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Cosa c’è nella camera di Black and Blue Radio

It Will Be Nice è il nuovo singolo di Black And Blue Radio, il progetto musicale del doppiatore e musicista Davide Albano, disponibile da venerdì 24 febbraio e distribuito da UMA Records/Sony Music Italy. Spesso si tende a cercare la soluzione dei propri problemi negli altri, mossi dalla convinzione che stare in mezzo alle persone ci faccia sentire meno soli. Sulle note folk rock d’oltreoceano, It Will Be Nice parla di solitudine come scelta, come qualcosa che non deve far paura ma da cui si può imparare e che può dare un senso di libertà che è difficile trovare altrimenti.

Star soli non vuol dire non essere in grado di amare. Al contrario, quando si raggiunge tale livello di armonia con se stessi si è in grado di non proiettare le paure e le insicurezze con cui dobbiamo fare i conti ed apprezzare le piccole cose che si rivelano essere, poi, le più importanti.

Abbiamo deciso di farci invitare a casa sua. Ecco cosa abbiamo visto!

CHITARRA MARTIN JOHNNY CASH SIGNATURE

Questa chitarra è un pezzo fondamentale della mia vita e della mia musica.  Nel novembre 2019 sono partito, da solo, per New York, preparando il viaggio con sole 2 settimane di anticipo. Per una serie di coincidenze fortunate sono riuscito ad organizzarmi con il lavoro (spesso nel doppiaggio capita che una serie segua la contemporaneità della messa in onda originale per cui si lavorano le puntate di settimana in settimana) e trovai un biglietto aereo a un prezzo bassissimo, come se lo avessi prenotato con un anno di anticipo. Idem per il pernottamento. 

L’idea era partire e provare a trovare una risposta ai dubbi che avevo sulla mia musica. Volevo girare dei locali, trovare contatti per suonare, cose così.  Non sapevo che cosa fare. Volevo partire e poi una volta lì sperare in un colpo di fortuna. Probabilmente non avevo nemmeno  un piano da mettere in atto.  Comunque parto, arrivo e, una volta in città, comincio a pensare di aver fatto una cazzata. 

Ok, mi sarei goduto la vacanza, ma non partito per una semplice vacanza. Avevo in ballo un nuovo disco, c’erano delle idee ma non sapevo che farmene. Il disco d’esordio era andato discretamente bene dal punto di vista della visibilità, malissimo dal punto di vista commerciale ma non era quello il mio obiettivo.  Sono circa le 23 della mia prima sera newyorkese, piove e mi trovo nel cuore di Manhattan, vicino al Madison Square Garden e sono completamente solo.  

Sembra la scena di un film. 

Penso che ho buttato via il tempo, che forse non è la musica la risposta , che basta, non ha senso a 39 anni cercare ancora una motivazione.   Rimango una decina di minuti a fissare il vuoto cercando di trovare una scusa per tirarmi su di morale e non pensare di avere fallito su tutta la linea.  Esattamente come in un film, alzo lo sguardo e dall’altra parte della strada vedo uno dei più grossi Music Store di New York, SamAsh.

Attraverso e in vetrina ci sono delle chitarre spettacolari. Una su tutte: La Martin Johnny Cash Signature. Ma chissà quanto costa. Questa visione comunque mi trasmette un po’ di fiducia. Torno in camera e passo la notte a scrivere e a fare mille mila viaggi mentali. Il giorno dopo, senza aver chiuso occhio, mi precipito al negozio pensando che se la Martin dovesse costare un patrimonio, potrei prendere un ‘rottame’ qualunque e comunque farci qualcosa. 

Entro e vedo che il prezzo è assurdo: circa 400$ scontata (è la versione economica, l’originale costa tipo 20 volte di più). La provo. La prendo. 

Esco e comincio a cercare su internet tutti i locali dov’è possibile potersi esibire nelle serate openmic. Passo le giornate a camminare, cercare i locali, tornarci la sera, suonare e tornare a casa di notte come se avessi fatto soldout al MSG. 

Ogni sera suonavo dalle 2 alle 5 canzoni e la cosa meravigliosa era l’attenzione della gente. Ho capito che non potevo essere finito lì per caso. Tra le follie successe: una sera dopo aver suonato in una location dietro Times Square, mentre torno in albergo, per strada trovo una DeLorean con un tizio che ti permetteva di salirci e ‘provarla’. 

Ecco, questa chitarra è stata un nuovo inizio e la compagna di un’avventura indimenticabile. 

PASS DI ROGER WATERS

Il concerto di Roger Waters al Circo Massimo è stato uno degli eventi più incredibile a cui abbia mai assistito.  L’evento era soldout e tramite un amico riesco a farmi assumere per la giornata come barman. Più precisamente addetto alla spillatura delle birre. 

Ci dobbiamo trovare lì molto presto, rispetto all’orario d’inizio. Fa caldissimo. E l’idea di rimanere sotto quel sole è da matti. 

Ok,m eravamo riparati ma non si poteva resistere. 

Comincia il lavoro, sistemiamo i fusti, le bottiglie varie e prepariamo la postazione all’assalto che sarebbe cominciato da lì a poco. 

Ad un certo punto sentiamo degli strumenti suonare e una voce inconfondibile: era iniziato il soundcheck. 

“Wish you were here” è il brano scelto come prova generale. 

Surreale. Non trovo altro termine per definire quel momento. 

Il sole cocente, il Circo Massimo, le auto e il caos della giornata che per la maggior parte delle persone è una delle tante.  Per noi lì presenti invece è un momento indimenticabile: una delle più grandi rockstar viventi sta cantando una delle canzoni più importanti della storia della musica, per qualche decina di persona. In una normale, calda, giornata romana. 

Inizia ad arrivare la gente. 

Una marea di persone che sin da subito combatte il caldo a suon di bicchieri di birra.  Cominciamo a un ritmo forsennato che non smetterà se non dopo ore.  Arriva la sera e comincia il concerto.  Scenografia straordinaria, Roma come cornice, una marea indescrivibile di gente e ‘quelle’ canzoni. 

Il delirio. 

La nostra postazione si trova in prossimità del palco. Si vede e si sente meravigliosamente.  Intanto non abbiamo un attimo di tregua, la gente beve qualunque cosa ininterrottamente.  Ad un certo punto però finiamo tutto: birra, acqua, bevande…non rimane più niente. E non arrivano rifornimenti.

Che cosa succede? 

Il punto si blocca. Si ferma per mancanza di ‘materie prime’ in attesa che qualcuno porti qualche scorta.  Nel frattempo parte l’intro di “Wish you were here”. Da quella posizione si può cogliere anche un respiro.  Il tempo si ferma.  Mi sembra di aver trattenuto il respiro fino alla fine del concerto. 

SCARPE DA CORSA

Sono un corridore molto scarso. Vado a correre perché mi fa stare bene, mi aiuta a scaricare le tensioni del corpo, ascolto tanta musica e spesso riorganizzo idee e ne vengono fuori di nuove. 

Non faccio gare, non ho piani di allenamento e si, mi piacerebbe correre una maratona ma non ho la costanza. 

Vado a correre sempre e solo la mattina presto, d’estate anche verso le 5.30 perché la giornata inizia con una bella dose di energia: subito dopo una corsa mi sento come se avessi bevuto 10 caffè. 

Durante le mie sessioni da runner ho spesso trovato le parole per chiudere una canzone o la strofa che non riuscivo a mettere per iscritto magicamente spuntava fuori al Km 3, per dire. Andando sempre col telefono mi è facile scrivere o registrare una nota vocale. 

Durante la corsa ho scritto mentalmente e per intero il video di “Untitled Black And Blues”, un brano del mio primo disco, ho avuto l’idea del teatro e delle maschere per il video di “Monsters” (il cui video fu presentato in anteprima su Rollingstone Italia) e mi venne l’idea di realizzare un video in soggettiva per il video di “Just Like Water” senza però che la storia riguardasse me. Compaio solo alla fine del video e quella scena è la serata in cui abbiamo presentato proprio questa canzone come singolo del nuovo disco a cui stavo lavorando. Era novembre 2019. Nel giro di pochi mesi la pandemia avrebbe completamente stravolto tutto. 

Nuovo disco compreso. 

LIBRO DI HEMINGWAY

Uno dei miei film preferiti è “Midnight in Paris”. Non tanto per l’ambientazione meravigliosa e magica ma per la storia in sé: ritrovarsi nei locali e poter parlare di musica, arte, poesia, cinema, con i propri eroi. 

Mi capita spesso di andare da solo in un bar, portarmi uno dei miei quaderni e scrivere. Guardarmi intorno e prendere spunti. Parlare con estranei, farmi raccontare delle storie e poi raccontarle a modo mio, prenderne spunto per una canzone o un racconto. 

Mi capita più facilmente quando vado all’estero. 

Viaggio spesso da solo e fuori dall’Italia è più facile ritrovarsi a parlare con estranei. Senza per forza dover affrontare chissà quali argomenti. Anche i più banali. Ma vedo che è meno complicato interagire, cercare un dialogo che da noi, a volte, tra le persone manca. 

Succede, ma è più complicato.

Immagino spesso come Verdone (ad esempio), che su questo ha costruito tutti suoi iconici personaggi, potesse accogliere con entusiasmo tutta una serie di individui davvero bizzarri. E come poi sia riuscito a raccontarli in quel modo malinconico ma allo stesso tempo straordinariamente ironico. 

Mi meraviglio sempre di come la gente, quando si sente a suo agio, abbia quasi il bisogno di raccontarsi. E non è necessario per forza ricavarne un qualcosa. A volte ascoltare e tornare a casa con delle storie quasi surreali è il più bel motivo per aver deciso di affrontare la giornata in questo modo. Per aver deciso di affrontare la vita, in questo modo.

La sera tardi e la notte sono i momenti migliori. In settimana, quando in giro non ci sono tante persone. E nei bar del centro trovi poche persone, che magari sono non so a quale numero di birra,, drink. Magari in quel locale quella sera suona un artista ma la gente è poca. Magari un poeta legge le sue poesie e nel pubblico si contano tre persone. 

Per le strade non c’è nessuno. Finita la performance ci si ferma a raccontarsi, a dire il perché ancora si crede a quello che si fa nonostante tutto. E il sogno comincia lì. 

Purtroppo, dopo la pandemia è più difficile trovare situazioni come queste. 

L’unica sarebbe girare l’angolo e trovarsi in un’altra epoca. Per sentirsi raccontare in prima persona la storia di un vecchio pescatore.

DOC E MARTY

Sono un grandissimo appassionato di Ritorno al Futuro. Forse la trilogia migliore di sempre.

Mi ricordo di averli visti al cinema e soprattutto ho un ricordo vivido del secondo quando ai titoli di coda apparve il trailer del terzo capitolo della saga in lavorazione. 

Il mio primo disco ho deciso di chiamarlo “Out of time” anche e soprattutto per Marty e Doc. 

Non so spiegare per quale motivo mi ci senta così affezionato. Non lo so. Non credo di poterlo spiegare talmente la cosa è così legata ai sentimenti più che alla razionalità. 

Tra le mille citazioni possibili, ne scelgo una che forse è la meno interessante ma per me quella che mi emoziona ogni volta. 

Penso che la foto di Doc e Marty appoggiati al grande orologio,  quella che si vede nel terzo capitolo ambientato nel Far West, ecco…quella per me è Ritorno al Futuro. In quella foto ci vedo l’amicizia, l’affetto vero, un ipotetico rapporto padre/figlio che supera i confini spazio temporali. 

E infatti quella foto sarà il regalo di Doc a Marty alla fine di tutto, poco prima di partire con la locomotiva del tempo e spiegare a Marty e Jennifer che il futuro non è scritto, ma sono loro a deciderlo. 

Mi emoziona ogni volta. 

Pochi mesi fa sono stato a Londra e ho visto anche il musical. Meraviglioso. Per i fan della saga è assolutamente da vedere. 

In Ritorno al Futuro c’è l’amore, la famiglia, l’amicizia, la musica, la voglia di non arrendersi, la volontà di cambiare le cose per renderle migliori. Sono le cose semplici. Le più importanti. Che durano nel tempo. 

Sono le stesse cose che provo a mettere nelle mie canzoni. 

Provando a scrivere il futuro come lo immagino.

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Le 5 cose preferite di Silvia Furlani

Fuori dal 2 marzo “Riptide”, il nuovo album di Silvia Furlani. Otto brani di musica elettronica ambient che spazia da suoni più dolci a pezzi intensi, tutti da ballare. “Riptide” è un disco molto intimo, nato durante la pandemia raccoglie dentro di sé emozioni differenti. Il disco è come un viaggio attraverso queste emozioni. Un percorso di crescita e comprensione che porta fino all’ultimo brano “Watch the sky”, il pezzo più delicato e introspettivo del disco.

Era un periodo in cui sentivo una marea (da lì “Riptide”) di emozioni confuse, contrastanti, profonde, angoscianti a volte. E nel cercare di dare un senso a tutto mi sono messa a fare l’unica cosa che mi è di terapia: la musica. Mi sono approcciata ad ogni brano con il desiderio di sviscerare ogni nodo e sperando di arrivare a una conclusione mano a mano che il brano si componeva. Ogni pezzo quindi è come se fosse una domanda o una sensazione che avevo e a cui volevo dar spazio.

Nel dicembre di quell’anno è nato l’ultimo brano di “Riptide” che è “Watch the sky”. È nata in una giornata in cui nevicava moltissimo, mi sono messa al piano guardando fuori dalla finestra e mi sentivo leggera e serena. Il pezzo è nato da solo, spontaneamente e lì ho capito che tutte le sensazioni e tormenti che avevo quando ho iniziato a scrivere il primo brano, non c’erano più. Ed è anche il motivo per cui ho inserito “Watch the sky” come ultimo pezzo”, così Silvia Furlani racconta “Riptide”.

Noi volevamo decisamente saperne qualcosa in più. E le abbiamo chiesto quali fossero le sue cinque cose preferite.

 Il Guatemala e il Lago Atitlan

Ci ho vissuto per 6 mesi una volta e 2 mesi un’altra. Ho metà del mio cuore lì. È il mio piccolo Paradiso, sia per i paesaggi, sia per la beatitudine e pace che mi fa provare ogni volta che ci metto piede. È il posto in cui posso dire di essere stata felice davvero, con ogni molecola del mio essere. E ho un piano B nella mia vita che, in caso, mi riporterà lì.

 I miei strumenti musicali

Mi sono costruita il mio piccolo home – studio, la maggior parte del mio tempo lo passo lì, nel mio spazio creativo, non c’è molto da aggiungere, è praticamente un prolungamento di me.

Le mie gatte

Ero tra quelle persone che non capiva i gatti e non li consideravo animali affettuosi e con cui legare come lo possono essere i cani. Invece mi sono dovuta ricredere totalmente. Mai avrei pensato che il legame con un gatto potesse essere così forte e profondo. Non potrei farne a meno.

 Prendermi tempo per me

È una cosa a cui non posso rinunciare. Amo la solitudine, il silenzio, il potermi coccolare con quello che mi fa star bene, della buona musica, un bicchiere di vino, una buona cena, una passeggiata. Quasi ogni giorno devo avere un po’ di tempo solo per me.

 Viaggiare

Può sicuramente sembrare scontato ma amo viaggiare, sentirmi insicura e piccola, avere cose da scoprire e imparare. Mi intristisce la presunzione che nasce dall’aver vissuto in un solo posto e conoscerlo talmente bene da sentirsene i padroni. Viaggiare rende umili e curiosi. Amo questo.

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Cosa c’è nella camera di Vincenzo Parisi

Il compositore di stanza a Milano, Vincenzo Parisi, firma il capriccio “Le désir du désir sans fin“, per l’inusuale organico, costituito da flauto, viola, arpa e orchestra Appuntamento domani 14 febbraio, alle 20.30, nell’ambito della Stagione dell’Orchestra UNIMI, presso l’Aula Magna dell’Università degli Studi di Milano. Per l’occasione il Trio Ravel e l’Orchestra UNIMI, diretti dal M° Sebastiano Rolli, eseguiranno in prima assoluta “Le désir du désir sans fin” del compositore Vincenzo Parisi, vincitore nella categoria Composizione del Premio del Conservatorio 2021, su commissione dell’Orchestra UNIMI stessa.

Noi, per l’occasione, siamo stati a casa sua, ed ecco cosa ci ha mostrato.

1. Ariel la sirenetta

Trovata in una notte di un po’ di anni fa su una enjoy in cui ero salito insieme al grande amico Gianluca De Rubertis (Il Genio) per tornare verso casa.

Mi ricorda quella notte in giro per i navigli. 

Mi ricorda il legame con un incredibile musicista della scena pop rock italiana, uno che ti sa spiegare tutte le sequenze armoniche di grandi cantautori (ho riscoperto Baglioni grazie a Gianluca, perchè come te lo spiega lui è qualcosa di meraviglioso) e poi un attimo dopo si piazza al pianoforte e ti suona a orecchio parti del Requiem di Mozart. 

Mi ricorda i miei difficili anni a Milano e i primi coinquilini, più di dieci anni fa, in una orrenda casa buia a due passi da quella che era la Casa 139, e uno dei due che a un certo punto inizia a suonare per settimane al pianoforte una “Pop Porno” dal testo trasformato apposta per perculare divinamente l’altro coinquilino, papaboy convinto, leghista più che convinto, abbonato a una rivista chiamata Quaresima Missionaria senza aver mai letto neanche mezza riga della Bibbia e che tutte le sere ci costringeva a vedere quel concentrato di spazzatura che è ancora Striscia la Notizia: davvero da ridere. 

2. La locandina del concerto di presentazione del disco dei Kafka On The Shore

17 gennaio 2013. Milano. Al Biko. Posto del cuore. Pubblico del cuore: 230 persone. L’amico Elias vestito da pirata che vende dischi laggiù in fondo. Sono passati dieci anni da allora. E una storia bellissima. Dopo quella data, 110 concerti nel giro dell’anno e mezzo successivo in tutta Europa. Secondi in classifica per KeepOn Live dietro solo ai Fast Animals And Slow Kids. E tante tante cose da raccontare. E’ una storia lasciata in sospeso, al momento sono l’unico rimasto a fare musica, chissà un giorno.

3. Un led a forma di fulmine

Nel 2015 l’ultimo concerto dei Kafka. Un sogno che si spegne, con grande amarezza, una famiglia spezzata nel momento più bello, quando la cavalcata verso qualcosa di più grande sembrava davvero essere lì a pochi passi.

Chi mi conosce sa quanti anni ho impiegato a riprendermi da una botta tanto forte, non solo a livello economico e lavorativo ma anche e soprattutto a livello emotivo. L’unico con cui ancora i contatti sono rimasti stretti è Daniel, il batterista, quasi un fratello, che adesso vive a Berlino.

Sette lunghi e difficili anni son passati prima di una vera concreta svolta, nel mezzo un vagabondaggio fatto di tante porte in faccia e nottate di insonnia, quasi tutti che ti dicono “Ma perché insisti a fare musica?”, la mezza idea di tirare fuori dal cassetto la laurea in economia e “mettere la testa a posto”.  

E’ il 2021 l’anno in cui vinco due importantissimi premi di composizione che mai mi sarei aspettato di ricevere, neanche nel più luminoso dei miei sogni: il 1° Premio di Composizione del Conservatorio di Milano e il 1° Premio al Concorso Internazionale “Jorge Peixinho” di Lisbona. Entrambi vinti grazie ad un unico pezzo per ensemble che mi ha effettivamente cambiato la vita: “Fulmine randagio”, per flauto/clarinetto basso/violino/violoncello/pianoforte. Un incubo musicale che mi ha attraversato la mente per un anno e mezzo, l’anno e mezzo credo più difficile di tutta la mia vita. Quando ho trovato in un negozietto questo fulmine a led che si illumina, non ho potuto che prenderlo e appenderlo tutto contento nel mio studiolo. 

Commento di mia madre un giorno che è venuta a trovarmi a Milano e l’ha visto: <<Carino quel cono gelato che si illumina!>> … … …

4. Un libro importante 

“Il punto G dell’uomo” di Franco La Cecla (Milieu Edizioni, 2021 Milano) è uno dei libri che mi hanno accompagnato negli ultimi mesi di scrittura del mio ultimo lavoro orchestrale, Le désir du désir sans fin, brano commissionatomi dall’Orchestra UNIMI per flauto/viola/arpa e orchestra e dedicato al Trio Ravel.

Il desiderio è uno degli argomenti più interessanti e sfuggenti che la filosofia e la psicanalisi hanno indagato e ancora indagano. Potrei dirvi di leggere Foucalt, Lacan, adrienne maree brown e il suo “Pleasure Activism”. Ma vi consiglio questo testo, di uno degli antropologi viventi più importanti che abbiamo in Italia, scritto con leggerezza e che va a toccare un tasto molto delicato della questione erotica spesso relegato in un angolino: il desiderio maschile, considerato oggi soltanto osceno, amorale e schifoso, in contrasto col desiderio femminile “sempre giusto, corretto, sacralizzato in ogni sua manifestazione”. 

5. Le mie scarpe nere eleganti

Pochi giorni fa un calzolaio mi ha detto di queste scarpe una incontrovertibile amara verità: <<Mio caro, queste sono da mandare in pensione. Non basta una semplice riparazione degli speroni [ma voi sapevate che si chiamano così??????], qui ci vuole un’opera di restauro come si fa coi quadri antichi. In pratica te le dovrei rifare da zero dopo aver scassato tutto.>> 

10 anni di onorata carriera per queste scarpe che mi hanno accompagnato in alcuni dei momenti più belli di sempre: al Carroponte in concerto coi Kafka, all’International di Parigi, al Blue Dahlia a Reggio Calabria, poi in Sala Verdi in Conservatorio a Milano all’esecuzione del mio primo pezzo per orchestra diretto dal grande Yoichi Sugiyama, quando si sposò il mio migliore amico, e in concerto al pianoforte al tramonto tra le sculture che paiono dei gargoyle a Bath e tra mille zanzare sull’acqua all’idroscalo di Milano.

Così ho deciso: mercoledì le mando in pensione, ma la sera prima lascio loro l’ultimo assaggio di un concerto per me importante, sperando non si rompano proprio mentre salgo sul palco dell’Aula Magna dell’Università degli Studi di Milano nel caso dovessi agilmente scappare dall’eventuale lancio di frutta e verdura marci sul palco!!!

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Le cinque cose preferite dei Middle Disaster

“It’s ok”, il primo album dei Middle Disaster, è disponibile su tutte le piattaforme digitali dal 27 gennaio. Un disco che raccoglie i brani pubblicati finora e tre nuovi inediti, tra cui “Complesso ideale” che è accompagnato da un videoclip.

“It’s ok” è il bigliettino da visita dei Middle Disaster. Senza tanti fronzoli ogni brano parla di loro e della loro visione della vita. Un disco punk rock immediato su cui è impossibile rimanere immobili.

I Middle Disaster a un’ottima base punk rock hanno mescolato influenze di generi diversi. Ci ritroviamo pezzi più classicamente punk come “It’s ok”, title track, e “Complesso ideale”,per passare a pezzi più rock come “White Fury” sensuale e maliziosa. Un disco variegato che non stanca mai, da ascoltare tutto d’un fiato ma soprattutto perfetto per pogare!

Noi, per conoscerli meglio, abbiamo chiesto loro le cinque cose preferite.

1) i concerti

La musica live é un flusso di emozioni che scorre da chi suona a chi la sente. Noi mettiamo le nostre emozioni nei pezzi che suoniamo ed é bello e soddisfacente quando il pubblico si emoziona con noi e alla stessa maniera é emozionante sentir suonare un gruppo che ha qualcosa da trasmettere. Il coinvolgimento e l’unione che si crea tra il pubblico e la band é una cosa unica e irripetibile.

2) conoscere nuove persone

Creare nuovi legami e scoprire nuove amicizie porta sempre ad una crescita. Ci dà modo di scoprirci e arricchisce la nostra vita con nuove esperienze.

3) lo sport

Non c’è mente sana senza un corpo in armonia con se stesso. Lo sport ci aiuta a sfogare lo stress e ci dà una carica in più per affrontare la giornata. É un momento di intimità con se stessi che non deve mai mancare.

4) la birra

Oltre lo sport, c’è anche bisogno di un po’ di svago e la birra non é solo divertimento fine a se stesso ma é un nodo comune, un momento di convivialità e di apertura. Scioglie le piccole insicurezze e ci dà la carica sul palco.

5) viaggiare

La scoperta, la sorpresa e la curiosità ci traina. Tutto ciò che é nuovo é un qualcosa che ci fa indagare sul mondo e su noi stessi. Se si viaggia da soli, si ha modo di conoscere molti posti nuovi e si é spinti a cercare nuove amicizie, se si viaggia in compagnia, si ha modo di condividere delle esperienze irripetibili in luoghi mai esplorati prima. Speriamo di fare tour su tour in giro su questo bel mondo.

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Musica per risorgere: alla scoperta dell’esordio di Lazzaro

Lazzaro è uno che, ormai, dovresti conoscere bene – almeno, se siete rimasti collegati, negli ultimi mesi, con la musica che vale: sì, perché nel giro di poche settimane il talento toscano è riuscito a farsi strada nel mondo arzigogolato e confusionario della discografia nazionale con un disco dalle sfumature complesse, sospese tra il post-rock e un’idea di elettronica che cerca costantemente la propria identità autorale.

La scrittura è quella dei cantautori, ma l’approccio alla produzione è quasi maniacalmente devoto ad un’idea di linguaggio che si avvicina alla performance, all’art-rock: una discesa negli Inferi (andata e ritorno, ascoltate il disco e capirete) che ammicca al glam senza contemporaneamente perdere d’essenza.

Insomma, un lavoro che meritava certamente un doppio (triplo!) ascolto e una chiacchierata a tu per tu con Lazzaro, per parlare di lui, del suo omonimo disco d’esordio e del futuro possibile di una Canzone sempre più in carenza di risorse e nuovi stimoli.

Benvenuto su Perindiepoi, Lazzaro. Abbiamo seguito il percorso dei tuoi singoli e ci aspettavamo un ottimo disco di debutto: siamo ancora più felici, quindi, di poterti fare oggi qualche domanda su “Lazzaro”. Per prima cosa, come stai e come stai vivendo questo momento? 

Ciao e grazie per l’invito! Avevo già sperimentato che sensazione si provasse con l’uscita dei primi due singoli, ma con il disco è tutto un altro discorso. Si parla di un primo disco, che ha occupato gli ultimi due anni ed è costato tanto lavoro: è un bel sospiro di sollievo vederlo finalmente fuori.

Non è stato un percorso semplice, immaginiamo dalla portata dei brani e dal lavoro che c’è stato dietro, quello che ha portato alla pubblicazione del disco. Si parla sempre dei momenti belli, ma anche i momenti brutti diventano essenziali nella crescita dell’artista: quali sono gli ostacoli che pensi essere stati più gravosi, nel tuo percorso da indipendente?

La musica indipendente è viva e ha voglia di fare, ma come ogni realtà indipendente ha i suoi limiti. Io mi sento abbastanza fortunato perché, pur non avendo un background da musicista, ho trovato subito piccole realtà di zona che mi hanno aiutato molto fin da subito. Ovviamente il problema principale è il vil danaro, che può essere usato in cambio di beni e servizi (migliori).

La collaborazione con Nicola Baronti è certamente risultata centrale nella resa di un disco dal forte piglio elettronico. Come vi siete conosciuti, come è nato il rapporto fra voi?

Ci siamo conosciuti in studio mentre stava lavorando al disco di Elemento Umano, Via Casabella 11. Era la prima volta che entravo in uno studio professionale: tutto fighissimo. Poi a cena parlammo del mio disco e fissammo una giornata di ascolti per conoscersi. Da lì iniziammo a lavorare alle pre-produzioni che avevo fatto in soffitta, fissando prima i punti chiave dei brani per poi passare all’arrangiamento, le incisioni e infine la produzione. Questi due anni sono stati anche una scuola per me, ho imparato parecchio guardandolo lavorare. Insomma, una bella storia.

Nove tracce che appaiono come fiori che si appoggiano sulla superficie di una pozzanghera, contaminando la propria purezza con una certa dose di “noise” esistenziale: c’è una visione esistenziale in “Lazzaro” che è impossibile non notare. Ma insomma, una “resurrezione”, dalla distopia del “vivere quotidiano”, esiste? C’è una via di fuga? Nel disco parli spesso di “prospettive”.

Io non credo nelle storie eccezionali, sebbene porti il nome di una di queste. Con questo disco ho cercato di evitarlo a mio modo, attraverso un mio immaginario, ma è anche vero che i brani sono nati e stati scritti nel quotidiano: a lavoro, in macchina, a letto. È un cane che si morde la coda. Visto che evidentemente non si può sfuggire al quotidiano, l’unico trucco che abbiamo è lavorare di prospettiva.

In mezzo a tante cose che finiscono, qualcuna sembra resistere. È solo moda, ciò che resta, o c’è di più? Che spazio trova l’amore, in “Lazzaro”? 

Lazzaro ama amare e negli ultimi anni ha imparato anche ad amarsi di più. Nel disco in realtà, per quanto intriso di malessere, c’è spazio anche per l’amore. “Pulviscolo” è la classica storia che finisce (la canzone dell’amore felice l’ho scritta in seguito), ma c’è amore anche in “Bellissima”, amore materno. Non per ultimo Lazzaro ama la vita, e questo si dovrebbe intuire un po’ in tutti i brani, in alcuni meglio che in altri, ma soprattutto dal nome, che vorrebbe essere già una dichiarazione d’intenti.

Ci sono dei brani nel disco che sembrano davvero cinematici, quasi avvolti in una nebbia che non li abbandona mai, quasi in uno scenario post-apocalittico. Che cos’è questa “fumo” un po’ distorto, un po’ abbacinante che lega tutte le tracce di “Lazzaro”?

È uno dei punti in comune che ho trovato con Nicola Baronti, ossia la passione per il cinema. Io stesso quando scrivo cerco di tirare fuori quante più immagini utili a quello che è il tema del brano, a volte sono le immagini stesse a suggerire il tema. L’esempio lampante è “Stupida”, dove sono partito con una piccola pre-produzione appena abbozzata di loop di chitarra in reverse molto arabeggiante, che già evocava un preciso scenario. Infatti la coda finale del brano è proprio un piano-sequenza dall’alto su una rivolta che si consuma.

E ora? Che succederà al progetto Lazzaro, quali sono i prossimi step del percorso?

Adesso cercherò di portare live il più possibile questo disco, vi anticipo la data del 4 Marzo all’Ottobit, dove festeggeremo per la prima volta l’uscita dell’album. C’è già un piccolo calendario di live che non vedo l’ora di annunciare.

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Un viaggio nel tempo con una Delorean chiamata “Wendy Night”, ecco com’è andata a Milano!

É stato strano? É stato strano. Ma strano bello? Strano bello. Perchè era da veramente tantissimo che non ritrovavo così tante persone, concentrate in un posto solo, che riescono a sfoggiare senza vergogna questi pantaloni stretti, queste vans a scacchi, capelli freschi di tinta di colori assurdi, non vedevo certi personaggi (incredibilmente sopravvissuti) dal 2008, ed è stato strano ritrovarsi, vecchi, e sempre emo. La Wendy Night ha avuto su di me quell’effetto amarcord, quel ritrovare quelle situazioni, vibes e persone che mi riempivano e mi salvavano quando ero un adolescente.

É un giovedì sera, e c’è la Wendy Night al Gate, in questa serata a Milano dove fa freddissimo. e già una vociare all’ingresso attira l’attenzione. L’idea è quella di portare per la prima volta dal vivo (con band) artisti appartenenti alla scena emo-punk romana, che finora hanno sempre e solo collaborato attraverso produzioni e featuring, con l’intento di proporre uno spettacolo unico! Il tutto era già avvenuto a Roma, al Monk, e da lì, la Wendy Night è diventata itinerante con l’obbiettivo di toccare le maggiori città italiane e inserire in line-up nuovi progetti di questo panorama musicale. 

Batteria e chitarra sono coperti dai membri della band Il Corpo Docenti (Luca Sernesi e Lorenzo Manenti), e sul palco si sussegguono xDiemondx, Suicide Gvng, Ego, Decrow, IN6N, Giuze, ANSIAH e Spidy & Biso. Un concentrato adrenalinico dove è successo di tutto: un ragazzo con le stampelle è salito sul palco, il sudore addosso, il pogo che ci era così mancato durante gli anni del Covid. Quegli anni così brevi che ci hanno fatto così male, perchè ci hanno fatto invecchiare e ritrarre nella nostra comfort zone. Roma da urlare anche qui, a Milano, dove senza tregua, Decrow ci invita a fare un casino pazzesco, precedendo una cover fantascientifica di “Sere Nere” di Tiziano Ferro.

La sottocultura emo non sta tornando di moda, forse è stata dormiente nella testa di tutti noi, che non abbiamo mai dimenticato cosa significasse stare nelle piazzette, parlarsi per ore su internet, innamorarsi di quella ragazza con le gambe nude e i calzini a strisce, anche in pieno inverno. Siamo tutti Mercoledì della serie di Netflix, anche se abbiamo passato i trenta, e non potrei essere più contento di tutti quei ragazzetti che ho visto giovedì, che forse pensano che sono ancora un figo a vestirmi così. Mi domando come si siano avvicinati a queste sonorità e colori, come è successo che dei ragazzi come Spidy & Biso, classe 2004 o di lì, si vestano come avrei voluto vestirmi io 15 anni fa. E questo vortice di domande e passione, rende tutto bellissimo.

Due ore serrate, a cui segue anche il DJ set emo-punk di Emo Sucks e Yuks. Ed è un giovedì sera di gennaio che sa di estate, di fine degli esami e di spensieratezza, quella che non ti costringe alla sveglia delle 7, domani mattina.

J.

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Torna Kublai (e ci siamo pentiti di non aver ascoltato meglio il suo debutto del 2020)

Il 2020 è stato un anno bulimico di uscite, tutte quelle che non avevamo voglia di ascoltare (per ovvi motivi) e che ci siamo ritrovati a collezionare nelle mail, a spalmare sul calendario come degli ossessi, senza forse la forza di ammettere che non eravamo pronti a quella tonnellata di musica nuova, e che forse avevamo ancora voglia di rifugiarci nei dischi e nei telefilm che già conoscevamo a memoria. Tutto ricominciava, a partire dai concerti che a singhiozzi, tra chiusure ed aperture, riprendevano, ma nessuno riusciva ad inseguire quell’ossessa e insistente coda di uscite. E sul finire di quest’anno assurdo, il lontanissimo 2020, usciva Kublai, il disco di debutto del progetto solista di Teo Manzo.

Lui, tra le menti che hanno portato avanti anche De Andrè 2.0, progetto amarcord che ha visto, tra le altre cose anche un sold out all’Alcatraz di Milano, si è rifugiato qui, in questo disco che parla di terre lontane (il vastissimo impero di Kublai Khan) ma anche delle più conosciute strade padane, di due amici che si separano, come Kublai Khan e Marco Polo, anche in un presente che ci può sembrare più banale. Di brani concatenati, che ad ascoltarli di seguito non si capisce l’inizio di uno e la fine dell’altro, di immagini che vanno a pescare nell’immaginario di Italo Calvino (e delle sue Città Invisibili) ma che in realtà parlano di una perdita molto più personale e meno onirica. Conversazioni perdute, e sepolte sotto gli effetti elettronici, e avvinghiate alla musica. Parole, melodia, e musica che sono meravigliosamente tutt’uno.

Il nostro consiglio è quello di iniziare la settimana con il suo nuovo singolo, Una notte più lunga, pubblicato proprio oggi, primo spiraglio di un nuovo disco di prossima uscita: un’abisso che sarà positivo, così promette il cantautore e compositore. Da qui, immergetevi nella tristezza catartica del suo disco di debutto, l’omonimo Kublai.

Buon inizio settimana!

J.

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Cosa c’è nella camera di Alessandro Grazian

Venerdì 11 Novembre 2022 è uscito “Mondo Peplum, il nuovissimo album di Torso Virile Colossale, l’unico e originale progetto musicale alle prese con il mondo antico e con il Cinema Peplum. L’album esce a 5 anni di distanza dal disco d’esordio (Vol.1 – Che Gli Dei ti Proteggano) e fin dal titolo si riallaccia al Cinema Storico/Mitologico italiano con l’intento di evocarne l’immaginario e rendere omaggio alla sua forza visionaria ed ispiratrice. Come per il primo disco tutti i brani sono composizioni originali in bilico tra la musica classica, la colonna sonora e il rock più muscolare e ancora una volta tutte le composizioni sono di Alessandro Grazian che di Torso Virile Colossale è ideatore e fondatore.

Noi non abbiamo resistito, siamo stati a casa di Alessandro, ed ecco cosa ci ha mostrato.

1) La Cartina dell’Europa anni ’80

In casa tengo appesa ad una parete questa vecchia cartina dell’Europa, una di quelle che si appendevano nelle scuole negli anni 80. Io sono cresciuto con la Jugoslavia, la Cecoslovacchia, Berlino Est e Leningrado e forse questa cartina geografica mi piace tanto anche perché mi ricorda di quand’ero un bimbo. Ho un debole per la geografia e per la Storia Europea e durante la lavorazione dell’ultimo album di Torso Virile Colossale ho sempre avuto sotto gli occhi questa affascinante stampa. Quando stai cercando di mettere a fuoco un’idea, guardare l’Europa stampata in grande, frugare i nomi delle città, le strade, i colori di stati che non esistono più risulta un’esperienza particolarmente stimolante. Il mondo è in evoluzione. Sempre.

2) Il Portapenna-Cesaricidio

Regalo geniale di un’amica.
Un portapenne in cui le penne come pugnali trafiggono la schiena di Giulio Cesare.
Il cesaricidio che si fa oggetto di cancelleria insomma! Oltre ad essere bello esteticamente è anche molto pratico.

Diciamo pure che da quando l’ho ricevuto ha un posto d’onore sulla mia scrivania.

3) Il Mousepad ‘Vesuvius’

Un mousepad con riprodotto ‘Vesuvius’ di Andy Warhol, la splendida opera che l’artista realizzò negli anni ’80 quando frequentava Napoli e Lucio Amelio. Non riesco a ricordare se l’ho comprata ad una mostra di Warhol o a Napoli, comunque è un oggetto che tengo con me da almeno 15 anni ma non credo di averlo mai usato come mousepad. Se ne sta lì, appoggiato sulla libreria come un piccolo quadro ed è perfetto così

4) Cartolina della Madonna Del Parto

La Madonna del Parto di Piero della Francesca è un’opera a cui sono letteralmente devoto. Dirò di più: anni fa visitandola a Monterchi ho provato sulla mia pelle cosa sia la La sindrome di Stendhal. La Madonna del Parto è un’opera incredibile e per me è come un talismano portafortuna: Ogni volta che lavoro a un nuovo album tengo a portata di mano una sua stampa. Ne ho varie riproduzioni: Poster, Cartoline e magneti. Ogni tanto la regalo a chi mi sta a cuore. Ora che ci penso devo tornare al più presto a Monterchi a rivederla.

5) Il Magnete del Tilacino

Altro bellissimo regalo è questo magnete che riproduce un Tilacino, il mitico
marsupiale carnivoro vissuto in Oceania e portato all’estinzione nel 1936 dai coloni europei (Maledetti!). Il tilacino è il mio animale preferito e l’ho anche cantato nel mio secondo album di canzoni intitolato ‘Indossai’. Questo bel magnete me lo regalò Nicola Manzan (Bologna Violenta) dopo un suo viaggio in Australia.

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Colombo riporta in vita Emily Dickson, ed è incredibilmente molto pop

Sembra incredibile ma abbiamo anche noi il nostro James Blake, si chiama Alberto, ma più semplicemente Colombo per Spotify, da Brescia ma itinerante per studiare musica tra Parma e Milano, classe 1994 e gioca con influenze di respiro internazionale per riportare in vita la poetessa Emily Dickinson che ben si intreccia con una voce eterea e giri di piano ipnotici. “Where children strove” non è il primo disco di Colombo, ma sicuramente il primo con feat. dall’aldilà: le parole di Emily Dickinson diventano tutt’uno con un universo malinconico a tinte pastello, che piacerebbe ai fan dei Coldplay.

É sempre soddisfacente e bellissimo quando si inizia l’anno con piccoli dischi del genere, quattro tracce in grado di svoltarti le giornate di pioggia, che sono l’equivalente di una passeggiata solitaria alla Pinacoteca di Brera (cosa che, se non avete mai fatto, vi consiglio assolutamente di provare), che affondano nei pensieri e che è impossibile lasciare andare. Io che ho lasciato che il disco riempisse casa, e si infiltrasse attraverso le tapparelle e i fasci di luce del pomeriggio, con un caffè e le ultime mail di lavoro da leggere, mi sono ritrovato ad ascoltarlo tre volte di seguito: le parole sono immortali, tristi e, oserei dire, universali, e Colombo le fa proprie in una maniera moderna e a tratti anche ironica.

Musicalmente ogni traccia è liberamente ispirata alle melodie di Dvořák (Sinfonia “Dal nuovo mondo”), Chopin (Notturno op.9 n.2), Tchaikovsky (Concerto per pianoforte e orchestra) e Ravel (Concerto in sol). Lui parla di pop neoclassico, e forse, immaginandoci le statue di Canova e culi sodi in marmo, non potremmo che dargli ragione, con la triste consapevolezza che, forse, per fare qualcosa di davvero originale non bisogna che andare a pescare ciò che ci siamo persi nel passato. Nella musica come nella vita, chissà… Quello che so è che raramente un disco mi ha fatto amare l’arte così tanto, a trecentosessanta gradi, con la voglia di scoprire di più, leggere di più, e sicuramente ascoltare di più anche Colombo. Non perdetevelo.

J.

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“Mondo Peplum” di Torso Virile Colossale, e il rock muscolare epico del futuro

Vorrei davvero, ma davvero tanto, che qualcuno proponga una serata in un cinema, di quelli vecchi e un po’ polverosi in via d’estinzione, dove venga proiettato un Ben Hur con musica dal vivo, rigorosamente necessaria la presenza delle chitarre elettriche. Non che sia una cosa nuova, quella di chiedere a band e artisti della scena alternative di musicare dei film: ricordo con particolare piacere un episodio in cui i Marlene Kuntz suonarono sulle immagini di Signorina Else, degli anni Trenta. Un contrasto che ancora adesso mi mette i brividi. E di questo stesso contrasto vive il mio ascolto di Torso Virile Colossale, il personalissimo e folle progetto del cantautore e compositore Alessandro Grazian, la cui passione per il cinema peplum, genere che consideriamo, tristemente, di serie B, lo ha portato a mettere in piedi uno dei mondi musicali più interessanti della scena alternativa di questi giorni. Giorni dove sembra imperante la presenza sui social, degli algoritmi, delle tendenze, a contendersi quei pochi spazi dalla vita breve.

Ed è qui, che come una sirena, la voce di Rachele Bastreghi in “Estasi a Tor Caldara” ci conduce ipnotica in questo mondo di colonne sonore fantascientifiche. E questa chitarra di “Chi guida l’orgia?” non mi fanno che desiderare ancora più ardentemente di vedere una battaglia epica, tra uomini e scheletri magari, come quella de Gli Argonauti, in compagnia di Alessandro Grazian e di questi suoi sinuosi subbugli.

Mondo Peplum, il nuovo disco e secondo capitolo di Torso Virile Colossale, è, come per il primo disco, in bilico tra musica classica,  la colonna sonora e il rock più muscolare, la cui forza nel farsi apprezzare anche dai miei genitori, che tagliano Torino in macchina a suon de “Il Trionfo”, fregandosene altamente di ciò che è indie e cosa no.

Torso Virile Colossale è solo una finestra su un mondo ampissimo, e fa venir voglia di scoprire, ascoltare e vedere cose nuove. E non credo ci siano molti altri dischi che possono avere questo potere. Ascoltate Mondo Peplum.

M