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10 album italiani che forse vi siete persi nel 2023 (e che dovreste recuperare)

Siamo ormai al termine dell’anno, tempo di tirare le somme, delle playlist di fine anno, delle classifiche e di cose del genere che noi però non faremo. Quella che segue non è una classifica, una condensa del meglio di un anno che non abbiamo capito, ma un invito a recuperare qualche disco della scena indipendente, che forse vi siete persi e che potrebbero essere molto utili per riempire le cuffie durante le giornate vuote delle vostre giornate natalizie. Cominciamo?

“Come closer” dei Petra Von Kant

Quello dei Petra Von Kant è un disco di quelli che forse potreste condividere con vostro padre, quel padre rockettaro che non ha ancora Spotify, che vi faceva ascoltare i Litfiba in macchina e che ha ancora in camera tutti quei dischi progressive della vecchia guardia con quelle copertine discutibili. I Petra Von Kant, con un nuovo esordio che avvia una strada parallela al progetto dei Venus In Disgrace, esordiscono a fine ottobre con l’album “Come closer” (fuori per Lost Generation Records). Niente singoli, pochi fronzoli, niente scelte di marketing, solo la musica, come si faceva una volta. Musica che spesso non basta, tant’è che probabilmente ve li siete persi. Forse, potreste sfruttare qualche macchinata con papà o quello zio virante a sinistra, che era stato fan degli Area, per mettere su questo disco e far vivere così questa pulsante scena romana dark, oscura, intensa, che si ritrova nei localini fumosi e negli studi arrangiati a casa, e che non è mai troppo uscita dagli anni Ottanta.

Ci piacciono tantissimo per il loro essere un po’ boomer.

Una (1000Nessuna)” di Miele

E sul finire del 2023 arriva anche l’album d’esordio Miele, quel nome che forse ricorderete da qualche Sanremo passato, ma che ora ha ben poco a vedere con un disco autobiografico, di quei pensieri che hanno voglia di esplodere in musica, e non si vergognano mai di rivelarsi. Miele sembra averci fatto aspettare così a lungo per un suo full legth che, ora che lo abbiamo, c’eravamo ormai dimenticati di lei. Un disco di sussurri, derive rock con quelle chitarre trascinanti, bassi che prendono lo sterno e ci fanno ballare e parole che rimangono impresse. Un disco che funziona, ma che di fatto è un altro esordio dell’underground, di chi ha fatto pace con sé, di chi parla delle donne in modo sfacciato e sincero (e mai come in questo periodo, ne abbiamo bisogno!). Peccato, perchè il percorso di questa giovane cantautrice ce lo eravamo quasi perso, ma siamo ancora in tempo per recuperare questa piccola perla dell’underground.

Arrivato nel momento sbagliato, probabilmente. Ora che anche Maria Antonietta porta i tacchi alti e abbiamo tutti superato i trent’anni o quasi.

“Earth” di Anna Soares

Che musica e sensualità fossero una cosa solo per Anna Soares lo sapevamo già, e lo sapevamo già così bene che forse vi siete quasi persi questo (nuovo, ennesimo) terzo disco dal titolo “Earth” (fuori per Lost Generation Records). Un disco che più che ascoltato, andrebbe vissuto in un club con una rigida selezione all’ingresso: solo affamati di movenze lente, solo chi comunica con giochi di sguardi, solo chi ama il sesso che non si fa mai. Un nuovo disco per il sottofondo delle nostre cene natalizie, quelle tra amici che finiscono fumose sul divano, con le chiacchiere filosofiche e i sentimenti non corrisposti. Anna Soares si conferma una donna pop con un’oscurità esplosiva e contagiosa con un disco che forse perdiamo e confondiamo con gli altri, che sono comunque pubblicazioni abbastanza recenti, ma che non possiamo che apprezzare. Quando ci siamo stufati della banalità, ma non delle feste di Natale, forse potremmo capitare proprio qui.

“Aspettando Ribot” di Roberto Benatti

Ecco che vi abbiamo trovato un altro disco che forse non avreste mai scovato altrimenti. Roberto Benatti è il contrabbassista dell’Orchestra della Scala di Milano, ma quest’anno timidamente è diventato anche un cantautore. L’esigenza è molto semplice, chiudersi in casa a raccontare tutto, chitarra, voce e la complicità di Silvia: tutta la Milano che ha dato tanto, ma da cui bisogna fuggire, l’amore, i figli, il calcio e tutto il resto. Qui dentro c’è molto di De Andrè, ma anche l’urbanità indie di Dente e di quella scena che ci ha fatto compagnia negli anni Dieci. Roberto Benatti arriva qui, silenzioso e sincero, come alla fine di una cena di Natale, con quelle canzoni semplici che si cantano ancora a tavola, e che si assorbono meglio con la pancia piena. Un altro disco contro ogni logica di mercato, che non si associa a nessuna strategia o idea di comunicazione, che esiste nella sua urgenza che non fa neanche troppo rumore.

“Nevermind” di Sete

Un nuovo esordio al femminile, che inizia con ritmiche serrate, a volte vibes à la Mahmood ma senza le pose e le stratificazioni del successo, che ahimè sono inevitabili. Si può fare pop, si può derivare nella scena urban, senza camuffarsi, ma anzi esponendosi come raramente abbiamo visto questo anno. E Sete esordisce così, con un album dal titolo importante come “Nevermind” (fuori per Talento Liquido), lo stesso titolo di un disco dei Nirvana che probabilmente ci ha fatto compagnia in più di un momento buio, ad un disco che forse può avere lo stesso scopo: un manifesto generazionale di ragazze di periferia, che sono stanche, che hanno voglia di ballare, che si rasano a zero e che vivono dicendo non mi importa. La vediamo bene a duettare con Blanco, quando non riempiva gli stadi, con una voce come se fosse la stessa. Il cantautorato ha questa faccia, non possiamo farci niente se non lasciarci trascinare, inquietare, affondare nelle acciacature e vivere i nostri viaggi in metropolitana come fossimo in un club segreto quasi fuori Roma.

“Limine” dei Macadamia

Se non lo aveste capito, ci piacciono i dischi che non si classificano, che non si riescono a catalogare bene, che brillano di luce propria e non assomigliano a nessuno. Ed è il caso dei Macadamia, che dopo una serie di singoli arrivano al loro “Limine“, un piccolo inno resiliente ad una generazione che si sta disfacendo, e che si rifugia quindi in sonorità psichedeliche e cantautorali della vecchia guardia. É un disco per tutti noi ragazzi che facciamo le tre, ma che rimaniamo bravi ragazzi, che ci fermiamo cauti agli STOP e che Roma non la viviamo mai veramente. Un piccolo disco prudente, al punto giusto, che non osa troppo ma ammicca alle sonorità d’oltre oceano, che ascolta Alex Cameron e Mac DeMarco, ma anche Mina, che attinge alla sessualità estetica di Calcutta, e racconta anche di sè. Un mix cauto, che non esce troppo dai confini, ma che allo stesso è un mix unico che non avevamo mai sentito prima, e che sa di casa. A Natale, soprattutto, ci vuole!

“Invisible Pathways” di Martina Di Roma

E torniamo a Milano, insuandoci in quella scena jazz che da quando il Lume non è più attivo forse abbiamo perso. Noi che da fuori bazzicavamo i localini e le jam session, ora siamo alla Corte Dei Miracoli, una versione pettinata di quel Lume, un centro sociale che ha cambiato spesso sede e che ha lasciato una voragine di nostalgia ovunque sia stato. Una sera di queste, incontriamo Martina Di Roma che presenta dal vivo il suo esordio dal titolo “Invisible Pathways“: una diva timida, un concertino di New York ad occhi chiusi, l’autobiografia musicale ed estetica di un periodo difficile, il carisma raro di chi non cerca di apparire. Martina Di Roma è una perla rara in questo panorama musicale che vive di tormentoni, e che allo stesso tempo vediamo per sempre in questo underground scintillante, ma poco vendibile. Se avete voglia di chiudervi in un pub fumoso, immaginarvi in abiti degli anni Trenta, e lasciarvi trascinare da un piano lungo i tormenti e soluzioni emotive di Martina, siete nel posto giusto. Benvenuti.

“glu” di Guidoboni

Quello di Guidoboni è uno di quei dischi inghiottiti dall’estate, e che prima o poi vengono rigettati, speriamo di esser parte di questo rigetto. Un cantautore da quell’età indefinita, un po’ come Fulminacci e un po’ come Paolo Nutini, un po’ come ciò che servirebbe (servirebbe davvero!) a Sanremo, e un po’ come quelle che vorremmo vedere per sempre nei sobborghi. Guidoboni ha esordito timidamente con “glu”, un racconto di provincia, di amore (e di porno!), con quei dettagli della casa dei suoi genitori, di ritorni in città che non fanno respirare, e tanta nostalgia. Un timbro del genere, in italiano, non l’avete mai sentito, fidatevi. Un disco da imparare a memoria, da urlare in macchina, anche se ovviamente i malcapitati in macchina con noi non sapranno una parola. Un disco quindi, che è moralmente necessario condividere, per urlare meglio.

“No Borders” di Altera Nexa

Non capiamo molte cose: la copertina di un disco sugli store digitali che non riusciamo neanche a decifrare, piccola e lasciata lì su Spotify. Ancora una volta, come era stato per i sopra citati Petra Von Kant, neanche un singolo che potesse accompagnarci in questo momento di alternative jazz che si può ballare. Musica e marketing non vanno d’accordo, ma scovare dischi fighi diventa abbastanza complicato così e, fidatevi, “No Borders” degli Altera Nexa è uno di quei dischi veramente fighi che avreste voluto vi facesse compagnia ancora a lungo, e che invece probabilmente sentite adesso per la prima volta, giusto in tempo per tirare le somme di questo 2023 così stratificato.

Band padovana (quella città che ha partorito Jesse The Faccio ed Ulisse Schiavo), poche ciance, solo la cattiveria di un sax che si arrabbia di malinconia crescente. Un disco strumentale bellissimo, che forse ha solo bisogno di qualche idea collaterale per emergere, magari un feat? Suggeriamo: Pietro Berselli per rimanere in zona, Marta Del Grandi per evadere ma avere a che fare con un’altra amante dei fiati, Deaf Kaki Chumpy per essere in metà di mille sul palco.

“Queer Eleison” della Croce Atroce

Concludiamo questa carrellata di dischi con un album, quello della Croce Atroce, perfetto per spezzare la boria alcolica quando il 25 dicembre sta per volgere al termine. Filastrocche musicali decisamente scorrette, autobiografiche, ritmi scanditi da un rap old school che ci introduce in un’atmosfera surreale e retrò. La Croce Atroce è l’anima del Toilet di Milano: il rossetto marcato, mai stare zitti e quest’esigenza di raccontarsi. Questo è il suo terzo disco, “Queer Eleison“, il nuovo capitolo di una battaglia che affronta qui tematiche di accettazione e religione, dove scuola e famiglia si intrecciano con i vaffanculo più sonori che abbiamo mai detto. Forse a volte è necessario far ascoltare dischi del genere a chi vogliamo comunicare qualcosa di importante, senza drammi, con la normalità di chi ama i tacchi alti e andare al lavoro la mattina senza postumi.

Grazie per questa semplicità che ci fa così ridere, e sentire anche meno soli, tra tutti noi solitari che si perdono nei buchi neri.

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Elettronica Internazionale Intervista

Iron Soft, Berlino e “Solo noi due”: intervista

 La cantautrice e dj-producer Iron Soft pubblica il nuovo singolo “Solo noi due”, prodotto da Francesco Megha e fuori per l’etichetta Cobalto Dischi. “Solo noi due” è un brano che racconta l’alba: il ritorno alla consapevolezza delle difficoltà dell’essere se stessi dopo una serata attraversata da una spensieratezza surreale.

Noi l’abbiamo intervistata, ecco che cosa ci siamo detti!

Ciao Irina! Partiamo con la tua formazione musicale per conoscerti meglio: durante il tuo percorso artistico hai avuto modo stare a contatto in un primo mento con numerosi artisti della scena hip hop e poi di spostarti all’estero esibendoti in diversi club berlinesi; quanto ti ha aiutato il rap per poi fare techno?

Ciao!

La scena Hip Hop direi che è quella che ha più influenzato inizialmente la mia produzione. Per quanto riguarda il dj set, è qualcosa che ho vissuto abbastanza separatamente e le influenze sono state molteplici, prima tra tutte la bass music inglese in tutte le sue declinazioni. Quando mi sono spostata a Berlino per studiare, è stata inevitabile la contaminazione con la techno tedesca.

Come avviene il passaggio dai dj set al cantautorato?

Non c’è mai stato un vero passaggio e forse neanche un vero dialogo tra questi due aspetti. La mia ricerca di musicale è un percorso che sfocia nelle due cose in due modalità differenti. Si può parlare di passaggio se si intende quando ho iniziato a cantare sulle mie basi, quello è stato improvviso e abbastanza inaspettato!

Parliamo del nuovo singolo “Solo noi due”: chi sono i protagonisti di questo brano?

Il testo l’ho scritto un paio d’anni fa, l’ambientazione è sicuramente Berlino e senza dubbio ruba spunto da una mia relazione amorosa. Tuttavia, credo siano immagini in cui si potrebbe facilmente riflettere chiunque.

Questo brano parla sia della sensazione di invincibilità della vita notturna che del ritorno alla

consapevolezza di sé; quale “fase” ispira maggiormente la tua scrittura? Quella di spensieratezza o quella realista?

Bella domanda… sicuramente alcune cose sono state scritte o pensate anche in quella bolla di invincibilità notturna o di spensieratezza, ma è sempre necessario poi un confronto con la realtà, anche quando si tratta di scrittura.

Quali sono gli elementi in comune e le differenze tra “Solo noi due” e il tuo precedente EP “Piove dentro casa”?

Il periodo di scrittura è stato lo stesso, “Solo noi due” è rimasta indietro perché la percepivo incompleta e anche forse volevo lasciare che il primo EP avesse un mood prettamente malinconico. L’ho prodotto sempre con Megha, c’è sicuramente continuità. La differenza che per me è più evidente è che questo singolo è stato registrato con molta più rilassatezza e più a mio agio con la mia voce.

Hai altri progetti in programma?

Sì, certo. Sto lavorando a dei pezzi ancora più elettronici, forse è arrivato per me il momento di integrare le due identità di cui abbiamo parlato.

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Internazionale

“Sinestetica” è il nuovo disco di Freddo

É in uscita venerdì 17 novembre 2023 su tutte le piattaforme digitali il nuovo album del progetto Freddo, un disco che prova a dare una personalissima definizione a una parola che non esiste: “Sinestetica“. Freddo l’ha infatti inventata per dare una forma a quella che gli piace immaginare come “l’arte della sinestesia”. La sinestesia è tecnicamente la capacità di percepire intrecciando i sensi, un’associazione espressiva tra parole pertinenti a diverse sfere sensoriali.

Avventurandomi dentro ogni parola ed ogni immagine di queste canzoni sono arrivato alla convinzione che dentro ognuno di noi può segretamente formarsi un’immagine interiore nuova e distinta pur partendo da mondi sensoriali diversi.



SCOPRI IL DISCO:
https://open.spotify.com/intl-it/album/39C7ORAF1dOhLM3oWq4l7P?si=5K8w7dzPRMepmJJcmv9l2Q 

FREDDO: vocals, guitars, keys, synths, percussions, electric bass, mandolin, oud.
Gianluca Amabili: lead guitar on “Sinestetica Morale” + “Sinestetica (Reprise)”
Silvio Capretti: Additional Synths (Incontroluce + Bugie)

Written, produced and mixed by Fred Portelli at Manor Road Studio, London UK.
Mastered by John Davis and Felix Davis at Metropolis Studios, London UK
Mixing supervisor: Silvio Capretti (Tinygoats – IT)
 

In ogni brano l’artista crea immagini più che storie, e si accorge della dualità che condiziona ogni essere umano.  Spesso la spiritualità e la sensualità si presentano insieme in ogni nostro pensiero e a noi resta solo di scegliere. Niente di più sbagliato! Bisogna invece sentire, come si fa nella meditazione. Freddo approfondisce la ricerca testuale e sonora arrivando a capire che tutti siamo in grado di sentire su più livelli:  questo ci da la possibilità di percepire diversi punti di vista insieme, e vivere quindi più vite contemporaneamente.
 

“Vorrei che questo album aiutasse chi ascolta a risvegliare i sensi, quelli alti o profondi insieme a quelli più carnali e materici.”
 

Dopo un anno passato dietro e dentro la composizione di Sinestetica insieme all’album esce anche la netta consapevolezza di Freddo che l’unione della vita sognata alla vita vissuta sia assolutamente possibile e auspicabile per tutti. Nella produzione viene utilizzato un tappeto elettronico retrò su cui l’artista imposta strutture pop riconoscibili e strumenti organici e reali. È un disco nato al buio e sussurrato, poi vestito di energia da drum-machine e chitarre registrate di notte a tutto volume. Freddo utilizza italiano ed inglese come fa nella sua vita di tutti i giorni, ed è proprio da uno scantinato londinese che viene fuori questo mix sonoro e grafico che mescola in modo molto naturale i colori delle radici italiane all’atmosfera britannica.



BIO:

Fred Portelli e’ un musicista/produttore italiano che vive e lavora a Londra da 20 anni. Vanta collaborazioni con Labels e artisti internazionali come Peter Gabriel, Beyonce, Level42 e molti altri. Nel 2019 il progetto “FREDDO” che racchiude tradizione cantautorale italiana e sound internazionale sotto un’unica grande idea di musica.

In bilico sulla linea sottile che divide queste due identita’ nasce il profilo di un artista sensibile e profondo che tocca con pennellate di parole temi personali ed emozioni condivise. Nel 2023 Freddo e’ alle prese con il secondo Album “SINESTETICA”, si sposta verso sonorità piu’ elettroniche senza abbandonare la vena cantautorale e le chitarre, arricchendo il suo mondo di riferimenti anni ’80 e ’90 tra Battiato e Depeche Mode, CSI e la new wave inglese.

SINESTETICA e’ il racconto delle vite possibili, ogni canzone e’ un piccolo quadro surrealista che incita che ascolta ad unire e scambiare i sensi (sinestesia) e ad abbandonarsi ad un flusso di pensieri e note quasi come una sintetica meditazione guidata. Di “Sinestetica” possiamo già ascoltare 5 brani: “Francamente”, “Segni del Sempre”, “Incontroluce”, “Rainbow” e “Radio Distrazione”. Singoli estratti dall’album in uscita il 17 Novembre. Dalle chiacchierate in diretta con Red Ronnie ai collegamenti con numerose radio locali italiane, FREDDO ha fatto parlare, riflettere ma anche ballare.

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Internazionale

Le 5 cose preferite di Casablanca

Fuori dal 8 novembre “Non solo qui ed ora”, il secondo disco di Casablanca. Nove canzoni che raccolgono la crescita umana e creativa dell’artista. L’album è stato anticipato dai singoli “Skin” e “Indietro”, brani che fin da subito hanno riscosso l’interesse del pubblico. “Non solo qui ed ora” è impossibile da etichettare sotto un genere preciso. Casablanca scrive testi da cantautore italiano ma li accompagna con melodie jazz e soul mescolate a sonorità elettroniche. Il risultato è un qualcosa di inatteso, fuori dal comune, ma che sa farsi amare.

Il disco si apre con “Consciousness overture” dove la musica elettronica fa da padrona, ma già dal secondo brano “Cose Magiche” le melodie cambiano e deviano verso un mix tra jazz e pop. La bellezza di “Non solo qui ed ora” è che ogni brano riesce a sorprendere l’ascoltatore presentando sfumature diverse, ma mantenendo un fil rouge comune alla base. “Indietro”, ad esempio, è un altro brano molto particolare dove il soul incontra l’elettronica attaverso suoni che ricordano un canale televisivo che non funziona.

Noi volevamo saperne di più, e come sempre siamo partiti dalle sue 5 cose preferite.

La sperimentazione, non solo musicale, è alla base del mio pensiero. Mi permette di scoprire, di attraversare e di ampliare i limiti, le sensazioni e le capacità. Questo mio secondo disco, “Non solo qui ed ora”, come gli ultimi due anni della mia vita, si è basato molto su questo concetto: sulla conoscenza di nuovi luoghi, spazi e tempi, fisici e personali. Sperimentare mi permette di uscire da me stesso, per imparare qualcosa di nuovo, per poi tornare a casa con un bagaglio emotivo ed esperienziale indubbiamente più importante.

La spazialità del suono è una delle cose che più rappresenta la mia concezione di produzione musicale. Creare, appunto, degli spazi, degli ambienti sonori dove ogni elemento possa avere la sua giusta nicchia ma che, nel contempo, possa relazionarsi agli altri, creando un’armonia di incastri e direzioni.

Il Jazz è sicuramente una grande fonte di ispirazione per me. I suoi strumenti tipici, come ad esempio i fiati o il contrabbasso, sono molto presenti nella mia musica. Sono molto influenzato soprattutto dal jazz più sperimentale ed anche dal nu jazz, proprio per l’interesse alla fusione e alla scoperta di nuove combinazioni.

L’attitudine derivante da questo genere che più cerco di trasferire nelle mie produzioni è indubbiamente quella dell’improvvisazione. Non solo nei live, dove il mio sassofonista o il mio chitarrista si muovono liberamente fra le note più svariate, ma anche nei dischi. Questo tipo di approccio è alla base della mia idea creativa.


Il Rhodes è uno degli strumenti principali della mia produzione. Il suo suono può essere molto avvolgente ma anche un po’ aspro, se necessario, e riesce a risultare sempre attuale e contemporaneo, se mescolato ad atmosfere stilistiche influenzate da vari generi. Il microcosmo interiore per quanto riguarda la scrittura è fondamentale, e non solo sul piano testuale. La composizione della mia musica avviene attraverso un processo di analisi interiore, introspettiva: si basa sull’indagine delle esperienze, dei sentimenti, del vissuto. Fare musica per me significa studiarmi e scoprirmi. Cercando poi di tradurre in suono, ambienti e parole quello che sento.


Il microcosmo interiore per quanto riguarda la scrittura è fondamentale, e non solo sul piano testuale. La composizione della mia musica avviene attraverso un processo di analisi interiore, introspettiva: si basa sull’indagine delle esperienze, dei sentimenti, del vissuto. Fare musica per me significa studiarmi e scoprirmi. Cercando poi di tradurre in suono, ambienti e parole quello che sento.

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Indie Internazionale Intervista Pop

Lupofiumeleggenda: (Dialoghi italiano) è il primo ep da solista

“(Dialoghi italiano)” è il titolo del primo ep solista di Nicolò Verti, in arte Lupofiumeleggenda. L’ep sviluppa il concept del “dialogo”, inteso come necessità. Un dialogo non necessariamente verbale, ma fatto anche di contatto e sguardi, connessioni, emozioni. Lupofiumeleggenda si presenta come autore di canzoni, canzoni pop, proponendo un lavoro che mantiene le radici nella tradizione della musica “leggera” italiana (in particolare per quanto riguarda la “forma canzone” e l’approccio alla scrittura del testo) cercando allo stesso tempo di applicare soluzioni di metrica, linguaggio e scelte sonore provenienti da generi e artisti più internazionali. Anticipato dai singoli Troppi Anni, AXL e DOPE, alle tracce già pubblicate si aggiungono i brani “Amateur” e la focus track “Nuova luce”. Chiude il disco, “Ho bisogno di te”, una canzone acustica dall’atmosfera più intima.

Abbiamo fatto qualche domanda a Lupofiumeleggenda:

  1. Ciao è da poco uscito “Dialoghi italiano” ci racconti un po di questo tuo primo lavoro da solista e del tuo nuovo progetto musicale?

Ciao a tutti intanto!

DIALOGHI parla della necessità di comunicare. Il titolo, preso in presto dal mondo della pornografia, gioca su un concetto un po’ beffardo e paradossale: nel 2023, le persone trovano eccitante il dialogo, ancora e più che mai.

L’anno scorso mi sono trovato 30enne, con un lavoro e senza una band. Giuro che mi sentivo perso.

Poi ho pensato che dare seguito alle mie passioni dipende solo da me e adesso siamo qui a spingere sul progetto.

2. Come mai la scelta del nome d’arte “Lupofiumeleggenda”?

Lupofiumeleggenda era il nome della mia vecchia Band.

Lo avevamo scelto perché noi siamo gente di campagna, molto legata alla natura, ai suoi ritmi, ai suoi segreti. 

Quando ci siamo sciolti ho deciso di tenere il nome perché oggi dice molto sul “dove voglio andare”

E poi penso non lasci indifferenti, o piace o non piace, però si fa notare😂

3. Questo primo lavoro è incentrato sul concept del dialogo e della connessione tra le persone, cosa ti ha portato a questa scelta?

È una consapevolezza maturata spontaneamente, canzone dopo canzone.

Mi sono accorto che intimità e dialogo sono le cose di cui ho più bisogno….lo leggo ogni volta dentro ciò che scrivo

Ho pensato che forse, anche per gli altri è così…da qui il concept

4. Quali sono le tue influenze musicali più importanti? A quali artisti ti sei ispirato per produrre questo EP?

Wow, un treno di artisti

Per testi e melodie per me esiste solo Vasco, ma dire “ispirato a Vasco” è blasfemia pura, quindi passo

Sul sound ti posso dire Post Malone, Dayglow, DIIV, Surf Curse….ed Emanuele Santona, il mio musicista preferito

5. Venendo da una lunga esperienza con una band quali sono state le principali differenze nel lavorare come solista? 

Intanto ho scoperto che solista è un concetto sbagliato…la musica non è vero che si fa da soli

Io ho condiviso tutto con Santona ad esempio. 

Di certo mia, è la responsabilità globale delle cose che dico. 

C’è la mia faccia insomma!

Sono un emergente però per me questo è importante

Non mi ha obbligato nessuno ad espormi, è una mia scelta, per cui devo dargli un peso.

6. Cosa ne pensi dell’attuale scena musicale? Con quali artisti ti piacerebbe collaborare 

Per me spacca!

In America ti dico Del Water Gap (gli ho anche chiesto un feat via mail, mi ha risposto…dice di no, ma è stato super carino)

In Italia un botto di gente, ma voglio dirti tre emergenti della mia città (Parma): Alberi noi, Taha e Supo….

Dico questi solo per affinità musicale col mio progetto, ma anche gli altri spaccano.

C’è fermento in zona

7. Progetti per il prossimo futuro?

Eh un bel po’

Sto registrando nuovi brani con un bel produttore romano, scrivo con Santona, dal 2024 le date e in mezzo a tutto questo sto diventando Papà

Un bel casino la musica e la vita, ma tanto la musica è la vita quindi…

A presto! LFL

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Internazionale

“The elephant in the room” è il nuovo album di GINTSUGI

Esce il 20 ottobre 2023 THE ELEPHANT IN THE ROOM, la seconda produzione di GINTSUGI. Figlio di una creatività strabordante e di influenze internazionali profonde e articolate, l’album comprende otto brani, alcuni dei quali già presentati sotto forma di singolo, a testimonianza di un grande talento e di una grande sostanza musicale. 

Prodotto di un momento di crisi sia globale sia personale, THE ELEPHANT IN THE ROOM scava nel profondo della propria forza per poter far emergere una perla. Se fosse una carta dei tarocchi, l’album sarebbe l’Arcano Senza Nome.

Nato dalla desolazione e da una grande solitudine, si appoggia all’ossatura delle cose. È un confronto diretto con una realtà. Una disillusione, ma anche una trasformazione.

L’album richiama eventi ed emozioni senza troppi filtri e senza finzioni. La rabbia nei confronti di chi manipola e opprime, il senso di solitudine, la disintossicazione da narrative che fanno della dipendenza una romantica fiaba, la delusione nei confronti di un mondo che non si prende cura di ciò che è più prezioso.

Ma anche la scoperta che il nutrimento a volte lo si trova dove non si è mai guardato. E la resistenza del continuare, in qualche modo, nonostante tutto.

GINTSUGI prende un ruolo di produzione importante: l’album è stato finalizzato in collaborazione con BEAUTIFUL LOSERS RECORDS, che ha inoltre realizzato il mix e il mastering dell’album. GINTSUGI scrive, poi registra, per mesi delle tracce nel suo studio casalingo: con una biblioteca di suoni Native, un Moog, un computer, e il violino di uno dei suo collaboratori, EYMERIC ANSELEM.

Da questo sforzo nascono nove tracce, nove piccoli mondi, ciascuno in grado di illuminare un aspetto della realtà: la differenza e il contrasto tra il sentimento dell’amore e le strutture sociali all’interno in cui si può sviluppare, oppure dalle quali può essere osteggiato e represso; la relazione tra il consumo illimitato di risorse e le catastrofi climatiche; la ricerca della guarigione dalla dipendenza che indebolisce e umilia, il riconoscimento di una vicinanza di anime con chi ha fatto emergere dalle proprie ferite un placebo.

Il suono oscilla tra un art/pop vellutato e allucinato e un post-rock memore delle lezioni degli anni Novanta.

Gli artwork, creati dai due artisti visivi GIULIANO SGROI e GABRIELE BARBAGALLO, sono ulteriori elementi dell’universo creato dall’album: particelle del corpo invisibile in COMPLETE, identità sovrapposte in MON COEUR…

La copertina dell’album, realizzata in 3D, è una donna in dialogo con un immenso elefante, invisibile per molti. Come il titolo THE ELEPHANT IN THE ROOM, l’espressione idiomatica inglese per indicare i problemi che tutti percepiscono, ma di cui sembra difficile parlare.

Oltre alla collaborazione al violino, l’album ha la collaborazione di ARE YOU REAL?  alla voce per una versione movimentata di OUTSIDE, brano uscito nel 2021.

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BIO

GINTSUGI si è imposta nel panorama musicale con un’arte che trascende i confini convenzionali. Cantante, polistrumentista (pianoforte, elettronica, chitarra) e produttrice delle sue stesse creazioni, GINTSUGI scava nei recessi della sua anima emotiva, navigando sulla delicata linea tra esposizione e catarsi.

Il suo EP di debutto, prodotto con VICTOR VAN VUGHT (NICK CAVE, BETH ORTON), ha gettato le basi del suo suono singolare. YOAD NEVO, un virtuoso del mixaggio che ha lavorato per artisti del calibro di SIA e AIR, ha aggiunto il suo tocco artistico al singolo OUTSIDE, plasmandone ulteriormente l’identità sonora.

Il viaggio artistico di GINTSUGI l’ha portata dall’intimità del suo studio ai palchi diItalia, Francia, Svizzera e Germania. Ogni concerto è un’esperienza trasformativa, a riprova della sua capacità di catturare le emozioni più crude in ogni nota.

Nel 2021 collabora con LUCA PASTORE (SUBSONICA) per il video di BLIND, brano incluso nella compilation di ROCK TARGATO ITALIA 2021

La pubblicazione del suo primo album completo, prevista per l’autunno 2023 tramite SONO Music Group e BEAUTIFUL LOSERS RECORDS, segna un nuovo capitolo della sua odissea musicale.

Il nuovo album di GINTSUGI, THE ELEPHANT IN THE ROOM, è un viaggio coinvolgente nella psiche umana e abbraccia le profondità delle emozioni e delle esperienze umane. Con ogni testo, melodia e nota, GINTSUGI invita gli ascoltatori a osare e ad abbracciare le proprie imperfezioni, trasformando la vulnerabilità in una fonte di potere e autenticità.

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CREDITI

Scritto e composto da GINTSUGI (tranne LILAC WINE, musica e testo di James Shelton).

Prodotto da GINTSUGI e BEAUTIFUL LOSERS RECORDS

mix, mastering BEAUTIFUL LOSERS RECORDS

Voce, pianoforte, elettronica, sintetizzatore GINTSUGI

Violino EYEMERIC ANSELEM

Percussioni su MON COEUR e LILAC WINE: BEATIFUL LOSERS

Cori su OUSTIDE:ARE YOU REAL?

Copertina dell’album: GIULIANO SGROI

Artwork dei singoli GABRIELE BARBAGALLO (COMPLETE, MONCOEUR, TO GRACE), GIULIANO SGROI (HEX)

Canva GIULIANO SGROI (HEX, LILAC WINE), GIORDANA GEREMIA (TO GRACE), GINTSUGI (MON COEUR, COMPLETE)

VIDEO

Video di MON COEUR realizzato da GINTSUGI:https://youtu.be/-7nw0iKlZpI

Lyric video di COMPLETE realizzato da GINTSUGI:https://youtu.be/Kb40Nst3on0

Live di COMPLETE realizzato da FABIEN SALZI: https://youtu.be/_7z6CQXyBOg

EPK elettronico realizzato da FABIEN SALZI (Francese-sottotitoli in inglese):  https://youtu.be/ZLEd0hOjBHU

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Il collettivo Conserere ci mostra 5 oggetti dalla Fucine Vulcano, dove stanno provando!

Alle Fucine Vulcano (in via Fabio Massimo 15/12 a Milano) una settimana di incontri tra il collettivo di musicisti Conserere e artisti esterni, coordinato da Killick Hinds (USA) e Hanne De Backer (Belgio): un workshop tradizionale si espande fino alla resa di un lavoro finale sotto forma di concerto.

Le residenze saranno entrambe articolate su tre giorni, con un concerto finale la sera del terzo giorno.  Ognuno degli artisti sarà a sua volta parte dell’ensemble durante il periodo di residenza con l’altra. Quest’anno il progetto di residenza è realizzato in collaborazione con Fucine Vulcano, associazione culturale dedita a creatività, aggregazione e innovazione, che sarà la sede di prove e concerti, e con Vitamina, collettivo di musica elettronica che abbraccerà il secondo concerto inserendolo in una giornata molto speciale ricca di artistə sperimentali provenienti da tutta europa.

Ci siamo fatti portare nello spazio dove il collettivo si è riunito. Ecco cosa ci hanno mostrato.



 Costruzione di sogni con le ruote, che possano viaggiare lontano
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Metallo: il suono illumina e curva lo spazio

Pelle crini e legno: il suono vibra e modifica i materiali

Le pareti riflettono

Il mondo circostante è la nostra referenza, a cui torniamo con reverenza

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Le 5 cose preferite dei WE ARE WAVES

Entrare nella caverna del proprio io comporta dei rischi, ci mette di fronte ai nostri incubi, ma ci fa uscire alla luce migliori di quando siamo entrati: questo lo spirito di CAVE, nuovo e ispiratissimo video dei WE ARE WAVES, fondamentale post punk band torinese che costruisce nuove sensazioni a partire dal brano che dà il titolo all’ultimo album.

CAVE è infatti la title-track del quarto album in studio dei WE ARE WAVES. Un tunnel quasi interamente strumentale, un viaggio ossessivo negli antri della caverna che altro non rappresenta che il viaggio nelle “stanze buie” della mente del cantante/frontman FABIO “VIAX”VIASSONE per tentare di prendersi cura della propria salute mentale.

Il nostro furgone

Ci porta ovunque, in qualsiasi condizione meteo. Quando fuori ci sono 45 gradi o – 8. Spesso è ufficio, camerino, sala da pranzo, sala riunioni, camera da letto. Gli oltre 300.000 km fatti in tour sono sudati uno per uno. È il nostro bisontone e non potremmo fare nulla senza di lui. Nell’ultimo tour ha perso un pezzo di paraurti e ora è attaccato col gaffa. Un vero reduce del Vietnam.

Le coccole durante i live (ma anche fuori)

Siamo un gruppo molto coccoloso, ci serve darci un sacco di abbracci, baci e carezze. Suonare in giro spesso equivale logisticamente ad essere come in avanscoperta su pianeti ostili, a orari e posti strani e in mezzo a gente non sempre amichevole. E a volte fa molto freddo. Serve stringersi e darsi coraggio l’un l’altro, le coccole sono essenziali. E poi ci piacciono.

Gli afterparty

Qualsiasi promoter con cui abbiamo avuto a che fare sa che i WAW sono dei gran festaioli. Il live è sacro e va fatto al top. Ma dopo si fa anche il festino, con altrettanta professionalità e passione. Meglio se in un luogo sicuro, domestico e che sarà anche il posto dove dormiremo. Tante storie si potrebbero raccontare durante quei momenti…ma forse è meglio che restino chiuse nelle nostre memorie

😉

I fotomontaggi e le foto trash nel gruppo whatsapp

Il gruppo whatsapp dei WAW ha una quantità di idiozie, foto trash e impresentabili, oltre che fotomontaggi di una bruttezza rara, che trascende il valore musicale per essere proprio uno strumento di gioia nei momenti bui della vita. Sei in ufficio una grigia mattina di Novembre? Pensi che non ti passi più? Tiri fuori il gruppo, scorri i media e il buonumore non può che tornare subito. Come la voglia di ripartire immediatamente per il prossimo tour.



I momenti in cui tutto si svuota, che non si possono raccontare
Andare in tour prevede una serie di emozioni e momenti che sono impossibili da pubblicare su un social, o da raccontare a voce quando torni. Sono attimi, sensazioni, giochi di luce o di buio, a orari improbabili e pieni di stanchezza. Dove però tutto quello che vedi, il posto in cui sei, il cuore che ti batte a una certa frequenza ti dicono solo una cosa: qui è il posto dove voglio stare, questa la vita che voglio vivere.

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Cosa c’è nella sala prove dei Baab

PALAZZO DEL LAVORO è il singolo di debutto di BAAB, in uscita il 30 giugno per Stellare. Un progetto, quello del nuovo duo torinese, che si svela con un brano-manifesto capace di richiamare a sé prospettive interdisciplinari, che avvicinano la produzione musicale all’architettura, la ricerca sonora al design, alla danza contemporanea e alla fotografia. Il singolo anticipa l’album in uscita in autunno.

BAAB è un duo collaborativo nato nel 2020 dall’incontro tra Filippo Cornaglia, batterista, percussionista e compositore e autore di musica per immagini, stabilmente in studio e dal vivo con Niccolò FabiAndrea Laszlo De Simone e Bianco, e Andrea De Carlo, produttore, musicista e sound artist, fondatore di Lab10, studio di registrazione e laboratorio creativo con sede a Torino. La loro ricerca è caratterizzata da un approccio interdisciplinare e da un interesse verso il suono inteso non solo come fenomeno fisico ma anche come contenitore di significato. Dopo alcune collaborazioni (Innesto Lab, DAS Bologna, Paola Zorzi), attualmente BAAB è al lavoro con la compagnia di danza contemporanea BTT (Balletto teatro di Torino) per la realizzazione di uno spettacolo che debutterà nella primavera del 2024.

Siamo stati a curiosare dalle loro parti, ecco cosa ci hanno mostrato.

Minilogue

Il progetto BAAB affonda le sue radici nel minimalismo. Concetto che abbiamo deciso di applicare non solo nella scrittura, ma anche nella scelta dei suoni. Abbiamo deciso di scrivere tutto un disco con un solo synth perché l’idea di metterci dei limiti ci aiuta ad esplorare tutte le possibilità. Il limite diventa possibilità e rende tutto il lavoro coerente.

Batteria preparata

Adoriamo i suoni organici ed acustici. Nell’ottica minimalista abbiamo deciso di usare un piccolo set di batteria estendendolo il più possibile appoggiando sopra oggetti di uso quotidiano. In questo modo abbiamo la possibilità di personalizzare i suoni rendendoli unici ed imprevedibili. La combinazione degli oggetti rende il set sempre differente pur essendo composto da pochissimi pezzi.

Palazzo del lavoro

Questa è una foto realizzata da Ivana Noto e raffigura il famoso palazzo torinese. Appena iniziati a scrivere i primi brani abbiamo notato, nelle strutture, un’affinità con il mondo dell’architettura. Per questo motivo abbiamo deciso di associare ad ogni brano un opera architettonica. È interessante notare come la musica riesca a creare dei luoghi delle atmosfere emotive dentro cui chi ascolta si muove esattamente come dentro un edificio.

Bottiglia di Corona

Pochi giorni prima del lockdown un amico passando in studio ci regala una bottiglia di Corona. Per noi è stato l’oggetto scaramantico che ha accompagnato le sessioni in cui è nato il progetto BAAB. Proprio durante quella pausa dalla vita abbiamo avuto il tempo per sperimentare e immaginare nuova musica insieme. Chissà magari prima o poi festeggeremo aprendo quella bottiglia.

Bicicletta

Abbiamo la fortuna di abitare entrambi vicino a Lab10, il nostro studio, che al momento si trova nel quartiere di San Salvario a Torino. La bicicletta è il mezzo di trasposto che utilizziamo più frequentemente per gli spostamenti, non solo per il tragitto casa-studio, ma anche quando alla fine di una giornata decidiamo di andare a vedere un concerto nei locali del centro.

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Le tre cose che i Six Impossible Things rimpiangono dei loro Twenties

Twenty Something è il nuovo singolo dei Six Impossible Things che anticipa l’uscita dell’EP The Physical Impossibility of Death in the Mind of Someone Living, in arrivo a settembre. La canzone, scritta dal chitarrista e cantante Lorenzo Di Girolamo, è stata intesa come una lettera d’addio ai propri vent’anni, ora che l’artista si accinge a entrare nel decennio successivo della propria vita. Abbiamo voluto ripercorrere con lui gli ultimi dieci anni della sua vita chiedendogli di dirci tre che cose che rimpiange di aver fatto nei suoi Twenties e tre cose che rimpiangerà appena conclusi i Twenties.

Le tre cose che rimpiango dei miei Twenties

1. Il fatto di essermi enormemente concentrato sul punto di arrivo, piuttosto che godermi il percorso. Sembra che porsi degli obiettivi sia parte integrante dell’essere membro della moderna società occidentale. Penso che, consapevoli o meno, tutti siamo un po’ condizionati da questa cosa. Io in particolare sento di aver dedicato del gran tempo a pensare a dove sarei voluto arrivare, piuttosto che sedermi comodo e assaporare il viaggio. 

2. La mia irruenza, l’affrontare ogni cosa come se fosse l’ultima. Da un lato mi ha permesso di godermi di più alcuni momenti, dall’altro mi ha fatto perdere un sacco di tempo e di energie. Sono una persona molto ansiosa e non sono molto bravo a controllare le mie reazioni: questa cosa a tratti ha influito negativamente sulle persone che ho attorno e, di riflesso, anche su me stesso. Ho capito che il grosso delle cose che ci capitano non sono questioni di vita o di morte, e perderci la testa non ne vale la pena, perché guardandole in prospettiva tra qualche anno non ti sembreranno più i macigni che ti sembravano quando le stavi affrontando.  

3. L’ultima è sicuramente il fatto di non aver provato a rischiare di più. Non sono mai abbastanza i freni che ti togli. Ogni volta che qualcosa ti passa per la testa cerca di farla, soprattutto se hai 20 anni. 

Le tre cose che mi mancheranno dei miei Twenties.

1. Sono sempre stato un grande appassionato di pallacanestro, e so che con il passare degli anni sarà difficile continuare a giocare, soprattutto a livello agonistico. Il basket mi ha accompagnato fin da quando frequentavo le scuole medie e il pensiero di arrivare a un momento in cui non potrò più giocare in una squadra perché i limiti fisici iniziano a farsi sentire mi rende triste. Il lato positivo è che nessuno ti può impedire di andare a fare due tiri al campetto di fianco a casa, quindi potrò continuare a coltivare questa buona abitudine. 

2. La parte più bella dei tuoi twenties dal mio punto di vista è quella di scoprire cose nuove. In questi dieci anni per me si è trattato di iniziare l’università, cambiare una manciata di lavori diversi, suonare per la prima volta con band che stavano fuori dalla mia cerchia di amici e dalla mia provincia. Queste e tante altre cose in questi anni sono state per me avvolte da un’aura romantica e dal fascino della prima volta. Quel tipo di sensazione so che probabilmente non potrò viverla più, se si parla di queste cose in particolare. 

3. Mi gioco quest’ultimo punto dicendo che la prima sensazione che ho provato quando ho letto questa domanda è stata di paura. La verità è che non voglio che le cose belle che ho fatto a vent’anni mi mancheranno entrando nei trenta, semplicemente perché non voglio smettere di farle.