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Le 5 cose preferite degli Amore e Psiche

Esce oggi venerdì 16 luglio 2021 il secondo singolo di Amore Psiche dal titolo “Dolce Illusione”,  un nuovo capitolo del progetto nato a Milano nel 2018 come canale espressivo per la dolcezza e la nonviolenza. “Dolce Illusione” è un brano suggestivo che ci fa avvicinare ancora di più al mondo caleidoscopico della band di Milano, un universo stratificato di influenze che anticipa la pubblicazione di un nuovo disco in uscita quest’autunno. 

Il brano è un dialogo tra una cyborg e un’umana, tra l’illusione che seduce e la natura del mondo che ci guida, ci fa muovere verso qualcosa che si rivela sempre diversa da come la immaginavamo, e mentre apriamo gli occhi evolviamo. Abituarci a vivere con la tecnologia senza perdere la magia è parte dell’evoluzione, come fidarci del mondo che verrà. (Amore Psiche)

Per l’occasione abbiamo chiesto loro le loro 5 cose preferite.

Pippi Calzelunghe

Kind Of Blue di Miles Davis
L’ album che porteremmo sull’isola deserta, sensuale, metropolitano, perfetto

Charlie Chaplin
Charlie Chaplin arrivava dalla povertá e nei suoi film attualissimi ha trasmesso un grande amore per l’umanitá, pur essendo diventato ricco non ha dimenticato chi veniva sfruttato

L’amor polenta
Amor polenta é un dolce tipico della tradizione lombarda, ci piace perché utilizza elementi semplici come la polenta, le uova e le dolci mandorle, ha un sapore ricco e raffinato, ricorda i nonni, i contadini e ci riconnette alla terra

Le Oceanine
Nella mitologia greca potenti dee delle acque e dei mari, generose e altruiste, soccorritrici dei naviganti. Vogliamo restare connessi a queste forze ancestrali, femminili che proteggono l’acqua da cui dipende la vita sul pianeta, l’acqua pura, splendente come la capacitá di riflessione e la coscienza che tutto pervade

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“ACIDA” è il nuovo brano di Mancha, Nicol e Mr. Monkey: La recensione illustrata

Con Acida siamo perfettamente sulla cresta dell’onda che deve seguire un singolo per entrarti in testa e non uscirne più. Mancha eNicol complice la produzione di Mr. Monkey hanno colto nel segno e sono riusciti a farci ballare in vista dell’estate: bastano i primi secondi del brano per accorgersene.

 «Il pezzo nasce dallidea di far risuonare una parola forte e diretta. Latteggiamento Acido che ti fa odiare una persona ma che allo stesso tempo ti fa provare quel sentimento di dipendenza e bisogno che ti fa rimanere lì attaccato.»

Così ci descrive il suo brano Mancha, un mix di trap e hip-hop omogeneo e fluido in cui il concetto di “acida” si personifica. Più va avanti il brano, più viene spontaneo  ricercare nelle nostre vite la persona che ci ricorda le sensazioni ambivalenti suscitate dal singolo.

Pensando al termine “acida” viene subito in mente un classico della musica indipendente italiana, una vera e propria hit, quella dei Prozac+, che ha segnato la discografia nostrana. Eppure questo è ancora oggi un aggettivo di cui si è cantato poco: di solito vengono descritte nelle canzoni d’amore prevalentemente le persone che ci hanno fatto del male, chi ha ferito i nostri sentimenti, chi è sparito o quelli a cui invece importava troppo poco di noi. Al contrario, l’ “Acida” di Mancha e Nicol diventa la protagonista del pezzo non per quello fa, infatti non troviamo i classici riferimenti alla sua vita e al  suo quotidiano, ma per le condizioni in cui lascia il partner: sciolto, straziato, abbandonato, irrisolto.

Sciogliersi per amore come la ruggine che si scioglie nell’acido, questa è la metafora usata da Mancha che lascia intendere come ci sia veramente della sofferenza per la fine di questa storia, per l’abbandono da parte di una persona apparentemente tossica, con cui però si è creato un legame di dipendenza, un punto fisso da venerare.

Possiamo definirlo un brano che coglie nuove visioni della gen Z perchè aggiunge nuovi valori alla narrativa del cantato, dove non si descrive  un corpo solo per le forme o per dei tratti distintivi estetici, ma per la sua parte più cruda, per i segni delle emozioni lascia.

Non ci aspettavamo un pezzo del genere da due artisti che vivono su pianeti diversi come Nicol e Mancha e che qui trovano un loro punto di incontro inaspettato.

Dopo i singoli di esordio Crimine e Solo Quando Voglio, Mancha ci mostra il volto di un artista che, nonostante la giovane età, ha le idee molto chiare. Il featuring insieme a Nicol con la sua vocalità spaziale e la produzione di Mr Monkey aggiungono un valore unico al suo percorso artistico.

Lo immagino perfettamente come il pezzo che passa per radio quando sei in macchina e ti fa ondeggiare a tempo, fa partire il film mentale in cuffia on repeat: è il brano che vai a cercare nella tua playlist perché ti lascia un’emozione differente, un racconto.

di Giulia Garulli

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Illustrazione di Luna Del Mar Severi

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Illustrazione di Alessandra Goldoni

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Internazionale

Le 5 cose preferite degli Young Lies

Esce venerdì 2 luglio 2021 per Kottolengo Recordings (etichetta di Johnson Righeira) Touch, il singolo di debutto degli Young Lies. Un nuovo e importante capitolo per il duo nato a marzo 2021 che si impone nella scena elettronica made in Italy. Immergetevi quindi in un nuovo progetto nu disco che riporta ai sapori della electro house e in particolar modo di quella french house dei primi anni 2000.

Abbiamo chiesto loro quali sono le loro cinque cose preferite.

Fotografia. Siamo entrambi amanti anche di questa forma espressiva, che peraltro spesso si lega fortemente alla musica che ascoltiamo o facciamo (fasi). Ognuno a proprio modo e con stili differenti, ma ci accomuna questo piacere nel catturare attimi o significati che incrociamo casualmente o meno in ciò che osserviamo.

Ricerca bar / locali isolati e desolati. Si, abbiamo qualche problema con i rumori. Per berci qualcosa e chiacchierare abbiamo bisogno di location di questo tipo. Sembra un paradosso, ma amiamo il movimento, la vitalità e il casino lo amiamo solo quando si tratta di condividere musica dal vivo.

Eternal Sunshine of the Spotless Mind. Semplicemente, per entrambi, il capolavoro assoluto per quanto riguarda il cinema. E’ troppo profondo e personale ciò che evoca e rappresenta, tanto che sarebbe insensato provare a racchiuderlo in poche righe, ma i tanti che lo conoscono e lo adorano sanno indubbiamente di cosa si tratta. Qualcosa che va oltre.

Marco: Le poesie di Anna Achmatova. Durante il periodo del lockdown ho ordinato svariati libri di poesia e mi sono imbattuto in un paio di libri della Achmatova. Amore a prima vista. I suoi versi mi hanno da subito toccato nel profondo. 

Luca: Il letto. Ammetto che adoro dormire e mi sento naturalmente e inspiegabilmente molto legato alla vita che vivo nella dimensione onirica, a mio avviso una sorta di sfera superiore. Ma poi, semplicemente, qualsiasi cosa fatta su un letto è tendenzialmente potente in un modo o nell’altro. Una volta, soprappensiero, mi sono sorpreso a dare un bacio ad un materasso (giuro), lì per lì è partita una grossa risata ma poi ho capito che probabilmente inconsciamente lo stavo ringraziando di esistere.

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Indie Internazionale Pop

Il lockdown secondo Pietro Berselli

Esce venerdì 9 luglio 2021 Nord Europa, il nuovo singolo di Pietro Berselli, che segue l’uscita di Spettatore, singolo pubblicato a giugno. Il cantautore bresciano ma padovano di adozione ci avvicina al suo secondo album dal titolo Evidentemente No, fuori per Dischi Sotterranei. Nord Europa è per tutti quelli che conoscono fin troppo bene l’altra faccia della nostalgia, quella che spezza il cuore.

Scelgo il Nord Europa come feticcio di terra dalle mille opportunità, ma potrebbe essere qualsiasi luogo, dipenda da chi ascolta. Non è così scontato pensare che alle volte per andare avanti, bisogna lasciarsi qualcosa alle spalle.

Gli abbiamo chiesto com’è stato il suo lockdown.

Come stai passando questo strano periodo, qual è la tua routine?
La mia routine ruota attorno ai due grandi momenti della giornata: il pranzo e la cena. Adoro la cucina quasi quanto la musica e la fotografia, quindi durante questo strano periodo ho potuto applicarmi parecchio alla prima, essendo le altre due impossibilitate maggiormente dagli spostamenti o da un improvvisa mancanza di creatività dovuta allo sbalestramento a cui siamo tutti stai soggetti.

L’arrivo della pandemia ti ha sconvolto qualche piano? Quale?
Ha sconvolto tutto. Ogni piano che avevo è stato rimandato a data da destinarsi, cancellato o nei migliori casi modificato.

Te la ricordi la primissima quarantena? Come la passasti?
La passai in un piccolo bilocale a Brescia, isolato come tutti. Dio benedica l’internet.

Shot with NOMO 135 B.

Di cosa parla il tuo ultimo singolo? L’hai scritto nell’ultimo anno?
No fa parte dell’era pre-covid. Spettatore parla della sensazione di restare fermo mentre tutto scorre ai 300km/h, della sensazione di perdere il treno, di restare indietro, di non essere riusciti a cogliere l’occasione. Dell’ansia di dover fare e avere tutto e subito.

Cosa ti manca più di qualsiasi cosa?
Sopra ogni cosa i concerti.

Ti ricordi ancora l’ultima serata che hai fatto post 22.00?
Devo essere sincero. Non mi ricordo.

Shot with NOMO 135 Ti.

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Kolè mi ha portato in giro sui tetti di Roma

Dopo l’esordio con “Your Mouth”, e il successivo singolo “Red Fruits” torna l’atipica cantautrice romana classe 1993 che si lascia influenzare da Radiohead e Portishead, Moltheni e Afterhours, ma anche da Quantic Soul Orchestra e Fela Kuti. Un mix unico che ci porta nel territorio inesplorato all’interno di un esperimento sussurrato ed elegantissimo tra trip hop, funk e nu soul. “Kolé” è il suo disco di debutto. 

Abbiamo fatto un giro per Roma, città dove abita, con lei e le foto di Simone Pezzolati.

Che rapporto hai con la città di Roma?

Sono molto legata a Roma, è la mia città. Amo le sue contraddizioni nonostante spesso mi lascino perplessa. È una città bellissima ma, così pare, impossibile da amministrare con puntualità.

Se fossimo nuovi in città, dove ci porteresti?

Sicuramente sul lungo Tevere, dà la misura del carattere della città molto più che il Colosseo secondo me, poi al cimitero acattolico di piramide per i monumenti, le statue e il verde, poi a villa Sciarra, al gazometro nel quartiere ostiense e infine al parco degli acquedotti.

Quali sono i luoghi che più credi abbiano a che fare con il tuo disco?

Per All the things penso ad un viaggio che feci in Polonia, nonostante il testo non sia direttamente ispirato a quello nel mio immaginario questa canzone appartiene a quel posto e alle sensazioni che mi ha lasciato. Red Fruits appartiene al quartiere Capannelle a una gita al lago di Albano e a racconti riguardo una Sicilia per me lontana ma in quel momento vicina. Pink leaves non saprei, alla mia vecchia casa e ai pomeriggi di studio intensivo, a un certo tipo di concentrazione. Your mouth al mare, quello vicino tovajanica, a delle passegiate fatte verso sera nei quartieri limitrofi.

Ci sarà presto un seguito del tuo EP di debutto?

Sì, è previsto un album.

Quali sono i tuoi riferimenti musicali in Italia?

Ce ne sono molti più o meno distanti dal mio mondo. Non tutti questi ascolti hanno influenzato direttamente le mie produzioni. Sicuramente ho ascoltato fino a morire i Verdena, lo stesso ho fatto con gli Afterhours, Moltheni e Cristina Donà. Poi il teatro degli orrori e molto altro.

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8 domande per Il Solito Dandy

Alzi la mano chi non ha mai perso la testa per una persona conosciuta ad un concerto, o su un tram, la mattina di sfuggita. E quante volte invece abbiamo indossato una maschera tradendo noi stessi, perché non siamo riusciti a dire alla persona che ci stava di fronte che, in realtà, non è vero che capiamo “il calcio, la convinzione di chi torna da Londra e si crede Liam Gallagher”.
Tra mille fantasie, amanti blu ed aragoste, abbiamo fatto otto domande (sì, ci piace essere precisi) a Fabrizio Longobardi, in arte Il Solito Dandy; ci ha parlato del suo nuovo singolo Thailandia, dei suoi video artistici e dei progetti per il futuro.

Ciao Fabrizio! Come stai? Come hai passato quest’ultimo periodo?

Ciao, io sto bene. O almeno, è strano non rispondere ad un “Come stai?” senza un “Tutto bene” dopo, sembra che ormai questo faccia parte di un meccanismo per cui diventa assurdo rispondere diversamente. Figurati che una volta una mia amica mi ha salutato dicendomi “Tutto bene, tu?” senza che io le avessi fatto la domanda. Ma comunque, mi piace pensare che l’umore sia un po’ come il tempo che cambia spesso, perciò ti direi che mi sento sereno variabile.
L’ultimo periodo, invece, è stato parecchio movimentato, come quelle scene dei film dove il protagonista fa mille cose alla velocità della luce e sotto passa la musica di Benny Hill; ecco direi che l’ho passato così, ma con in mezzo un bel po’ di personaggi dipinti, piadine al salmone, vestiti in miniatura e siparietti esilaranti.

Raccontaci, cosa rappresenta Thailandia per te?

Thailandia è più l’idea dello scherzo che della canzone. Credo che oggi vogliamo tutti prenderci troppo sul serio e a forza di fare così ci ritroviamo a passeggiare imbronciati o con la faccia come quei pesci degli abissi nelle illustrazioni dei libri di scienze per bambini, quando basterebbe essere un pochino più leggeri e ridere non del mondo ma con il mondo, un po’ come facevano i pittori e i cineasti surrealisti. Per questo ho scritto Thailandia, perché per insicurezza o per conforto tendiamo spesso a metterci in contenitori o scatole che non ci rappresentano e, facendo così, rischiamo di perdere quello che è davvero la nostra natura.
La canzone è scritta con un linguaggio ben specifico e lo utilizza facendo un po’ lo scimmiotto a questo mondo che pare un catalogo, proprio come i due protagonisti che fanno finta di essere quello che non sono solo per apparire brillanti o comunque interessanti l’uno agli occhi dell’altra. Ma a forza di fare così, vengono travolti da un mare di folla e di luoghi comuni che li allontana facendoli perdere per sempre. Quindi, sia nell’uscita ravvicinata con Boh, che nel modo in cui è stata lanciata, Thailandia è un modo per ridere ed un invito a essere più umani o perlomeno a credere nei pesci d’aprile, anche se in questo caso era maggio.

Nel testo, la persona della quale parli posta la foto di un tatuaggio per “discutere di gatti, yoga, santi e veg food”. Che rapporto hai tu con i social?

Credo che sia buono, o perlomeno mi piace questa cosa che ci sia un sacco di gente al mare, mi piacciono anche quelli che tagliano le saponette, anche se non capisco bene il perché lo facciano; forse non hanno abbastanza spazio sul lavandino. A me invece piace postare le foto dei pesci e, in realtà, utilizzo i social più che altro come un diario o per fare le scenette, soprattutto per fare le scenette, e questa cosa mi diverte un sacco. Oltre all’aspetto ludico, però, non amo particolarmente il mondo dei social, o almeno, preferisco vivere la realtà. Anche perché il mondo è davvero molto più incredibile di come ci viene mostrato e resta solo a noi viverlo con lo stesso spirito di meraviglia di quando inciampiamo su un video di un gatto sugli sci o delle feste tribali in chissà quale luogo sconosciuto.

Ci raccontano la storia due amanti dipinti di blu, entrambi con dei guanti alle mani. Ci ha colpito molto questa scelta! Com’è nata e perché proprio il blu?

Sai che questa cosa me la chiedo pure io. Credo che sia stata una visione, un sogno o qualcosa di simile, tipo Nel Blu Dipinto di Blu ma per Villa Borghese che muta in una giungla con le statue che fanno da spettatori. Poi forse non avevo mai visto il Maestro Guzzino [Simone Guzzino, produttore] blu e quindi perché no?
L’idea della coppia invece arriva da un sogno nel dormiveglia della Dottoressa Sandrucci che s’immaginava azzurrina tra le braccia del Maestro, e così TA DAH! Andiamo tutti a Villa Borghese con il diluvio a girare un filmino di nozze per amori surreali! Oltre il blu però mi interessava che uscisse il nocciolo della canzone: i personaggi sì, hanno la faccia dipinta ma sotto i guanti azzurri si vede la loro vera pelle, proprio a mostrare quanto nella vita tendiamo a mascherarci da qualcosa che non siamo, non rendendoci conto che, al di là del travestimento, siamo molto più simili di quanto pensiamo.

Thailandia arriva dopo Boh, il tuo primo singolo, che parla di luoghi comuni e mode che vanno e vengono. Ma come decidi l’ordine di uscita delle tue canzoni?

Mi affido ad una squadra di scienziati con le ampolle, che sbuffano e fanno le bolle fino a diventare come gli elefanti di Dumbo, che dopo un giretto sulle scrivanie arrivano alla cornetta del telefono e, quando rispondo, parliamo ore ed ore del più e del meno, finché non sbuffo pure io, ma le mie bolle non sono elefanti ma delfini ballerini che quando raggiungono la cornetta del telefono hanno tutto un po’ più chiaro. E così riparte il giro.

I tuoi video hanno tutti un’estetica ben precisa! A che cosa ti ispiri per creare questo tuo mondo?

Più che ispirarmi a qualcosa faccio girare tanto la fantasia, la possibilità di immaginare senza limiti mi pone nella condizione di massima libertà, un po’ come nei sogni. Sì, ecco, mi piace l’idea di poter vivere la vita come fosse un gigantesco sogno da cui escono personaggi fantasmagorici, coccodrilli che ballano il liscio, piscine giganti di pasta al pomodoro e chissà cosa mi passa per il mondo e la testa.

Il tuo nuovo album è in uscita dopo l’estate e non vediamo l’ora di ascoltarlo! CI puoi anticipare qualcosa?

Sì, sarà come un film, o almeno mi piace pensarlo così; come uno di quei film neorealisti dove i personaggi trovano grandi sorprese nei piccoli gesti quotidiani della vita e tutto questo li fa talmente ridere, che ad un certo punto, non si sa il perché, si commuovono. Ecco!

Fabrizio, grazie di averci accolti nel tuo pianeta onirico! A proposito, vedo che l’aragosta è un tema ricorrente nel tuo immaginario (e anche nella tua bio di Instagram, @ilsolitodandy); è un simbolo portafortuna?

Sai che il mio animale totem è il delfino? L’ho sognato una notte che usciva dal lago, arrancando nel giardinetto di fronte casa di una zia, ma credo che questo non c’entri molto, anche perché è successo dopo. L’aragosta invece credo che sia un animale rappresentativo di questo nuovo percorso, le canzoni parlano tanto di mare e sentimenti, non di amore, con quel velo di malinconia dietro cui si nasconde la morte dell’aragosta nella pentola che bolle. Non trovi un po’ di disillusione e amarezza in tutto questo? Un po’ anche come The Lobster di Yorgos Lanthimos, è un film che ti consiglio tanto.

Di Cecilia Nicolè

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Il lockdown secondo Ben O.

Fuori da sabato 15 maggio il terzo singolo di Ben.O, autore e musicista milanese con la passione per il cantautorato anglosassone. Dopo la pubblicazione di Blind love (2020) e How long my dear? (2021), Ben.O torna con It’s time, un nuovissimo pezzo con influenze internazionali e sonorità folk che rimandano ad artisti come Passenger e Stu Larsen.

It’s time è in assoluto la prima canzone che ho scritto. È rimasta “nel cassetto” diversi anni prima che mi decidessi a registrarla in studio e a pubblicarla.
It’s time descrive la necessità di abbandonarsi completamente all’altro, cercando di superare le barriere psicologiche che spesso limitano i rapporti. 

Gli abbiamo chiesto come ha passato il suo lockdown.

Come stai passando questo strano periodo, qual è la tua routine?
Decisamente meglio rispetto al primo periodo della pandemia. In tutti questi mesi ho cercato di mantenere inalterata la mia routine, in cui comunque un ruolo principale l’ha avuto sempre la musica. Ho avuto la fortuna di continuare a lavorare anche durante la pandemia e sono riuscito ad avere un po’ più di tempo per dedicarmi ai miei progetti musicali.

L’arrivo della pandemia ti ha sconvolto qualche piano? Quale? 
A livello musicale sicuramente. Avevo in mente di suonare live nei principali locali della scena milanese e, purtroppo, è tutto rimandato a data destinarsi. Spero comunque si possa tornare ad una vita normale il prima possibile.

Te la ricordi la primissima quarantena? Come la passasti?
Come ti anticipavo, ho avuto la fortuna di continuare a lavorare e, di conseguenza, di essere impegnato per la maggior parte del tempo. Ricordo comunque di aver riflettuto sulle piccole libertà quotidiane che molto spesso diamo per scontate e di cui ci siamo privati da un giorno all’altro. In sintesi, la prima quarantena è stata caratterizzata da lavoro, musica e pensieri (e anche molto lievito, perché no).

Di cosa parla il tuo ultimo disco? L’hai scritto nell’ultimo anno?
Il mio ultimo lavoro è “It’s Time” il terzo singolo che ho prodotto e pubblicato lo scorso 15 maggio. È in assoluto il primo pezzo che scritto e descrive la necessità di abbandonarsi completamente all’altro, cercando di superare le barriere psicologiche che spesso limitano i rapporti.

Cosa ti manca più di qualsiasi cosa? 
I concerti, suonati e vissuti da ascoltatore.

Ti ricordi ancora l’ultima serata che hai fatto post 22.00?
Una semplice birra in un locale qui a Milano con degli amici. Al tempo mi sembrava un sabato sera banale, oggi ripenso a quei momenti con nostalgia.

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Ho scritto la biografia non autorizzata di Torchio

Fuori da lunedì 10 maggio 2021 per Ohimeme (www.ohimeme.com) il nuovo disco e primo full length solista per il cantautore di Alessandria Torchio. Un nuovo capitolo che segue il singolo omonimo e il brano Agamennone, uscito di recente. Un disco che è una sorta di autobiografia musicale che nasce dall’urgenza di raccontarsi sinceramente, e senza limiti di genere. E per l’occasione ho scritto la biografia assolutamente vera di un uomo che sussurrava al cuore dei ribelli.

Sceso nella terra dal Monte Cervino sotto forma di meteorite che poi ha generato una frana e la morte di almeno 457 bovini, Torchio inizialmente venne scoperto in fasce da un viticoltore di passaggio mentre andava a cercare gli asparagi tra i boschi. Portatoselo dietro, Torchio venne chiamato così perché crescendo tra i vigneti dove viene prodotto e imbottigliato il Monferrato passava il suo tempo libero a spiaccicare con i piedi l’uva del buon padre adottivo. Fu un simpatico nomignolo che gli fu dato, anche perché prima si pensava che il suo nome fosse Vercingetorige Rodriguez Fritz Ludwig Van Basten De la Vega, per cui aveva veramente bisogno di un nome più corto.

I primi approcci con la musica li ha avuti sentendo le bestemmie dei vicini di vigneto nel momento in cui non funzionava a loro una motosega o un trattore e, trovando le loro imprecazioni piuttosto orecchiabili, compose la sua prima canzone con il titolo “Il Signore è il mio trattore”. Sentitagli canticchiare per strada dal parroco della zona, ma intendendo male il contesto da cui ha tirato fuori il brano, Torchio venne spinto a diventare la voce bianca del coro della chiesa locale. Esperienza che si concluse prematuramente in quanto entrò in pubertà all’età di sei anni e mezzo.

In età adolescenziale comprese di essere diverso dai suoi coetanei in quanto mentre loro si abbandonavano all’iperconsumismo, lui si interessò moltissimo alla toponomastica. Tentarono di bullizzarlo in qualche modo, era troppo strano agli occhi loro, però lui si difese bene minacciandoli dicendo che da grande sarebbe diventato un assessore all’urbanistica e prefetto e la prima cosa che avrebbe fatto una volta eletto tale sarebbe stata quella di titolare le nuove strade con i nomi dei più stronzi che lo trattavano male dandogli poi dei sottotitoli decisamente creativi. Come successe al povero Sandro Pavese, bulletto di 3ªB, che divenne “Illustre coprofago” nella via intitolatagli nei pressi della Stazione di Alessandria qualche anno dopo. Gesto che costò il lavoro a Torchio quando il sindaco se ne accorse.

Decidendo da allora di non buttarsi più in lavori di ufficio, Torchio durante l’età adulta si diede al nomadismo e decise di far emergere ancora di più il suo carattere ribelle tramite le sue canzoni. Si pensa che il termine “sotto torchio”, usato quando si vuole descrivere una persona messa a dura prova durante un contesto sfiancante, sia stato creato recentemente ed esattamente poco dopo la nascita del suo progetto musicale solista. Non è un caso che tutte le persone a cui hanno assistito ad un concerto di Torchio poi siano diventate delle anarchiche rivoluzionarie che hanno sovvertito situazioni denigranti: un esempio lampante sono i No Tav che hanno avuto una consapevolezza di loro e si sono organizzati come rappresentanti di un nuovo movimento poco dopo la fine di un suo concerto in Val di Susa.

Ad oggi, possiamo dire con certezza che tutte le persone sotto Torchio hanno messo gli ideali davanti a tutto e moralmente le loro battaglie le hanno già vinte. Anche Friday for Future si è sviluppato dopo un incredibile concerto a Stoccolma in cui una fan accanita di nome Greta Thunberg rimase completamente folgorata dal suo carisma e incanalò quelle energie facendo quello che poi effettivamente ha fatto. Sotto Torchio, lei ha tenuto sotto torchio i potenti del pianeta praticamente.

Non si sa attualmente dove risieda: alcuni pensano che sia stato lui a creare i primi vaccini contro il covid in Germania tramite il sangue delle sue dita che fuoriesce quando suona la chitarra, altri pensano che stia proteggendo la Palestina tramite una barriera del suono creata come muro contro i razzi di Israele. Nessuno lo sa. Il suo spirito per ora è presente negli animi dei ribelli e l’unica sua traccia che attualmente alimenta il loro fuoco interiore è il suo primo album titolato “Non vi appartengo”, uscito lo scorso 10 maggio.

foto di Simone Pezzolati

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Internazionale Pop

Le 5 cose preferite dagli The Heron Temple

Esce giovedì 17 giugno 2021 (in distribuzione Artist First) Sciogliersi un po’, il nuovo singolo dei The Heron Temple. Un nuovo capitolo di cantautorato electro-pop che fonde movenze elettroniche e giri di chitarra elettrica, per chi ha sognato almeno una volta di perdersi con qualcuno che si ama, per chi ama ballare sulle canzoni tristi e per chi, forse, ama anche litigare. Scioglietevi un po’…

Non abbiamo saputo resistere, e abbiamo chiesto loro quali sono le loro cinque cose preferite.

Vincent – CASA: Durante i vari lockdown in molti hanno sviluppato un rapporto conflittuale con casa e lo capisco, ma per me è stato completamente il contrario. Prima di allora passavo davvero poco tempo a casa tra concerti, studio di registrazione e teatro. Da quando si è fermato tutto mi sono reso conto di quanto fossi fortunato ad avere una casa con un grande giardino in una delle regioni con il clima migliore del mondo. Ho scoperto che si può lavorare al computer anche seduto su una sdraio sotto il sole o semplicemente farsi una birra con gli amici sdraiati per terra con un paio di candele intorno. Ho vissuto per tanti anni all’estero ma solo ora inizio ad avere la percezione di quanto possa realmente amare la mia casa ed il senso di benessere che mi da sentire radici ben ancorate al terreno.

Vincent – HER di Spike Jonze: Ho visto per la prima volta questo film per sbaglio, credendo fosse un film leggero, di quelli da guardare prima di andare a letto. Ne sono uscito completamente rotto, non saprei dire se in negativo o in positivo. Ho trovato così tanti spunti sociali, relazionali ed emotivi che per mesi vivevo in una specie di bolla in cui rivedevo tutto quanto nella vita quotidiana. È stata una sorta di ossessione che mi feriva ed allo stesso tempo mi rigenerava. E questo dovrebbe fare l’arte nella sua forma più alta, deve turbarti ma trascinarti in uno stato di catarsi così intenso da essere liberatorio.

Valerio – L’ALCHIMISTA di Paulo Coelho: Il protagonista del romanzo è Santiago,

un pastore andaluso che ha un sogno: quello di recarsi in Egitto per raggiungere le Piramidi dove troverà un tesoro. Santiago si avventura alla scoperta del mondo, incontra tante persone, entra a contatto con diverse lingue e culture di cui non era neanche a conoscenza, a tratti vorrebbe tornare indietro, lì dove tutto ha avuto inizio e dove può sentirsi più al “sicuro”, ma dall’altro lato non riesce a resistere all’insaziabile curiosità e l’irrefrenabile tentazione di non sapere cosa gli riserverà il domani.

Un viaggio che si rivelerà a tutti gli effetti un “viaggio dentro se stesso”.

Un libro per i sognatori e che in un periodo psicologicamente pesante mi ha riempito occhi e cuore di gioia.

Entrambi – ABBEY ROAD dei Beatles: per noi Abbey Road è uno di quei dischi che significano molto di più che semplici canzoni in sequenza. A casa di Vincent spesso mettevamo su il vinile di Abbey Road mentre scrivevamo le bozze dei nuovi brani. Dal primo all’ultimo secondo c’è talmente groove, sensualità, delicatezza, genialità che reputiamo Abbey Road una fonte d’ispirazione continua e sempre rinnovata. E’ un disco avvolgente che sembra portarti su un’altra galassia aprendoti nuovi orizzonti.

Entrambi – No Diggity di Chet Faker: abbiamo scelto questa canzone perchè in qualche modo è stata un po’ la svolta nel nostro modo di suonare. Vincent è cresciuto ascoltando i grandi del passato (Rolling Stones, Led Zeppelin, Robert Johnson etc.) mentre Valerio è stato sempre propenso ad assorbire tantissimi generi diversi guardando alle nuove uscite musicali.


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Internazionale

Il lockdown secondo Gabriele Pirillo

E’ uscito in digitale (ascolta qui) e in radio “Mi chiedevo se”, il nuovo brano di Gabriele Pirillo, cantautore e chitarrista 22enne, new-entry dell’etichetta 800A Records. Questo singolo è il primo di quattro che faranno parte del suo album d’esordio, previsto per l’inizio del 2022.

Gabriele Pirillo, artista che ha tra le sue influenze musicali Giorgio Poi, Canova e John Mayer, scatta una fotografia di “Mi chiedevo se”: “questa canzone parla di due persone che non riescono a realizzare la fine di una storia, che cadono negli stessi errori perché convinti di poter ritrovare un equilibrio. È il racconto di un amore confuso in cui non è più chiaro cosa sia giusto e cosa sia sbagliato, in cui a tratti sembra tutto nitido e all’improvviso ci si rende conto di non aver capito niente.”

Per l’occasione, gli abbiamo chiesto qualcosa in più sul suo lockdown.

L’arrivo della pandemia ti ha sconvolto qualche piano? Quale?

Si, ha cambiato radicalmente la mia quotidianità. Prima dell’inizio della pandemia abitavo a Cagliari, studio Medicina lì da 4 anni ormai. Sono ritornato nella mia adorata città natale che è Palermo ma penso che da Settembre ritornerò in Sardegna! In questo periodo a Palermo ho messo un po’ più a fuoco il mio progetto musicale, mi sono riattivato mettendo su una band che mi accompagni durante i live ma anche durante le registrazioni in studio. Inoltre adesso faccio parte di una casa discografica palermitana che è 800a records, e ne sono molto contento. Penso di poter dire che la pandemia ha influito quasi positivamente nei miei piani musicali perché mi ha permesso di riprendere in mano il mio progetto musicale che durante il periodo fuori sede, a Cagliari, stava un po’ sfumando e perdendosi tra i libri e gli esami universitari.

Come stai passando questo strano periodo, qual è la tua routine?

Non mi piace proprio annoiarmi, per cui cerco di farlo il meno possibile. Seguendo un percorso universitario ho un impegno costante che è lo studio ma cerco di tenermi sempre attivo: organizzo le prove con la band, vado in palestra, cerco di uscire con i miei amici nei limiti del possibile. In realtà adesso, grazie alle vaccinazioni, siamo quasi alla fine di questo periodo così strano, per cui bisogna essere positivi!

Ti ricordi la primissima quarantena? Come l’hai passata?

Per me quel periodo è stato davvero difficile ma anche uno dei più proficui musicalmente parlando. Ho registrato a casa il mio primo “mini” EP, chitarra e voce, che si chiama “Francesca”. Proprio il fatto di averlo registrato in quel periodo quando lo ascolto mi ricorda esattamente la voglia che avevo di sussurrare quelle canzoni in quel microfono, in qualche modo riuscivo a evadere dalla sensazione di vulnerabilità che penso coinvolgesse un po’ tutti in quel momento.

Di cosa parla il tuo ultimo singolo? L’hai scritto nell’ultimo anno?

Mi chiedevo se parla di due persone che non riescono a realizzare la fine di una storia, che cadono negli stessi errori perché convinti di poter ritrovare un equilibrio. È la storia di un amore confuso in cui non è più chiaro cosa sia giusto e cosa sia sbagliato, in cui a tratti sembra tutto nitido e all’improvviso si ci rende conto di non aver capito niente. Il testo deriva da un’esperienza personale, Io scrivo una canzone solo quando qualcosa mi ha scosso davvero (e questo succede pochissime volte) ma non l’ho scritta nell’ultimo anno. Anzi, per me è una canzone “vecchia” perché fa parte di una serie di brani che ho conservato per tanto tempo e che non vedo l’ora che vedano la luce!

Cosa ti manca più di qualsiasi cosa?

La libertà di poter uscire, viaggiare, abbracciare e baciare senza preoccupazioni, senza pensarci troppo, senza vincoli e restrizioni. Arriverà quel momento, e sarà bellissimo.

Ti ricordi ancora l’ultima serata che hai fatto post 22.00?

L’ultima serata senza coprifuoco.. no, non la ricordo ahaha