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Elettronica Internazionale

Le 5 cose preferite di Sidi

Deep Side è il nome che il batterista e producer Sidi ha scelto per una delle live session più curate e suggestive che vedrete in questo periodo, girata in uno dei canyon più suggestivi d’ Europa, situato in Puglia. Sidi, reduce dalla pubblicazione del suo nuovo EP dal titolo Fluido, fuori per Pitch The Noise Records, ecco un nuovo importante capitolo che mostra live i brani Cactus e Our Sunday.

Il progetto nasce dalla necessità di creare accostamenti di immagini rilegate alla natura da cui Sidi ne trae profonda ispirazione per la scrittura dei due brani presenti.

Il cibo. Durante gli ultimi anni e soprattutto con il lockdown è nata in me la passione di sperimentare in ambito culinario insieme ai miei amici. Sicuramente tra le mie cose preferite c’ è il riso patate e cozze, eredità di valore inestimabile di mia nonna.

I miei skate. É da quando mi fu regalato il primo skate a 9 anni che non l’ ho più mollato. La sensazione di “fluttuare” è tuttora una delle più belle che provo nel corso delle settimane.

Le mie batterie. Sono custodite con parsimonia. Purtroppo negli ultimi anni è stato difficile collocarle in casa qui a Milano per via del vicinato. Ma tra una sala prove e l’ altra ci ricongiungiamo spesso.

Le piante in camera. Sono patito per l’ ordine e l’ estetica nei luoghi in cui lavoro. Qui a Milano insieme alla mia coinquilina Phaabee sin dal primo giorno, abbiamo riempito la casa. Vedo le piante come dei figli e necessitano molta costanza e ciò mi fa star bene.

I dipinti miei e dei miei amici. Sono un elemento immancabile che porto sempre con me ogni qual volta che mi trovo a traslocare. E negli ultimi due anni i traslochi sono stati parecchi!

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Alla scoperta di Claire D.

In occasione dell’uscita del suo ultimo album, “Voglio vivere così”, abbiamo fatto qualche domanda alla cantautrice Claire D. riguardo alla sua storia musicale e al percorso ricco e denso che l’ha portata, oggi, alla pubblicazione di un disco dall’impronta fortemente femminile; un grido d’identità che rivendica per sé stesso la natura del manifesto, e allo stesso tempo dell’album di ricordi.

Insomma, una dichiarazione in poesia che trova spinta nel timbro e nell’estro di una voce che, attraverso gli anni, ha saputo reinventarsi raggiungendo un equilibrio funambolico tra passato e presente, senza smettere di guardare al futuro.

Buona lettura!

Ciao Claire, benvenuta su Perindiepoi. Scegli tre aggettivi che raccontano, in qualche modo, il tuo disco. E diccene anche uno, di aggettivo, che proprio non c’entra nulla con “Voglio vivere così”.

Ciao… direi che sono i seguenti:

  • Intenso
  • Emozionante
  • Raffinato 

E l’aggettivo che non ha nulla a che fare è senz’altro “Banale”.

Come sempre, ad ogni giro di boa, tocca fare il recap del passato. Questo è il tuo primo disco da solista dopo anni sui palchi e in studio: cos’è cambiato da quando hai iniziato e cosa, invece, è rimasto uguale?

Ritengo sia cambiato radicalmente il mio approccio nei confronti di me stessa e del ruolo di interprete e al contempo di autrice che adesso sento di vivere  con maggior consapevolezza. Tuttavia e’ rimasto immutato nel tempo il mio entusiasmo, la voglia di imparare, di emozionarmi.

“Voglio vivere così” è un disco complesso, che riesce a restituire all’ascoltatore una sensazione di leggerezza quasi virtuosa ma allo stesso tempo lo inchioda all’ascolto, costringendolo a pensare ed attivare i circuiti neuronali, fosse solo per apprezzare appieno la commistione di atmosfere e generi che il disco propone. Come nasce il desiderio di un azzardare un lavoro simile? 

“Voglio vivere così” nasce dal desiderio di assecondare il mio animo creativo, che in quanto tale può esprimersi a pieno soltanto sperimentando la diversità, indagando la molteplicità delle vie, dei percorsi sonori che di fatto sono il riflesso delle molte sfaccettature che albergano in me come del resto in ogni essere umano. Siamo nati per esperire costantemente il mondo che ci circonda, i colori , sapori, semplicemente per vivere le esperienze che ci pervadono e che in quanto variegate non possono che essere tradotte, a loro volta, in forme e linguaggi differenti.

Swing, jazz, canzone d’autore sono solo tre degli ingredienti del tuo disco d’esordio. Da dove viene musicalmente Claire D.?

Claire D. sin da piccolissima ha respirato ottima musica, suonata dal vivo da mio padre (pianista autodidatta) cantata da mia madre, interprete appassionata, e poi riprodotta tramite vinili e musicassette disposte su scaffali traboccanti di ogni genere. Fausto Papetti, Richard Clayderman, Mia Martini, Dean Martin, Bonnie Bianco, Pat Boone, Barbra Streisand erano i più gettonati nei miei primi anni di vita. Poi in adolescenza è stato il momento in cui ho scoperto ed amato molti i grandi del cantautorato italiano, Lucio Battisti, Lucio Dalla, De Gregori, Claudio Baglioni, Pino Daniele, Franco Battiato per poi approdare ad ascolti più maturi con NOA, Tracy Chapman, Natalie Cole, Ray Charles, Dulce Pontes. Avevo allora e conservo ancora una grande passione per il musical, non a caso le mie primissime performance vertevano sul repertorio di tutti i lungometraggi Disney, tanto per cominciare per poi abbracciare il musical di Broadway , della  commedia musicale (italiana e straniera). Adoravo interpreti quali Julie Andrews, Julie Garland, Hovard Keel, Kathryn Grayson. Negli ultimi anni ho riscoperto il fascino e l’intensità della musica siciliana, quella di Rosa Balistreri in particolar modo.

Certo che possiamo dire che “Voglio vivere così” è un disco dedicato alle donne. La tua dote vocale, tra l’altro, deriva da un’eredità matrilineare, come si legge nelle note del tuo disco. Insomma, la tua famiglia pare essere stata una fucina stimolante per il tuo talento. Ci regali qualche fotografia dal passato, qualche aneddoto sulla tua infanzia/adolescenza musicale?

Durante i momenti di festa, quando la famiglia si riuniva ricordo che spesso ci si lasciava travolgere in canti all’unisono seguendo mio padre al piano o mia nonna Carolina, nonna paterna, che cantava le canzoni romantiche degli anni trenta. Ricordo con piacere che venivo spesso scelta ed inserita nella rosa dei cantori che dovevano esibirsi  durante le messe in scena scolastiche, i saggi o le feste di piazza. A 10 anni, insieme a mia madre, feci parte del coro polifonico parrocchiale e ricordo ancora palpabile la magia che si respirava quando per Natale un anno eseguimmo la “Missa Pontificalis” di Lorenzo Perosi.  

La cantautrice Claire D. in uno scatto promozionale

Proviamo a fare un gioco: raccontaci “Voglio vivere così” utilizzando nove citazioni, una da ogni brano. Difficile, eh!

  • Voglio Vivere così, correndo, gridando piangendo, sognando.
  • Io sono altro e altrove, e non importa quando, non importa dove, non importa come. 
  • Se bastassero sotanto due parole ti avrei detto tutto quello che non sai. 
  • Tra le mie braccia , tremanti ma certe, con te adesso ho tutto, non mi manca più niente.
  • Cerco un letto per amare che profumi di lilla.
  • Portami li dentro, nel tuo mondo, perché il  mio tempo sia poesia.
  • Liberi, con la voglia di fare festa, una musica nella testa ci accompagna e non va più via.
  • Il tempo passa, il tempo vola, e allontana nostalgie, lascia qualche nodo in gola, ma cancella le bugie.
  • La nostra più profonda essenza adesso, soltanto adesso, trova il coraggio di far schiudere i propri semi.

In conclusione di questa nostra intervista, se ti va, dicci qualcosa che non hai mai detto prima e che oggi hai voglia di rivelare ai nostri lettori.

Relativamente la realizzazione del disco non ho mai detto che durante le prime sessioni di registrazione ero ancora in piena fase d’allattamento del mio terzo figlio e dopo un po’ di ore in sala d’incisione mi toccava scappare a casa ad allattarlo. E’ stata un’avventura conciliare i miei doveri di mamma con quelli di cantante ma sono riuscita fortunatamente a conciliare le due cose anche in quell’occasione.

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Le 5 cose preferite di Dado Bargioni

Esce venerdì 21 maggio 2021 A tempo terso, il nuovo singolo di Dado Bargioni fuori per Ohimeme (www.ohimeme.com). Si tratta del terzo singolo estratto da un nuovo album in uscita prossimamente, un brano che gioca già nell’ambiguità del titolo:“Terso” suona come “perso”, ma quella piccola consonante cambia totalmente il modo di vedere le cose, in una prospettiva più positiva di visione chiara del mondo, un mondo che ci lascia ogni giorno più soli ed incerti e che ha bisogno di un “Tempo Terso”, appunto.   Registrata interamente al FLAT SCENARIO studio con la supervisione e la guida del produttore e musicista Luca Grossi, il brano è il frutto di un arrangiamento di Dado, maturato all’improvviso un mese dopo averla scritta:
  «Era una domenica pomeriggio ed in sottofondo c’era un disco dei Vulfpeck. Lo ricordo bene perché quei particolari fraseggi armonizzati della chitarra di Cory Wong ad un certo punto mi hanno spinto ad imbracciare l’elettrica (che io suono raramente) ed è proprio da lì che, improvvisamente, è nata la versione finale di A Tempo Terso. Era un po’ che ci pensavo. L’intero disco, lavorando gomito a gomito con Luca, stava prendendo un taglio diverso, fresco… e questa canzone in particolare necessitava di una spinta per adeguarsi al sound del resto dell’album. Ho sempre ritenuto che questo dovesse essere un singolo per via del ritornello super-catchy che ti si appiccica addosso. Però ne ho avuto la definitiva certezza solo dopo aver coinvolto ed ascoltato, in studio, la batteria di Lino Gitto (motore ritmico dei “the Winstons”). Lino ha impresso quel vigore e quel inconfondibile tocco vintage che hanno immediatamente creato il legame e la contaminazione che stavo cercando, fondendo i fraseggi vagamente funky soul del basso e dalle chitarre a quel sapore Beatlesiano tutto racchiuso nelle sue rullate alla Ringo Starr!»

Gli abbiamo chiesto quali sono le sue cinque cose preferite.

1. La chitarra (folk/acustica) e scriverci canzoni. 
Dopo il corno francese e il clarinetto (al Conservatorio dai 10 anni) ho capito che gli strumenti a fiato non facevano per me. Mi piaceva cantare e con un bocchino o un’ancia fra le labbra è pressoché impossibile farlo (a meno che tu non sia Lucio Dalla!)! Così, in quel periodo ho cominciato parallelamente a prendere lezioni di chitarra. Appena ho capito che girando gli accordi delle canzoni, avrei avuto un pezzo mio originale, si è spalancato un nuovo universo e da allora scrivo quasi solo esclusivamente con quel gioiellino che la chitarra acustica! 

2. The Beatles.
Lo zio Rudi, per le lezioni di chitarra, chiedeva 5.000 Lire (perché, anche se parenti stretti, quello era un vero impegno e dovevo prenderlo seriamente). Mi sedevo di fronte a lui ed assimilavo le melodie ed i mille accordi del suo gruppo preferito. Piano piano imparavo quelle canzoni ed imparavo a suonare la chitarra. Piano piano ho conosciuto i Beatles e, ancora oggi, mi sciolgo nell’ascoltarli! Grazie Rudi!

3. Il Cioccolato.
Una vera droga per me. Tutti i giorni (anche più volte al giorno). Assolutamente fondente. Consiglio dello chef Bargionì: Combo cioccolato + biscotto Digestive. Da provare (prima il cioccolato, poi, quando si scioglie e ne avete un bello strato sulle papille gustative, mordete il biscotto. La parte crunch si amalgama con la pasta del fondente ed è Paradiso!)

4. Ritorno al Futuro (il film).
Penso sia stato il primo film visto al cinema da solo. Non so se fosse quella sensazione di sentirmi grande o la trama geniale o The Power of Love di Huey Lewis & the News… Forse le tre cose insieme… Quello che so è che ogni sequel della saga, gli anni successivi, è diventato per me un momento da vivere da solo. Al cinema. Oggi è ancora il primo film che mi viene in mente quando fanno una domanda specifica sui miei cine-gusti.

5. Il Mare. 
L’acqua è per me quell’elemento regressivo e ancestrale (un po’ liquido amniotico) in cui potrei rimanere immerso per ore a rilassarmi. Il mare poi unisce l’idea di vacanza, di riposo, di sole che asciuga, che ci abbronza e ci fa più fighi (ahah!). Il mare è tutto nelle onde che ti cullano. È l’orizzonte sconfinato e le terre fantastiche che si nascondono dietro. Il mare è dove il sole sparisce facendo “cisss” (e ancora oggi, in quel punto, mi aspetto di vedersi alzare una nuvola di fumo…). Il mare (insieme alla musica e al cioccolato) è la mia terapia.

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Le 5 cose preferite degli Amore e Psiche

Esce oggi venerdì 16 luglio 2021 il secondo singolo di Amore Psiche dal titolo “Dolce Illusione”,  un nuovo capitolo del progetto nato a Milano nel 2018 come canale espressivo per la dolcezza e la nonviolenza. “Dolce Illusione” è un brano suggestivo che ci fa avvicinare ancora di più al mondo caleidoscopico della band di Milano, un universo stratificato di influenze che anticipa la pubblicazione di un nuovo disco in uscita quest’autunno. 

Il brano è un dialogo tra una cyborg e un’umana, tra l’illusione che seduce e la natura del mondo che ci guida, ci fa muovere verso qualcosa che si rivela sempre diversa da come la immaginavamo, e mentre apriamo gli occhi evolviamo. Abituarci a vivere con la tecnologia senza perdere la magia è parte dell’evoluzione, come fidarci del mondo che verrà. (Amore Psiche)

Per l’occasione abbiamo chiesto loro le loro 5 cose preferite.

Pippi Calzelunghe

Kind Of Blue di Miles Davis
L’ album che porteremmo sull’isola deserta, sensuale, metropolitano, perfetto

Charlie Chaplin
Charlie Chaplin arrivava dalla povertá e nei suoi film attualissimi ha trasmesso un grande amore per l’umanitá, pur essendo diventato ricco non ha dimenticato chi veniva sfruttato

L’amor polenta
Amor polenta é un dolce tipico della tradizione lombarda, ci piace perché utilizza elementi semplici come la polenta, le uova e le dolci mandorle, ha un sapore ricco e raffinato, ricorda i nonni, i contadini e ci riconnette alla terra

Le Oceanine
Nella mitologia greca potenti dee delle acque e dei mari, generose e altruiste, soccorritrici dei naviganti. Vogliamo restare connessi a queste forze ancestrali, femminili che proteggono l’acqua da cui dipende la vita sul pianeta, l’acqua pura, splendente come la capacitá di riflessione e la coscienza che tutto pervade

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“ACIDA” è il nuovo brano di Mancha, Nicol e Mr. Monkey: La recensione illustrata

Con Acida siamo perfettamente sulla cresta dell’onda che deve seguire un singolo per entrarti in testa e non uscirne più. Mancha eNicol complice la produzione di Mr. Monkey hanno colto nel segno e sono riusciti a farci ballare in vista dell’estate: bastano i primi secondi del brano per accorgersene.

 «Il pezzo nasce dallidea di far risuonare una parola forte e diretta. Latteggiamento Acido che ti fa odiare una persona ma che allo stesso tempo ti fa provare quel sentimento di dipendenza e bisogno che ti fa rimanere lì attaccato.»

Così ci descrive il suo brano Mancha, un mix di trap e hip-hop omogeneo e fluido in cui il concetto di “acida” si personifica. Più va avanti il brano, più viene spontaneo  ricercare nelle nostre vite la persona che ci ricorda le sensazioni ambivalenti suscitate dal singolo.

Pensando al termine “acida” viene subito in mente un classico della musica indipendente italiana, una vera e propria hit, quella dei Prozac+, che ha segnato la discografia nostrana. Eppure questo è ancora oggi un aggettivo di cui si è cantato poco: di solito vengono descritte nelle canzoni d’amore prevalentemente le persone che ci hanno fatto del male, chi ha ferito i nostri sentimenti, chi è sparito o quelli a cui invece importava troppo poco di noi. Al contrario, l’ “Acida” di Mancha e Nicol diventa la protagonista del pezzo non per quello fa, infatti non troviamo i classici riferimenti alla sua vita e al  suo quotidiano, ma per le condizioni in cui lascia il partner: sciolto, straziato, abbandonato, irrisolto.

Sciogliersi per amore come la ruggine che si scioglie nell’acido, questa è la metafora usata da Mancha che lascia intendere come ci sia veramente della sofferenza per la fine di questa storia, per l’abbandono da parte di una persona apparentemente tossica, con cui però si è creato un legame di dipendenza, un punto fisso da venerare.

Possiamo definirlo un brano che coglie nuove visioni della gen Z perchè aggiunge nuovi valori alla narrativa del cantato, dove non si descrive  un corpo solo per le forme o per dei tratti distintivi estetici, ma per la sua parte più cruda, per i segni delle emozioni lascia.

Non ci aspettavamo un pezzo del genere da due artisti che vivono su pianeti diversi come Nicol e Mancha e che qui trovano un loro punto di incontro inaspettato.

Dopo i singoli di esordio Crimine e Solo Quando Voglio, Mancha ci mostra il volto di un artista che, nonostante la giovane età, ha le idee molto chiare. Il featuring insieme a Nicol con la sua vocalità spaziale e la produzione di Mr Monkey aggiungono un valore unico al suo percorso artistico.

Lo immagino perfettamente come il pezzo che passa per radio quando sei in macchina e ti fa ondeggiare a tempo, fa partire il film mentale in cuffia on repeat: è il brano che vai a cercare nella tua playlist perché ti lascia un’emozione differente, un racconto.

di Giulia Garulli

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Illustrazione di Luna Del Mar Severi

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Illustrazione di Alessandra Goldoni

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Internazionale

Le 5 cose preferite degli Young Lies

Esce venerdì 2 luglio 2021 per Kottolengo Recordings (etichetta di Johnson Righeira) Touch, il singolo di debutto degli Young Lies. Un nuovo e importante capitolo per il duo nato a marzo 2021 che si impone nella scena elettronica made in Italy. Immergetevi quindi in un nuovo progetto nu disco che riporta ai sapori della electro house e in particolar modo di quella french house dei primi anni 2000.

Abbiamo chiesto loro quali sono le loro cinque cose preferite.

Fotografia. Siamo entrambi amanti anche di questa forma espressiva, che peraltro spesso si lega fortemente alla musica che ascoltiamo o facciamo (fasi). Ognuno a proprio modo e con stili differenti, ma ci accomuna questo piacere nel catturare attimi o significati che incrociamo casualmente o meno in ciò che osserviamo.

Ricerca bar / locali isolati e desolati. Si, abbiamo qualche problema con i rumori. Per berci qualcosa e chiacchierare abbiamo bisogno di location di questo tipo. Sembra un paradosso, ma amiamo il movimento, la vitalità e il casino lo amiamo solo quando si tratta di condividere musica dal vivo.

Eternal Sunshine of the Spotless Mind. Semplicemente, per entrambi, il capolavoro assoluto per quanto riguarda il cinema. E’ troppo profondo e personale ciò che evoca e rappresenta, tanto che sarebbe insensato provare a racchiuderlo in poche righe, ma i tanti che lo conoscono e lo adorano sanno indubbiamente di cosa si tratta. Qualcosa che va oltre.

Marco: Le poesie di Anna Achmatova. Durante il periodo del lockdown ho ordinato svariati libri di poesia e mi sono imbattuto in un paio di libri della Achmatova. Amore a prima vista. I suoi versi mi hanno da subito toccato nel profondo. 

Luca: Il letto. Ammetto che adoro dormire e mi sento naturalmente e inspiegabilmente molto legato alla vita che vivo nella dimensione onirica, a mio avviso una sorta di sfera superiore. Ma poi, semplicemente, qualsiasi cosa fatta su un letto è tendenzialmente potente in un modo o nell’altro. Una volta, soprappensiero, mi sono sorpreso a dare un bacio ad un materasso (giuro), lì per lì è partita una grossa risata ma poi ho capito che probabilmente inconsciamente lo stavo ringraziando di esistere.

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Indie Internazionale Pop

Il lockdown secondo Pietro Berselli

Esce venerdì 9 luglio 2021 Nord Europa, il nuovo singolo di Pietro Berselli, che segue l’uscita di Spettatore, singolo pubblicato a giugno. Il cantautore bresciano ma padovano di adozione ci avvicina al suo secondo album dal titolo Evidentemente No, fuori per Dischi Sotterranei. Nord Europa è per tutti quelli che conoscono fin troppo bene l’altra faccia della nostalgia, quella che spezza il cuore.

Scelgo il Nord Europa come feticcio di terra dalle mille opportunità, ma potrebbe essere qualsiasi luogo, dipenda da chi ascolta. Non è così scontato pensare che alle volte per andare avanti, bisogna lasciarsi qualcosa alle spalle.

Gli abbiamo chiesto com’è stato il suo lockdown.

Come stai passando questo strano periodo, qual è la tua routine?
La mia routine ruota attorno ai due grandi momenti della giornata: il pranzo e la cena. Adoro la cucina quasi quanto la musica e la fotografia, quindi durante questo strano periodo ho potuto applicarmi parecchio alla prima, essendo le altre due impossibilitate maggiormente dagli spostamenti o da un improvvisa mancanza di creatività dovuta allo sbalestramento a cui siamo tutti stai soggetti.

L’arrivo della pandemia ti ha sconvolto qualche piano? Quale?
Ha sconvolto tutto. Ogni piano che avevo è stato rimandato a data da destinarsi, cancellato o nei migliori casi modificato.

Te la ricordi la primissima quarantena? Come la passasti?
La passai in un piccolo bilocale a Brescia, isolato come tutti. Dio benedica l’internet.

Shot with NOMO 135 B.

Di cosa parla il tuo ultimo singolo? L’hai scritto nell’ultimo anno?
No fa parte dell’era pre-covid. Spettatore parla della sensazione di restare fermo mentre tutto scorre ai 300km/h, della sensazione di perdere il treno, di restare indietro, di non essere riusciti a cogliere l’occasione. Dell’ansia di dover fare e avere tutto e subito.

Cosa ti manca più di qualsiasi cosa?
Sopra ogni cosa i concerti.

Ti ricordi ancora l’ultima serata che hai fatto post 22.00?
Devo essere sincero. Non mi ricordo.

Shot with NOMO 135 Ti.

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Kolè mi ha portato in giro sui tetti di Roma

Dopo l’esordio con “Your Mouth”, e il successivo singolo “Red Fruits” torna l’atipica cantautrice romana classe 1993 che si lascia influenzare da Radiohead e Portishead, Moltheni e Afterhours, ma anche da Quantic Soul Orchestra e Fela Kuti. Un mix unico che ci porta nel territorio inesplorato all’interno di un esperimento sussurrato ed elegantissimo tra trip hop, funk e nu soul. “Kolé” è il suo disco di debutto. 

Abbiamo fatto un giro per Roma, città dove abita, con lei e le foto di Simone Pezzolati.

Che rapporto hai con la città di Roma?

Sono molto legata a Roma, è la mia città. Amo le sue contraddizioni nonostante spesso mi lascino perplessa. È una città bellissima ma, così pare, impossibile da amministrare con puntualità.

Se fossimo nuovi in città, dove ci porteresti?

Sicuramente sul lungo Tevere, dà la misura del carattere della città molto più che il Colosseo secondo me, poi al cimitero acattolico di piramide per i monumenti, le statue e il verde, poi a villa Sciarra, al gazometro nel quartiere ostiense e infine al parco degli acquedotti.

Quali sono i luoghi che più credi abbiano a che fare con il tuo disco?

Per All the things penso ad un viaggio che feci in Polonia, nonostante il testo non sia direttamente ispirato a quello nel mio immaginario questa canzone appartiene a quel posto e alle sensazioni che mi ha lasciato. Red Fruits appartiene al quartiere Capannelle a una gita al lago di Albano e a racconti riguardo una Sicilia per me lontana ma in quel momento vicina. Pink leaves non saprei, alla mia vecchia casa e ai pomeriggi di studio intensivo, a un certo tipo di concentrazione. Your mouth al mare, quello vicino tovajanica, a delle passegiate fatte verso sera nei quartieri limitrofi.

Ci sarà presto un seguito del tuo EP di debutto?

Sì, è previsto un album.

Quali sono i tuoi riferimenti musicali in Italia?

Ce ne sono molti più o meno distanti dal mio mondo. Non tutti questi ascolti hanno influenzato direttamente le mie produzioni. Sicuramente ho ascoltato fino a morire i Verdena, lo stesso ho fatto con gli Afterhours, Moltheni e Cristina Donà. Poi il teatro degli orrori e molto altro.

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8 domande per Il Solito Dandy

Alzi la mano chi non ha mai perso la testa per una persona conosciuta ad un concerto, o su un tram, la mattina di sfuggita. E quante volte invece abbiamo indossato una maschera tradendo noi stessi, perché non siamo riusciti a dire alla persona che ci stava di fronte che, in realtà, non è vero che capiamo “il calcio, la convinzione di chi torna da Londra e si crede Liam Gallagher”.
Tra mille fantasie, amanti blu ed aragoste, abbiamo fatto otto domande (sì, ci piace essere precisi) a Fabrizio Longobardi, in arte Il Solito Dandy; ci ha parlato del suo nuovo singolo Thailandia, dei suoi video artistici e dei progetti per il futuro.

Ciao Fabrizio! Come stai? Come hai passato quest’ultimo periodo?

Ciao, io sto bene. O almeno, è strano non rispondere ad un “Come stai?” senza un “Tutto bene” dopo, sembra che ormai questo faccia parte di un meccanismo per cui diventa assurdo rispondere diversamente. Figurati che una volta una mia amica mi ha salutato dicendomi “Tutto bene, tu?” senza che io le avessi fatto la domanda. Ma comunque, mi piace pensare che l’umore sia un po’ come il tempo che cambia spesso, perciò ti direi che mi sento sereno variabile.
L’ultimo periodo, invece, è stato parecchio movimentato, come quelle scene dei film dove il protagonista fa mille cose alla velocità della luce e sotto passa la musica di Benny Hill; ecco direi che l’ho passato così, ma con in mezzo un bel po’ di personaggi dipinti, piadine al salmone, vestiti in miniatura e siparietti esilaranti.

Raccontaci, cosa rappresenta Thailandia per te?

Thailandia è più l’idea dello scherzo che della canzone. Credo che oggi vogliamo tutti prenderci troppo sul serio e a forza di fare così ci ritroviamo a passeggiare imbronciati o con la faccia come quei pesci degli abissi nelle illustrazioni dei libri di scienze per bambini, quando basterebbe essere un pochino più leggeri e ridere non del mondo ma con il mondo, un po’ come facevano i pittori e i cineasti surrealisti. Per questo ho scritto Thailandia, perché per insicurezza o per conforto tendiamo spesso a metterci in contenitori o scatole che non ci rappresentano e, facendo così, rischiamo di perdere quello che è davvero la nostra natura.
La canzone è scritta con un linguaggio ben specifico e lo utilizza facendo un po’ lo scimmiotto a questo mondo che pare un catalogo, proprio come i due protagonisti che fanno finta di essere quello che non sono solo per apparire brillanti o comunque interessanti l’uno agli occhi dell’altra. Ma a forza di fare così, vengono travolti da un mare di folla e di luoghi comuni che li allontana facendoli perdere per sempre. Quindi, sia nell’uscita ravvicinata con Boh, che nel modo in cui è stata lanciata, Thailandia è un modo per ridere ed un invito a essere più umani o perlomeno a credere nei pesci d’aprile, anche se in questo caso era maggio.

Nel testo, la persona della quale parli posta la foto di un tatuaggio per “discutere di gatti, yoga, santi e veg food”. Che rapporto hai tu con i social?

Credo che sia buono, o perlomeno mi piace questa cosa che ci sia un sacco di gente al mare, mi piacciono anche quelli che tagliano le saponette, anche se non capisco bene il perché lo facciano; forse non hanno abbastanza spazio sul lavandino. A me invece piace postare le foto dei pesci e, in realtà, utilizzo i social più che altro come un diario o per fare le scenette, soprattutto per fare le scenette, e questa cosa mi diverte un sacco. Oltre all’aspetto ludico, però, non amo particolarmente il mondo dei social, o almeno, preferisco vivere la realtà. Anche perché il mondo è davvero molto più incredibile di come ci viene mostrato e resta solo a noi viverlo con lo stesso spirito di meraviglia di quando inciampiamo su un video di un gatto sugli sci o delle feste tribali in chissà quale luogo sconosciuto.

Ci raccontano la storia due amanti dipinti di blu, entrambi con dei guanti alle mani. Ci ha colpito molto questa scelta! Com’è nata e perché proprio il blu?

Sai che questa cosa me la chiedo pure io. Credo che sia stata una visione, un sogno o qualcosa di simile, tipo Nel Blu Dipinto di Blu ma per Villa Borghese che muta in una giungla con le statue che fanno da spettatori. Poi forse non avevo mai visto il Maestro Guzzino [Simone Guzzino, produttore] blu e quindi perché no?
L’idea della coppia invece arriva da un sogno nel dormiveglia della Dottoressa Sandrucci che s’immaginava azzurrina tra le braccia del Maestro, e così TA DAH! Andiamo tutti a Villa Borghese con il diluvio a girare un filmino di nozze per amori surreali! Oltre il blu però mi interessava che uscisse il nocciolo della canzone: i personaggi sì, hanno la faccia dipinta ma sotto i guanti azzurri si vede la loro vera pelle, proprio a mostrare quanto nella vita tendiamo a mascherarci da qualcosa che non siamo, non rendendoci conto che, al di là del travestimento, siamo molto più simili di quanto pensiamo.

Thailandia arriva dopo Boh, il tuo primo singolo, che parla di luoghi comuni e mode che vanno e vengono. Ma come decidi l’ordine di uscita delle tue canzoni?

Mi affido ad una squadra di scienziati con le ampolle, che sbuffano e fanno le bolle fino a diventare come gli elefanti di Dumbo, che dopo un giretto sulle scrivanie arrivano alla cornetta del telefono e, quando rispondo, parliamo ore ed ore del più e del meno, finché non sbuffo pure io, ma le mie bolle non sono elefanti ma delfini ballerini che quando raggiungono la cornetta del telefono hanno tutto un po’ più chiaro. E così riparte il giro.

I tuoi video hanno tutti un’estetica ben precisa! A che cosa ti ispiri per creare questo tuo mondo?

Più che ispirarmi a qualcosa faccio girare tanto la fantasia, la possibilità di immaginare senza limiti mi pone nella condizione di massima libertà, un po’ come nei sogni. Sì, ecco, mi piace l’idea di poter vivere la vita come fosse un gigantesco sogno da cui escono personaggi fantasmagorici, coccodrilli che ballano il liscio, piscine giganti di pasta al pomodoro e chissà cosa mi passa per il mondo e la testa.

Il tuo nuovo album è in uscita dopo l’estate e non vediamo l’ora di ascoltarlo! CI puoi anticipare qualcosa?

Sì, sarà come un film, o almeno mi piace pensarlo così; come uno di quei film neorealisti dove i personaggi trovano grandi sorprese nei piccoli gesti quotidiani della vita e tutto questo li fa talmente ridere, che ad un certo punto, non si sa il perché, si commuovono. Ecco!

Fabrizio, grazie di averci accolti nel tuo pianeta onirico! A proposito, vedo che l’aragosta è un tema ricorrente nel tuo immaginario (e anche nella tua bio di Instagram, @ilsolitodandy); è un simbolo portafortuna?

Sai che il mio animale totem è il delfino? L’ho sognato una notte che usciva dal lago, arrancando nel giardinetto di fronte casa di una zia, ma credo che questo non c’entri molto, anche perché è successo dopo. L’aragosta invece credo che sia un animale rappresentativo di questo nuovo percorso, le canzoni parlano tanto di mare e sentimenti, non di amore, con quel velo di malinconia dietro cui si nasconde la morte dell’aragosta nella pentola che bolle. Non trovi un po’ di disillusione e amarezza in tutto questo? Un po’ anche come The Lobster di Yorgos Lanthimos, è un film che ti consiglio tanto.

Di Cecilia Nicolè

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Il lockdown secondo Ben O.

Fuori da sabato 15 maggio il terzo singolo di Ben.O, autore e musicista milanese con la passione per il cantautorato anglosassone. Dopo la pubblicazione di Blind love (2020) e How long my dear? (2021), Ben.O torna con It’s time, un nuovissimo pezzo con influenze internazionali e sonorità folk che rimandano ad artisti come Passenger e Stu Larsen.

It’s time è in assoluto la prima canzone che ho scritto. È rimasta “nel cassetto” diversi anni prima che mi decidessi a registrarla in studio e a pubblicarla.
It’s time descrive la necessità di abbandonarsi completamente all’altro, cercando di superare le barriere psicologiche che spesso limitano i rapporti. 

Gli abbiamo chiesto come ha passato il suo lockdown.

Come stai passando questo strano periodo, qual è la tua routine?
Decisamente meglio rispetto al primo periodo della pandemia. In tutti questi mesi ho cercato di mantenere inalterata la mia routine, in cui comunque un ruolo principale l’ha avuto sempre la musica. Ho avuto la fortuna di continuare a lavorare anche durante la pandemia e sono riuscito ad avere un po’ più di tempo per dedicarmi ai miei progetti musicali.

L’arrivo della pandemia ti ha sconvolto qualche piano? Quale? 
A livello musicale sicuramente. Avevo in mente di suonare live nei principali locali della scena milanese e, purtroppo, è tutto rimandato a data destinarsi. Spero comunque si possa tornare ad una vita normale il prima possibile.

Te la ricordi la primissima quarantena? Come la passasti?
Come ti anticipavo, ho avuto la fortuna di continuare a lavorare e, di conseguenza, di essere impegnato per la maggior parte del tempo. Ricordo comunque di aver riflettuto sulle piccole libertà quotidiane che molto spesso diamo per scontate e di cui ci siamo privati da un giorno all’altro. In sintesi, la prima quarantena è stata caratterizzata da lavoro, musica e pensieri (e anche molto lievito, perché no).

Di cosa parla il tuo ultimo disco? L’hai scritto nell’ultimo anno?
Il mio ultimo lavoro è “It’s Time” il terzo singolo che ho prodotto e pubblicato lo scorso 15 maggio. È in assoluto il primo pezzo che scritto e descrive la necessità di abbandonarsi completamente all’altro, cercando di superare le barriere psicologiche che spesso limitano i rapporti.

Cosa ti manca più di qualsiasi cosa? 
I concerti, suonati e vissuti da ascoltatore.

Ti ricordi ancora l’ultima serata che hai fatto post 22.00?
Una semplice birra in un locale qui a Milano con degli amici. Al tempo mi sembrava un sabato sera banale, oggi ripenso a quei momenti con nostalgia.