Categorie
Internazionale

Gli Anticorpi che ci salveranno la vita, li abbiamo intervistati

Esce venerdì 17 dicembre 2021 Vota Estinzione (fuori per Sunflower Records), il nuovo singolo degli Anticorpi. Un nuovo capitolo per la band sci-fi technopop formata da Giovanni Di Iacovo e Arnaldo Guido che propone con amore e convinzione l’estinzione volontaria della razza umana: un brano politico e irriverente che prende le parti di un pianeta, il nostro, ormai in fin di vita.

Il nostro pianeta è minacciato da una e una sola terribile creatura: l’uomo, parassita egoista che divora e distrugge. Inutili le vuote promesse degli imperatori della terra, e temiamo che anche la battaglia di Greta non possa prevalere se non eliminiamo il problema alla radice: estinguiamoci. Dopo aver ascoltato il nostro brano, Godzilla ha finalmente accettato la nostra proposta di candidatura a Premier per poter iniziare subito questo concreto ed efficace programma di riforme: l’estinzione. Vota Partito per l’Estinzione Volontaria della Razza Umana!

Volevamo saperne qualcosa in più!

  • Chi sono gli Anticorpi, e da cosa ci proteggono? 

Vogliamo essere anticorpi alla banalità e all’idiozia. Sintetizziamo farmaci musicali per curare i mali del mondo e anche i vostri intimi, personali, quotidiani, uno ad uno. Naturalmente abbiamo iniziato per curare noi stessi, siamo i nostri pazienti zero.  Produciamo musica elettronica veloce e intensa e piena di vitamine con testi ricostituenti e psicotropi. Vogliamo la vostra felicità facendovi far sudare sia la pelle che le idee.

  • Di cosa parla “Vota Estinzione” e in che modo è un brano ecologista?

Vota Estinzione racconta di un movimento dedito alla difesa del nostro pianeta chiamato Partito per l’Estinzione Volontaria della Razza Umana. Proponiamo con amore e convinzione l’estinzione volontaria della razza umana perché a nostro avviso questa è l’unica concreta soluzione per salvare davvero la natura e l’ambiente. Il nostro pianeta è minacciato da una e una sola terribile creatura: l’uomo, parassita egoista che divora e distrugge. Unico responsabile dei cambiamenti climatici e di ogni danno alla natura. Inutili le vuote promesse degli imperatori della terra, e temiamo che anche le più sacrosante battaglie per l’ambiente non possano davvero prevalere se non eliminiamo il problema alla radice: estinguiamoci. 

  • Cosa è cambiato nel mercato musicale dopo il Covid?  

Guarda non siamo tanto esperti di mercati quanto di farmacie. Dal punto di vista della farmacia musicale questa fase della pandemia ha solo peggiorato le persone intensificando tutte le loro paturne, traumi, paure e anche la produzione musicale l’abbiamo vista molto ripiegata su se stessa, senza sangue senza coraggio. Dobbiamo tornare a guardare negli occhi la vita. A questo proposito, i vostri videoclip sono un ottimo collirio! Godeteveli su youtube!

  • Siete attenti alla musica che passa in televisione, da Sanremo a X-Factor? Avete mai pensato a una vostra partecipazione ad un talent? 

Adoriamo i talent, li seguiamo tutti e vorremmo partecipare a tutti, solo che nel pianeta da cui proveniamo ci sono solo talent per sterminare galassie nemiche, talent per impiantare peni biomeccanici che cantino nei momenti di noia reciproca, o talent per teletrasportarsi gli uni all’interno degli altri per fare feste a sorpresa. Purtroppo non abbiamo talent musicali.

  • Quali sono i prossimi passi per il progetto? 

Stiamo lanciando il nuovo tour in tutta Europa  per l’Ep Vota Estinzione, e abbiamo per San Valentino un regalo per tutti gl’innamorati: un bel brano sul Poliamore, ma può darsi che ci estingueremo tutti un po’ prima!

Categorie
Internazionale

L’inizio della BDSM Music, Anna Soares e il suo “Sacred Erotic”

Mi piacciono sempre i dischi che sembrano dare inizio a qualcosa di nuovo, in qualsiasi senso. Mi ricordo la prima volta che ho ascoltato un disco degli Arctic Monkeys (forse ero in prima superiore), e sapevo che quel momento avrebbe segnato per sempre la mia vita: avrei preso una posizione musicale, quella alternativa rispetto a quello che ascoltavano tutti gli altri, e avrei portato magliette ridicole con nomi di band che non avevo mai visto dal vivo. Whatever People Say I Am, That’s What I Am Not ha cambiato per sempre le cose, c’è un definitivo prima e dopo. Non so dicendo che Anna Soares centri qualcosa con gli Arctic Monkeys, ma con i cambiamenti sì e i nuovi inizi sì: Anna Soares ha unito definitivamente sesso e musica nel più elegante dei modi, con una sensualità esplicita e mai volgare che mi era sinora sconosciuta. Questo disco mi ha fatto venir voglia di amare, tantissimo, e questa voglia è davvero pericolosa per tutti i nerd davanti al computer che finiscono a leggersi le recensioni dei dischi.

Anna Soares ci porta in un mondo oscuro e vibrante, dove l’elettronica si fonde con i brividi sensuali di parole sussurrate che ci fanno sentire a disagio se, come me, state ascoltando questo disco in pubblico, su un treno diretto alla stazione di Scandicci (Firenze). Mi sento osservato, esposto, in difetto: la sicurezza estrema che Anna Soares si porta dietro con un carisma non indifferente, che ci dà il pieno controllo per avere il controllo su di lei nelle fantasie sessuali che la musica di Sacred Erotic inevitabilmente scatena. La BDSM Music, finora mondo sconosciuto, forse sta qui, nell’immergerci in questo vortice di sensazioni dove siamo completamente sottomessi al volere di Anna Soares che, ossimoricamente, ci dà il pieno controllo.

La cantautrice e producer, madre della BDSM Music, crea un percorso che celebra la sacralità dell’universo sessuale, toccando tematiche come la sapiosessualità, l’ipnosi erotica, dominazione e sottomissione, la potenza dello spirito femminino, la connessione intima che porta all’evoluzione interiore. Ogni brano compone un universo sonoro a sé, toccando trip hop, future garage, elettronica cantautorale, senza mai chiudersi in degli schemi predefiniti, sia vocalmente che a livello compositivo.

Questo disco suona come il sentirsi a disagio in una stanza dove tutti si stanno divertendo, come un sorriso forzato ad una di quelle serate dove avremmo voluto sempre essere presenti, di un mondo lontano e altolocato di cui noi non facciamo parte. Come quella volta che mi ritrovai, sempre al liceo, a bere una birra con Miles Kane e non riuscii a dire una parola, tornato a casa ero comunque l’uomo più felice del mondo. Sacred Erotic è così: un mondo sconosciuto, un nuovo inizio, un nuovo genere musicale, un mondo immersivo che ci fa sentire strani, e bisognerebbe davvero indagare su questa stranezza e che risulta infine bellissimo. Speriamo davvero che possa esserci presto un seguito.

CM

Categorie
Internazionale

Viaggio negli abissi di Caspio

C’era un periodo, nell’immediata post adolescenza, in cui mi ero fissato con i White Lies (no, caspio non c’entra necessariamente con i White Lies, state calmi): tristezza infinita, sintetizzatori, Dr. Martens che mi toglievo solo se dovevo andare a dormire, sguardo languido mentre mi aggiravo nei corridoi dell’università. Insomma, ascoltare i White Lies a ripetizione mi aveva fatto diventare un ventenne triste con la vita in bianco e nero, pochi mesi più tardi mi sono fissato con i Tame Impala e ho cominciato a portare dei pantaloni a zampa d’elefante. Tutto questo per dire che ciò che ascoltava tendeva ad influenzarmi, e se mi fissavo con un gruppo post-punk finivo per deprimermi. Poi son cresciuto, ho preso la mia prima busta paga, ho cambiato casa e non mai più chiesto un autografo o attaccato un poster in camera di una band musicale. Forse è strano, ma come si ama la musica da adolescenti, di un amore esclusivo e totalizzante, è qualcosa che si perde, e non torna più.

Quando ho ascoltato il nuovo EP di caspio (fugit, fuori per Le Siepi Dischi), sono stato male, come stavo male in quelle serate infinite passate a studiare, bombardandomi il sonno con volumi altissimi. Quello di caspio è un mondo elettronico oscuro, dove scorrono parole che scuotono e mi hanno fatto ricordare com’era, quel periodo in cui un disco poteva rovinarti la giornata. fugit è un concentrato brevissimo dove convivono rotture, assoluti e malinconie. Un brutto quarto d’ora per chi pensava di avere una vita monotona che non potesse essere scombussolata da un play su Spotify.

fugit è un’autobiografia con valenza universale, brani che raccontano momenti diversi, generazioni che passano: un tempo che ha cambiato tutte le carte in tavola, un tempo per le decisioni, un tempo che scandisce il ritmo sonno-veglia, un tempo presente e un tempo futuro. Un tuffo nel passato, non nel passato musicale, nel tuo passato che pensavi di aver sepolto dopo anni di maturità e responsabilità: in fondo siamo e rimaniamo adolescenti che ascoltano i White Lies. I brani contenuti in fugit sono eterogenei, confondono generi, sonorità e stile. Sono stati scritti in tempi – ed ecco il tempo che ritorna – diversi. 

E l’intento dell’autore è esattamente quello di far percepire all’ascoltatore che ogni cosa ha un suo tempo, un suo momento. La copertina dell’EP rappresenta sia la diversità dei brani, sia l’idea di una stratificazione temporale: è, infatti, lo shot di una bacheca pubblicitaria in cui il tempo ha logorato l’immagine di superficie lasciando intravedere tutte quelle sottostanti, diverse tra loro, sovrapposte, che a loro volta ne erano state la copertina. È lo spaziotempo di un luogo qualunque, in cui il tempo è trascorso lasciando le sue tracce, in cui il tempo è fuggito, lasciando dietro di sé il ricordo di qualcosa che ormai non c’è più e lisciando la superficie per fare spazio a qualcosa di nuovo. Qualcosa come fugit.

caspio ci promette che non è la fine, e non mi rimane che aspettarlo.

CM

Categorie
Internazionale

Nascosti dietro a petali di papaveri | Recensione di Entrambi, Il Corpo Docenti

Ci sono momenti nella vita in cui la sensazione di sentirsi fuori posto viene accentuata da un gesto, da una parola, da uno sguardo. Ci si sente a disagio o inadeguati in ciò che si sta facendo e si vorrebbe cambiare, differenziarsi dagli altri o mollare tutto e andarsene, convinti che sia la cosa migliore da fare. È una fase che attraversiamo tutti prima o poi, per alcuni rappresenta addirittura lo status di default e non sempre si decide di combatterlo o di uscirne. Spesso ci si rifugia dietro delle maschere, talvolta senza nemmeno esserne consapevoli, mossi dalla voglia di non omologarsi. È da questo tipo di pensieri che prende spunto Entrambi il nuovo singolo de Il Corpo Docenti uscito giovedì 28 ottobre e distribuito da Believe Music Italia. Come anticipa il titolo parte da una situazione di dualità, nonostante ciò che sentiamo raccontare dalla band riguardi più un percorso personale e un rapporto con sé e gli altri, più che la relazione tra due individui specifici. 

Il Corpo Docenti sono BenzoFede e Luca, un bresciano, un livornese e un modenese. Quello che potrebbe sembrare l’inizio di una barzelletta è invece l’origine di una bellissima storia, nata tra i boccali di birra del Maga Furla, ci svelano i ragazzi. Benzo (Lorenzo Manenti) voce e chitarra della band, Fede (Federico Carpita) al basso e Luca (Luca Sernesi) alla batteria. Alle spalle un EP, Scivoli, e un primo disco, Povere Bestie (gennaio 2020) prodotto da Divi de I Ministri; nel presente due uscite freschissime: Sottotitoli ed Entrambi; release seguite dalla stessa direzione artistica.

“Saremo morti prima di sembrare noi stessi” riassume molto bene il messaggio del brano. La delusione data dal non avere mai piena coscienza di sé mista alla consapevolezza che a condividere questa sensazione siamo entrambi: noi e gli altri. Temi che ci riportano alla testa letterati e filosofi del passato; il pezzo è un viaggio tra le maschere di Pirandello e uno Schopenhauer che trattava dell’insoddisfazione perenne dell’essere umano. Interrogativi che attanagliano spesso le nostre menti e in questo caso sono provocati dalle parole della band. Il Corpo docenti non perde l’attitude underground che caratterizzava i primi lavori, ma si arricchisce di nuove sonorità più pulite, tipicamente new wave, ed evolve in quello che potremmo definire un punk più beverino, che di conseguenza non storce il naso davanti a qualche synth. 

Da menzionare anche la struttura dei cori, posizionati nei punti giusti e in grado di avvolgere l’ascoltatore; è quasi come se fosse la nostra coscienza a parlarci e a consigliarci di lasciare da parte tutto ciò che serve, per essere felici.

Anche la cover del brano incarna la sensazione di solitudine che viene approfondita nel testo. Due individui che nascondono i propri volti dietro ai petali di un papavero, nella speranza di non essere visti dall’altro. Il tratto di Margherita Morotti si fonde alla perfezione sulla penna di Lorenzo Manenti e riassume le sensazioni del brano con un artwork in pieno stile Corpo Docenti. Margherita infatti accompagna la band già dai tempi di Povere Bestie e racconta le vibes dei brani attraverso le sue illustrazioni e grafiche.

Nell’attesa di scoprire cosa ci riserverà la band nei prossimi mesi ci riproponiamo di andare a sentirli dal vivo nelle prossime date:

  • 06 novembre al Circolo Arcipelago di Cremona
  • 19 novembre al Ziggy Club di Torino
  • 02 dicembre a Mare Culturale Urbano a Milano

Futura 1993 è il primo network creativo gestito da una redazione indipendente. Cerca i nostri contenuti sui magazine partner e seguici su Instagram e Facebook!

Categorie
Internazionale

La festa di Dischi Sotterranei mi ha salvato la vita

Che poi io non ce la faccio neanche più. A star dietro alle mille uscite settimanali, a capire di cosa parlano tutti, a cercare di riconoscere il volto della copertina di Scuola Indie e tutto il resto. Essere un musicofilo nel 2021 è davvero un casino. Ed è passato qualche anno da quando la realtà di Dischi Sotterranei, che in un periodo dove tutti si stupiscono di quanto sia incredibilmente creativa ARIETE (che poi nulla in contrario, sono stato anche a un suo concerto a Bergamo e mi sono innamorato della ragazza che poi mi ha riportato in stazione e non mi ha più risposto su Instagram), partoriscono un progetto come quello dei Post Nebbia: contro ogni regola, contro tutti, sempre. E quindi eccomi lì, qualche giorno fa, a prendere un treno per Padova per due giorni di musica firmati Dischi Sotterranei, due giorni di cui mi è piaciuto tutto tranne: il fatto che i bagni del cso Pedro erano abbastanza hardcore e mi sono scoperto vecchio e schizzinoso, il fatto che non sia riuscito a mangiare la pizza neanche una volta, il fatto che sia già finita.

MIVERGOGNO!

Entro al centro sociale occupato (ecco la CSO per chi, straniero in terra padovana come me, se l’è chiesto tante volte) con il cappotto tirato su fino alle orecchie, le scarpe di tela rigorosamente estive inzuppate e gli Orange Car Crash che fanno già un casino speciale, di quelli a cui non ero più abituato, di quelli che mi ricordano il 2019 e mi fanno venire la nostalgia di tutto quello che ho perduto in questi due anni, anni in cui sono invecchiato, in cui cominciano a farmi schifo i bagni sporchi, anni che nessuno mi ridarà più indietro. Birre, un freddo boia, le pizze che mi dicono tutti che sono buone (non riuscirò mai a mangiarle perchè ogni volta mi accorgerò di non avere cenato alle 2 inoltrate), libri ovunque, due palchi, gente che poga con la mascherina (essere ribelli rispettando le regole mi commuove e mi affascina), una gioia immensa. Palco piccolo, la follia ordinata di Vipera, palco grande i Vanarin, che sanno di casa e mi mancavano tantissimo.

Palco piccolo il post punk dei Kick, sarebbero piaciuti a quella ragazza che non mi ha più risposto su instagram, palco grande i New Candys già visti a Milano qualche giorno fa, ma qui la gente si abbraccia, si limona felice pensando quanto siamo cazzo fortunati che stiamo vedendo un concerto vero tutti vicini che volendo possiamo anche pogare malissimo, e il pogo malissimo arriva sul palco piccolo con gli Halley DNA che quasi qualcuno ci rimette qualche costola sputata fuori come in un film di Tarantino (sicuramente ritrovata il lunedì, quando qualcuno si sarà messo d’impegno a ripulire il cso Pedro), palco grande a ballare fino a tardi con quei pazzi dei Planet Opal. Non mi sono sentito solo neanche un momento, neanche quando ho chiamato un taxi per tornare a casa di quell’amico di mio padre che mi ha ospitato sul suo divano e tutti continuavano a spingermi da una parte all’altra. Padova ti vuole rapire e portare a ballare, a tutti i costi.

Michele Novak, Dischi Sotterranei

Sabato. Mi sveglio alle 2 del pomeriggio, leggo che c’è uno showcase dei Giallorenzo in un bar ma me lo perdo in pieno perchè non riesco a capire come arrivarci a piedi da dove sono io (sono anche un po’ pigro comunque, non prendetemi per scemo). Mi mangio le mani quando poi ritrovo delle storie su instagram di due miei conoscenti che invece erano lì. Finisco di nuovo al Pedro, mi innamoro di MIVERGOGNO! perchè si sente come mi sento io, e di nuovo palco piccolo Baobab!, una voce bellissima e libera di una ragazza che mi tormenterà, immenso Pietro Berselli che ritrovo dopo una data sempre a Bergamo, in tutto lo splendore che merita e un pubblico che conosce a memoria ogni suo brano, il benvenuto a te caro mio. Visconti & The Giallorenzos con quel rock, amore e svastiche, Jesse The Faccio che mancava come l’aria che più che un live ci regala una psicoterapia collettiva e catartica. Palco piccolo con i Laguna Bollente, surreali e con un attaccamento malsano per gli Oro Ciok, Post Nebbia: mia piccola rivelazione dell’anno, ma non di quest’anno, di tutti gli anni a venire, che mi ricorda che si può essere giovani e amare le chitarre, non vedo l’ora di poter dire io quella volta lì, c’ero.

Un DJ set di cui mi ricordo poco perchè finisco a bere con un gruppo di sconosciuti sotto la pioggia. Questi due giorni mi hanno portato ad una dimensione vera, quella dove ci si può toccare, quella dove ci si può scontrare, dove si possono conoscere persone nuove anche se si è sudati da far schifo, dove ci si può ubriacare senza venire giudicati, quella dove si vive di musica e quella dove ci si emoziona davvero. Perchè, e mi spiace dirlo, di come ci si sentisse a con certo di Jesse The Faccio io, dopo tutto questo casino globale, me n’ero dimenticato, e per qualche mese ho persino creduto che i concerti non mi mancassero davvero, non come l’andare a mangiare fuori o al baretto con gli amici. Stupido me, la musica dal vivo mi mancava come l’aria fresca, mi son sentito come quando si trattiene il respiro a lungo, per poi ritrovarsi affannati e respirare di nuovo. Così.

Che a non respirare a lungo, finisce che si muore.

Grazie.

Pietro Berselli

CM

foto di Simone Pezzolati, con pellicole Lomography

Categorie
Internazionale

Nicolaj Serjotti presenta il suo nuovo singolo “Toc x3 Freestyle”

Nella provincia di Milano gli artisti emergenti spuntano come funghi. Com’è naturale, per uno di realmente valido ce ne sono forse un centinaio di decisamente passabili. Questi ultimi molto spesso sono l’imitazione di questo o quell’altro big che già domina le classifiche, così da presentarsi in partenza senza un’identità propria. E poi ci sono quelli forti, quelli che ti rimangono in testa perché hanno un loro immaginario efficace e riconoscibile, uno stile originale e coerente (ma non necessariamente sempre uguale a se stesso) e qualcosa da comunicare. Nella loro musica e nel loro personaggio c’è qualcosa che, al netto di sacrosante influenze e contaminazioni, gli appartiene al 100%.

Uno di questi è senza dubbio Nicolaj Serjotti, nome d’arte di Nicolò Ceriotti. Classe ’98, è originario di Busto Garolfo, in quella grigia provincia milanese che fa da sfondo alle sue canzoni e in particolare al disco d’esordio Milano 7, uscito ormai quasi un anno fa per Virgin/La Tempesta.

Una penna elegante, capace di restituire fedelmente i pensieri e gli scenari che abitano la testa di un ragazzo che, nel suo essere comune, è fuori dal comune. Fuori dal comune perché evita la superficialità, ma non disdegna la semplicità. Fuori dal comune perché nei pezzi è il mood stesso che vuole trasmettere ad essere protagonista, non tanto uno specifico personaggio o argomento. Fuori dal comune perché dimostra che non occorre una vita da film per porsi le giuste domande ed avere qualcosa da raccontare.

Nicolaj Serjotti sta tornando e ce lo racconta bene con Toc 3x Freestyle, un singolo uscito di recente che anticipa l’arrivo di un nuovo disco “molto diretto, anche se pieno di stranezze”. Abbiamo fatto quattro chiacchiere con lui per saperne di più.

Ciao Nicolò, permettimi di aprire con una domanda di rito: come stai?
Non male? Credo.

A fine novembre il tuo primo disco, Milano 7, spegnerà la sua prima candelina. Che rapporto hai sviluppato con la tua opera prima in questi mesi che ci separano dalla sua uscita? Lo senti ancora tuo al 100%?

Lo riascolto sempre volentieri, ma sicuramente lo sento mio più come un ricordo che come un qualcosa di attuale. Senza Milano 7 non sarebbe successo quello che è successo dopo, e adesso abbiamo chiuso un progetto nuovo che per me rappresenta davvero un passo avanti. Musicalmente, a livello visivo ma anche proprio per quanto riguarda il mio modo di rapportarmi a quello che faccio.

E mentre Milano 7 sta per compiere un anno, torni a far parlare di te con un nuovo singolo, Toc 3x Freestyle. Nel pezzo dici “nelle tasche è da un paio di mesi che ho un disco già pronto”. Dobbiamo aspettarci che presto esca dalle tue tasche e veda la luce?

Assolutamente sì. Facciamo scadere il 2021 e poi lo facciamo uscire, stiamo lavorando agli ultimi dettagli ma è davvero tutto pronto.

Toc 3x Freestyle si distingue anche e soprattutto per le sue sonorità profondamente rap, con barre crude sputate su un beat che picchia come un martello. Questo cambio di sound è qualcosa che caratterizzerà tutto il disco o è riservato solo al singolo che lo introduce?
Diciamo che Toc x3 non anticipa niente, se non che ho deciso che volevo rappare di più. Quindi sì, sarà un disco più strettamente rap, ma declinato in varie sfumature e con tante sonorità. Senza mezzi termini, molto diretto anche se ricco di stranezze.

La copertina del singolo mostra il tuo volto riflesso nello specchio mentre maneggi un rasoio elettrico. Quest’immagine ha a che fare metaforicamente con la volontà di dare un taglio al passato e scrivere una nuova pagina del tuo racconto? O sto solo facendo correre troppo la fantasia?
Da ragazzini praticavamo spesso l’arte del taglio en plein air in qualunque posto. Una volta nella neve con 5 gradi, un’altra in centro città. Quindi un pomeriggio mi è tornato in mente, ho scritto a Christian e abbiamo scattato. In generale direi che più che dare un taglio al passato, stiamo rifinendo sempre di più il processo.

La produzione di Toc 3x Freestyle è di Fight Pausa, tuo ormai fedele compagno di viaggio dal 2018. Sarà tra i protagonisti anche del nuovo disco?
Più che protagonista. Ha curato la produzione di tutti i pezzi e abbiamo sviluppato insieme l’idea sonora del progetto, come direzione e come scelte in itinere.

Prendendo in prestito le parole di Caparezza, il secondo album è sempre il più difficile nella carriera di un artista. Sei d’accordo? Senti la pressione di doverti confermare o vivi questa sfida con serenità?
Penso che sia difficile se con il primo disco sei diventato famoso. Io sono ok, sto già pensando al terzo, me la vivo più come un processo di evoluzione artistica e per ora mi sento in miglioramento. Ne riparliamo quando avrò superato il mio prime, lì forse mi preoccuperà fare un disco.

Quando non è indaffarato a fare musica, che musica ascolta Nicolaj Serjotti? Quali artisti lo ispirano e lo influenzano di più in questo periodo?

Tanti. Sintetizzo nei tre dischi che sto ascoltando di più ultimamente: 
Mount EerieNo Flashlight
21 Savage, Metro Boomin – SAVAGE MODE II

Injury Reserve By the Time I Get to Phoenix

Dopo due estati di sedie, distanziamenti e mascherine, la musica dal vivo come eravamo abituati a conoscerla sta finalmente ripartendo. Quanto ti manca il palco? Sei pronto a tornarci?

Vorrei riscoprirlo, perché alla fine il mio primo disco è uscito mentre eravamo in quarantena quindi non ho avuto troppe occasioni di suonarlo live. Però a settembre ho aperto il concerto di Generic Animal al Magnolia ed è stato pazzesco. Non vedo l’ora di riuscire a girare e soprattutto di portare questi nuovi pezzi dal vivo.

Di Pietro Possamai

Futura 1993 è il primo network creativo gestito da una redazione indipendente. Cerca i nostri contenuti sui magazine partner e seguici su Instagram e Facebook!

Categorie
Internazionale Post-Punk

Le 5 cose preferite dei Viboras

I Viboras hanno recentemente pubblicato il nuovo disco “Eternal” (Ammonia Records). Un lavoro che sprigiona energia da ogni nota e che piacerà a tutti i fan del punk rock ma anche a chi nella musica ricerca la carica giusta per affrontare la vita. Abbiamo chiesto loro di dirci quali sono le 5 cose che preferiscono.


Rancid

Tutto inizia da loro o meglio tutto inizia ancora da loro. Non hanno inventato il punk ma hanno fatto in modo che il meglio dell’attitudine si combinasse con la modernità e il rispetto per il passato. Per noi restano un punto di partenza sempre attuale, il primo trittico della loro carriera ci ispira ancora oggi, se ascoltate bene tra le tracce di Eternal li troverete sicuramente


Animali

Molti dei nostri pezzi parlano di amicizie sincere e a volte perdute. Molti di questi amici sono i nostri amatissimi animali, esseri che hanno sempre molto da insegnare ai bipedi. Inoltre come band e singoli sosteniamo alcune associazioni senza scopo di lucro che difendono animali in gravi difficoltà e oggetto di violenza spesso per il triste uso che si fa in vari modi dei loro corpi.

Tatuaggi

Ci caratterizzano, in particolar modo i traditional, al punto che da sempre ne facciamo uno stile di vita. Non li abbiamo solo sulla pelle ma anche  nelle nostre canzoni. Fiori, figure sacre, spine, serpenti, cuore e sangue sono tra le nostre figure ricorrenti. Per noi rappresentano tutta la sofferenza ma anche la rivalsa che si può avere nei confronti di una vita che ti ripaga solo se ci credi fino in fondo. Scrutate la copertina di “Bleed Eternal” (vinile che unisce i due ep) disegnata da Irene mentre ascoltate “My Fate” e capirete.


Dal Tramonto all’alba

Un film che ci ha segnato. Un concentrato di tamarraggine in cui ci identifichiamo completamente a partire dalla bifasicità della storia. Un concentrato di Pulp, vampiri e mariachi incazzati. La track portante del film (ricordate l’entrata di Salma Hayek) di Tito & Tarantula completa una storia in cui ci vediamo a pieno. Viboras e Dal tramonto all’alba? Ma certo!

Maculato

Ma quanto ci piace, sta bene ovunque! Calze, tracolle, giacche, chitarre e tutto ciò in cui si può inserire. Ovviamente rigorosamente falsissimo perché come si è già dedotto siamo animalisti convinti. Stranamente non lo abbiamo mai usato per un artwork, probabilmente sta bene ovunque ma non su una cover…o forse si. Si vedrà!

Categorie
Internazionale

Il Conte Biagio sta portando avanti un tour segreto, ed è tutto bellissimo

Immaginatevi di vedere il vostro cantautore preferito (che ok, magari non è il Conte Biagio – e non stiamo parlando di bravura, ma solo di statistica – ), e di poterlo avere tutto per voi e pochi altri per una sera, poterci parlare, poter condividere una bottiglia di vino e potersi vivere un concertino come se si fosse ad una cena tra amici, di quelle che ci hanno riempito le settimane durante i periodi di zona rossa, che non rimpiangiamo se non per questo: che bastava una chitarra e qualcuno con un po’ di inventiva per vivere un momento magico. Il Conte Biagio sta portando avanti la propria battaglia: un tour segreto ormai alla sua ottava tappa in piccole location di Milano, l’annuncio sui social il giorno stesso e tutti i dettagli solo per chi riesce a prenotarsi, il risultato è sempre una bevuta con lui, otto-dieci persone intorno, luci soffuse e un concertino chitarra e voce irripetibile.  Un viaggio alternativo per le strade di Milano: live intimi chitarra e voce nei quartieri più belli del capoluogo lombardo. 


 

Il Conte Biagio, all’anagrafe Biagio Conte è un cantautore classe ‘89 originario di Palomonte. Grazie ad un campagna di crowdfunding si è esibito nelle piazze delle più grandi città d’Italia, come musicista di strada da Milano a Catania – 10 città in 10 giorni. Occhiali a specchio è uno dei singoli più significativi per il suo percorso, il videoclip del brano è ambientato a Roma e qui Il Conte Biagio spacca i telefoni ai passanti, e finisce sul noto tabloid britannico “Daily Mirror” che ha voluto caricare un estratto del video sul proprio sito ed intervistare Il Conte.

Uno degli ultimi appuntamenti del Secret Tour è stato accolto all’Art Mall di via Torino a Milano. Un sabato sera, fuori la pioggia, dentro un tavolo con calici di vino, cappotti sulle sedie e un concertino privato, solo una decina scarsa di fortunati, chitarra e voce, e le canzoni del Conte Biagio. Occhiali a specchio per chi combatte sempre con i soci, Università per chi si è trovato per un periodo immerso in avventure ma a sentirsi comunque solo, Depressione per chiudere e scatenare i coretti.

Un concerto che sembra una serata tra amici, anche se in fondo il Secret Tour del Conte Biagio riunisce sconosciuti che rispondono ad una storia su Instagram e in comune hanno solo l’avere una serata libera. Sogniamo che una cosa del genere possa accedere anche con altri progetti, magari più famosi, magari anche solo diversi, per potersi riempire la settimana di seratine di concerti che ci fanno sentire importanti, che ci fanno sentire vicini agli artisti che di solito incontriamo svogliatamente solo su Spotify e ci fanno conoscere altri musicofili solitari. Il nostro consiglio? Seguire Il Conte Biagio per non perdersi le prossime tappe che potrebbero anche allargarsi fuori da Milano.

foto di Simone Pezzolati

Categorie
Internazionale

Avete mai sentito parlare di Kudalesimo?

I KU.DA nascono nel 2013, e dopo un po’ di anni su e giù dai palchi, hanno pubblicato lo scorso giugno il loro secondo album “Two Pathetic Soul”. Un lavoro con sfumature diverse che merita una chiacchierata.

Ciao KU.DA, descrivetevi in quattro aggettivi.

Ciao! Di solito la domanda è “descrivetevi con tre aggettivi,” quindi siamo contenti che ce ne sia uno bonus: avventurieri, caparbi, irrazionali e ovviamente “Patetici”

Il vostro ultimo album si intitola, appunto, “Two Pathetic Souls”. Un titolo curioso. Come va inteso l’aggettivo patetico?

Va inteso come da vocabolario: nel gergo popolare ha un’accezione svalutante, ma se pensiamo ad esempio alla celebre opera di Čajkovskij “La Patetica”, si capisce che è stata intitolata così intendendo un’esibizione di dolore e di malessere interiore inguaribile, che porta di conseguenza a un sentimento positivo che è la compassione. Con ciò non vogliamo auto-demolirci o, ancor peggio, fare gli intellettuali, ma prendere coscienza di noi stessi. Ci siamo fatti la domanda “ Stiamo bene? Siamo sereni?” E la risposta è quella che sentite nel disco.

Quest’estate avete aperto un concerto ai New Trolls: vi sentite più proiettati verso il futuro musicale o pensate sia più importante coltivare le radici?

Questa è una bella domanda, perché non ha una risposta giusta e quindi può aprire un bel dialogo! Le radici vanno sempre coltivate per stare in piedi e far sì che il vento che tira non ti abbatta. Abbiamo degli ascolti che influenzano il nostro gusto e il nostro modo di scrivere e credo lo influenzeranno per sempre. Crescendo però stiamo imparando ad ascoltare più noi stessi e quello che è il presente. Il futuro è incerto e imprevedibile, quindi proiettarci verso di esso non è sempre una cosa giusta, è più un ragionamento che dovrebbero fare gli imprenditori o i politici. La musica per noi è qualcosa di legato al presente.

Citando un vostro vecchio lavoro, che cos’è il Kudalesimo?

Il Kudalesimo è una sorta di nostra filosofia e anche una reinterpretazione dell’immaginario bucolico in cui viviamo. Per spiegarlo velocemente è un sogno ad occhi aperti: come quando da bambini il tuo giardino di casa diventava lo scenario di chissà quale fantasia, il castello con lo scivolo era un galeone dei pirati, il bosco in campagna celava chissà quali misteri, questo è Kudalesimo.

La vostra musica è sicuramente di respiro internazionale, ma avete mai pensato di scrivere testi in italiano?

Entrambi scriviamo delle cose in lingua madre, ma sono progetti paralleli e personali, quello che ci accomuna è l’amore per la musica internazionale e per la sperimentazione, quindi potremmo anche inserire l’italiano in dei lavori futuri, ma sempre con l’idea di rivolgerci ad un pubblico non solo italiano.

Quali sono i vostri progetti per il futuro?

Come accennavamo il futuro è imprevedibile, ora stiamo sviluppando delle nuove idee con un respiro molto più gioioso e spensierato. Intanto stiamo fissando le date per questo autunno per fare ascoltare dal vivo il nuovo album e parte del primo. Per ora la smania di suonare dal vivo è quella più impellente.

Categorie
Internazionale

Intervista a Emma Nolde: approfondimento della sua nuova collaborazione artistica con Generic Animal

Alla vigilia del suo mini-tour in quattro date insieme all’amico Luca Galizia, in arte Generic Animal, abbiamo incontrato Emma Nolde e già vi anticipiamo che è stato super interessante. 

Emma nasce in quelli che Vasco Brondi definirebbe “anni ‘00” a San Miniato, un paese di poco meno di trentamila anime nella provincia di Pisa. Un’artista che mescola il rock, le tinte soul e una scrittura intima, il tutto condito da estrema eleganza e finezza derivanti dai suoi studi al Conservatorio. Il suo album d’esordio Toccaterra uscito a settembre dello scorso anno è piaciuto al pubblico ed ha strabiliato la critica. Pochi giorni fa è uscito il suo nuovo singolo in collaborazione con Generic Animal, dal titolo Un Mazzo di Chiavi, un Ombrello, Lì in Mezzo. I due hanno coronato la loro collaborazione artistica in quattro tappe: dal Bronson (Ravenna) al Locomotiv (Bologna) passando per l’Off (Modena) e il Circolo Kessel (RE). In queste due chiacchiere con Emma gli abbiamo chiesto del passato, del suo tour e del futuro, ma non siamo per gli spoiler.

Ciao! Innanzitutto, come nasce questo nuovo singolo? Ma soprattutto, come è scaturita la collaborazione con Generic Animal?

Ho iniziato a scrivere questo pezzo a casa al pianoforte, sapevo di cosa volessi parlare: avevo da poco perso un rapporto molto importante con un amico stretto, che però in qualche modo sapevo dovesse finire perché non era più sano. Sono una persona che perde sempre le cose, gli oggetti, chi mi sta vicino lo sa, e quindi volevo cercare di descrivere il posto dove si ritrovano accumulate tutte le cose che ho perso. 

Appena mi sono accorta che nel testo avevo iniziato a usare parole molto concrete e materiali mi è venuto in mente Luca (Generic Animal), che ha un modo di scrivere estremamente materiale. 

Usa parole di tutti i giorni inserite in contesti diversi. Già ci eravamo conosciuti, gli ho mandato il pezzo, gli è piaciuto e lo abbiamo finito insieme.

Da studente di marketing e comunicazione d’impresa salta subito agli occhi il titolo: Un Mazzo di Chiavi, un Ombrello, Lì in Mezzo. È un titolo “tecnicamente anticomunicativo”: Da dove arriva? E perché?

È un’idea di Generic Animal, si è ispirato ai titoloni lunghi dei pezzi post rock anni ‘90. Quando me lo ha proposto io invece mi sono immaginata un romanzo, il titolo di un libro di narrativa, e mi sembrava perfetto per una canzone che secondo me racconta una storia ben precisa, che si apre e si chiude. Una sorta non solo di capitolo, ma proprio di storia a parte, che sapevo di non voler inserire nel disco a cui sto lavorando.

Riguardo la scrittura del testo, ognuno ha scritto la sua strofa oppure oppure è stato una sorta di “mashup narrativo”? 

Ognuno ha scritto la sua strofa, il finale lo abbiamo scritto insieme mentre registravamo a Milano le voci di Generic Animal.

Passando al “mini tour” che inizierà il 4 novembre al Kessel di Cavriago, cosa dobbiamo aspettarci? Come dividerete il palco tu e Luca?

Aspettatevi caos (ride), suoneremo l’uno i pezzi dell’altro, ci scambieremo chitarre, ci alterneremo tutto ciò in tre metri di palco nei club, sarà divertente e vivo. 

Già nel 2019 eri nei CBCR di Rockit e il tuo album Toccaterra del 2020 è stato riconosciuto come uno dei miglior album italiani dell’anno appena concluso. Quando hai scoperto la tua passione per la musica? E che influenze musicali hai avuto?

In modo più serio l’ho scoperta a circa 15 anni, a quell’età ascoltavo  

Ed Sheeran e basta (ride), poi ho scoperto Damien RiceLauryn Hill, poi i RadioheadJames BlakeBon Iver, Ben Howard.

Nel film Begin Again con Mark Ruffalo c’è una frase che dice: “Puoi capire tante cose da una persona dalle sue playlist.” Cosa c’è nelle playlist di Emma Nolde?

In questo momento soprattutto Phoebe BridgersLittle SimzAquiloMicheal KiwanukaFleetwood Mac.

Quali sono i tuoi progetti futuri a livello musicale passato questo mini tour?

Finire di registrare il nuovo disco e poi farlo uscire con un immaginario forte e che lo rispetti e rispecchi.

Dove speri di vederti artisticamente a 25 anni? 

Spero di crescere artisticamente, di saper suonare meglio, di essere molto consapevole del mio suono ma di sperimentare sempre tanto. Spero che questa ricerca di parole e di suoni sinceri mi porti a costruire un pubblico che rimanga nel tempo.

Intervista di Davide Vagnarelli  

Futura 1993 è il primo network creativo gestito da una redazione indipendente. Cerca i nostri contenuti sui magazine partner e seguici su Instagram e Facebook!