perso tutti i nostri amici, chitarre solitarie che infiltrano nei pensieri in Lust, insinuazioni bassocentriche disturbanti, parole abbandonate come captate dallo spazio. Savnko è indubbiamente uno dei migliori nomi dell’elettronica contemporanea, e si impegna davvero tanto a farci stare male.
Ho ascoltato il primo disco di Lena A. e ne ho parlato, traccia dopo traccia, un po’ come viene a me.
Esce venerdì 7 maggio 2021 per Uma Records e in distribuzione Sony Music il primo album di Lena A. dal titolo Nuove Stanze. Un nuovo capitolo definitivo per la cantautrice napoletana che rinnova ancora una volta la sua collaborazione con il produttore Giovanni Carnazza. Benvenuti in un mondo elettronico e malinconico, dove rabbia e amore spesso sono la stessa cosa.
Sono nuove queste stanze, eppure sono sempre esistite. Soltanto che prima avevo gli occhi bendati e non le avevo mai viste: ora le ho davanti e finalmente posso scegliere io di che colore dipingerle. Sono stanze dalle pareti ancora bianche, metri quadri della mente, contenitori di emozioni. Sono le Nuove Stanze di cui scrive Montale; sono i luoghi fisici in cui ho vissuto in questi tre anni: Napoli, Roma, Zaragoza, Santiago; sono il percorso di prime volte che ho tracciato nero su bianco; sono il manifesto della mia salvezza. Dentro Nuove Stanze ci sono sette sguardi diversi, sette identità, sette storie: dal giudizio altrui che piega l’io e lo condanna ad una maschera sociale, alla libertà che dà senso ad ogni azione. Un disco incentrato sull’identità, sull’io e su quanto sia necessario imparare a conoscersi per vivere tra la folla senza disperdersi. Anni fa sembrava impossibile raccontare tematiche come la scelta, la sessualità, la rivalsa di essere donna, la socialità scandita dai media, ma oggi è la quotidianità in cui sono immersa: ho voluto scrivere e cantare cosa hanno visto i miei occhi in questi ultimi anni e mesi, costruendo intorno un universo musicale elettronico ma allo stesso tempo cantautoriale.
Italo Calvino su Il Barone Rampante parla di un giovane ragazzo di origine altolocata che un giorno si stanca della sua famiglia, della sua vita, del suo mondo e decide di passare il resto dei suoi giorni appeso agli alberi. Molti pensano che sia una storia inventata, ma in realtà quello che ha scritto Calvino corrisponde al vero in quanto tutto ciò è stato vissuto e trascritto da una ragazza di nome Alessandra, soprannominata Lena A., divenuta fedele compagna di viaggio di Cosimo, quel Barone Rampante, per un lungo tratto del suo vagare. Calvino non ha fatto nient’altro che ricopiare di pari passo parte dei trascritti di Lena A. e abbellirli aggiungendo personaggi e contesti.
[ Granada ]
Conosciuto sugli alberi di Olivabassa, Lena A. era tra gli esiliati spagnoli costretti a vivere sugli alberi incontrati dal Barone. Calvino sul libro l’ha chiamata Ursula evidenziando quanto lei e Cosimo fossero sincronizzati e innamorati per il semplice fatto che entrambi vivevano sugli alberi. Per motivi narrativi ha deciso di farla apparire per poche pagine, ma in realtà da quell’incontro loro due stettero insieme per molto tempo. Tutto quello che sappiamo su di loro è grazie anche a brevi poesie che lei scriveva per descrivere quello che lei provava.
[ Giugno ]
Una delle poesie più belle parla di quella spensieratezza che loro due hanno sviluppato in quel nomadismo di albero in albero. Non c’era giorno in cui i due si facessero forza, anche perché entrambi alla fine scelsero di stare lontano dalla loro famiglia per creare un mondo loro, una libertà diversa e più matura. Più stavano insieme e più quel rapporto si solidificava: era come se ci fosse una terza persona tra i due, un qualcosa nato dal loro amore, una sorta di personificazione che spiritualmente gli faceva compagnia giorno e notte.
[ Pineta ]
Non riuscirono a quantificare quel tempo insieme, ma in quella solitudine reciproca era prevedibile che a un certo punto arrivassero anche i primi litigi, che non erano nient’altro che il risultato di scelte non condivise: percorsi sbagliati tra i rami degli alberi per scelta o di uno o dell’altra, la disubbidienza nel mangiare un cibo che non doveva essere mangiato, la ribellione nei confronti della conoscenza scaturita dall’esperienza singolare di entrambi. I cosiddetti alti e bassi che ci sono in una coppia, solo che poi quegli alti e bassi viverli sopra a dei rami hanno un sapore tutto diverso, più intenso. L’infelicità in quel contesto può essere pericolosa, mina l’istinto di sopravvivenza.
[ Non Sono Roma ]
E infatti da quei litigi il rapporto non si riprese più. Troppo fu la voglia del Barone di tornare a vagare in solitaria e troppo fu il dolore di lei dopo aver compreso quella consapevolezza. Lena A. se ne stava rendendo conto, descrivendo quella personificazione del loro rapporto non più come un qualcosa di vivo e di solare ma come una sorta di cadavere che entrambi si stavano trascinando e che stava divenendo un peso. Un peso troppo pesante da sopportare. E fu così che le loro strade si divisero.
[ Ecco La Tua Femmina – Adesso Cera ]
Lena A. ritornò dai suoi familiari che erano finalmente riusciti a tornare in Spagna senza più il peso dell’esilio e Cosimo fece la stessa cosa, anche se purtroppo venne a conoscenza della morte del povero padre. Poco dopo l’accaduto, ebbe una nuova storia con una sua vecchia fiamma, Viola, ed è come se a quel punto Lena A. non fosse mai esistita. Lena A. lo venne a sapere anni dopo, con il cuore infranto, quando ormai lui non c’era più, mentre lei per tutto quel tempo non aveva fatto altro che aspettarlo osservando gli alberi.
Deep Side è il nome che il batterista e producer Sidi ha scelto per una delle live session più curate e suggestive che vedrete in questo periodo, girata in uno dei canyon più suggestivi d’ Europa, situato in Puglia. Sidi, reduce dalla pubblicazione del suo nuovo EP dal titolo Fluido, fuori per Pitch The Noise Records, ecco un nuovo importante capitolo che mostra live i brani Cactus e Our Sunday.
Il progetto nasce dalla necessità di creare accostamenti di immagini rilegate alla natura da cui Sidi ne trae profonda ispirazione per la scrittura dei due brani presenti.
Il cibo. Durante gli ultimi anni e soprattutto con il lockdown è nata in me la passione di sperimentare in ambito culinario insieme ai miei amici. Sicuramente tra le mie cose preferite c’ è il riso patate e cozze, eredità di valore inestimabile di mia nonna.
I miei skate.É da quando mi fu regalato il primo skate a 9 anni che non l’ ho più mollato. La sensazione di “fluttuare” è tuttora una delle più belle che provo nel corso delle settimane.
Le mie batterie. Sono custodite con parsimonia. Purtroppo negli ultimi anni è stato difficile collocarle in casa qui a Milano per via del vicinato. Ma tra una sala prove e l’ altra ci ricongiungiamo spesso.
Le piante in camera. Sono patito per l’ ordine e l’ estetica nei luoghi in cui lavoro. Qui a Milano insieme alla mia coinquilina Phaabee sin dal primo giorno, abbiamo riempito la casa. Vedo le piante come dei figli e necessitano molta costanza e ciò mi fa star bene.
I dipinti miei e dei miei amici.Sono un elemento immancabile che porto sempre con me ogni qual volta che mi trovo a traslocare. E negli ultimi due anni i traslochi sono stati parecchi!
Esce martedì 23 marzo 2021Siolence (titolo che viene dall’incontro tra “silence” e “violence”), il disco di debutto di Metcalfa, già anticipato dal singolo Missing. Si tratta del mondo oscuro del progetto solista di Metello Bonanno, primo esponente della hybrid music, che viene finalmente svelato, che presenta un suono che mischia elettronica, influenze jazz, atipiche soluzioni timbriche e ritmiche. Lasciatevi trasportare nel mondo di Metcalfa.
SIOLENCE, un incontro tra le parole “silence” e “violence”. La scelta di questo titolo vuole tradurre in parole quello che succede all’interno del disco e le sensazioni che, si spera, possa suscitare nell’ascoltatore. Attimi di pura quiete affiancati ad elementi più ruvidi, in modo da creare un interessante connubio sonoro.
Nel 1980 accadde uno strano fenomeno nel Nord-Est della penisola italiana. Comparvero degli insetti alquanto insoliti, simili a delle falene nella forma del corpo ma dal muso più vicino agli anfibi. Non si sa come hanno fatto questi strani insetti ad arrivare in Veneto, molti dicono di averli già visti nelle lontane Americhe in tempi antecedenti e che, anzi, in quelle zone fossero in realtà molto comuni. Stiamo parlando delle metcalfe.
Apparentemente innocue, quello che sappiamo su di loro è che si nutrono di linfa vegetale assorbendone solo la parte proteica ed espletando la parte zuccherina su rametti e foglie, successivamente raccolte da api per produrre del delicato miele squisito. Ma quando questo non avviene, la parte zuccherina riviene assorbita dalle piante portando alla nascita di particolari funghetti microscopici che fanno ammalare le foglie di queste rendendole di un colore nero pece.
Da anni circolano storie strane su questi insetti: si pensa che una metcalfa sia nata con una malformazione genetica a causa dell’assorbimento di sostanze nutritive nei vigneti in cui vengono prodotti i frutti che portano alla realizzazione del prosecco e che, nella fase della sua crescita, la sua prolificazione abbia contagiato parte della natura sottostante.
A quanto pare, inizialmente fu poco considerato lo strano comportamento di quelle api che furono le prime ad entrare in contatto con le esplicazioni della metcalfa anomala, producendo un miele che le portarono a scomparire dagli alveari attentamente controllati da apicoltori e gente di campagna. Non si sa dove siano finite queste api, ma molti pensano che abbiano compiuto degli atti suicidi creando alveari nei posti più pericolosi possibili, ovvero proprio dentro le tane degli animali selvatici. Sembra che questi animali, in particolare volpi e cinghiali – dopo aver mangiato il miele prodotto da quelle api ma anche in seguito le piante e frutti ricoperti di quel nero pece anomalo – abbiano acquisito una forma di coscienza collettiva. Una coscienza collettiva che ha portato le volpi a non uccidere più le galline nei pollai, ma bensì a liberarle; stessa sorte che capitò ai maiali degli allevamenti, liberati dai fratelli suini selvatici.
Seppure fatti crescere in cattività, la comunicazione tra di loro acquisì una evidente progressione anche grazie alla loro conseguente nutrizione di piante contagiate, creando retate sempre più organizzate per liberare gli altri loro simili tenuti imprigionati dall’ingordigia dell’essere umano. Fu poi il turno di equini, bovini, caprini e in libertà ebbero modo di creare delle comunità multispeciste autogestite senza essere sotto possesso dell’uomo. Avevano capito che la loro vita non era nient’altro che una farsa di ciò che avrebbero potuto fare davvero, rendendosi conto che erano nati solo per essere sfruttati o per riempire la pancia di coloro che li avevano messi al mondo o di chi avesse comprato le loro carni dopo essere stati maciullati ben bene. Non accettarono questa condizione, per cui fecero un patto di non belligeranza con gli animali selvatici sin dalla nascita ottenendo il giuramento di non essere mangiati da loro e in cambio si ripromisero che insieme avrebbero unito le forze per passare all’atto successivo: fare comunità e fare agli uomini quello che è stato fatto a loro in caso fossero attaccati.
Nel frattempo, ci fu un grande scalpore tra gli esseri umani possessori di quelle aziende agricole appena si resero conto che gli animali che avevano diligentemente allevato stavano misteriosamente scomparendo. Così molti organizzarono delle spedizioni nei boschi alla ricerca dei loro futuri prodotti scomparsi, ma stranamente nessuno faceva mai ritorno. Questa cosa allarmò i paesi limitrofi: come era possibile? Cosa stava accadendo nei boschi?
La ricerca degli animali scomparsi si trasformò in ricerca delle persone scomparse, ma chi entrava dentro ai boschi automaticamente non avrebbe fatto più ritorno a casa. Gli animali domestici avevano perfettamente capito cosa stesse succedendo, infatti molti tentarono di bloccare i padroni prossimi alla ricerca ferendoli prima di partire e impedendogli così di scomparire anche loro in quell’enorme buco nero che stava divenendo la natura.
Le spedizioni stavano iniziando a diventare troppe, per questo gli animali per evitare ulteriori spargimenti di sangue, migrarono in massa in zone ancora più selvagge: dai colli trevigiani arrivarono fino alle Dolomiti per creare delle tane vicine che insieme andavano a formare delle comunità armoniose.
Gli umani non accettarono tutto questo, per cui organizzarono delle ricognizioni aeree per attaccare i nemici che ormai avevano capito essere quegli stessi animali che una volta possedevano. Vennero utilizzate armi di distruzioni di massa per terminare questa situazione, con alberi devastati dalla reazione crudele.
Tuttavia, nonostante perdite ingenti, la risposta degli animali fu altrettanto calibrata: lupi, orsi, cinghiali e rapaci furono gli unici ad uscire dalle loro comunità naturali per attaccare i centri abitati da cui provenivano gli attacchi. Le strade si riempirono di sangue di uomini, donne e bambini. Ci sono stati addirittura paesini completamente svuotati. Il tutto attuato nel silenzio delle tenebre e con l’aiuto del buio, la condizione più favorevole.
Furono eventi ricordati da tutti. Gli umani capirono: li dovevano lasciare in pace e accettare la condizione. Lasciarono in pace anche le foreste a quel punto, si arresero. Gli animali avevano vinto. Si diffuse la voce in tutta la nazione: chi fosse entrato dentro le foreste, sarebbe automaticamente sparito in uno spirale di silenzio e violenza. Tutto merito di un piccolissimo insetto chiamato metcalfa.
Esce mercoledì 9 giugno 2021Summer Night, il nuovo singolo di DJ Aladyn che questa volta si avvale della collaborazione del cantante italo-nigeriano Raphael. Il brano segue la pubblicazione di Paradise Lost (dove il testo era ispirato a John Milton e Dante Alighieri) e ci porta all’interno di una festa estiva, metafora di un’oasi felice in contrasto con una vita di routine e di conti da pagare.
Le sonorità dance e reggae sapientemente mixate accompagnano l’ascoltatore in questa riflessione musicale, dove gli artisti rivendicano il diritto a vivere la propria passione, dopo le incertezze ed il silenzio di mesi di lockdown e restrizioni superati anche grazie al ricordo di quelle notti d’estate, all’attesa di sentire di nuovo i potenti bassi di un impianto in riva al mare che ti scuotono dal profondo, di rivivere quel rito collettivo ancestrale che è la festa. Feel the vibes!
Ne abbiamo approfittato per farci portare in giro per Milano, per comprare qualche disco.
Cosa puoi raccontarci del tuo nuovo singolo Summer Night? Summer Night nasce dopo il lockdown e racconta la voglia di tornare a stare all’aria aperta e a divertirsi in leggerezza, riprendendo i contatti con le persone. Perché anche se nei mesi di chiusura abbiamo avuto apparentemente tempo per riflettere su tante cose, è stato pressochè impossibile prendersi quello spazio necessario per ascoltarsi nel prodondo. Summer Night rappresenta proprio questa consapevolezza maturata nel tempo, che è pronta a fiorire in una notte d’estate.
Entriamo metaforicamente in un negozio di dischi? Cosa ci consigli? Normalmente quando entro in un negozio di dischi, vado subito dritto nel reparto “colonne sonore” perché adoro collezionare vinili di questo tipo. Poi cerco di trovare anche l’angolo “Battle Breaks” che è sempre poco reperibile, vinili che contengono tools per lo skratch. Poi passo all’angolo elettronico anni ‘70, cercando materiale un po’ cosmics e un po’ space music alla Tangerine Dream e Klaus Schulze, perché prediligo quel genere di musica elettronica.
Domanda che ti avranno già fatto tantissime volte, ma noi non possiamo essere da meno. Come mai ti chiami DJ Aladyn? Mi chiamo DJ Aladyn perché il mio vero nome è Aldino, e da ragazzio degli amici che avevano un locale estivo mi chiamarono per fare una serata. Sul flyer scrissero DJ Aladyn. La serata andò benissimo e io decisi di tenere quel nome perché mi aveva portato fortuna.
Come hai conosciuto Raphael e quando avete deciso di collaborare? Raphael è un giovane artista italo-nigeriano che vive a Genova e che ho conosciuto grazie ad Awa Fall, la cantante con cui ho collaborato per il mio recente pezzo Vibrations. Tramite lei ho avuto la possibilità di conoscere Raphael perché stavo cercando una voce per il mio pezzo che ricordasse un po’ quella di Damian Marley, stile che a me piace molto. Dopo aver ascoltato alcuni suoi lavori, mi è piaciuto da subito. L’ho contattato e lui è stato super disponibile e molto veloce nella scrittura del pezzo e nella registrazione. Devo dire che questa collaborazione mi ha preso molto bene e posso già anticipare che lo coinvolgerò anche per un secondo pezzo dell’album.
Prossimi step del tuo progetto musicale? I prossimi step sono essenzialmente due: l’uscita del nuovo singolo dopo l’estate e l’esordio del mio nuovo album che sarà pronto tra la fine del 2021 e l’inizio del 2022. In questo periodo, invece, sono chiuso nel mio studio dove sto lavorando ai pezzi del disco.
Esce venerdì 30 aprile 2021 il nuovo singolo di Hesanobody per Street Mission Records (etichetta londinese distribuita da [PIAS]). Si tratta del primo nuovo estrato dal nuovo e conclusivo capitolo della trilogia di EP iniziata con The Need To Belong e The Night We Stole The Moonshine, in uscita quest’estate. Il progetto solista di Gaetano Chirico torna con il suo inconfondibile cantautorato electro-pop di respiro internazionale. The Necessary Beauty è un risveglio dopo una serie di sogni e incubi, un ritorno alla realtà che ritrova il protagonista a fare il punto della sua vita, confrontandosi con domande retoriche, inutili, che rischiano di ingigantirsi intralciando il suo cammino, una preghiera fragile per ritrovare una via che rendiamo inconsciamente impervia, auto-sabotandoci.
Gli abbiamo chiesto come ha passato il lockdown!
Come stai passando questo strano periodo, qual è la tua routine?
Sto passando questo periodo sforzandomi di renderlo il più normale possibile. La mia routine non è cambiata tantissimo, “semplicemente” molte cose che prima facevo di persona, adesso son costretto a farle da casa davanti ad un computer e qualsiasi serata con altre persone, che sia fuori o a casa, deve terminare entro un certo orario. È di sicuro alienante, anche per una persona che ama molto stare a casa come me. Più che altro a seconda del momento mi capita di vivere male e con fastidio l’impossibilità di scegliere, di avere alternative.
L’arrivo della pandemia ti ha sconvolto qualche piano? Quale?
Li ha di certo rallentati parecchio. Già l’anno scorso ero pronto a pubblicare un singolo in primavera, ma le chiusure, le limitazioni e l’incertezza hanno bloccato qualsiasi cosa, facendomi ripensare a tutto il mio nuovo lavoro. Mi auguro in meglio!
Te la ricordi la primissima quarantena? Come la passasti?
Chiuso in casa, per fortuna non da solo come molta gente. Con la mia ragazza ci siamo accodati alle innumerevoli persone che hanno deciso di darsi alla panificazione, ma solo dopo aver lottato per settimane alla folle ricerca del lievito.
Di cosa parla il tuo ultimo singolo? L’hai scritto nell’ultimo anno?
‘The Necessary Beauty’ è sostanzialmente una preghiera. Un’esortazione a non lasciarsi sopraffare dalle aspettative che noi stessi e gli altri riponiamo sul nostro percorso di vita, a non auto-sabotarci cercando risposte alle domande sbagliate. Ho iniziato a scriverlo nel maggio del 2019, dopo di che l’ho lasciato sedimentare fino all’estate scorsa, quando sono riuscito a trovare la veste definitiva grazie all’aiuto di Federico Ferrandina, il produttore della traccia.
Cosa ti manca più di qualsiasi cosa?
Non aver paura di abbracciare familiari e amici, ma son fiducioso si tratti solo di pazientare ancora per poco.
Ti ricordi ancora l’ultima serata che hai fatto post 22.00?
Quest’estate nella mia città natale Reggio Calabria. Ho passato diverse di serate pseudo-normali e senza limitazioni dettate da coprifuoco. Non vedo l’ora si possa tornare a farlo.
Con un nome che fa riferimento diretto alla grafica tridimensionale – in particolare ai poligoni – i Low Polygon si pongono l’obiettivo di tradurre in musica quello che sentiresti nel tenere in mano un cubo. Da un lato dinamiche nette e affilate. Dall’altro lato, loop sia nella musica che nei testi. Una tridimensionalità che viene trasportata live con strumenti acustici ed elettronici. Low Polygon è un progetto che nasce nel 2018 a Dalmine in provincia di Bergamo. Inizialmente concepito come un progetto di musica elettronica prende nel tempo la forma di un ibrido acustico/elettronico per poter essere portato sui palchi.
Dietro Low Polygon ci sono Giorgio, Davide, Marco e Omar; un team a metà tra la musica e l’arte grafica con una concezione stilistica, sonora e artistica improntata sul concetto “low poly”.
Ecco quali sono le loro cinque cose preferite.
BABASUCCO Eravamo all’Off Topic di Torino e Omar aveva queste bustine di “babasucco” che gli avevano dato giorni prima come energizzante con caffeina e/o ingredienti con effetti simili. L’utilizzo era semplice: busta, acqua, mescola. Sta di fatto che abbiamo deciso di testarla su Marco senza dirgli niente per vedere se effettivamente funzionasse, per essere sicuri abbiamo usato qualche busta in più. C’è da dire che Marco non è mai stato un gran fruitore di caffeina e la botta di energia si è manifestata in modo piuttosto massiccio: pochi minuti dopo averlo bevuto non riusciva a smettere di muoversi, è stato un razzo a smontare tutte le cose sul palco ed è uscito dal retro del locale facendo avanti e indietro più volte sulla via, l’effetto è durato in modo considerevole contando che nella pausa autogrill tra Torino e Bergamo è sceso dalla macchina per fare svariati giri di corsa attorno all’autogrill alle 2 di notte.
POLIZIA Chi ci conosce sa che abbiamo sempre avuto difficoltà a descrivere il nostro genere musicale, c’è dell’elettronica ma con molti riferimenti suonati, delay piuttosto ricercati ma anche fuzz ignoranti e quando i poliziotti in un controllo di routine fuori dall’autostrada ci hanno chiesto “ah si, eravate a suonare? e che genere fate?” siamo caduti in un silenzio di riflessione che è risultato estremamente sospetto. Marco cercando di riempire il vuoto esordisce con “prima cantavamo in inglese ora cantiamo in italiano” la risposta dell’agente è stata “avete fatto bene, potete andare”; è da quel momento che abbiamo deciso definitivamente di cantare in italiano.
IL LICEO ARTISTICO PIERO PELÙ La prima volta che siamo andati a suonare a Firenze è nata una legge non scritta interna al gruppo per cui Giorgio non può guidare. Non c’è un vero motivo anche perchè io (Giorgio) ho sempre guidato, ma da allora nelle trasferte più lunghe sto seduto dietro e mi faccio portare, top. Mentre mi godevo il viaggio dai sedili posteriori ho convinto tutti che a Firenze ci fosse un liceo artistico dedicato a Piero Pelù. Ci piace ricordare quel momento.
IL GIOCO DI OMAR Esiste un gioco alcolico che dopo averlo giocato nessuno ricorda più le regole e vanno riscritte, è il gioco di Omar. Omar è l’unico che se lo ricorda: tra i nostri amici esistono molte varianti di questo gioco perché ogni volta viene ricreato, anche se onestamente ora non me le ricordo.
LA PASTA PRE CONCERTO Alcuni la mangiano prima, altri la mangiano dopo, altri come Cesti scompaiono fino all’inizio del concerto perchè si ritira a meditare nell’angolo più isolato del locale. Insomma la abbiamo provata di tutti i tipi: calda, fredda, buona, e soprattutto dimmerda. Nonostante l’imprevisto che il cibo svolge nel periodo tra il soundcheck e il live, questa pasta di Schrödinger è il momento che aspetti prima di salire sul palco. Contiamo di tornare presto a mangiarla e di conseguenza a suonare.
Esce venerdì 16 aprile 2021 per l’etichetta Auand Beats Odd Dance Music, il nuovo album di Ylyne, la creatura elettronica dell’estroso musicista Frank Martino. Odd Dance Music non è solo il titolo, ma un gioco di parole che mischia ironicamente edm e odd meters, uno stile musicale qui sintetizzato con la partecipazione di Luca Scaggiante (in due brani, uno dei quali è l’atipica cover già edita di Welcome Home (Sanitarium) dei Metallica), I Love Degrado, Sarah Stride e Devon Miles.
Gli abbiamo chiesto come ha passato il lockdown.
Come stai passando questo strano periodo, qual è la tua routine? Ho scritto tantissima musica e ripreso a studiare quotidianamente sia il mio strumento (chitarra) che la produzione audio, mix e mastering. Cerco di utilizzare questa stasi nel modo più proficuo possibile, anche se, non vedendo la fine, non è semplice.
L’arrivo della pandemia ti ha sconvolto qualche piano? Quale? Avevo un bel po’ di concerti fissati e alcune produzioni che sono state rimandate: tenendo conto della situazione disastrosa per tutto il mondo della musica, credo di essere stato fin troppo fortunato.
Te la ricordi la primissima quarantena? Come la passasti? All’inizio credevo, ottimisticamente, che si sarebbe risolto tutto rapidamente, ma purtroppo mi sbagliavo. I primi mesi li ho trascorsi in modo molto cupo. Successivamente, grazie anche a qualche parvenza di normalità, mi sono ripreso e alla successiva chiusura ho schematizzato meglio le mie giornate come dicevo precedentemente.
Di cosa parla il tuo ultimo disco? L’hai scritto nell’ultimo anno? Sì, ho scritto il disco in tutto il 2020. E’ un disco di elettronica che combina sonorità dub, dance, ambient insieme a ritmi storti e tempi dispari. In gran parte della realizzazione, sono stato affiancato da altri artisti collaboratori che hanno dato un grosso contributo al prodotto finale: Devon Miles, Sarah Stride, I Love Degrado e Luca Scaggiante.
Cosa ti manca più di qualsiasi cosa? In questo momento, banalmente, riprendere il lavoro di prima.
Ti ricordi ancora l’ultima serata che hai fatto post 22.00? Certo, l’ultimo giorno di riprese del disco “Ego Boost” con il mio progetto jazz (Disorgan): abbiamo finito poco prima che iniziasse la pandemia
“Non lo so” è il nuovo album di Sibode DJ, pubblicato oggi 7 maggio per l’etichetta romagnola Brutture Moderne.
Sibode DJ finge di non sapere quello che ha tra le mani e che, come un dono prezioso, ci rende con prudenza e apprensione. Abituato com’è a fare della sua musica un rito sacro oltre che una performance artistica, Sibode, sembra un po’ impacciato a farci ascoltare il suo disco soltanto online, eppure, non si tira comunque indietro e sceglie così di farci ascoltare le 12 canzoni che compongono “Non lo so”, album nato tra il salotto di casa sua e i palchi.
Un viaggio introspettivo e psichedelico tra il funk, l’elettro pop anni Ottanta e la psichedelia, a cui noi abbiamo cercato di dare la nostra interpretazione personale.
Si parte con “O.Y.M.P.A.F.L’A.(I).S.D.T.” un acronimo tanto lungo quanto folle, un brano questo che scandaglia le sonorità del funky mixate alle battute di Zed di Scuola di Polizia. Passiamo poi a “Sbagliato o no”, canzone fatta di cori e trombe per ricordarci che tutto ciò che facciamo nel bene o nel male è sempre giusto se lo facciamo con consapevolezza. La corporeità del dolore diventa il motivo alla base del brano dalle vibes molto anni Ottanta “Menomale che (meno bene)”. Con “Suko” scopriamo essere possibile la combinazione dell’elettronica anglosassone alla balera romagnola: un inno non solo alla globalizzazione ma anche a farsi gli affari propri.
Non dimentichiamoci la psichedelia e infatti ecco che arriva “Gli animali della giungla”, brano anche questo ricco di spunti ipnotici e rituali. A questo poi seguono brani più introspettivi e solipsistici in cui ad una prima fase di solitudine segue quella dell’esplosione e della rivoluzione, non solo esteriore quanto piuttosto interiore, che ci fa ballare e gridare come accade in “Grande Felicità” (hit che non vediamo l’ora di ascoltare remixata su tutte le spiagge romagnole).
Speriamo dunque che con questa piccola guida riusciate ad apprezzare anche voi il nuovo lavoro di Sibode!
In una location segreta (ma poi neanche tanto, è per fare un po’ atmosfera) in Piemonte, c’è la base operativa di Ohimeme, il Flat Scenario. Una casa e un punto di riferimento per gli Ave Quasàr, Torchio e DadoBargioni. Artisti molto diversi tra di loro, che spaziano dall’elettronica al cantautorato rock e che sembrano azzeccarci ben poco eppure, durante un pomeriggio di marzo, sono andato a trovarli per capire qualcosa in più e me li sono ritrovati tutti davanti a un caffè, senza barriere o differenze di sorta, a parlare di musica.
Ma da cosa sono accumunati gli artisti di Ohimeme? Da un disco prodotto presso Flat Scenario, dallo stesso produttore artistico (www.lucagrossi.me). In alcuni casi da un’amicizia pregressa, in altri da un’amicizia sbocciata.
Fausto degli Ave Quasàr
Ave Quasàr rappresenta la naturale conseguenza delle precedenti esperienze musicali di Luca e Fausto. Insieme hanno fatto parte di Sintomi di gioia (l’ultimo disco è uscito nel 2012 ed è stato prodotto insieme ad Umberto Giardini, ex Moltheni) e hanno collaborato con Cristiano Lo Mele (Perturbazione) e con Tony Pagliuca (Le Orme). Prima dell’incontro con Fausto, Luca ha partecipato alla registrazione di diversi provini in numerose formazioni e in diversi ruoli. Per esempio nelle formazioni embrionali di Ufomammut (batteria) e dei Miura (voce) insieme a Diego Galeri (ex-Timoria, oggi Adam Carpet).
E in cosa sono diversi allora? Ascoltano musica totalmente diversa tra di loro. Hanno una visione molto distante tra loro rispetto agli ingredienti che servono per considerare una canzone “finita” e questo è un aspetto molto stimolante.
Come vi siete incontrati e quando siete finiti a lavorare al Flat Scenario? Registrare e produrre questi dischi a Flat Scenario è stato frutto di un passaparola tra amici e conoscenti, è capitato tutto in modo incredibilmente spontaneo e fisiologico.
Dado Bargioni e Torchio
Dado Bargioni, musicoterapista/cantautore nato anagraficamente a cavallo fra la pianura e le colline nel cuore del Monferrato, ma artisticamente un songwriter cresciuto assimilando il sound prodotto tra Londra, New York e la west coast degli anni 70 e 80. Uno spirito di confine, come le sue canzoni.
Nelle precedenti esperienze musicali con i RISERVATO, Massimo Torchio ha partecipato al “SIM” di Milano arrivando alle finali, al “Festival Sonora” di Latina, ha vinto il “Festival degli Sconosciuti” di Ariccia e il festival “Asti e Musica”, ha presto parte al “3° Festival Internazionale di Lignano Sabbiadoro” e tenuto concerti in tutta la penisola negli anni ‘90 e 2000. Da pochisismo è uscito il suo nuovo singolo solista “Non vi appartengo”
Cosa c’era prima in quel seminterrato? Una stalla, queste mura esistono da almeno 250 anni.
Come sarà Ohimeme tra qualche anno? Sarà ancora un posto in cui vivere serenamente la propria artisticità. Un posto in cui cercare un suono, un’idea senza piegare i tempi della creatività ai tempi del mercato. Avremo diversi partner e collaboratori, saremo sempre più attivi nel comunicare con gli altri addetti del settore.
I singoli e il disco di Torchio, di prossima uscita, sono stati registrati presso Flat Scenario e prodotti da Luca Grossi. “Lavorare sulla voce di Torchio è un’esperienza molto particolare perché la traccia registrata sembra sempre provenire da un palco, la dove l’istinto guida l’esecuzione e la dove le emozioni prevalgono sul controllo. Abbiamo passato molto tempo in studio insieme, ascoltando musica, parlando di cosa volevamo dalle sue canzoni e cercando di guardarle sempre dal punto di vista dell’ascoltare. Lavorare con Massimo significa passare del tempo di qualità. Credo che i prossimi lavori insieme gioveranno delle fondamenta solide che abbiamo gettato con NON VI APPARTENGO.“
Qual è il problema delle etichette della scena indie in Italia? Non so se li definirei veri problemi ma mi vengono in mente questi due aspetti: 1 applicano a volte metodi un po’ troppo “industriali” 2 vogliono essere a tutti i costi etichette di genere 3 hanno tutte il profilo Instagram troppo “pettinato” ahahahahah