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Indie Intervista Pop

Come un album di fotografie. L’intervista a Jacopo Gobber

Il lungo viaggio delle canzoni perdute di Jacopo Gobber le ha portate a confluire nella mega raccolta antologica “20 anni di manicaretti” (18.10.2024, Labellascheggia). Abbiamo colto l’occasione per fare qualche domande al cantautore veronese.

Artwork: Sara Vivian

  • “Vent’anni di manicaretti” ha una storia particolare, perché è un disco in cui hai scelto di raccogliere brani provenienti da diversi momenti della tua carriera, donando loro unità e distribuendoli per la prima volta tramite i circuiti ufficiali. Come mai hai preso questa decisione, a vent’anni di distanza dai primi pezzi?
    Il primo motivo è personale: volevo come per un album di fotografie, mettere in ordine le foto e catalogarle, così per poterle riguardare quando avrò 80 anni e fumerò la pipa sulla poltrona. Il secondo motivo è quello di poter dare la possibilità anche ad altri di ascoltare queste canzoni, “pisciarsi sulle scarpe” ad esempio potrebbe essere il classico brano che fischietta un serial killer prima di commettere un massacro.
  • La decisione di creare un album ha portato con sé la necessità di dargli una copertina ed una rappresentazione estetica; hai affidato la cover a Sara Vivan, che ha creato per te un artwork stracolmo di colori e affollato da figure di animali che sembrano nascondere una qualche simbologia; tu che interpretazione dai a questa immagine?
    Domenico dell’etichetta Labellascheggia, che cerca sempre di associare alla musica che distribuiscono il lavoro di un grafico coerente, mi ha proposto delle immagini già pronte di Sara Vivan, quindi la copertina non è stata fatta propriamente per l’album ma è un disegno di Sara fatto in totale libertà. Siccome io mi immaginavo come copertina un negozio con sopra una targhetta storica tipo “indie dal 2003, 20 anni di manicaretti” come fanno le attività storiche, chessò “pizza fatta con antica farina dei Sumeri direttamente dalla Mesopotamia”. In quell’immagine di Sara mi sono rivisto io come cameriere in un bar artigianale che serve robe strane a clienti particolari (tucani, giraffe, elefanti), e mi sembrava adatta allo scopo.
  • Oltre al suo spirito collettivo, l’album è segnato da un elemento non trascurabile, ovvero quello della sua lunghezza. In un’epoca in cui il singolo ha preso il sopravvento sul concetto di disco, decidere di pubblicare un lavoro che si avvicina all’ora di durata rischia – purtroppo – di diventare controproducente. Secondo te, è ancora possibile comporre un disco capace di intrattenere un pubblico sempre più abituato a progetti mordi e fuggi?
    Uno potrebbe essere appassionato di macchine da scrivere: conoscere tutti gli inchiostri, i vari metalli con i quali le producono, e riconoscere, solo sentendo il battito dei tasti la marca e il modello della macchina. Probabilmente sarebbe controproducente dato che oggi quasi nessuno è interessato alle macchine da scrivere ma se vai ad ascoltare questa persona, lui può portarti nel suo mondo e raccontarti tutti gli aneddoti sulle macchine da scrivere. È una persona ricchissima dunque, anche se commercialmente potrebbe essere povera. Io voglio sempre fare musica per la quale non mi debba vergognare e questo si scontra spesso con le esigenze di mercato. Cosa resterà di questi progetti mordi e fuggi tra 50 anni? A questo punto è meglio che i miei parenti stretti, tipo i pronipoti, non si debbano vergognare del bisnonno quando ascolteranno la mia musica, se lo faranno.

  • L’aver raccolto brani provenienti da epoche diverse della tua carriera fa sì che l’album risulti essere una mescolanza di stili e atteggiamenti diversi fra loro. Si notano quindi brani maggiormente leggeri e altri che richiedono una maggiore analisi: ascoltando l’album e tornando a rapportarti con il te stesso del passato, come ti rapporti a questa duplicità?
    Nella raccolta ho cercato di non mettere doppioni, ma di far vedere un po’ tutti i “colori” che mi uscivano fuori quando componevo musica pop, ma in realtà anche i 3 album dai quali vengono fuori quelle canzoni erano così, liberi, con momenti più divertenti e momenti più riflessivi. Anche quei 3 album sembrano delle raccolte, mi piace mescolare gli elementi e vedere cosa viene fuori, se un esperimento l’ho già fatto e so già cosa viene fuori, non mi interessa ripeterlo. Anche se è musica che ho fatto perché sia “easy listening”, pop, comunicativa, è, nello stesso tempo, musica sperimentale.
  • A vent’anni dall’inizio della tua carriera, con questo album hai messo una sorta di punto fermo su questa parte del tuo percorso. Come pensi che saranno i prossimi vent’anni della tua vita artistica?
    Oltre a questo percorso nella musica pop, ho fatto delle cose sempre matte ma più giovani tipo hyperpop con il progetto “Giostre”, e cose sempre matte ma più da vecchi col progetto di elettronica sperimentale e free jazz “CK722”. Nei prossimi anni, come al solito, mi piacerebbe rimescolare le carte in tavola e vedere cosa succede cercando di fare un hyperpop con un po’ di jazz e con dei testi surreali, così da fare un ampio featuring: Jacopo Gobber feat. Giostre feat. CK722. Viva l’autoerotismo!

BIO
Jacopo Gobber è un cantautore che dal 2004 compone in totale libertà e autonomia un art pop psichedelico con arrangiamenti massimalisti. Le sue produzioni sono artigianali e bitorzolute ma grazie alle melodie easy listening e ai ritornelli scritti come degli slogan, diventano in qualche modo comunicative.

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Fonte: Costello’s Agency

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Elettronica Intervista Pop

La musica elettronica è jazz. L’intervista a Giovanni Milani

Abbiamo seguito da vicino il recente percorso artistico di Giovanni Milani e siamo rimasti colpiti dal suo modo di sperimentare. Non potevamo quindi non fargli qualche domanda sul suo ultimo lavoro e sul futuro del progetto.

Artwork: Alberto Zampano

  • La copertina di “Fotografia N.2” ti ritrae mentre uccidi metaforicamente un’altra versione di te. Da dove nasce questa scelta, e come mai hai deciso di veicolare questa idea in maniera così diretta già dalla copertina?
    Il gesto di puntarmi una pistola alla testa è un’immagine che purtroppo non mi libera da qualche anno, e in qualche modo la copertina vuole anche esorcizzare quest’azione, poiché in questo caso l’atto di uccidermi significa anche rinascere.
  • Compositore, sassofonista e cantautore: sei un artista in costante cambiamento, e ascoltando questo disco è chiaro come tu abbia provato a unire tutte le tue anime traendone un progetto coeso ed unitario. Credi di esserci riuscito, o pensi di essere ancora immerso nel processo di sperimentazione?
    No, non credo di esserci riuscito, credo sia solo l’inizio di un processo molto lungo. Ciò non toglie il fatto che sono soddisfatto del mio lavoro.
  • Oltre ai riferimenti musicali provenienti dalla tua formazione, tra cui il jazz e il conseguente utilizzo del sassofono, hai deciso di integrare nell’album anche delle componenti apparentemente estranee, come il pop e l’elettronica. Per quale motivo hai deciso di affrontare questa sfida cercando di trovare un punto di congiunzione fra elementi così apparentemente diversi?
    Perché a mio avviso non sono affatto diversi, in particolare jazz e musica elettronica. Jazz è avanguardia, non è Swing, non è Cool, non è Bebop, è un movimento costante e a mio avviso la musica elettronica a livello concettuale è Jazz. Poi chiaramente ascoltando generi riconosco che ognuno di essi ha delle caratteristiche particolari che ho voluto unire nell’intento di creare una mia estetica personale.

  • Un’altra sfida che hai lanciato, questa volta nei confronti del mercato musicale attuale, è stata quella di inserire delle vere e proprie pause strumentali all’interno della tracklist del disco. Credi in qualche modo nella possibilità di educare il pubblico anche a generi musicali, come il jazz, spesso lasciati da parte o ritenuti eccessivamente “intellettuali”?
    Sì è proprio così, credo che sia importante educare gli ascoltatori e essere consapevoli che ciò che facciamo è destinato a loro.
  • Scegliendo un titolo come “Fotografia N.2” hai voluto in qualche modo superare la versione precedente di te stesso e avviare un nuovo capitolo del tuo percorso. Come credi che sarà il prossimo Giovanni?
    Il prossimo Giovanni sarà musicalmente più duro, molto più elettronico e scuro, più moderno nella scelta dei suoni e nelle ispirazioni.

BIO
Compositore, sassofonista e cantante mugellano, Giovanni Milani si propone di creare una musica che unisca il suo vissuto musicale: il jazz nell’ambito accademico, il pop nella vita quotidiana e l’elettronica nella vita notturna. Un suono che scalda ma non brucia.

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Fonte: Costello’s Agency

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Indie Intervista Pop

La rinascita alla fine della nebbia. L’intervista a Satellite

Con l’EP d’esordio “Mare di Nebbia” Satellite ha espresso un modo raro e profondo di esplorare le proprie emozioni. L’abbiamo intervistato su questa e altre tematiche legate al suo songwriting.

Artwork e foto: Marco Pellegatta

  • Il tuo primo EP, “Mare di nebbia”, è riempito di un pop etereo che trasfigura il percorso di qualcuno che cerca la propria strada nel mondo. A che punto ti senti nel tuo percorso? Quanto conta il passo compiuto con questo progetto?
    Mi sento appena all’inizio del mio percorso. Questo primo passo conta moltissimo per me poiché mi ci è voluto molto coraggio per uscire allo scoperto, presentare alle persone la mia visione e la mia intimità. E sappiamo come esporsi, anche al giudizio, possa essere complicato.
  • I tuoi brani fondono una scrittura pop a suggestioni variegate, dall’elettronica all’alternative, sfociando anche in momenti ambient e tesi verso il classico. Come si uniforma questa schiera di sperimentazioni nei tuoi brani?
    Nella composizione seguo sempre ciecamente quello che ho in testa e ciò che voglio esprimere. Se si è coerenti e sinceri nella scrittura le proprie influenze e i propri gusti si uniformano da soli proprio perché messi all’interno di una linea chiara e definita. Cerco di essere sempre sincero, nel bene e nel male.
  • A livello testuale, le tue canzoni vanno spesso a cercare un lato emotivo e personale all’interno del quale ti riveli nella tua intimità. Quali sensazioni vorresti lasciare a chi ti ascolta, e quale messaggio ti piacerebbe che venisse recepito?
    Vorrei che chiunque ascolti si possa immedesimare nel mio racconto o in qualche immagine. Che possa riconoscersi. Capire che c’è qualcun’altro che sente ciò che lui sente. Credo che questo sia fondamentale. Non ci fa sentire piú soli, ci fonde con la musica.

  • Delle tue canzoni dici che nascono dalla tua realtà personale, ma anche che per scriverle è necessario porre davanti ai tuoi occhi un filtro fatto di emozioni e colori; da dove nasce la necessità di prendere in qualche modo le distanze da ciò che ti circonda?
    Non è una decisione che prendo in partenza. Questo “filtro” mi consente di vedere le cose da un lato differente. Spesso riusciamo a capire molte cose di noi stessi e della nostra vita cambiando il punto di vista o guardandole da un’altra prospettiva e anche io faccio questo grazie a questo “filtro”. Quindi direi che non prendo le distanze da ciò che mi circonda ma cambio il punto di osservazione. Forse entrando ancora piú a fondo dentro i miei ricordi e le sensazioni.
  • Un’altra cosa che rimane impressa durante l’ascolto dell’EP è l’alternarsi di immagini sfuggenti e piccoli dettagli che si susseguono nel corso delle canzoni e che contribuiscono in qualche modo a raccontare una storia che si evolve. Che cosa c’è in fondo, oltre il mare di nebbia?
    I brani dell’EP raccontano senza dubbio una storia, non tanto perché accomunati da una trama comune ma in quanto ogni brano rispecchia ognuno un periodo della mia vita nel corso di tre anni. Infatti ho ordinato i brani in ordine cronologico di scrittura. Direi che alla fine della nebbia vi è una distruzione e una rinascita. Una visione piú limpida verso una strada nuova. È come se avessi finalmente rotto una barriera che avevo costruito intorno a me. Adesso dovrò andare sempre avanti senza piú guardarmi indietro.

BIO
Giacomo Maria Colombo, in arte Satellite, è un cantautore nato a Milano nel 1998. Con il suo progetto solista intende parlare al lato intimo dell’animo umano, toccando le corde dell’emozione quando ci sentiamo vulnerabili. I suoi brani parlano a coloro che si sentono soli, abbandonati e che desiderano scappare. Satellite vuole offrire un rifugio emotivo attraverso la sincerità della sua musica.

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Fonte: Costello’s Agency

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Intervista Pop

Le 5 cose preferite di DALE

“Sento ancora il mare” è il singolo di debutto di DALE, dopo aver ascoltato questa nuova release abbiamo pensato di conoscere l’artista più da vicino, raccontandosi proprio attraverso le sue 5 cose preferite.

Ecco come è andata!

La Pizza 

E in particolare tutte quelle mangiate a casa di Alessandro Russo scrivendo musica e raccontandoci di noi stessi.

Born To Run – Bruce Springsteen (l’album)

Otto tracce che sanno di auto e di oceano.  E di strade senza fine.  Strade dentro noi stessi, da percorrere fino in fondo. 

Lo studio di Lorenzo (Avanzi)

Il posto in cui realizzo buona parte dei miei sogni.  Dove ogni sbatti diventa qualcosa di positivo. Dove mi esprimo. 

Il mare

Che può calmare e può distruggere. Che fa freddo e poi fa caldo, e lui sta lì, tenace e incessante.

Il caffè

C’è bisogno di spiegazioni qui? 

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Intervista Rap

Le 5 cose preferite di MIDEN

Abbiamo chiesto a Miden di raccontarsi attraverso le sue 5 cose preferite, dopo aver ascoltato la sua ultima uscita, ecco che cosa ci siamo detti!

POLITICALLY INCORRECT

Il concetto di “politically incorrect” (politicamente scorretto) è emerso come reazione a ciò che molti percepiscono come eccessi del “politically correct” (politicamente corretto) ed è stato abbracciato da coloro che ritenevano che il politically correct stesse soffocando la libertà di espressione e il dialogo onesto. Mi piace “abbracciare” la libertà di espressione, fare critica e satira, e dire quelle “verità scomode” che molti non vogliono affrontare. Essere scorretto, “scortese” musicalmente parlando mi da forza.

EMINEM

O meglio SLIM SHADY.

L’artista che mi ha influenzato maggiormente in ogni sfumatura. L’artista più controverso e influente del panorama rap.

La sua carriera, caratterizzata da successi enormi e altrettante polemiche, ha avuto un impatto significativo non solo sulla musica, ma anche sulla cultura popolare. Le sue canzoni affrontano una vasta gamma di temi, molti dei quali controversi. Tratta di argomenti come la povertà, la dipendenza, le difficoltà familiari e la violenza domestica, spesso attingendo dalle sue esperienze personali. Questo realismo brutale ha attirato critiche per la sua rappresentazione esplicita e spesso grafica, ma ha anche contribuito a creare una connessione profonda con il suo pubblico. Mi sono rivisto in lui dato che non ha paura di sfidare le norme sociali e parlare apertamente dei suoi demoni personali. È stato anche accusato di omofobia, misoginia, e promozione alla violenza. Ma nonostante ciò, Eminem ha sostenuto che le sue canzoni sono una forma di espressione artistica e non dovrebbero essere interpretate come incitazioni alla violenza. Album preferito “THE EMINEM SHOW” 

RABBIA POSITIVA

La rabbia è un’emozione umana naturale che, sebbene spesso vista in modo negativo, può avere aspetti positivi quando gestita e canalizzata correttamente. Quando pensiamo alla rabbia, la associamo a reazioni impulsive, conflitti e distruzione. Tuttavia, è possibile vedere la rabbia sotto una luce diversa, riconoscendone il potenziale per trasformare situazioni negative in opportunità di crescita e cambiamento. Voglio canalizzare la rabbia (dovuta a esperienze passate) e trasformarla in consapevolezza, autocontrollo, facendo “passare” una comunicazione sana, motivandomi a cambiare sempre in meglio.

GENTIL SESSO

Quando parliamo del “gentil sesso”, non ci riferiamo solo alla grazia e alla delicatezza che spesso si associano alle donne. Parliamo della loro forza interiore, della capacità di resistere e di combattere per i loro diritti, e dell’instancabile impegno nel sostenere le famiglie e le comunità. La gentilezza e la compassione sono tratti che, più che mai, hanno il potere di cambiare il mondo.

Le donne sono state e continuano a essere leader in ogni campo immaginabile. Pensiamo a figure come Marie Curie, la prima donna a vincere un Premio Nobel, o a Malala Yousafzai, che ha coraggiosamente lottato per il diritto all’istruzione. Queste donne non solo hanno lasciato un segno indelebile nella storia, ma hanno anche ispirato milioni di persone a perseguire i loro sogni nonostante le avversità.

Nel quotidiano, le donne affrontano sfide che spesso passano inosservate. Il doppio carico del lavoro e della cura della famiglia, le discriminazioni sul posto di lavoro e le barriere culturali sono solo alcuni degli ostacoli che superano con tenacia e resilienza. Eppure, nonostante tutto, continuano a dimostrare una straordinaria capacità di amare, di creare e di innovare. Se non si era capito, impazzisco per le donne.

ESSERE PROVOCATORIO

un concetto spesso frainteso e talvolta evitato per paura di suscitare reazioni negative. Tuttavia, essere provocatorio non significa necessariamente essere offensivo o irrispettoso. Al contrario, può essere uno strumento potente per stimolare il pensiero critico, promuovere il cambiamento e rompere gli schemi convenzionali.

Essere provocatorio significa sfidare lo status quo, mettere in discussione le idee preconcette e spingere le persone a riflettere su ciò che diamo per scontato. In un mondo in continua evoluzione, dove le abitudini e le tradizioni possono diventare ostacoli al progresso, la provocazione può servire da catalizzatore per il rinnovamento e l’innovazione.

“È RIVOLUZIONE FRA”

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Indie Intervista Pop

I drughi contro l’omologazione. L’intervista agli Arancioni Meccanici

Il comeback estivo degli Arancioni Meccanici ci ha portato un nuovo singolo, “Summertime”, e un nuovo album, “Movimento” (Gelo Dischi). Affascinati dalla loro musica, tanto corrosiva quanto allucinata, siamo riusciti ad intercettare la band per fargli qualche domanda.

Artwork: fab-lab.biz

  • Ciao Arancioni Meccanici, il vostro disco “MOVIMENTO” ci ha stupito per ecletticità e varietà, e vorremmo sapere qualcosa in più di voi. Anche se ve lo avranno già chiesto, partiremmo a domandarvi perché anni fa avete deciso un nome di questo tipo. Siete appassionati di cinema?
    Siamo appassionati di cinema, serie tv, fumetti, insomma di arte in generale ma soprattutto siamo appassionati di paradossi e il nome Arancioni Meccanici deriva proprio dalla paradossale fusione dei drughi di Arancia Meccanica con i cosiddetti Arancioni: seguaci di Osho e della più generale filosofia hare Krishna, molto in voga negli anni 80, che appunto andavano in giro con le loro tuniche arancioni e con il loro fare gentile a vendere libri sulla pace universale e a chiedere offerte per le loro tante comunità.
  • Prima di parlare del vostro ultimo lavoro, un’altra curiosità di carattere generale: visto che come band esistete da tanti anni, cosa pensate fosse meglio in ambito musicale qualche anno fa e cosa ora?
    Qualche anno fa e intendo circa 15 anni fa, quando abbiamo iniziato a pubblicare i nostri primi lavori ufficiali, c’era un modello di business completamente diverso, che purtroppo aveva già intrapreso il suo fatale declino, era lo stesso modello che aveva creato i Beatles o i Righeira. In quel periodo l’industria discografica perdeva miliardi, perchè i dischi non si vendevano più, dato che la gente li scaricava illegalmente dalle varie piattaforme pirata ecc. Oggi l’industria discografica ha ritrovato il modo di fare forse anche più soldi con molti meno fastidi, tuttavia, si tende molto più che in passato a creare personaggi facilmente riproducibili e quindi sostituibili, da proporre al grande pubblico. Ora di meglio vedo più possibilità di produrre e distribuire la propria musica, c’è però anche molta approssimazione e troppa omologazione. 
  • Parliamo ora di MOVIMENTO, cosa si deve aspettare l’ascoltatore dal vostro disco? Raccontateci come mai avete scelto questo titolo, cosa rappresenta e quali significati porta con sé.
    Abbiamo scelto questo titolo per vari motivi, il principale è forse il fatto che nell’idea di movimento c’è qualcosa di vitale, di solito la vita si muove o muove qualcos’altro. Dal nostro disco ci si può aspettare proprio questo: vita vera, movimento, istinto, niente di precostituito o di deciso a tavolino per impressionare qualcuno.
  • Nei vostri brani è tendenzialmente esplicita una critica sociale, c’è una tematica tra tutte a tal proposito che oggi come oggi vi sta particolarmente a cuore?
    Le tematiche che ci stanno a cuore sono molte, potremmo riassumere dicendo che ci sta molto a cuore il rispetto per gli esseri viventi, umani compresi e per l’ambiente che ci ospita.
  • Se aveste potuto inserire un featuring in questo disco, quale sarebbe stato e perché?
    Ce ne sarebbero molti, il primo che mi viene in mente è Alan Palomo, “World of Hassle” èuno dei dischi che abbiamo ascoltato di più nel 2023 e con lui condividiamo sicuramente l’ammirazione per il suono italiano di fine 70 e primi anni 80.

  • Ascoltando l’album, si può apprezzare una produzione molto curata. Come avete lavorato alla stesura e composizione dei brani? Cosa nasce prima di solito?
    La maggior parte dei nostri brani nasce da un giro di chitarra o di piano di Andrea su cui io costruisco una prima melodia vocale, poi le cose vengono lavorate sempre più nel dettaglio sia per gli arrangiamenti, che per i testi, in ogni caso non c’è una regola precisa.
  • C’è un brano che reputate più rappresentativo dell’intero disco? Perché?
    Direi “Combustibile” è un tipico pezzo in stile Arancioni e mi sembra una buona sintesi delle diverse atmosfere di “Movimento”.
  • Chi ascoltano in questo periodo gli Arancioni Meccanici? Dateci almeno tre nomi.
    Alan Palomo, Surfing e Sergio Caputo.
  • Ultimo concerto a cui siete stati (insieme e non)?
    Insieme i Nuovo Testamento a Londra qualche mese fa, di cui però siamo riusciti a sentire solo gli ultimi brani, essendoci, diciamo, un po’ persi lungo la strada.
  • Ringraziandovi per aver risposto alle nostre curiosità, vi lasciamo con un’ultima domanda: qual è il disco che vi ha fatto innamorare definitivamente della musica?
    Per quanto mi riguarda, forse, “Aftermath” degli Stones.

BIO

Dal tramonto all’alba, in bilico tra decadentismo e rinnovamento, gli Arancioni Meccanici, da anni colonna portante della musica alternativa made in Milano, raccontano il loro spazio e il loro tempo offrendo una visione policroma, tra reminiscenze new wave, neopsichedelia e momenti dreampop.

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Fonte: Costello’s Agency

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Intervista Pop

Alla scoperta del nuovo mondo di Millepiani

E’ nato “Un mondo nuovo” per Millepiani, cantuatore toscano che negli ultimi anni abbiamo avuto modo di apprezzare. Penna da esteta, riflessioni filosofiche che si avvolgono su atmosfere che spaziano dallo space-rock alla canzone d’autore: questo è (solo in parte) Millepiani. Potevamo quindi non intervistarlo?

Cantautore che non smette di stupire, Millepiani ha da poco pubblicato “Un mondo nuovo”, il suo secondo disco: ecco, ma perché hai scelto proprio questo, come titolo del tuo lavoro?

Il richiamo al distopico “Il mondo di nuovo” di Aldous Huxley è sicuramente il primo che salta all’occhio, ma il titolo “Un mondo nuovo” può essere considerato un vero topos letterario. Nel mio caso però l’intenzione dell’opera non è distopica ma auspica una rinascita, una speranza per il futuro, una nuova consapevolezza e libertà, una nuova etica.

Raccontaci un po’ la genesi di queste canzoni: è stata una lunga gestazione quella di “Un mondo nuovo”? 

Ebbene sì, è stata molto lunga. Quando scrivo, ogni canzone è lavorata moltissimo prima di andare in produzione e rimane in cantiere anche degli anni a decantare. Ogni brano è stato scelto per il disco da una rosa molto ampia di canzoni che avevo nel mio archivio e ho cercato di trovare un equilibrio concettuale ed estetico che combaciasse perfettamente con quello che volevo comunicare. D’altro canto invece, il nucleo, le linee melodiche e i giri armonici delle canzoni sono stati creati in modo più immediato e spontaneo, prima di essere sottoposti al processo alchemico di raffinazione che richiede la stesura dei testi e degli arrangiamenti. E’ stato un viaggio molto bello e importante.   

Otto intensi brani, per un percorso che ha vissuto già diverse svolte importanti ed emozionanti, con la partecipazione a rassegne, concerti e palchi di spessore. Quali sono state, secondo te, le tappe fondamentali del tuo percorso fin qui?

Cerco sempre situazioni dove il lato culturale, etico ed estetico siano considerate importanti, sia che si tratti di un piccolo circolo, che di una piazza, sia che si tratti di un evento più grande. I live che mi hanno dato più soddisfazione sono stati comunque il Borgosound Festival di Parma e suonare per Openstage davanti al Politecnico di Milano. Il prossimo live inoltre sarà davvero speciale: in un luogo iconico di Milano che ha molto a che fare con l’arte contemporanea e una famosa scultura di Maurizio Cattelan… è una sorpresa! Seguite i miei profili social e prossimamente ne saprete di più!

Parliamo dei brani, che lasciano emergere l’intimità di una scrittura autoriflessiva e allo stesso tempo collettiva: quanto ti senti cambiato, da quando hai cominciato a scrivere le canzoni di “Un mondo nuovo”? Quanto invece continuano ad essere per te attuali?

La scrittura delle canzoni di “Un mondo nuovo” è stata un viaggio tanto personale quanto collettivo, capace di riflettere una profonda introspezione e una connessione con l’universo che ci circonda. Mi sento profondamente cambiato rispetto a quando ho iniziato questo progetto. D’altronde “panta rei” come diceva il buon Eraclito. La mia evoluzione come artista e come individuo è il risultato di un flusso costante di esperienze, pensieri ed emozioni. Ogni brano è un frammento di questo flusso, catturato in un momento preciso, ma sempre in movimento.

Tuttavia, nonostante questo continuo mutamento, c’è un nucleo di costanza nelle mie canzoni, un’essenza immutabile che volendo richiama la filosofia di Parmenide. Egli sosteneva che l’essere è statico e immutabile. In questo senso, le mie canzoni continuano ad essere attuali perché riflettono un’essenza profonda e inalterabile della mia visione del mondo. Sono ancorate a valori e sentimenti che rimangono costanti, anche se il contesto e le mie esperienze si trasformano.

In definitiva, scrivere questi brani è stato un modo per navigare tra il cambiamento e la permanenza, tra il flusso incessante delle esperienze e la stabilità dell’essere. Così, mi sento cambiato, ma al contempo ritrovo in queste canzoni una parte di me che rimane sempre la stessa, rendendole attuali e significative nel presente quanto lo erano all’inizio del loro concepimento.

“Un bagno di stelle”, prima traccia dell’LP, fa subito intuire che il tuo è un disco capace di dare centralità alla sensibilità, rappresentando in qualche modo un nuovo modo di “vivere” l’emozione. Come ci si scherma dai dolori del nostro tempo? 

Il dolore, con le sue ferite profonde, è una componente intrinseca della nostra esistenza. Tuttavia, è proprio attraverso il dolore che possiamo crescere e migliorare, trovando noi stessi e rinascendo con un nuovo ego. Come affermava Emanuele Severino, non è la meraviglia a scaturire il pensiero filosofico e a indurci a porci domande sull’essere, ma piuttosto il “trauma” del dolore dell’esistenza. Questo trauma, lungi dall’essere una condanna, è la scintilla che accende la nostra coscienza e ci spinge a esplorare le profondità del nostro essere.

Nel mio percorso artistico e personale, ho imparato che il dolore non è un nemico da evitare, ma un maestro da ascoltare. È nel confronto con le sofferenze che possiamo scoprire la nostra forza interiore e la nostra capacità di resilienza. Scrivere canzoni è stato per me un modo di dare voce a queste esperienze, di trasformare il trauma in arte e di trovare una sorta di catarsi.

“Un bagno di stelle” è una metafora di questa trasformazione. Le stelle, simboli di luce e speranza, emergono dall’oscurità del cielo notturno, proprio come la nostra sensibilità e la nostra capacità di vivere le emozioni emergono dal buio del dolore. Questa traccia, e l’intero album, rappresentano un viaggio attraverso le ombre e le luci dell’esistenza, un percorso di introspezione che ci conduce verso una maggiore consapevolezza e una rinascita interiore.

Schermarsi dai dolori del nostro tempo non significa ignorarli, ma piuttosto accoglierli, comprenderli e trasformarli. È attraverso questa trasformazione che possiamo trovare un nuovo modo di vivere l’emozione, più profondo e autentico. In questo senso, il dolore diventa una porta d’accesso alla nostra essenza più vera, un mezzo per connetterci con noi stessi e con il mondo che ci circonda.

In definitiva, “Un bagno di stelle” ci invita a immergerci nella nostra sensibilità, a confrontarci con i nostri dolori e a rinascere come individui più consapevoli e completi. È un viaggio attraverso il trauma dell’esistenza, che ci guida verso una nuova comprensione dell’essere e delle emozioni che ci definiscono.

Detto questo, “Un mondo nuovo” si presenta proprio come un antidoto, un balsamo, una via da percorrere per scegliere di essere felici. Alla fine, la felicità è una scelta, anche se questo concetto è difficile da accettare.

Felicità e dolore sono due facce della stessa medaglia. Attraverso il confronto con il dolore, possiamo trovare la forza per scegliere la felicità. “Un mondo nuovo” non offre una felicità superficiale e momentanea, ma una felicità profonda e duratura, frutto della consapevolezza e dell’accettazione delle sfide della vita.

La felicità non è un dono che ci viene concesso passivamente, ma una decisione attiva, una scelta di abbracciare la vita in tutte le sue sfumature. Come una tela bianca su cui dipingere, ogni giorno ci offre la possibilità di scegliere i colori e le forme che vogliamo dare alla nostra esistenza. Questo album è un invito a prendere in mano il pennello e a creare il nostro capolavoro, a scegliere la felicità anche di fronte alle difficoltà.

Alla fine, la vera felicità nasce dalla nostra capacità di trovare bellezza e significato in ogni esperienza, di trasformare il dolore in crescita e il trauma in saggezza. È una scelta che richiede coraggio e determinazione, ma che ci porta a vivere una vita più autentica e appagante.

“Un mondo nuovo” è un viaggio attraverso questa scelta, un cammino che ci guida verso una nuova comprensione di noi stessi e del mondo, un percorso che ci permette di trovare la nostra strada verso la felicità.

Quali sono le cose che vorresti cambiare nella discografia italiana? Immagina di avere la bacchetta magica…

Mi piacerebbe che il mondo della discografia fosse più legato alla cultura, al mondo dell’arte e della letteratura, che fosse meno vincolato ai profitti che rendono la musica a mio parere meno interessante e la appiattiscono. C’è una divergenza importante fra il panorama musicale italiano che offre tantissimo a livello qualitativo e la circuitazione mainstream che invece spesso trovo superficiale e basata sul mero intrattenimento spicciolo.

Mi piacerebbe che la musica fosse più concepita come forma d’arte piuttosto che come intrattenimento. Ma so che questa è un’utopia. Aspetta un attimo, ma a noi piacciono le utopie! 

Bene, grazie per il tuo tempo Millepiani! E ora, cosa dobbiamo aspettarci dal tuo futuro?

Grazie a te e a tutta la redazione di Perindiepoi! E’ sempre un piacere parlare con voi! 

Il mio viaggio nella musica continua e nel mio futuro ci sarà sempre, come c’è sempre stata, la voglia di scrivere canzoni e di cantarle a qualcuno, questa è una mia certezza. 

Nell’immediato sono in un periodo creativo molto fertile, sto accumulando nuove canzoni, alcune sono già praticamente pronte con musica, testi e arrangiamenti, altre sono bozze da sviluppare. Inoltre è appena uscito il video di “Fantasmi a metà” con una ballerina d’eccezione: Teresa Firmani, che danza tra i murales del centro storico di Carrara, la mia città natale. Spero che verrà apprezzato anche dagli appassionati di danza contemporanea e d’arte urbana. Anche la visione generale per il prossimo disco si sta delineando pian piano nella mia mente, come un’aurora che precede l’alba.

Quest’estate inoltre, porterò in giro le canzoni di “Un mondo nuovo” in diverse situazioni, dai piccoli locali, dove sarò solo con la mia acustica, oppure in duo con l’elettrica di Diego Colletta, a piazze più grandi, dove mi sosterrà la band nella classica formazione batteria-basso-chitarra elettrica-voce.  quindi che altro aggiungere? Grazie a tutta la vostra redazione e a presto!

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Indie Intervista Pop

Nel “MOOD-POP” di Aigì c’è tutta la musica che ti piace

Aigì, nome d’arte di Antonio Il Grande, è un nome che seguiamo, come sapranno bene i nostri lettori, ormai da diversi anni: per questo, non potevamo certo esimerci dal fare all’artista qualche domanda su “MOOD-POP“, il suo eclettico e visionario – capirete perché – album d’esordio.

Aigì, è un piacere ritrovarti con un EP. Da quanto aspettavi questo momento?

Piacere mio! Lo aspettavo da tempo, perché è la sintesi di due anni di sperimentazioni su vari fronti. Difatti abbiamo iniziato a lavorare alla canzone meno recente (Orsa Maggiore) nel febbraio del 2022.

“Mood-pop” è un lavoro denso, che a suo modo racconta con sincerità un percorso personale che può essere anche collettivo. Quanto è stato “terapeutico” per te scrivere le canzoni di questo tuo disco d’esordio?

Tanto! È come se ad ogni canzone avessi affidato il compito di custodire un’istantanea di come mi sentivo in quel preciso momento. Insieme propongono diverse sfaccettature della mia interiorità.

Raccontaci i brani: in ognuno, c’è un po’ di te (e delle tue numerose sfumature musicali) ma ce n’è uno al quale ti senti particolarmente legato?

Sono tutte canzoni-promemoria: Sbalzi d’umore mi ricorda che siamo fatti di contraddizioni, Orsa Maggiore che devo godermi il momento, Cherosene che l’amore non si piega a marchette social, Nuvole che non devo perdermi d’animo, Niente di che quanto sia importante comunicare in una relazione e Nudo/a che il sesso è un gioco senza frontiere. Orsa Maggiore direi che, oltre ad esserci legato, è un evergreen per il mio progetto.

Tra tutti, ci ha colpito la scelta di approcciare ogni brano attraverso una diversa chiave di lettura musicale, che mantiene tuttavia intatta e coerente la firma della tua penna. Ci racconti come nasce questa idea, che pare dare anche il titolo all’EP?

Nasce dal semplice fatto che mi stanno strette le etichette. Mi piace molto ibridare la mia musica arricchendola di varie suggestioni. Dopo tre singoli non proprio coerenti fra loro, mi sono detto “Sai che c’è? La mia coerenza è l’assenza di coerenza”. È nato così il concept di MOOD-POP. Poi chiaramente questo è vero a metà, perché ci sono molti elementi che ritornano.

Certamente un disco del genere, che fa della sperimentazione musicale una delle sue principali chiavi di lettura, merita due parole spese sui tuoi collaboratori… con chi hai lavorato a “Mood-pop”?

Ho lavorato con il mio produttore di fiducia, Octavio Laria, con cui stiamo creando un team di produzione anche per altri artisti. Andavamo al liceo assieme e in questi ultimi anni abbiamo fatto un percorso di crescita che ci ha resi veramente complementari.

AIGì, grazie per il tuo tempo, e in bocca al lupo! Quando potremo ascoltarti dal vivo?

Grazie a voi e viva il lupo! Intanto il 28 aprile sono stato al Volume (Firenze). Da maggio dovrei partire con un tour ma siamo ancora in fase di definizione. Seguitemi per rimanere aggiornati!

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Indie Intervista Pop

Il nuovo EP notturno di Simone Porreca. L’intervista al cantautore lodigiano

Il 26 marzo 2024 è uscito “Blue”, l’EP d’esordio di Simone Porreca con distribuzione Artist First. Abbiamo colto l’occasione per fare qualche domanda al cantautore.

ph: Stella Giulia Casarin, ad: Facciocosepunto

Ciao Simone, complimenti per il tuo freschissimo EP. Come ha vissuto un ragazzo nato sotto il segno dei Pesci questo esordio discografico?

Ciao! Innanzitutto vi ringrazio della bellissima opportunità. Penso che tutti sappiano quanto siano ‘altalenanti’ le emozioni e l’umore di chi nasce sotto questo segno particolare dello zodiaco. Ma tutto sommato questo esordio l’ho vissuto particolarmente bene, anche perché ho lavorato con persone meravigliose. Tendo ad essere molto rigido con me stesso e voglio che tutto sia perfetto e studiato nei minimi dettagli quando si tratta di una cosa a cui tengo particolarmente, con ‘Blue’ mi posso ritenere abbastanza soddisfatto.

“Blue” contiene al suo interno diverse tematiche che vanno a comporre il tuo personale “sussidiario illustrato della giovinezza”. C’è molta voglia di esplorare i sentimenti umani in tutte le sue forme e molta consapevolezza sulle sofferenze e le zone d’ombra presenti nelle vite di tutte le persone. Di notte è più semplice indagare queste emozioni profonde?

Esatto, “Blue” vuole rappresentare un po’ la ‘tipica vita dei ragazzi ventenni’ con tutto l’amore e dolore, anche in questo caso altalenanti, che si provano. La notte, quando tutti i rumori intorno a te iniziano a svanire e sei veramente solo con i tuoi pensieri, la ritengo una delle parti più importanti della giornata. Esce la vera versione di ognuno di noi, ed è come se tutte le emozioni si palesassero davanti ai tuoi occhi. Così ne approfitto per scrivere e comporre brani di vicende che vivo ogni giorno e plasmarle in situazioni in cui ogni persona si può riconoscere. 

Un’altra cosa interessante del disco è il lavoro che è stato fatto sul suono e sugli arrangiamenti: ci sembra abbiate operato un’ottima sintesi tra una sorta di chamber pop moderno e un uso minimale dei synth che ben si addice al tuo sincero songwriting notturno. Ci racconti com’è andata in questo senso la collaborazione col produttore milanese Giacomo Carlone?

Lo dico adesso e lo dirò per sempre, lavorare insieme a Giacomo è stata come una rivelazione per me. Insieme a lui ho scoperto strade (e synch) che non pensavo minimamente potessero appartenermi. Abbiamo esplorato e viaggiato come in mezzo a mari d’idee ed abbiamo studiato in ogni minimo dettaglio ogni particolare dei brani. Abbiamo anche portato a casa in una sola mattinata il brano “Parliamo Di Sogni” – lui era subito entrato in feeling con il testo ed era super entusiasta di cominciare con quella canzone. Abbiamo poi reso tutto il più ‘cupo’ possibile con “A Te Fa Male?”, che vuole rappresentare la fine di una relazione. Abbiamo cercato suoni che richiamassero allo scintillio delle stelle, per soddisfare la mia richiesta in particolare e per stare coerenti con il titolo del brano “Le Promesse Fatte Alle Stelle” – da cui poi è nato, grazie ad esperimenti di riarrangiamenti, anche un sound che richiama un po’ gli anni ‘80. Per poi finire con sonorità quasi sospese e senza un vero punto d’arrivo per “Film” – che racconta invece il termine di un’amicizia a me cara.

Cosa offre la scena musicale lodigiana? Hai avuto modo o vorresti lavorare assieme a un* artista del tuo luogo d’origine?

Ci sono moltissimi ragazzi nel lodigiano che vivono o si divertono con la musica e questa cosa mi rende molto felice, ne conosco alcuni in particolare, tra cui mia sorella stessa. Ho collaborato attivamente con qualche produttore della mia zona e parlato con qualche cantautore, ma non ho ancora avuto modo di lavorarci su un brano o qualche arrangiamento, anche se la cosa non mi dispiacerebbe affatto!  

Ti ringraziamo e ti salutiamo con un’ultima domanda: cosa bolle in pentola nel futuro di Simone Porreca?

Una cosa che amo fare è sperimentare e reinventarmi in continuazione. Credo però che la notte, la luna e le stelle abbiano ancora molto da darmi. Sto già lavorando a nuovi brani per ampliare il mondo di “Blue” e creare un progetto un po’ più sostanzioso. Ho già tutto pronto nella mia mente, ora devo solo procedere alla realizzazione di tutte le mie idee.

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Elettronica Indie Intervista Pop

“584” di Cranìa: un viaggio celestiale nell’elettronica pop

Il 19 gennaio 2024 è uscito il primo album di Cranía, “584”, via Costello’s Records con distribuzione The Orchard.
Il titolo del disco si riferisce al numero di giorni che compie Venere per riportarsi in congiunzione con il sole. Le nove tracce, a loro volta, rappresentano l’orbita del disco: si susseguono creando un’esperienza d’ascolto che riverbera con la stessa intensità delle onde del mare che rispondono ai moti celesti della Luna.
L’approccio di Cranía alla scrittura è riflessivo e metodico, quasi matematico: il lavoro svolto dietro il disco, sia in fase di produzione che di composizione, si distingue per raffinatezza e qualità, senza mai sacrificare l’emozione e l’essenza coinvolgente di un ascolto spontaneo. Questa sinergia tra precisione e passione dà vita a un lavoro di alto livello, di sapore internazionale.
Ascoltare “584” di Cranía è una passeggiata sul suono lunare, dove le melodie elettroniche e i testi evocativi trasportano l’ascoltatore in un viaggio fuori dal tempo e dallo spazio, attraverso paesaggi sonori che rispecchiano la maestosità e la quiete degli spazi siderali.

Ad: Facciocosepunto
Ph: Stella Giulia Casarin

Per l’occasione abbiamo fatto due chiacchiere con la cantautrice lombarda per approfondire la sua arte.

1) Quali differenze ci sono state nella lavorazione (dall’ideazione dei brani alla produzione dei brani in studio) del primo EP e di questo primo disco?
Quello sul primo disco è stato un lavoro più di cesellamento a partire dalla creazione stessa dei brani, che ho rivisto a più riprese. Sono partita da canzoni che già avevo nel cassetto, ma che per svariati motivi non riuscivo a completare, forse non erano ancora mature, fino a lasciarmi andare alle nuove. Per quanto riguarda le produzioni, è andata nello stesso modo: c’è stato un lavoro fitto di pre-prod con Mirko Bruno, culminato in un mese di studio da Federico Carillo alla ricerca dei vestiti giusti per “584”.

2) Quali sono le tue principali influenze (o cosa ti piace ascoltare ultimamente) e con qual* artist* ti piacerebbe fare un featuring?
RY X e Luigi Tenco sono le mie principali influenze, ma ultimamente sono in fissa con il fado. In merito al featuring, mi piacerebbe farlo con… ve lo dico nella prossima intervista 🙂

3) C’è un festival o un palco in particolare in cui ti piacerebbe esibirti?
Ogni palco è importante, soprattutto per chi come me vuole proporre la propria musica. Se devo fare un nome dico il “MI AMI” perché è un festival che seguo con interesse e che ha a cuore anche i progetti emergenti.

4) Arrivi da una valle del bresciano e in un brano del precedente EP citi il tuo paese natale, ma quanto è importante oggi quel tipo di dimensione per la genesi della tua musica?
È vitale. Senza le mie radici, non sarei la musica che scrivo appunto. Inoltre, sento la necessità di ritornare alle mie origini ogniqualvolta ho il bisogno di visualizzare le montagne, il mio orizzonte.

BIO
Cranìa
 è una cantautrice che ha le montagne negli occhi. La sua voce è rotta e si fa strada scavando tra crepe di parole fragili. Ma è in superficie che trova la luce su ritmiche morbide, intrecci elettronici e melodie ariose. Una luce pronta a lasciare il segno.

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Fonte: Costello’s Records