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Cosa c’è nella camera di Milo Scaglioni

Esce venerdì 9 dicembre 2022 per Another Music Recordings “Locked in a circle“, il nuovo singolo del songwriter Milo Scaglioni: un nuovo capitolo che ci accompagnerà alla pubblicazione del suo secondo album in uscita questa primavera, a sei anni di distanza dal precedente disco di debutto “Simple Present“.

Locked in a circle” è un brano che, pur mantenendo l’inevitabile matrice britannica che già conoscevamo, in parte abbandona l’oscurità e la nostalgia psichedelica in cui ci aveva fatto condotto Milo Scaglioni, concedendoci qui un nuovo loop musicale che esplora sentimenti quali lo smarrimento di fronte all’amore, e la paura di perderlo, e descrive la gabbia quotidiana in cui ci rinchiudiamo, lasciandoci con un messaggio tuttavia positivo: “out of the circle/ made your escape/make it better every day”. Questo brano è la prefazione del nuovo (secondo) romanzo di formazione musicale firmato dal menestrello che ama la psichedelia (come lo ha definito XL Repubblica nel 2017): “Port Nuveau, questo il titolo del nuovo album in uscita all’inizio della primavera del 2023 per l’etichetta parigina Another Music Recordings

Mentre Simple Present si ispira alla psichedelia dei tardi anni 60 e al cantautorato di autori come Elliott Smith e Nick Drake, la sua seconda raccolta di canzoni in inglese,Port Nuveau, spazia in una direzione più ecclettica, abbracciando mondi sonori che partono dall’intimismo di una canzone come “Sketches in the sand” e arrivano all’urlo di un pezzo come electric shush, passando attraverso brani dalla psichedelia alla velvet undrerground, per poi virare verso un Richard Ashcroft del primo periodo solista e ripartendo per un viaggio in treno dalla Francia all’Olanda, nella storia di un amore da nouvelle vague raccontata in from “Paris to Amsterdam“. 

Noi non abbiamo resistito, e gli abbiamo chiesto di fare un giro a casa sua. Abbiamo capito un paio di cose sul suo passato da vegano, dei suoi gusti letterari e molto altro.

Il primo oggetto forse ha scarso potere evocativo, ma è diventato fondamentale quando un anno fa ho provato, con successo discreto ma non impeccabile,  ad adottare una dieta consapevole e vegana. Si tratta di un comunissimo sminuzzatore elettrico, ma mi ha reso la vita molto più facile e saporita. Cucinare è per me un piacere (senza esagerate ambizioni), ma è anche una necessità se uno non vuol vivere di sola insalata. Attraverso questo signore sono passate centinaia di cipolle, carote, avocadi, legumi vari e verdure a foglia larga sbollentate. E’ velocissimo, non fa domande e non si stanca mai di lavorare.

Il secondo oggetto è questa piccola casetta di legno in stile boscaiolo canadese. Mi è stata regalata da un’amica per il mio compleanno e mi piace molto immaginare che dentro ci vivano Babbo Natale, Rudolph e qualche elfetta avvenente e lasciva.  Mi immagino Rudolph con il suo naso rosso, seduto su una poltrona a dondolo con la coperta sulle gambe, di fronte al fuoco intento a leggere i fratelli Karamazov mentre Babbo Natale si da alla pazza gioia con le sue amiche Elfe nella camera accanto. In realtà si tratta si un bruciatore d’incenso.

Anche il terzo oggetto è un regalo fattomi per il mio compleanno. E’ un piccolo pulmino della Volkswagen  in miniatura. Niente di speciale se non che è la replica esatta del pulmino che mi portava, insieme ai miei compagni di squadra, a giocare a calcio in freddissimi pomeriggi d’inverno prima che abbandonassi per sempre il calcio (ero giovanissimo e ci tengo a precisare che il mondo non perse alcun fenomeno). Mi ricordo che il nostro autista aveva spesso addosso il discreto profumo della grappa e che una volta andammo dritti, a tutta velocità, attraverso uno stop, senza sapere se arrivavano macchine. Su questo furgone ho imparato a vivere pericolosamente.

Il quarto oggetto è questo quadro. Si tratta del ritratto di un cane ed è stato appeso al muro della mia cameretta di bambino e adolescente da quando sono nato. Ho deciso di portarlo a casa mia perché gli sono affezionato. E’ uno dei cani più tristi che ho mai visto e mi chiedo se trovarmelo di fronte ogni giorno al risveglio non abbia avuto un effetto sulla mia psiche di bambino e adolescente. La verità è che ogni volta che lo vedo avrei voglia di abbracciarlo e di dirgli che va tutto bene, che la vita è molte cose e che le avversità che incontriamo spesso ci guidano in posti dove non saremmo mai arrivati in una tiepida e solare mattina di maggio.

Dulcis in fundo, il mio primo basso. Il mio primo strumento. Il mio primo amore. E’ un ibanez roadster (non roadstAr) del 1980. Apparteneva al salumiere da cui si serviva la mia famiglia che lo vendette a mio fratello più grande. Nel giro di non troppo tempo finì per essere dimenticato in un armadio. Quando a 15 anni iniziai a suonare lo feci grazie a questo strumento, che all’inizio rubavo di nascosto e che poi mio fratello mi prestò per tre anni, fino a quando me lo regalò per il mio diciottesimo compleanno (grande regalo). Quando a 19 anni mi trasferii in Inghilterra il basso venne con me. A un certo punto lo prestai ad un amico, che finì col tenerlo in casa per 10 anni.

 Subito prima della pandemia andai a londra a fare festa e rimasi a dormire da questo amico. Tornati a casa dopo una notte di bagordi, lo rividi con la coda dell’occhio in un angolo del salotto e non ci potevo credere. Dimenticato due volte è oggi il mio strumento preferito. Quando si dice essere perseveranti.

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La Festa di Dischi Sotterranei è (e sarà per sempre) l’appuntamento musicale dell’anno

Di nuovo quel momento dell’anno, di quella cosa che è solo al secondo album ma sta diventando un appuntamento fisso: quel momento dell’anno dove mollo qualsiasi cosa per farmi tre giorni sul divano di un mio amico che è felicissimo di avermi a casa sua, anche se a mala pena gli rivolgo parola e abbiamo orari completamente invertiti. Siamo a Padova, ovviamente, e fa un freddo incredibile. L’anno scorso, questo stesso weekend mi aveva fatto realizzare che, in fondo, ero una persona felice e, anche se entravo violentemente nella vita adulta, potevo continuare a fare il coglione chiedendo a degli sconosciuti di sollevarmi durante un assolo dei Giallorenzo che accompagnavano un generico e allora sconosciuto Visconti. Oggi guardo le mie classifiche di Spotify e Visconti è tra gli artisti che ho ascoltato di più quest’anno.

Ho di nuovo quel cappotto di merda, che realizzo di non aver neanche lavato dall’altra volta, faccio schifo, ma non quanto i bagni del CSO Pedro che già risuonano i primi gruppi. Mi tolgono Pietro Berselli a causa del Covid, e piango interamente come un coglione, perchè in realtà, da trentenne che si rispetti, era tra i nomi che più mi era rimasto dentro dall’anno scorso. Merli Armisa è una piacevole sorpresa, i Vanarin sono il mio primo viaggio in Inghilterra che per ovvie ragioni mi ricordo pochissimo, Visconti, la mia storia platonica e omosessuale più riuscita, Post Nebbia, classiconi incredibili anche se avranno tipo vent’anni e mi fanno sentire un cretino, TA GA DA e le prime gomitate, e poi un infinito DJ set che mi accompagna al bar.

Cose che cambiano alla festa di Dischi Sotterranei rispetto a qualsiasi altro evento: oltre ai bagni più sporchi, persone vere, musica vera, pochissimi cellulari alzati, i biscotti con la droga al merch, gli artisti che vanno a vedere i set degli altri artisti e pogano sulla musica degli altri artisti e sanno tutte le canzoni a memoria, meglio di me che sono uno schifoso fan che si è fatto tutto il viaggio in treno cantando è solo un giocooooo…

Vinnie Marakas
foto di Simone Pezzolati

Il Pedro è un concentrato di sbandati, di amici incondizionati. Ci parliamo, ci seguiamo su Instagram e poi non ci parleremo mai più, mangiamo la pizza migliore del mondo all’interno del centro sociale, siamo tristi alla fine del primo giorno. Mi sento una persona normale, un impiegato qualsiasi, alla fine di un giorno di ordinaria follia. Ho come la sensazione che quella di Dischi Sotterranei sarà la mia vacanza obbligata: il Primavera Sound in estate, due giorni chiuso al Pedro d’inverno.

Secondo giorno. Jesse The Faccio, immenso profeta vestito da cugino sfigato, Michele Novak alla chitarra sul palco con lui dopo l’assenza, sentitissima da molti che alzavano cori in suo favore, Roncea che non era molto a fuoco con il resto della festa, ma è stato così godibile che mi sono scolato due birre solo durante il suo set, Baobab! e il progetto più raffinato del roster, la follia di Vinnie Marakas, l’annuncio dei C+C=Maxigross nel roster e il set più bello del mondo, Dead Cells Corporation che mi sono sorpreso non venisse giù qualsiasi cosa, Ulisse Schiavo che è il nostro James Blake.

Ammetto che ci sono stati diversi cambi di line up e mi sono perso ad una certa, non riuscivo più a capire cosa sarebbe successo di lì a poco, ma ad una certa non me ne è più importato. É stato bello ritrovarmi i Planet Opal quando non li aspettavo, o forse avrei dovuto ma ero ubriaco, i Dead Cells Corporation quando invece mi aspettavo il pogo dell’anno scorso con gli Halley DNA e via così. Sono stato rapito, assorbito, confuso, metaforicamente picchiato. Ed è stato bellissimo, anche quest’anno.

Sarà così dura tornare indietro ora.

Planet Opal
foto di Simone Pezzolati
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La Music Week a Milano si è fermata al live dei Rumba De Bodas

É di nuovo la Music Week, quella settimana fredda in cui bisogna sgambettare da una parte all’altra di Milano per vedere quel professorone parlare di qualcosa, vedere quella band in acustico, e prendersi una birra con quel discografico del basso Lazio che è venuto apposta per questa settimana. Ciò che appare evidente è che in questa bulimia musicale, per quanto riguarda la parte live, sia spesso banale, tirata. Progetti assurdamente belli e complessi ridotti a un paio di brani con una chitarra acustica e un microfono gracchiante, live sold out con la gente tutta al bar, e una serie infinita di incongruenze del genere.

E poi è un giovedì sera, quel giovedì sera di quella maledetta settimana, e siamo al Nibada Theatre sui Navigli. Non ci entravamo da tempo, ed eccoci qui, con quei panini giganti e quel palco piccolissimo che sembra impossibile possa contenere tutti i Rumba De Bodas. Un progetto musicale imponente con una storia il cui inizio risale al 2008.

Il  loro nome deriva dall’unione di due espressioni bolognesi: “rumba”, ovvero far rumba, far casino, e  “bodas” che deriva dai matrimoni e, in questo caso,  diventa simbolo  del connubio tra i generi musicali con cui il gruppo sembra ancora oggi non riuscire a decidersi. Per  anni si esprimono prima per le strade cittadine, con un’attività di busking che li porta a girare e a ed esibirsi nelle piazze europee e italiane. Già nei primi anni della loro formazione iniziano a fare le  prime apparizioni in alcuni festival importanti del continente: il Boomtown Festival in Inghilterra, il  Fusion Festival in Germania e il Cous Cous Festival in Sicilia. 

E 13 anni dopo eccoli qui, con un magnetismo trascinante, un live vero in mezzo ad una settimana di piccole delusioni, un locale sudato e caldo dove rimbomba un sax seducente, e la voce inconfondibile di Monique. I Rumba De Bodas fermano il tempo, siamo in un qui e ora dove non ci sono storie da fare, non ci sono conversazioni e sessioni di networking da fare assolutamente in questa Music Week di nerd e primi della classe. Improvvisamente sembra tutto chiaro, la musica è questa cosa qui, e non quella che ci siamo trascinati dietro negli scorsi giorni.

CM

foto di Simone Pezzolati
foto di Simone Pezzolati

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Il mare d’inverno dei Basiliscus P

Stupisce sempre abbastanza pensare quanto in realtà la scena rock sia così consolidata e resistente (nel senso vero e proprio del participio, che resiste) in Italia. Nei giorni tristi e milanesi del mio monolocale mi convinco che tutto si riduca alla playlist Scuola Indie su Spotify, a quell’immenso piattume di canzoni che si imitano tra di loro, creando una scena immensa che vive solo di numeri e dinamiche interne alle piattaforme digitali, così poche poi esistono effettivamente dal vivo (alcuni nomi mi rimbalzano in testa, ma poi non li vedo nei localini, ai festival, alle aperture di qualcosa di più importante), solo un nome che ribalza tra gli artisti consigliati da Spotify, un multiverso che non ha mai un riscontro nella vita vera, quella di chi la musica la respira.

E di polvere, locali sudati e scontri, sembrano essersi nutriti molto i Basiliscus P, band messinese che da pochissima si è imposta con il nuovo album dal titolo “Spuma“: un meraviglioso intreccio di chitarre e sentimenti, richiami jazzistici e tormenti strumentali che sono stati registrati in presa diretta in un ex Forte di fine Ottocento. Un mondo a sè, fuori da ogni schema o regola che possa imporsi da quel multiverso rognoso delle piattaforme di streaming. Questo perchè Spuma è un viaggio che si ascolta dall’inizio alla fine, un tunnel psichedelico e oscuro da percorrere con coraggio.

Questo disco prende vita da lunghe sessioni di improvvisazione in sala che poi sono state sviscerate e riarrangiate sotto la guida di Marco Fasolo, leader dei Jennifer Gentle e produttore tra gli altri di I Hate My Village e Bud Spencer Blues Explosion. “Spuma” è stato concepito durante il lockdown. Più che dalla spuma, o schiuma del mare, il nome deriva dalla bibita, vera e propria passione dei tre, che è molto graffiante come gusto ma allo stesso tempo dolce, ed è un po’ quel che può ricordare il suono dei Basiliscus P.

GR

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“Whatsapp” è il nuovo singolo di Pier

Esce venerdì 18 novembre 2022 “Whatsapp“, il secondo singolo di PIER che segue il debutto con “Ciabatte“. Un nuovo capitolo per il cantautore, produttore e polistrumentista che ci racconta le troppe ore passate davanti ad uno schermo, il senso di malessere di chi vive poco a contatto con la natura, la paura di guardare un futuro troppo incerto. Un brano dedicato a tutti gli amanti notturni, che vivono aspettando i messaggi. 

Sullo sfondo di un amore a distanza fra Pescara e Torino, la canzone è ambientata in quei pomeriggi in cui si vorrebbe soltanto fuggire dalle proprie responsabilità e andare in letargo, nei giorni di pioggia in cui non ci si vorrebbe alzare dal letto. Ma è la presa di consapevolezza che questo atteggiamento non porta a migliorare le cose. Le sonorità nostalgiche di questo brano si reggono principalmente sugli arpeggi di una chitarra elettrica dai toni puliti e dei suoni di batteria molto stretti e stereofonici, per poi sporcarsi sul ritornello con l’ingresso di un basso synth dal carattere atmosferico.
 

SCOPRI IL BRANO SU SPOTIFY: 



BIO:

PIER è un cantautore e produttore polistrumentista.

All’età di 5 anni i genitori tornando a casa lo trovano che aveva imparato da solo a suonare la melodia di The Lion Sleeps Tonight sulla tastiera dello zio, e così, scoprendone l’orecchio assoluto, decidono di affittare un pianoforte. Da lì la passione per la musica si estende alla chitarra e al basso e all’età di 12 anni acquista la sua prima scheda audio, col sogno di poter registrare i propri album suonando tutti gli strumenti. Da sempre eclettico e musicista multi-genere, è diplomato al Conservatorio col massimo dei voti e menzione speciale prima in Pianoforte Classico, poi in Composizione Pop. Successivamente vince una borsa di studio per il CET di Mogol, dove scrive le sue prime canzoni. Qui conosce gli artisti emergenti Moscardi, marasmo, foreman, Imperatore, Stanislao, e si cala per loro nei panni di arrangiatore/produttore utilizzando lo pseudonimo Labbè: così comincia ad avverarsi in piccola parte il sogno di produrre musica suonando tutti gli strumenti. Estende le collaborazioni ad altri cantautori emergenti e col tempo viene ingaggiato anche da artisti più noti come Arisa, per la quale orchestra e dirige gli archi nel brano L’Arca di Noè scritto da Giuseppe Anastasi; è arrangiatore d’orchestra per alcuni concerti di Morgan, Giuliano Sangiorgi, Serena Brancale, Karima ed altri, collaborando con la Medit Orchestra di Angelo Valori, che accompagna questi artisti. Svolge da sempre tante attività in ambito musicale, tra corsi, live, studio di registrazione.

Ma fra tutte queste cose, soltanto scrivere gli permette davvero di esprimersi a fondo tra amori cominciati e finiti, crisi di panico, dubbi esistenziali, sesso, introspezioni. L’esigenza di esternare totalmente le proprie emozioni da vita ad un progetto che porta un nuovo nome, PIER, il suo da sempre.

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Le 5 cose preferite di Edifici

La Route Rouge è il titolo del nuovo singolo di Edifici, progetto musicale composto da Nancy e Martina, polistrumentiste e compositrici. Un brano originale, dalla lingua prescelta (il francese) alle sonorità.

ERIC CLAPTON

La passione comune per questo artista è stata la scintilla che ha fatto nascere in noi la voglia di collaborare, infatti il nostro primo video caricato sui social è stato una cover del suo celebre brano “Layla”. Da quel momento il nostro lavoro insieme non si è più fermato; quindi grazie Eric, hai fatto nascere il nostro primo album “Edifici”.

NEW YORK

Oltre ad essere la copertina del nostro omonimo album “Edifici”, durante i nostri viaggi è stata fonte d’ispirazione e motivo di crescita musicale. 

L’energia che scorre sulle strade, tra le persone, negli edifici, ci ricorda che l’evoluzione corre veloce e ciò ti da la spinta per correre a tua volta. Noi abbiamo molta voglia di metterci in gioco e NY rappresenta la sfida perfetta: spaventosa ovvio, ma che ci fa sentire vive.

POLIRITMI

Nancy li studia da sempre, io invece (Martina) ne subisco il fascino da anni e cerco nuovi modi per inserirli nei miei fraseggi. Poter imporre alla musica di rallentare o accelerare a prescindere dalla sua velocità originale è davvero gratificante, ma d’altronde a chi non piacerebbe controllare il tempo?

LEGGENDA DEL PIANISTA SULL’OCEANO

“E quando erano bambini, tu potevi guardarli negli occhi, e se guardavi bene, già la vedevi, l’America, già lì pronta a scattare, a scivolare giù per nervi e sangue e che ne so io, fino al cervello e da lì alla lingua, fin dentro quel grido, AMERICA, c’era già, in quegli occhi, di bambino, tutta, l’America.”

Le ore a sognare sulle parole e le scene di questo film sono state tante e tutte le volte rilasciavano una spinta da dentro come se tutto fosse davvero possibile, che i sogni potessero veramente diventare la nostra realtà concreta per ispirare e fare sognare altre persone ancora. Vogliamo che la nostra vita sia una bell’avventura, perché come dice Danny Boodmann T.D Lemon Novecento “Non sei fregato veramente finché hai da parte una buona storia e qualcuno a cui raccontarla.”

LA COSTA AZZURRA

Ognuno di noi ha luoghi che ricorda con affetto e che si ritrova a dover abbandonare per lunghi periodi (a volte anche per sempre) a causa di questioni lavorative, familiari o sentimentali. La Costa Azzurra ha da sempre il profumo di casa, il legame che ci unisce a questa terra ha ispirato il nostro recente singolo “La Route Rouge”. 

Affascinato da queste coste anche Claude Monet ha reso omaggio a Mentone dipingendo il quadro “La route rouge près de Menton”, dal quale prende il titolo il nostro singolo.

Vi salutiamo citandone il finale:

“Le città che amiamo di più sono le prime che

abbiamo abbandonato,

ma loro non ci lasceranno mai, 

Mentone non mi lascerà mai”

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Le 5 cose preferite di Luca Mazzieri

Fuori dal 19 ottobre “Quasi mai”, il primo album di Luca Mazzieri. Sette canzoni che messe insieme suonano un po’ come un concept album. Si parla di periferia, musica e bar. Ogni pezzo sembra uno spaccato della vita dei ragazzi della provincia. “Quasi mai” è stato anticipato dai singoli “Spari” e “Lunapark” dove il sound pop faceva da padrone, ma all’interno del disco troviamo anche pezzi più vicini al rock come “Botta”. Non mancano neanche le ballad più avvolgenti e delicate come “Pane”. Insomma, “Quasi mai” è un disco completo in cui possiamo vedere i mille volti e talenti di Luca Mazzieri.

Sette canzoni d’amore per la provincia e sulla provincia. Storie da bar, da portare in giro e fare girare in auto a tutto volume. Un disco che rappresenta un ritorno al Pop Emiliano, diretto all’essenziale.

E non potevamo resistere, gli abbiamo chiesto quali fossero le sue cinque cose preferite!

CASA

Linda, i nostri cani Arthur e Tina, i gatti (stanziali e non), il bosco, i tramonti, la Vanga Del Diavolo, il nostro orto, il forno per fare la pizza, la hot tube e il giardino dove facciamo le feste con gli amici.

Questa è per me Casa.

LA BAND

Sono le persone che hanno registrato e suonano con me live. Amici vecchi e nuovi con cui sto bene e mi diverto. Rendono tutto speciale e mi fanno sentire giusto.

Il dopolavoro del pop and we win!

LIBRI SULLA MUSICA

Quando mi innamoro di un artista voglio sapere tutto. Perché la musica è solo una piccola parte del racconto. E a me i racconti piace leggerli tutti.

Abbiamo la casa piena!!!!

LE SAGRE E I BAR DI PROVINCIA

Le frequentavo da bambino e mi sono rimaste dentro. I nostri cibi più poveri, i vini da 4 soldi, gente che si diverte ancora con poco e tante facce da guardare e racconti da rubare.

LA CROAZIA

Da oltre 10 anni andiamo sempre nello stesso posto. Tutti gli anni. E’ una terra aspra e selvaggia che sa catturare la parte più ancestrale che è in me e mi purifica e riallinea.

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Le 5 cose preferite di Saimon Fedeli

Disponibile dal 12 ottobre su tutte le piattaforme digitali “Stanze vuote”, il secondo album di Saimon Fedeli. Il disco è stato anticipato dai singoli “Capita capita”, “Sola” e “Finisce così”. Fil rouge di tutto il lavoro è la solitudine e la verità, non a caso il primo brano si intitola “Verità”. Le Stanze Vuote di Saimon Fedeli, oggi al suo secondo album, ci raccontano di perdite e abbandoni. “Abbiamo avuto tutti quanti almeno una occasione”, ci svela il cantautore nella sua Verità. “E quasi sempre è stata una occasione non colta”.

Sono stanze dove ci scopriamo dolorosamente incapaci di amare ma così facilmente capaci di rinunciare. Quasi che in questo modo possiamo proteggerci dalla disillusione che certamente arriverà. “Ti ho ammirata tanto e condivisa poco. E solo nelle Favole si può pensare che sarebbe stato eterno a prescindere da te”.

Il disco rappresenta un po’ il percorso dell’artista attraverso una presa di coscienza di sé tra difetti ed errori. Saimon racconta sé, della difficoltà a buttarsi a pieno in una storia. Racconta delle persone attorno a sé che per orgoglio spesso rimangono sole. Racconta la solitudine, le disillusioni, ma alla fine si perdona.

Eppure. Eppure, si intravede una via. Forse non deve per forza essere sempre così. Forse si può scegliere diversamente. Visto da vicino nessuno è così strano, ma servono porte aperte e generosità. E Saimon sembra quasi perdonarsi, alla fine. In fondo capita. Capita che si finisce a terra. Capita che non si ha più un motivo. Ma poi ci si rialza. E forse proprio in quel momento ci si accorge che quelle stanze possono diventare, magia, Stanze Piene.

Non abbiamo saputo resistere e gli abbiamo chiesto quali fossero le sue 5 cose preferite.

Leggere il giornale. E’ un modo per dire che gli altri mi interessano.Aprire le porte e le finestre e guardare il mondo. Lasciarlo entrare. Conoscerlo. Proteggerlo o combatterlo. Come diceva Gaber, libertà è partecipazione.

Ascoltare musica. Non è scontato. Affatto. Molti musicisti non la ascoltano. Non perdono la testa per una settima diminuita assolutamente perfetta che pagheresti oro per avere saputo pensare anche tu. O per un testo così perfetto che letto e riletto, non riusciresti nemmeno sotto ricatto a cambiarne mezza parola.

Percepire l’orizzonte. Solo il mare (o le grandi altezze, ma io scelgo il mare) ci dà ancora la possibilità di percepire l’orizzonte del mondo, il confine, il bordo delle cose.  Lo sguardo ha bisogno di poter vedere la fine, il limitare, perché altrimenti la vita sarebbe troppo vasta e insensata. Lo sguardo si nutre della pace  che solo la prospettiva sa donare.

Inventare qualcosa. Mettere le mani, la testa, le idee in movimento. Creare un gioco per i miei figli, una melodia, una filastrocca. Generare una emozione, un oggetto, un disegno o un pensiero, un piccolo argine al non senso delle cose.

Stare in silenzio. Perché il rumore si è impadronito di tutto, delle strade, degli ambienti, delle menti e dei cuori. Un rumore esterno che inquina lo spazio urbano generando stress, tensione e nervosismo. L’individuo privato del silenzio e sottoposto a continui stimoli non è più padrone di sé stesso e della propria capacità di discriminare tra sentire e ascoltare.

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Cosa c’è nella sala prove dei Soloperisoci

Esce venerdì 7 ottobre 2022 su tutte le piattaforme digitali “Dipendente, il nuovo singolo della band romana Soloperisoci che segue i precedenti “Bristol” e “Ho paura“. Un brano dolce amaro che arriva alla fine dell’estate, un capitolo complesso e stratificato di influenze, dall’indie-rock di prima generazione al post punk, che vuole affrontare il tema delicato delle dipendenze, inevitabili. 

Noi ci siamo infiltrati nei loro spazi, ed ecco cosa ci hanno mostrato.

 

  1. Reggirullante

Iniziamo dalle basi. Questo attrezzo regge il rullante, e il rullante regge il tempo. Infatti, sottolineando le pulsazioni deboli (il 2 ed il 4 della battuta), il rullante trasmette la dinamicità che ci fa muovere il culo.

  1. Height Riser Powder Power

Non servono ulteriori descrizioni per la polvere volumizzante per capelli più irresistibile della scena Pop Wave italiana. Eventuali dubbi verranno spazzati via quando incontrerete Mettdevis ed Onofrio in serata.

  1. Chiavi della sala

Oggetto davvero indispensabile. Controllare SEMPRE di averlo con sé prima di uscire.

  1. Tambourine

Immancabile presenza in sala e sul palco, da quando è uscito il brano 2007. 

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Non ascolterai altro che i tre EP dei Baseball Gregg per tutto l’autunno

Non so perchè ormai tutta la musica italiana sia per me un grandissimo enigma. Non riesco ad affezionarmi a niente, non riesco a legarmi a niente. Una mia amica cantautrice, che ahimè, nonostante l’amicizia riesco ad ascoltare ben poco mi aveva fatto un discorso delirante sul fatto che troppo spesso “piega” i suoi pezzi a sonorità che le piacciono di meno, per fare in modo che possa rientrare più facilmente nei canoni delle playlist Spotify. E troppo facilmente mi viene da pensare a quando mi padre mi faceva ascoltare i Marlene Kuntz in macchina, era la metà degli anni Novanta. Che cosa penserebbe mio padre oggi delle playlist Spotify? Di questa mia amica che si attacca a regole cosmiche e incredibilmente distanti da me, per una manciata di gloria.

Ecco, i Baseball Gregg non sono così. I Baseball Gregg piacerebbero a mio padre, se solo avessi un modo di farglieli ascoltare che non includa niente di tecnologico. Sono degli alieni in questa scena musicale, che intrecciano folk e alternative rock, che piacerebbero a chi ascolta Stu Larsen tra le montagne, ma anche agli irriducibili del Covo che vogliono pogare e fumare fino a consumarsi tutti i polmoni. Io sono un indeciso e un introverso molto espansivo, e così spesso mi ritrovo a metà tra queste due cose. E vivo l’ultima domenica della mia estate immergendomi in Nevertheless, affondando nella mia vasca da bagno che avrò usato sì e no un paio di volte da quando abito in questo sgabuzzino milanese. In vasca da bagno si può leggere con una concentrazione incredibile tra l’altro, perchè non è saggio avvicinare il cellulare all’acqua.

I Baseball Gregg hanno pubblicato tre EP in attesa di un album in arrivo a fine mese, la raccolta finale, la fine dell’estate che per me è stata scandita da lettura, pizzichi di Joyce e da questi mini dischi che duravano giusto il tempo di raggiungere il lido ferrarese più vicino. Non so neanche bene come sia successo: ma forse mi sono innamorato di un disco italiano (quasi comunque, in realtà italo-californiano), che sfugge a tutte quelle regoline, a tutta quella voglia di gloria e di numeri. Abbiatene cura anche voi.