É uscito mercoledì 8 marzo 2023 per Ohimeme (www.ohimeme.com) il nuovo (e secondo) singolo del progetto Kleinbottle, un duo di fratelli dalle influenze stratificate che toccano l’indie rock di matrice britannica ma anche l’estremo Oriente, come dimostra questo pezzo allo stesso tempo mistico e ricco di groove, grazie alla sua linea di basso e alla presenza di percussioni e strumenti a corda caratteristici dell’estremo Oriente.
Immaginate, ogni qualvolta chiudete gli occhi, di non vedere solo quel buio che ben conosciamo, ma di scorgere un fiume di luce, che ci indica un percorso, ci ristora, rendendo l’oscurità attorno più accogliente (“cosy darkness…”), ma tutto ciò è positivo o no? Questa è la prima immagine che ci presenta il secondo singolo dei Kleinbottle “Light In The Eyelids“.
Una delicata voce femminile, che canta in una lingua sconosciuta, ci catapulta in un’altra dimensione, sottolineando la natura mistica del viaggio e dell’ambientazione. Purtroppo il cammino, senza meta, risiede nelle nostre “palpebre secondarie”, che si aprono solo chiudendo gli occhi, ossia solo fuggendo dalla realtà; ci fa sentire meglio, ma in esso ci stiamo perdendo.
Per conoscerli meglio, siamo stati a casa loro, ed ecco cosa ci hanno mostrato.
Quadro: [S]: Questo quadro di Tarantello è con noi da quando abbiamo memoria. Guardatelo, è rilassante, trasmette serenità. Inoltre, ricorda l’importanza della natura nei pezzi che scriviamo. Quante volte mi son fermato ad osservarlo, avvicinandomi a quei colori pastello.
Mappamondo: Così, un mappamondo. Sta sulla scrivania di lavoro… Sì quello della musica. Ci ricorda quando siamo piccoli e ci ispira nei suoni e nei strumenti da usare. I luoghi inquadrati non sono casuali: inseriamo molti elementi dell’Estremo Oriente.
Orsacchiotto: Su una mensola giace lui, il nostro orsacchiotto preferito. Elegante, gentile, paziente. Ascolta e assorbe tutto e non si lamenta mai. Quante chiacchierate, quanti trip.
Vasi: Vicino al piano. Amiamo questi vasi e il fatto che siano giapponesi è puramente casuale… forse. Ci ispirano, ci incantano, sono meravigliosi.
Clessidra: [S]: Lei è sul comodino! Attende. Prima di dormire la ribalto, come se fosse un countdown per la fine delle mie energie giornaliere, o per la chiusura dei miei occhi, oppure per l’inizio del turbinio dei miei pensieri. A volte lo faccio semplicemente per abitudine, altre per ricordarmi che il tempo scorre e tutto fluisce, nonostante alcune volte ci sentiamo prigionieri in un limbo.
E’ da qualche tempo che gira nella nostra redazione il nome di Maelstrom, artista piemontese che ha pubblicato già diversi singoli (la maggior parte con l’etichetta spezzina Revubs Dischi, realtà discografica che seguiamo ormai da tempo) e che oggi tira fuori dal cilindro un altro brano utile ad accompagnarlo verso la pubblicazione di un disco d’esordio che farà parlare di lui, e di questo ne siamo piuttosto sicuri.
Sì, perché Maelstrom non fa mistero di essere cresciuto con la musica d’autore, e per chi avesse dei dubbi su quali possano essere gli effetti positivi del cantautorato sulle nuove generazioni, beh, ascoltatevi “Ombra” e provate a raffrontarla con quelli che sono i brani acclamati (da Sanremo alle playlist Spotify) della Gen Z e della Gen X: vi renderete conto che, oltre la superficie patinata e anche un po’ anonima di quella gioventù mercificata che il sistema discografico prova a venderci tutti i venerdì si nasconde (o meglio, sgomita per farsi notare) una pletora agguerrita di autori e autrice con gli attributi, e tra questi non possiamo di certo non annoverare Maelstrom.
Perché il cantautore di scuola Revubs sa fare il suo, eccome: penna delicata e allo stesso tempo tagliante, Maelstrom fonde una narrazione fortemente personale con un afflato che diventa collettivo, di tutti; dentro le sue canzoni, e su tutte forse proprio “Ombra”, potreste trovare l’essenza di una generazione che non smette di cercare sé stessa, con la curiosità e la disperazione del pioniere, dell’eterno esule.
Il sound, certo, guarda con interesse al pop ma non si limita ad emulare le dinamiche da hit: il ritornello è effettivamente radiofonico, ma senza la pretesa di esserlo, capace di mantenere l’autenticità della “confessione a cuore aperto” che trasuda da tutto il brano. E non è cosa da tutti i giorni, non avvertire quella classica puzza di plastica che tante canzoni emanano sin dal primo play.
Insomma, fate come noi e recuperatevi Maelstrom, se ancora non lo conoscete. Perché manca davvero poco al momento in cui potreste pentirvi di non averlo scoperto prima: sembra esserci un disco in arrivo…
Jampa Capolongo: un nome che, inevitabilmente, finisce con l’incollarsi nella memoria e non andarsene più via, anche se passano anni e litri d’acqua sotto i ponti.
Non so perché, ma credo di aver già avuto occasione di ascoltare Capolongo, forse proprio all’epoca del suo debutto con “Pensieri in scala“, un disco che – a seguito del ritorno del cantautore sulle scene – ho riascoltato prima di scrivere queste parole su “Un giorno lontano da tutto”, singolo che vede la luce proprio oggi e segue a ruota libera la pubblicazione di “Non vale di meno”, ripartenza con lancia in resta di Jampa data alla grande distribuzione poco prima della fine del 2022.
Ebbene, chissà perché quel disco, “Pensieri in scala“, sia finito con l’arenarsi in un passato decisamente non troppo glorioso, sperso tra le spire di un’amnesia che colpisce ormai tutto e tutti ma, evidentemente, non si accanisce su di me, che “Pensieri in scala”, per qualche motivo che devo ancora del tutto chiarire, ho l’impressione di averlo ascoltato in qualche vita precedente; forse che le cose belle, alla fine, finiscono con l’assomigliarsi e ricondursi tutte, mano nella mano, nella certezza di un possesso geloso, di un bagaglio salvavita che dovremmo poter aprire ogni volta che ci si piazza davanti qualcosa di davvero brutto, di davvero insopportabile, per ricordarci che profilo abbia, invece, la “bellezza”?
Non lo so, ma so che Jampa è uno che ha la stoffa, che avrebbe meritato di più con quel disco d’esordio e che mi auguro possa raccogliere, seppur in differita, tanti meriti quanti ne merita proprio con questa rinascita autorale, che in fondo rinascita non è perché ripesca esattamente da dove aveva pescato fin qui: dalle profondità della poesia, alla ricerca della “parola che suona” e di un’idea di canzone che non perda il suo afflato quasi rivelatorio.
E’ per questo che diventa davvero difficile non lasciarsi sedurre dalla morbidezza e, allo stesso tempo, dalla franca spontaneità di “Un giorno lontano da tutto”, autopsia di un momento che abbiamo vissuto migliaia di volte e che ci fa chiedere cosa sarebbe la nostra vita senza tutti questi cerchi alla testa (non di santità, ma di confusione esistenziale) e senza tutte questi ostacoli che il nostro cuore incontra quotidianamente sulla propria strada.
Un sound fresco, che richiama ai cantautori di inizio millennio ma allo stesso tempo “parla” una lingua universale, che potrebbe capire e sulla quale potrebbe riflettere sé stesso anche lo sbarbatello che si confronta per la prima volta con l’amore.
Perché, diciamocelo, quando amiamo per davvero siamo tutti adolescenti sbarbatelli.
Aftersat è un nome che non conoscevamo fino a qualche giorno fa, quando in redazione è atterrata (sì, perché sin da primo ascolto ci è sembrata che fosse “celeste” e allo stesso tempo fortemente “tellurica” la derivazione di “Terra c’accide”) la proposta d’ascolto del loro nuovo singolo, vero e proprio crocevia di esperienze musicali e linguaggi espressivi che trovano nella lingua napoletana il trampolino di slancio di un progetto da scoprire, e da tutelare dalle pretese “alienanti” di un mercato che sembra interessato a nascondere sempre più le radici.
Radici che, in “Terra c’accide”, si fanno sentire eccome, facendo tremare le gambe a chi sembra non aver capito che non esiste nulla di tanto “futuristico”, oggi, come il recupero critico della tradizione, la riscoperta appunto di quelle radici che ci legano in modo indissolubile a qualcosa che ci anticipa, che viene prima di noi: gli Aftersat paiono aver raccolto la lezione della contemporaneità ed essere partiti alla ricerca di qualcosa di più ancestrale, di più originario, pur senza dimenticare di volgere un occhio al futuro, alla ricerca di nuovi linguaggi.
“Terra c’accide” è un lamento che si fa atto di sfida a sé stessi, un pianto che non ammette disperazione ma cerca le lacrime giuste per far crescere nuova vita su questa “terra che uccide”: c’è tutto il dolore di una vita costretta alla sopravvivenza, e allo stesso tempo il fascino orgoglioso di una resistenza che diventa condizione esistenziale, quasi culturale; il dramma di un addio che vorrebbe essere un arrivederci, ma che si costringe all’abbandono per non rimanere invischiato nelle sabbie mobili di un perpetuo presente che non conosce futuro.
C’è la questione meridionale, a suo modo, c’è la ricerca di uno stile ibrido che possa valicare i confini territoriali cavalcando un dialetto che la storia ha già conosciuto come “internazionalizzabile”: una furia genuina che sposa la tarantella con i distorsori, in un brodo primordiale in cui presente, passato e futuro sembrano convivere nella ricerca di una nuova definizione di sé, di un nuovo modo di “chiamarsi per nome”. Una scoperta che finisce con il far bene al cuore, e allo stesso tempo con l’offrire all’ascoltatore un’alternativa salvifica al terrore del release friday.
Scelta certamente coraggiosa quella di Federico Cacciatori, che decide di affidare il suo nuovo disco ad una piattaforma certamente inaspettata rispetto a quelle più convenzionali: “La mia visione del mondo” ha visto la luce venerdì scorso, ma solo su OnlyFans (lo puoi ascoltare qui), sito conosciuto per i suoi contenuti generalisti e vicini ad ambienti ben diversi da quello musicale.
Eppure, Federico ha deciso di dedicarsi a nuove strade, partendo in realtà da una piattaforma che sembra essere fatta apposta per “fidelizzare” il pubblico, restituendo valore alla proposta e allo stesso tempo preservandone la qualità; sì, perché il coraggio di Cacciatori ha potuto certamente avvalersi anche della consapevolezza che oggi più che mai sia necessario, come leggiamo nelle sue note, “andare a cercare la musica che non ci aspettiamo proprio laddove non ci aspettiamo di trovarla”, magari forzando qualche dinamica che oggi sembra irrinunciabile per ogni emergente – come, ad esempio, affidarsi ai rituali sistemi di distribuzione.
Un elemento di rottura, questo, che va non solo nella direzione della “restituzione di dignità” ad un prodotto musicale che merita di essere “valorizzato”, dando al lavoro dell’artista un valore economico stabilito dall’artista stesso; ma anche una scelta che permette alla qualità della musica di rimanere “intatta”, sfuggendo alle dinamiche di compressione che Spotify e altre piattaforme impongono agli artisti.
Il disco, poi, presenta peculiarità musicali che rappresentano, allo stesso tempo, una continuità e un distacco rispetto al passato discografico di Federico: il compositore, infatti, ha esplorato anche i terreni del “pop” non solo in modo strumentale, bensì come autore di brani contenuti all’interno del disco e cantati da musicisti scelti da Cacciatori; “La mia visone del mondo”, in tal senso, sembra muoversi sulla via dell’espressione di un certo tipo di valori e “punti fermi” che Federico aveva già messo in luce con l’omonimo singolo.
Un lavoro compatto che colpisce certamente per originalità, e questa volta non solo “musicale” ma anche, se così possiamo dire, “discografica”.
C’è da dire che non è certo roba di tutti i giorni imbattersi in un lavoro così semplice e, allo stesso tempo, estremamente complesso come quello di Millepiani, cantautore toscano che da qualche anno a questa parte sta facendo scoprire il suo nome ad amanti del cantautorato e, in generale, a chiunque abbia un debole per la musica che “non ha smesso di dire” qualcosa.
Sì, perché oggi più che mai sembra quasi di trovarci incastrati in una dimensione che vuole privarci della contemplazione del presente e, allo stesso tempo, della consapevolezza di un passato che diviene necessaria per sbarcare nel futuro: ecco perché, forse, a Millepiani dev’essere sembrato opportuno riprendere il filo del discorso laddove si era interrotto (e cioè, con la pubblicazione di “Eclissi e Albedo”, il suo primo disco da solista) riafferrando le fila di un approccio che fa della ricerca e del “dubbio” il motore perpetuo della sua rincorsa ad un possibile “significato” delle cose.
“Krakaota” diventa così l’incendio e la distruzione di ogni luogo comune sul “brano pop del venerdì”: ritmi incessanti ma gentili che fanno da trampolino a sonorità elettroniche pronte a miscelarsi con un afflato acustico che esplode, nel finale, in un solo chitarristico estremamente rock’n’roll; poi, c’è da dire che la parte del protagonista la recita la voce e, ancor più che la voce, la penna di Millepiani: c’è la sensazione che il cantautore toscano sia alla ricerca di un “centro di gravità permanente” che qui diventa proprio la tabula rasa creata dall’esplosione di ogni certezza, e dalla consapevolezza di una necessaria ricostruzione che possa essere libera da atavici sofismi e dilemmi.
Un “Krakatoa” musicale che regala a chi segue la canzone d’autore la sensazione di non essere davvero così solo: tutt’altro.
LE CANZONI GIUSTE hanno pubblicato il loro nuovo singolo il 25 Novembre “TISCA TUSCA TOPOLINO”. Noi gli abbiamo chiesto quali sono le loro 5 cose preferite!
LIVE
Se dovessimo rispondere a cosa non rinunceresti mai nella vita, la risposta è all’unisono “Suonare”.
CIBO
Almeno una cena di band al mese obbligatoria, Pantagruelica!
SESSO
Non credo ci sia molto da aggiungere.
Pensare alle prime tre cose insieme.
VIAGGI
Andare in tour per noi è come andare in gita di quinto tutti i giorni. Quando ami il lavoro che fai, non pesa niente.
Se quest’estate abbiamo ondeggiato sulle note di “Limonata”, dal 21 ottobre possiamo invece assaporare le note dolci e morbide di una canzone che ci scalderà il cuore. Stiamo parlando di “Eschimesi”, il nuovo singolo di Serepocaiontas prodotto insieme a DSonthebeat (producer multiplatino di base a Milano) e al chitarrista Marco Torresan.
Noi l’abbiamo ascoltata e la prima sensazione che ci ha suscitato non è stata per niente glaciale, come potrebbe invece suggerire il riferimento all’immaginario artico. L’igloo della copertina altro non è che una metafora del freddo che ti lascia un bacio mai dato e un amore non ricambiato.
“Eschimesi” si riferisce per l’appunto al bacio con lo stesso nome e che è proprio in questa dimensione raccontata da Serepocaiontas che diventa emblematico.
Se Serepocaiontas siamo abituati a vederla se non accompagnata dall’ukulele, “Eschimesi” diventa anche il primo singolo con cui possiamo assaporare la bravura dell’artista anche senza questo strumento. Sonorità che ricordano una ballad malinconica ma allo stesso tempo dolce e un mood perfettamente autunnale (proprio in contrapposizione a quello estivo di cui si caratterizzava “Limonata”). Ad arricchire il tutto anche stavolta c’è la magia di DSonthebeat e la bravura del chitarrista Torresan.
Insomma, anche questo nuovo singolo dell’artista di Latina e milanese di adozione, non ha fatto altro che farci sentire ancora più legati al lei e alla sua musica, e per questo non possiamo che essere in trepidante attesa di ascoltare cosa ci sta preparando!
Parole, parole, parole: parole che rimbalzano contro i finestrini di macchine lanciate a tutta velocità verso il fraintendimento, mentre accanto a noi sfilano cortei di significati e di interpretazioni che si azzuffano per farsi strada nella Storia, provando a lasciare un segno. Parole giuste, parole sbagliate; parole che diventano mattoni per costruire case, ma anche per tirare su muri; parole che sono bombe, pronte a fare la guerra o a ritornare al mittente dopo essere state lanciate con troppa superficialità: parole intelligenti, parole che sembrano tali solo a chi le pronuncia, mentre chi le ascolta cerca le parole giuste per risanare lo squarcio. Parole che demoliscono, parole che riparano. Spesso, parole che sembrano altre parole, che pesano una tonnellata per alcuni mentre per altri diventano palloncini a cui aggrapparsi per scomparire da qui. Parole che sono briciole seminate lungo il percorso da bocche sempre pronte a parlare, ma poche volte capaci di mordersi la lingua: se provi a raccoglierle, come un Pollicino curioso, forse potresti addirittura risalire all’origine della Voce, e scoprire che tutto è suono, e che le parole altro non sono che corpi risonanti nell’oscurità del senso.
Parola, voce, musica: matrioske che si appartengono, e che restituiscono corpo a ciò che sembra essere solo suono.
Ogni mese, tre parole diverse per dare voce e corpo alla scena che conta, raccogliendo le migliori uscite del mese in una tavola rotonda ad alto quoziente di qualità: flussi di coscienza che diventano occasioni di scoperta, e strumenti utili a restituire un senso a corpi lessicali che, oggi più che mai, paiono scatole vuote.
GIONATA
Tutto quello che ti viene in mente se ti diciamo “successo, merito, ambizione”.
Ciao, come va? Penso che queste tre parole siano al tempo stesso vicine quanto lontane.
Il successo è legato al raggiungimento di un obiettivo e non per forza alla fama. Penso che una persona abbia successo quando si pone degli obiettivi che poi raggiunge, anche semplicemente l’idea di smettere di fumare e poi riuscirci fa di una persona un individuo di successo. Spesso invece viene associato alla ricchezza, alla fama. Il mio secondo disco, Congratulazioni, in questo senso assume il ruolo di sincere congratulazioni: volevo pubblicare un disco e l’ho fatto e, per quanto mi riguarda, ho già avuto successo. Il mio prossimo obiettivo è fare della musica un lavoro e non importa avere tre milioni di ascoltatori o suonare davanti a centomila persone. Se e quando riuscirò a lavorare solo di musica e potermi pagare la vita senza fare altri lavori, allora avrò ottenuto ancora più successo.
È una questione soggettiva.
Così come è soggettivo il merito: dire che “qualcuno si merita qualcosa” vuol dire avere dei confini (culturali) che definiscono determinati standard che ci fanno dire chi è meritevole e chi no. Sempre relativo alla musica, verrebbe da dire che chi ha studiato uno strumento per dieci anni ha più merito rispetto a un cantante stonato che usa l’autotune e canta sopra delle basi realizzate con dei loop e non ha la minima conoscenza della musica. Ma è qui che nasce l’errore: se ricalcoliamo tutto e ci dimentichiamo delle “regole”, allora non esiste il merito, semplicemente esistono persone che ottengono cose e altre che non le ottengono, seguendo leggi che non conosciamo e che possiamo mettere dentro la scatola delle casualità (e del soldo). Quindi dico Congratulazioni a tutti, siamo tutti bravi e nessuno lo è veramente, tutto ha significato e proprio per questo niente lo ha.
L’ambizione è, tra le tre parole proposte, quella che preferisco. Per il semplice fatto che è legata alla personalità ed è slegata da costrutti culturali. Non è giusta o sbagliata, è soltanto una volontà: la volontà è un’altra parola che avrei inserito. Può essere legata al miglioramento personale (vivere in pace con sé stessi e con il mondo) o al raggiungimento di un obiettivo (e qui si lega al successo), ma rimane un aspetto necessario perché senza ambizione siamo solo pezzi di carne vuoti privi di sogni e con niente in cui credere. L’ambizione è necessaria e non dobbiamo esserne schiavi o temerla, dovremmo solo usarla per farci forza e proseguire la nostra strada, fregandocene di tutto.
Congratulazioni a chi ci riesce.
LAZZARO
Tutto quello che ti viene in mente se ti diciamo “successo, merito, ambizione”.
Parto dall’ambizione, perché credo definisca poi cosa intendiamo per successo. È importante avere punti di riferimento alti (altissimi) ai quali mirare, ma sempre cercando di riconoscere i propri limiti. Credo che questo sia la base per una vita a misura d’uomo e, per quanto mi ostini ad essere un’idealista, a volte ho trovato sano anche riformularmi, proprio in quei momenti dove l’ambizione e il sogno erano bellissime fantasie, alimentate da un mondo che insegue una crescita continua, incoscientemente proiettato verso un futuro addolcito da un insensato ottimismo. Insomma, non credo esista IL successo quanto I successi, a seconda delle ambizioni e dei limiti di ciascuno. Sul merito faccio un po’ difficoltà a dire la mia, si rischia di essere antipatici e quindi preferisco rubare le parole di altri, in questo caso di Niccolò Fabi: “Facciamo finta che chi fa successo se lo merita”.
SMOKIN VELVET
Tutto quello che ti viene in mente se ti diciamo “successo, merito, ambizione”.
Il successo è un qualcosa che, per l’epoca in cui viviamo, è quasi mitizzato. Siamo costantemente bombardati da personaggi che ostentano un’immagine di successo, la maggior parte delle volte costruita ad hoc da chi di dovere. Sembra quasi che sia obbligatorio mostrarsi in questo modo, specie in un mondo di influencer e simili.
Noi personalmente il successo non lo perseguiamo direttamente con le nostre intenzioni artistiche, la cosa che ci preme è quella creare arte che possa restare nella testa e nel cuore delle persone, che trasmetta un messaggio che ognuno possa recepire in modo diverso a seconda delle sue esperienze e del suo vissuto. Se l’impegno e il tempo lo concederà, il successo verrà da solo.
I “meriti”, concettualmente, sono soggettivi. Certo, possiamo dire che nei nostri percorsi alcune persone, opere, album, film con cui ci siamo interfacciati abbiano avuto più “meriti” di altri nella nostra formazione, ma ciò non cambia che tutto quello che ci accade, che viviamo e creiamo, accade come conseguenza di azioni nostre, delle persone e dei fatti che ci accadono intorno. La cosa affascinante è quando i fatti accaduti, che siano romanzati o meno, vengono raccontati, e la bellezza del momento in cui qualcuno si ritrova in quello che hai scritto o composto è qualcosa di unico.
L’ambizione è fondamentale per qualsiasi cosa si voglia fare nella vita, sicuramente riuscire a vivere con la musica è una delle imprese più difficili di questi tempi in un paese come l’Italia: tocca costantemente fare compromessi, poter lavorare alla cosa a cui tieni di più può accadere quando torni a casa dopo una giornata di lavoro e le energie sono poche, oppure quando hai a disposizione giornate intere in cui potresti svaccarti completamente e invece ti metti a scrivere musica, ma in entrambi i casi, lo fai sempre con gioia e la voglia di poterti spingere sempre più in là, per superare ogni volta i propri limiti.
BLUNDA
Tutto quello che ti viene in mente se ti diciamo “successo, merito, ambizione”.
Il successo è qualcosa a cui tutti, in fondo, aspirano.
La cosa in cui tutti incappiamo – però – è che successo voglia dire “grandi numeri”, quando in realtà credo che ogni piccola cosa vada vissuta come un successo, soprattutto in questo lavoro in cui si lavora con le emozioni.
Anche solo poter arrivare ad una persona è un enorme successo, poter in qualche modo condividere un’emozione.
Purtroppo a volte il successo non è conseguente al merito, in qualsiasi ambito. Ci sono tanti artisti là fuori capaci e brillanti che faticano ad emergere in questo mondo troppo pieno di offerta musicale. Però credo anche che alla lunga i meriti vengano sempre riconosciuti, perché la musica appartiene alle persone e alla sincerità con cui si trasmette.
Ciò che non deve mancare mai, in qualsiasi campo della vita, è l’ambizione: il bello di questa nostra esistenza è di non avere realmente limiti, che tutto può essere possibile.
Allora io dico di continuare a sognare e perseverare, volare in alto e mai aver paura del fallimento, perché anche solo mettersi in gioco è il più grande dono e successo che si possa conseguire.
CINUS
Tutto quello che ti viene in mente se ti diciamo “successo, merito, ambizione”.
Per fare un collegamento logico partirei dall’ambizione, il desiderio di fare qualcosa o portare a termine un progetto. Questo desiderio si collega al merito, al lavoro, alla fatica, al talento, alla determinazione per essere riusciti ad arrivare al proprio oggetto del desiderio. Infine il successo, che senza ingigantirlo di significato, possiamo descriverlo come la buona riuscita di un lavoro che si è fatto e portato a conclusione, indipendentemente dal riscontro, che può essere di grandi o piccole dimensioni. Il successo ha la peculiarità di poter essere un fatto del tutto intimo, personale, il mio successo lo posso raggiungere con i piccoli obiettivi che mi pongo ogni giorno e che riesco a portare a termine, oppure con grandi progetti lavorativi, con l’apprezzamento altrui, che dire, ci sono tanti significati che la parola “successo” può racchiudere. Ma di queste tre la mia preferita è ambizione. Perché il merito lo ottieni sì, con l’impegno, ma anche con l’ambizione. Io ho un’ambizione, ed è quella che mi porta a scrivere musica e a cantare su un palcoscenico, che io me lo meriti dipende dal mio impegno. L’essere qua a rispondere a queste tre parole, questo per me è il successo.
BEATRICE PUCCI
Tutto quello che ti viene in mente se ti diciamo “successo, merito, ambizione”.
Mi viene in mente che il successo non è un percorso lineare e che avere la giusta ambizione in una realtà musicale non semplice è fondamentale per riuscire a crearsi il proprio percorso. Successo poi non è sinonimo di felicità, può essere una soddisfazione momentanea su cui non si può basare tutto.
NUBE
Tutto quello che ti viene in mente se ti diciamo “successo, merito, ambizione”.
L’ambizione è fondamentale per riuscire ad arrivare al successo, che però non è, molte volte, relativo al merito ma a dinamiche ben più contorte.
Esce venerdì 14 ottobre 2022 per Pioggia Rossa Dischi “Starbox”, il nuovo singolo di Gorka, rapper originario di Albenga che aveva recentemente partecipato al documentario “La Nuova Scuola Genovese”. Il brano, che vede la produzione di Fra Bacci, vuole essere un ritratto di chi la musica la vive ancora tra le strade, nella sua autenticità più grezza. “Starbox” è una storia di gioventù bruciata e di sogni osservati da lontano come stelle, di passioni viscerali e desiderio di ribellione.
In occasione dell’uscita, abbiamo fatto un giro a casa di Gorka. Ecco cosa ci ha fatto vedere:
Il flyer dello storico concerto allo Zapata. Era presente tutta la scena rap genovese ed è stato uno degli ultimi momenti che ricordo in cui si è respirato senso di comunità a Genova. I tempi cambiano e non per forza in peggio, dentro di me sono rimasti saldi però i valori che hanno portato tanti ragazzi in tutta Italia a sbattersi per creare situazioni di questo tipo, aperte a tutte, costi super accessibili e lontane dal centro città scintillante.
Conservo questa piccola statua creata da mia sorella per il mio compleanno. Non ho capito perché mi abbia voluto vestire di verde ma è entrata immediatamente nella top 3 di oggetti a cui chiedo protezione nei momenti difficili.
In mezzo ai vestiti sparsi ovunque è possibile trovare ogni tanto il mio passamontagna. È stato fatto a mano da una delle persone più importanti della mia vita. Rappresenta la nostra visione musicale dal momento che unisce colori sgargianti a un simbolo legato alla cultura hiphop e della strada.
Nel cassetto vicino al letto conservo questo coltello. È stato un regalo dei miei cugini quando ero un bambino. Ovviamente non riesce a tagliare praticamente niente, lo usavo solamente per incidere la lettera G sui tronchi degli alberi.