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Pop

Cosa c’è nella sala prove dei Bosco

Bosco tornano con un nuovo singolo che porta il nome di “Leica“, fuori da venerdì 26 gennaio 2024, una canzone commovente che tratta il tema di Cernobyl e la celebre macchina fotografica. La canzone racconta di un’immaginaria scena del 1986, anno di nascita della Leica, in un periodo in cui le persone si trovavano a scattare foto, ignare del disastro che si stava per verificare, senza sapere che non sarebbero mai state meglio di così.

Con sonorità simili a quelle di artisti come Niccolò Fabi, Bianco, Baustelle, Brunori e I Cani, i Bosco creano ballate emozionanti sui synth elettronici, intrecciando diverse voci e loop musicali.  Il singolo “Leica“, pubblicato e distribuito da McFly Dischi / Visory Records, è un inno all’amore e alla nostalgia, e con il suo tocco malinconico, riesce a mettere in musica ricordi e rimpianti di grande impatto emotivo.

Noi volevamo conoscerli meglio, e ci siamo fatti invitare nella loro sala prove, ed ecco cosa ci hanno mostrato.

Daniele: I testi scritti a mano e le melodie cantate al cellulare tra riunioni di lavoro e vita che va avanti, in sala restano scritte idee e solo alcune diventano canzoni, in questo caso “Diadora” che prende corpo, come la brutta copia prima di metterla in bella.

Daniele: Lo specchio e il mixer, in sala sono lì, davanti l’odiata colonna che ci divide, a regolare i volumi mentre cerco di muovermi tra cavi, tastiere, chitarre, ricordandomi di continuo che è piccola, calda e scomoda ma è la nostra sala ed è lì che nasce tutto.

Francesco: Davanti agli occhi il disco della svolta dei Blur con Dave Rowntree non ancora preso dalle faccende politiche e al suo meglio come intensità, un disco del 1997 che è ancora rivoluzionario a suo modo nonostante gli anni.

Alessia: nessuno di noi l’ha comprata, un giorno è semplicemente apparsa in sala prove nel 2014 circa. Come una mutevole stele di Rosetta liscia e candida che accoglie le idee della band, viene riempita di parole, musica e altri simboli che poi vengono soppiantati da altri e poi da altri. La lavagna cancellabile si modifica esattamente allo stesso passo in cui la band si evolve verso la musica che verrà.

Giulia: Scelgo il mio nuovo Minilogue xd che rappresenta un cambiamento e spero anche un traguardo dopo tante sperimentazioni a volte poco fortunate. Auguro al nuovo piccolo arrivato di divertirsi e di condividere con me tanti bei momenti di musica live, non lasciandomi mai senza suoni.


 

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Pop

Le 5 cose preferite di Tommaso Tam

Nel vasto panorama musicale italiano emerge con forza e originalità il quinto album di Tommaso Tam, intitolato “Isola di Tam”, in uscita il 12 gennaio per Manita Dischi.

Anticipato dal singolo omonimo, questo lavoro si distingue per la sua natura narrativa e distopica, trasformando l’esperienza d’ascolto in un viaggio avvincente attraverso mondi sonori inediti. Tam dimostra una continua voglia di esplorazione e innovazione, arricchendo ogni traccia con arrangiamenti curati e contrasti potenti tra melodia e ritmo.

La sua voce, precisa e penetrante, si fa portavoce delle contraddizioni che permeano la nostra esistenza quotidiana, regalando all’ascoltatore un’esperienza emotiva e riflessiva senza precedenti.

Noi gli abbiamo chiesto di raccontarsi attraverso le sue 5 cose preferite!

TASCAM PORTA ONE

Quando ero adolescente, avevo escogitato un modo per registrare sovraincidendo da solo più strumenti, utilizzando due radio  registratori a cassetta. Registravo qualcosa sul primo, poi riavvolgevo il nastro e lo facevo ripartire mentre premevo il tasto  REC sul secondo registratore. Dopo svariati passaggi, ovviamente il fruscio di sottofondo diventava insopportabile, ma a quel tempo era l’unico modo “ fai da te” per riuscire nell’impresa. 

Qualche anno dopo scoprii che esistevano dei registratori a cassetta multitraccia, i cosiddetti 4 piste, a un prezzo abbordabile. Acquistai il TASCAM Porta One. E imparai ad usarlo molto bene, tanto che ci ho registrato i miei primi tre album, Girare, Misogenio e Meccanismo base.Aveva anche una tracolla che permetteva di portarlo in giro e per questo motivo era il Santo Gral dei rumoristi ( gente che va in giro a registrare suoni di ogni tipo).

La comodità di averlo in casa invece, mi consentiva di registrare al momento qualunque idea volessi buttare giù, semplicemente collegando lo strumento o il microfono e schiacciando il tasto Rec. Immediato e diretto. La difficoltà principale era quando le 4 tracce non ti bastavano più. Per sovrapporne delle altre il metodo, chiamato “Ping Pong”, consisteva nel passare tre tracce sulla quarta vuota. A quel punto il mix delle prime tre doveva essere perfetto perché una volta riversate sulla pista libera, sarebbero  state definitivamente cancellate  in un secondo momento, per consentire la registrazione di nuove sovraincisioni.

Il processo non perdonava errori, per cui doveva essere un lavoro molto accurato. Oggi con le svariate Daw al computer, hai accesso a un numero di centinaia di sovraincisioni, e con l’ editing puoi fare miracoli, per non parlare del digital recording. Ma io sono rimasto per oltre due decenni, fedele al mio TASCAM a cassetta. E devo dire che il suono era molto  interessante seppur in qualità lo fi. Ho provato a registrare una seconda volta dei brani in studio, sperando venissero meglio che sul Tascam, ma dovetti ricredermi.

La magia dell’estemporaneità e dell’approccio analogico diretto, aveva una marcia in più nonostante la qualità audio inferiore. Adesso sembra una follia, ma perfino i Beatles registrarono Sgt Pepper nel 1967 su uno Studer  4 tracce a nastro, riversando poi le 4 tracce su un’unica traccia di un  secondo Studer per dare spazio a nuove sovraincisioni.

FILOSOFIA 

Nietzsche considerava la musica espressione dello spirito dionisiaco, totalmente autosufficiente; ovvero non ha bisogno di unirsi a immagini e concetti, perché possiede dentro se stessa le chiavi del mondo. Tra i filosofici che più mi hanno influenzato c’è Alan Watts. 

Sosteneva che ciò che non è definibile a parole o per concetti non esiste per noi, pur essendo lì, proprio di fronte ai nostri occhi, ciò che non riusciamo a controllare è ostile, e pertanto va combattuto, anche se è parte di ciò che siamo. Questo è il punto di partenza medio di ogni persona nell’età moderna: la separazione da noi stessi, il cosmo, le altre persone. Ho scritto “Cosmoillogico”, il mio quarto album, riflettendo proprio su questi concetti. La percezione dello spazio vuoto tra una cosa ed un’altra, inteso come separazione invece che come connettivo, ci porta a sentirci anziché uniti al tutto, disconnessi dal tutto.

In realtà lo spazio è tanto necessario quanto ciò che lo riempie, e viceversa, proprio come gli intervalli nelle note sono tanto fondamentali ad una canzone quanto le note che la compongono. Senza una di queste due cose non ci sarebbe melodia. La separazione tra noi e il tutto, compreso noi stessi, parte quindi da questa errata concezione del vuoto come inesistenza e separazione. Negli anni, ho anche imparato a togliere le  note, più che ad aggiungerne.

Deve essere tutto al servizio del brano che si sta scrivendo. I virtuosissimi li lascio nei live che faccio con le varie band in cui suono.

THE BEATLES

I Beatles li ho scoperti a cinque anni, perché mio padre aveva nella sua auto, tre musicassette tra cui una raccolta dei loro brani dal 1962 al 1965. Grazie a loro mi sono avvicinato alla musica. Ho cominciato con la chitarra e poi crescendo, ho imparato a suonare la batteria e il piano. All’inizio i miei mi comprarono degli strumenti giocattolo. Mi ricordo ancora una batteria fatta di cartone e plastica che venne prontamente sfondata  poco tempo dopo. A mia richiesta, ogni tanto mi regalavano un’altra cassetta dei fab four, e mi ricordo che rimanevo sempre meravigliato dalla bellezza della musica che ascoltavo, pur rendendomi conto che c’era un abisso tra il sound di Revolver(1966) e un album come Hard day’s night (1964), nonostante solo due anni di differenza.

Anche il loro aspetto fisico era molto diverso negli anni. Guardate una foto di Lennon nel 1965 e una nel 1968! Ero talmente affascinato, che per capire i testi delle canzoni, imparai molto presto l’inglese (10 anni), che ancora oggi è una delle mie passioni. Questa mia passione ha avuto il culmine qualche anno fa, quando sono riuscito a trovare e a mettere insieme 3 matti come me, per creare una Beatles tribute band. Ancora oggi, The Menlove Beatles tribute, mi portano sui palchi di tutta Italia e all’estero, prevalentemente nord Europa.

MONDO INVISIBILE 

Sono sempre stato una persona  abbastanza razionale; ho studiato scienze naturali all’Università e  per quasi 38 anni ho creduto che l’uomo fosse nato semplicemente per crepare.Poi una serie incredibile di eventi sincronici susseguiti da varie esperienze dirette di fenomeni particolari, che molti definirebbero “paranormali “, osservazione di energie sottili, e alcune mie avventure extracorporee, mi hanno preso a schiaffoni in faccia,catapultandomi senza ritorno verso una visione diversa del tutto.

Il Tommaso di 12 anni fa non riconoscerebbe affatto il Tommaso di oggi. Negli ultimi dieci anni, inoltre, mi sono appassionato e interessato alla fisica quantistica, allo studio del subconscio, agli UFO e a tutta la letteratura del settore esoterico. Niente é come prima. La ricerca e la sperimentazione su me stesso, continua.

ANIMALI

Sono cresciuto in un paesino della Carnia ( Friuli) in mezzo alle montagne, i contadini, tra covoni di fieno, vacche, galline, maiali e cavalli. E fin da piccolo trovavo ingiusto e aberrante, vedere come venissero sfruttati, maltrattati, e uccisi meramente a scopo culinario. Dal punto di vista biologico, uomo e animali sono parte dello stesso regno ed hanno le stesse necessità fondamentali: mangiano, dormono, si accoppiano, si difendono. E soffrono.

In questo non c’è differenza. Da molti anni ho scelto una dieta vegetariana proprio per questa mia sensibilità nei loro confronti. Ma non sono un rompi scatole nei riguardi di chi non la pensa come me. Anni fa scrissi una bella canzone intitolata “Lo zoo” che fa parte del mio terzo album “Meccanismo base”; è un brano a cui sono molto affezionato ed è molto rappresentativo  di questa tematica.

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Pop

Soppalco Studio: cosa c’è nello studio di Fringuello

Lorenzo Fringuello (in arte semplicemente Fringuello) è nato a Narni l’11 settembre 1990. Tra i 16 e i 30 anni suona in vari gruppi che lo portano sui palchi di tutta Italia. Dopo queste esperienze, nel 2020 decide di fondare un progetto solista che gli permette di sperimentare nuove sonorità come l’Hip Hop, il Contemporary Jazz, il Folk e il Dream Pop. È il proprietario di Fringuello Dischi, un negozio di vinili usati con sede a Terni.

Lo scorso 26 gennaio è un uscitoper Giungla Dischi il suo nuovo album: “Iceberg” ha un’anima LoFi e DIY ed è un disco registrato interamente su nastro usando apparecchiature analogiche di, almeno, 40 anni fa. Musicalmente è un album con forti rimandi alla scena inglese degli anni ’60 ma con molte velature anni ’90 e primi 2000. I testi non ricercano un senso logico: le parole sono state scelte per la loro musicalità ed adattabilità alla melodia vocale, così da costruire frasi più attente al suono che al significato.

Abbiamo colto l’occasione per chiedere a Fringuello di farci fare un giro nel suo studio. Queste sono le 5 cose che sono state imprescindibili per creare il suono di “Iceberg”:

Tascam 38: Tutti gli strumenti sono stati registrati su questo registratore a nastro degli anni 80, un 8 tracce con nastro da 1/2 pollice. La scelta di registrare su nastro per me è stata fondamentale, perché pone dei limiti e richiede una preparazione dettagliata a priori del suono che si vuole registrare. Il nastro non inganna e ti restituisce una “pastosità” unica.

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Yamaha AE 1200: Ovvero l’attore protagonista del disco. Ho trovato questa chitarra anni 80 made in Japan in una cantina, era sporca e un po’ rovinata, ma proprio quella sporcizia ha reso un suono molto particolare; i pickup ossidati danno un suono mai pulito al 100% e questa particolarità me l’ha fatta amare.

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Sennheiser MD441-U: Questo è un microfono da broadcasting degli anni 70/80, si può vedere in mano agli inviati dei telegiornali in vecchi spezzoni televisivi. E come quasi tutta la strumentazione usata in “Iceberg”, anche questo microfono è stato recuperato in uno scantinato. Nato quindi per riprendere la voce, ho pensato di usarlo fuori contesto, ovvero come overheads per la batteria. 

Questo uso non classico di questo microfono mi ha restituito un suono molto particolare dei piatti e tom che mi è subito sembrato molto interessante.

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Viscount international piano: è un piano elettrico a transistor di fine anni 70. Scovato in un mercatino e preso per 50 euro, ho subito adorato il suo suono acido e senza sustain. Ho lavorato il suo suono affiancandolo a dei pedali (Vibrato, chorus ed echo) per creare il suono di piano elettrico di Smoking, Sontag e gli altri brani.

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Effetti per Chitarra: La pedaliera è stata scelta con cura, con Leonardo (il mio braccio destro e sinistro) abbiamo speso molto tempo a cercare il suono “perfetto” del disco e l’abbiamo trovato in questa pedaliera. I due cardini imprescindibili sono il preamp Fender col suo reverb spaziale e il Julia, un chorus/vibrato che ha donato ai brani un’eleganza unica.

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Pop

Cosa c’è nella camera di Giallo

É disponibile da venerdì 26 gennaio “Effetto Mentos”, il nuovo singolo di Giallo, fuori per CITRO. 

Dopo l’album di debutto “#FFB427”, Giallo ritorna con rinnovata grinta e spirito di cambiamento(s). “Effetto Mentos”è il primo capitolo del suo 2024. Il brano parla di quanto sia facile mentire agli altri e a noi stessi pur di piacere e di ricevere approvazione; di come questo porti a costruire un gigantesco castello di carte che prima o poi è destinato a crollare (o a esplodere come le Mentos nella Coca-Cola). “Volevo fingermi un altro, ma ho fatto una brutta controfigura” Questa dinamica ci viene così semplice e automatica che ormai nella nostra società viene quasi data per scontata: dai social alla televisione, alle amicizie di facciata pur di integrarsi. Ma quando ci renderemo davvero conto che è molto più semplice e bello essere noi stessi?

Noi abbiamo avuto la fortuna di poter fare un salto a casa sua, e lui è stato così gentile di mostrarci cinque cose in particolare.

I MIEI GATTI – Non sono ovviamente oggetti ma tra tutto ciò che c’è in casa mia, Torta e Beretta hanno sicuramente il mio cuore più di tutto il resto.
Accolgono chiunque entri in studio facendogli mille feste (a volte anche duemila) e anche se spesso fanno danni e salgono sugli strumenti, non riuscirei mai a immaginare la mia vita senza di loro.

IL MIO PIANOFORTE – Ci sono cresciuto insieme, dalle prime lezioni di musica classica, alle prime canzoni scritte, a quelle registrate. Non credo che per lui siano necessarie tante altre spiegazioni. Ah, il suono di piano in Leti B. è proprio lui.

LA COLLEZIONE DI MAGAZINE POP ANNI 80 DI MIA MADRE – Che poi le ho “fregato” io. Una cassa piena zeppa di magazine musicali anni ’80, da quelli per teenager a quelli più complessi per amanti della musica. È assurdo leggere recensioni (a volte anche negative) di brani allora appena usciti che sarebbero poi diventati degli evergreen della musica mondiale. E quanto sono belle le palette super sbrillucicose e colorate? Sicuramente una reference enorme per me.

IL VINILE DI CITRO – Primo regalo di natale di Margherita, la mia manager e co-fondatrice del nostro collettivo CITRO, contiene tutte le nostre prime demo, registrate un anno prima che uscissero. Ha un valore enorme per me, ricordo ancora benissimo il momento in cui lo regalò a me e Wilde e la felicità sui nostri volti.

IL CARILLON DI “YOU ARE MY SUNSHINE” – Regalatomi da una persona davvero importante per me, ho deciso di campionarlo e inserirlo come outro di Brico.

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Pop

Cosa c’è nella camera di Francesco Sbraccia

PIOVE è il nuovo singolodi FRANCESCO SBRACCIA, talentuoso cantautore abruzzese, disponibile da venerdì 26 gennaio per Genziana Dischi, in distribuzione ADA Music Italy. Il brano è impreziosito dalla partecipazione di BIANCO alle voci e alla produzione insieme a Riccardo Parravicini (Fabi, Levante, Marlene Kuntz). 

PIOVE anticipa il secondo album di Francesco Sbraccia, in uscita prevista nella seconda metà del 2024. Un brano delicato, dove la ricercatezza del testo e del suono vuole portarci dentro quell’attimo, dove le suggestioni sonore si fanno olfattive e visive, prendendo forma in ricordi di un tempo indefinito. La scrittura eterea di Francesco e l’intuito creativo di Bianco si sono abbracciati immediatamentePIOVE è una canzone che riempie gli spazi, che circonda lentamente, che conforta ed emoziona. 

Due amanti si riparano dalla pioggia lasciando liberi i pensieri. Ho scritto Piove in una bottega a porte aperte – La città della canzone – nella quale ho incontrato Alberto Bianco. Con lui sono bastati un pomeriggio e un computer per dare vita a una canzone dalle tinte notturne: sintetizzatori imprevedibili sono diventati luminose lucciole di una foresta piovosa. Piove è poi passata nelle mani di Riccardo Parravicini 

Noi volevamo conoscerlo meglio, e come sempre siamo partiti proprio da casa sua. Ecco cosa ci ha mostrato.


Il disco della vita, l’alfa e l’omega. Ha come unico difetto il non avere in tracklist anche Kashmir.

Almeno una volta al giorno dico una frase tipo “vorrei fare il […]”, scegliendo ogni volta un mestiere diverso. In quelle parentesi sono avvicendati fornai, falegnami, edicolanti e molto altro. Quando guardo questa stampa di Ebe Babini è il momento del tipografo.

Per quelli della mia generazione è un oggetto cult. Da bambino un’amica me ne regalò uno, ma lo scambiai avidamente senza remore. Nonostante tutto siamo ancora in buoni rapporti, e quasi sempre parliamo di Charizard. Qualcuno una volta ha origliato e mi ha regalato quello della foto. Le persone buone esistono.

Un amico ha detto che chi ha giocato a Monkey Island è diverso: se faccio battute dall’umorismo così sottile da essere praticamente invisibile, è anche colpa sua.

Il libro più importante della mia vita.

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Pop

Le cinque cose preferite di Andrea Fish

Andrea “Fish” Mattioli è un cantautore marchigiano di quasi trent’anni che dopo la classica trafila nelle band locali ha iniziato un percorso da solista che lo ha portato fino al nuovo singolo, “Hai paura”, in cui racconta dei suoi attacchi di panico. Gli abbiamo chiesto di indicarci le sue cinque cose preferite.

LEGGERE

Adoro leggere specialmente la sera prima di addormentarmi, è un appuntamento fisso con l’immaginazione e la curiosità, preferisco in modo particolare. Biografie e libri storici anche se il primo vero amore con la lettura è nato attraverso “Uno studio in Rosso”, primo romanzo sulle avventure di Sherlock Holmes che mi ha spinto poi a collezionare tutti i libri sul celebre detective!

CUCINARE

La mia passione per la cucina nasce con la pizza, ho lavorato come pizzaiolo per alcuni anni ed ora mi diverto ad organizzare cene con amici dove propongo svariati piatti, su tutti riscuotono maggior successo ricette della tradizione romana e la mia personale versione del chili con carne! 

FILM DI CARLO VERDONE

Un amore spassionato verso questo artista e il suo modo di fare cinema!

I suoi film continuano a riempire le mie giornate di gioia, specialmente le più difficili, basta ricordare una battuta e torna il sorriso …il potere di un modo di fare cinema unico, sempre in equilibrio tra comicità e malinconia “buona” che permette di riflettere sulle varie sfumature della vita. Il mio film preferito? C’era Un Cinese In Coma!

LONDRA

Pazzesca! Sono andato a Londra per la prima volta con mio fratello nel 2022, per andare a trovare uno dei miei più cari amici che vive là ormai da anni… Una città piena di energia, un nuovo mondo da esplorare ricco di storia musicale, un’aria nuova mai respirata prima che ritrovo ogni volta che ritorno con appuntamento fisso ad aprile.

REGIA 

Sono sempre stato appassionato di cinema e in particolar modo di regia cinematografica, un interesse scaturito inizialmente dalla curiosità, che mi spingeva ad approfondire la realizzazione dei miei film preferiti.

Ho concluso da poco un corso per approcciarmi in modo più concreto e professionale a questa favolosa arte che mi permetterà di curare in prima persona i videoclip dei miei brani. Tra i vari sogni nel cassetto ci sarà spazio anche per un cortometraggio.

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Intervista Pop

Tra le strade affollate di sogni di “Urbe” di Yassmine Jabrane

Yassmine Jabrane è un’artista alla quale, da queste parte, teniamo parecchio: piglio “crossover” capace di unire la poesia di una scrittura ispirata a venature mediterranee che richiamano a sonorità perdute, la cantautrice ha finalmente debuttato con un disco che parla di identità, ricerca e voglia di reinventarsi, senza perdere naturalezza.

Cantautrice che non smette di stupire, Yassmine Jabrane ha da poco pubblicato “Urbe”, il suo primo disco: ecco, ma perché hai scelto proprio questo, come titolo del tuo lavoro?

Credo sia il più rappresentativo del progetto e dei brani che porta al suo interno! Essere in città ed essere cittadina è una parte fondamentale per me, Urbe è la mia dedica al luogo che mi ha cresciuta.

Raccontaci un po’ la genesi di queste canzoni: è stata una lunga gestazione quella di “Urbe”?

Molto, così tanto che ho pensato più volte che non sarei riuscita a condividerlo mai. C’è tanto di me, della mia storia, che a volte credo di essermi sentita forse un po’ troppo nuda scrivendo queste canzoni.

Pochi, ma intensi brani, per un percorso che ha vissuto già diverse svolte importanti ed emozionanti, con la partecipazione a premi di spessore. Quali sono state, secondo te, le tappe fondamentali del tuo percorso fin qui?

Credo sicuramente aver avuto la possibilità di cantare su palchi palchi grandi come quello di Deejay on Stage o prestigiosi come quello del Premio Lunezia.

Parliamo dei brani, che lasciano emergere l’intimità di una scrittura autoriflessiva: quanto ti senti cambiata, da quando hai cominciato a scrivere le canzoni di “Urbe”? Quanto invece continuano ad essere per te attuali?

È stato un lungo percorso, quindi inevitabilmente la risposta è si. Nonostante ciò sono sempre brani attuali per me. Credo che sia perché parlano di sensazioni più che di momenti e quindi questo li rende per me sempre attuali.

“Lady D”, il tuo ultimo singolo, aveva fatto intuire che il tuo sarebbe stato un disco capace di dare centralità alla tua sensibilità, rappresentando in qualche modo un nuovo modo di “vivere” l’emozione. Come ci si scherma dai dolori del nostro tempo? 

Francamente non ne ho idea… la mia soluzione è essere sempre circondata dalle “mie” persone. Per me non c’è nulla di più curativo di un pianto tra amici. Una vera e buona rete di supporto è un grande dono!

Quali sono le cose che vorresti cambiare nella discografia italiana? Immagina di avere la bacchetta magica…

La prima cosa che mi è venuta in mente leggendo la domanda, sono nomi di artisti emergenti che spaccano eppure non hanno la risonanza che meritano, quindi direi… un grande grande festival per emergenti..?

Bene, grazie per il tuo tempo Yassmine! E ora, cosa dobbiamo aspettarci dal tuo futuro?

Spero sempre più musica, sperando che l’uscita di Urbe sia solo un inizio!

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Intervista Pop

“Oltre” la mediocrità della canzone contemporanea c’è Paduano

Paduano è un nome che ci piace molto; il suo nuovo EP, “Oltre”, ci ha colpiti per la sua capacità di mettere a fuoco con lucidità ed eleganza un racconto personale che facilmente si eleva alla collettività. Potevamo, insomma, non fargli qualche domanda? Ovviamente, no.

Paduano, è un piacere conoscerti con un disco. Da quanto aspettavi questo momento?

Piacere mio. Dopo il primo disco pubblicato nel 2021, avevo in mano altri brani, non del tutto completi. Questo periodo è stato colmo di ricerca, ascolto e studio per cercare di avvicinarmi a sonorità diverse da cui sono attratto da qualche tempo. Poter pubblicare questo lavoro dopo qualche anno di elaborazione, è stata come una liberazione, un salpare e lasciare gli ormeggi, un nuovo punto di partenza.

“Oltre” è un lavoro denso, che a suo modo racconta con sincerità un percorso personale che può essere anche collettivo. Quanto è stato “terapeutico” per te scrivere le canzoni di questo tuo EP d’esordio? 

É stato terapeutico quanto formativo. Si può dire che alcuni di questi brani sono stati scritti insieme alla musica e alla ricerca del suono che abbiamo effettuato. Mi son ritrovato a dover cambiare modo di scrivere testi, non potendo essere prolisso, c’era la necessità di una scelta dettagliata e precisa delle parole. Poter riuscire a rendere i miei pensieri in brani diretti e allo stesso tempo esplicativi, sì questa è stata la mia terapia.

Una manciata di canzoni: perché non un disco più denso?

L’Ep presenta due brani dal carattere più pop (Buccia d’arancia e Argini), gli altri brani sono, a mio avviso, un’ottimo incontro tra canzone d’autore e  musica strumentale. La scelta di non inserire altri brani è proprio quella di non perdere la direzione che è stata presa per questo lavoro, che questi brani potessero conservare il loro spazio, senza il rischio di perdersi e confondersi in altre dimensioni.

Raccontaci i brani: in ognuno, c’è un po’ di te, ma ce n’è uno al quale ti senti particolarmente legato? 

Sono tutti brani che ho scritto nel giro di un anno, e quindi sono figli dello stesso trascorso e di emozioni e sensazioni simili fra loro. Il filo conduttore che li unisce è sicuramente quello di porsi delle domande, a cui, per certi versi, non serve neanche dare delle risposte definitive, ma domande che stimolano a guardare il proprio interno e cio’ che ci circonda da più prospettive. Posso dire per certo che Buccia d’arancia sia una dei brani a cui sono più legato, per l’intreccio melodico con il testo, e per aver provato a rendere un mio pensiero preciso e determinato avvicinabile a esperienze altrui.

Tra tutti, ci ha colpito per il suo sound “Ipermetrope”, brano dal retrogusto sperimentale che riflette in modo metaforico sul senso del tempo, e del suo inesorabile passaggio. Ci racconti come nasce questa canzone?

Un altro brano a cui sono molto legato è proprio Ipermetrope. E’ un brano che non ha la struttura classica della canzone, ma si è praticamente evoluta con l’arrangiamento. Sono molto legato al testo, che credo sia quello più personale dell’EP, ed emotivamente mi ha trasmesso tanto. E’ la presa di coscienza e la razionalizzazione della fine di un rapporto, capendo che la verità da cui a volte si cerca di scappare puo’ scaturire una delusione momentanea che il tempo trasformerà solo in un ricordo. L’arrangiamento e l’ambientazione di questo tema combaciano perfettamente ed il finale del brano sembra pian pian, tramite un vortice di archi e di synth, spostare le nuvole per far passare la tempesta.

Tutti i brani, vedono la firma di Caterina Bianco e Michele De Finis come produttore. Ci racconti come vi siete conosciuti, e com’è stato lavorare insieme?

Li ho conosciuto prima musicalmente con i progetti in cui hanno suonato e poi personalmente. Nel 2019 ero alla ricerca di un chitarrista, ed entrai in contatto con Michele, chitarrista, tra gli altri, degli EPO, band di cui sono fan. Gli feci ascoltare delle mie idee di brani e decidemmo di lavorarci insieme per arrangiarli, con l’aiuto di Caterina, che è per me tra le musiciste e polistrumentiste più brave di Napoli e non solo, ed in seguito di Antonio Dafe, sound designer e fonico di Tropico e La Maschera.

Paduano, grazie per il tuo tempo, e in bocca al lupo! Quando potremo ascoltarti dal vivo?

Siamo in fase di costruzione del live, tra poco usciranno le date dove poter sentire  questo disco dal vivo, Grazie a voi e viva il lupo.

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Pop

Le 5 cose preferite dei Malvasia

I Malvasia sono un gruppo Alternative Rock formatosi a Milano nel 2022. Il gruppo è composto da Mario Palmisano (chitarra e voce), Marco Miccoli (chitarra), Matteo Marchetti (basso e cori), Francesco Papale (batteria) e Salvatore Gravina (chitarra, cori e tastiera). Il progetto unisce testi schietti e ritornelli ossessivi, ai riff dal forte impatto ritmico e sonorità distorte, ottenendo così un mix musicale che spazia dall’alternative rock al pop, dal punk rock al cantautorato.

Il loro singolo di debutto si intitola “Fumo negli occhi”, brano registrato presso lo studio Il Cortile, con la produzione di Massimo Caso e successivamente masterizzato presso il 96khz Mastering Studio di Marco D’Agostino. La band alt-rock ci regala un prodotto musicale che è un mix tra le sonorità della vecchia scuola rock italiana e arrangiamenti che strizzano l’occhio all’alternative più moderno. “Fumo negli occhi” è stato premiato dalla Fondazione Estro Musicale tra le migliori composizioni del 2023.

Un progetto musicale agli inizi, ma che sembra avere già ben chiara la sua direzione. Abbiamo quindi provato a conoscere meglio i Malvasia attraverso una lista di tutto ciò che li caratterizza come band. Scopriamo allora quali sono le loro cinque cose preferite:

Le caramelle di Asiel

Asiel gestisce la sala prove dove ormai trascorriamo gran parte del nostro tempo insieme, tra prove, scrittura e briefing sul progetto. È un po’ il fratello maggiore dei Malvasia, perché ci ha visti nascere e crescere musicalmente tra le sue mura. Ci accoglie sempre con un sorriso a trentadue denti, capace di restituire serenità anche in momenti di stress e stanchezza; il suo perenne entusiasmo è riassumibile in una frase che ripete sempre: “l’importante è la carica”, ormai diventata uno dei nostri leitmotiv.
Riconosce ed ammira la dedizione con cui viviamo la nostra dimensione musicale, ed è sempre pronto, con simpatia e discrezione a condividere una buona parola. Ogni volta che usciamo dalla sala prove, spesso stanchi, sudati e visibilmente provati dalle intense sessioni, ci porge la sua magica scatola blu, piena di caramelle buonissime. Quel gesto è in grado di ripristinare in pochi istanti le nostre energie e migliorare l’umore nei momenti più provanti. Abbiamo il sospetto che Francesco (batteria) e Matteo (basso e cori) vengano alle prove unicamente per mangiare quelle caramelle, ma non ne abbiamo ancora la certezza.

Via Borsieri
Via Borsieri, a Milano, è uno dei luoghi nei quali abbiamo costruito i ricordi più belli e significativi del nostro primo periodo insieme. È la via dello studio Il Cortile, dove abbiamo registrato il nostro primo singolo, “Fumo negli occhi”, assieme a Massimo Caso, produttore di grande esperienza e competenza che ha creduto nella nostra musica, offrendoci stimoli e consigli preziosi.
Via Borsieri è anche la via delle cene o delle birrette serali per festeggiare le intense sessioni di prove prima del tour o delle ricche colazioni fatte nei giorni in cui Marco viene a Milano per lavorare insieme al progetto.


Gli esempi di Marco
Si dice che la musica sia un linguaggio universale capace di trascendere le differenze culturali, sociali e linguistiche.

Sembra tutto vero e condivisibile, finché non ti ritrovi a scrivere e comporre musica assieme a musicisti con background completamente differenti: da Salvatore diplomato in violino classico, a Matteo appassionato di prog, da Marco cresciuto a pane e drop D a Francesco con formazione funky e Mario il cui sangue è composto da globuli rossi e versi di Franco Battiato. Se ciò non bastasse, siamo 5 persone appartenenti a generazioni abbastanza distanti, da sentirci, a seconda dei casi, troppo giovani o troppo vecchi per comprendere gli altri.
In questo contesto è stato difficile costruire un linguaggio comune e permetterci l’intesa musicale, che a orecchi esterni sembra quasi scontata. Tra malintesi e incomprensioni, nelle nostre lunghe conversazioni in chat, videochiamata o dal vivo, arrivano inaspettatamente puntuali gli “esempi di Marco”. Articolate allegorie e fantasiose metafore che non riescono mai nell’intento di comunicare in maniera più precisa e comprensibile; ma che hanno il grande merito di alleggerire l’atmosfera e far calare la tensione nei momenti di fatica e/o stress.

La base parte con metronomo, charleston e campanaccio. Ci sono un paio di giri prima
dell’inizio, un giro prima sentirai un primo colpo di rullante, un secondo, e quattro colpi
finali e proprio qui devi partire fratello, devi prendere il volo come una rondine in una strana giornata di Aprile” 

(in foto l’immagine che Marco ha allegato per spiegare a Francesco il timing della traccia che aveva preparato)

 Il mare

“Senza spiegare nulla, senza dirti dove, ci sarà sempre un mare che ti chiamerà”.

Queste parole di Alessandro Baricco, tratte dal libro “Oceano Mare”, raccontano bene il sentimento di appartenenza che i Malvasia nutrono nei confronti di quel posto intimo, accogliente e sicuro che è il mare. Il nostro progetto nasce dall’idea di Mario e Marco, durante una chiacchierata nella loro città natale, Brindisi. Gli ascolti, di molti dischi che sono stati motivo di ispirazione e persino delle prime nostre demo autoprodotte, sono avvenuti in macchina, lungo la litoranea brindisina, che costeggia le bellissime spiagge bagnate dall’Adriatico. Ma ciascuno di noi 5, a prescindere dalla propria città di origine, ama mari diversi, per motivi diversi. C’è chi di noi va al mare per alleviare le tensioni, chi per osservarne le onde per trarne ispirazione e chi per immergersi in acqua in qualsiasi stagione dell’anno e farsi coccolare dalle correnti: cinque esistenze diverse, insomma, accomunate da un richiamo perenne, che si fa sempre più forte ogni volta che si è lontani da quelle acque a noi tanto care.

Un aneddoto particolare risale alla tournée pugliese tenutasi lo scorso dicembre: Salvatore, per ricaricare le energie, vuole a tutti i costi vedere il mare di Brindisi prima di andare a suonare, e riesce a convincere anche lo sventurato Francesco. Non conoscendo la zona, si affidano ciecamente alle indicazioni del navigatore scegliendo sulla mappa il primo punto di contatto con il mare. Dopo 25 minuti di camminata finiscono entrambi nei pressi di una zona militare con divieto assoluto di accesso e con sorveglianza armata. Francesco si è pentito di aver ceduto alla richiesta di Salvatore e soprattutto di non aver chiesto indicazioni a Mario e Marco. In compenso si sono ritrovati senza volerlo nei pressi di uno degli studi di registrazione più importanti del sud italia… ma questa è un’altra storia!

La magia vissuta dal palco
Il nostro habitat naturale è il palco e, in senso lato, ogni luogo in cui abbiamo la possibilità di spogliarci dalle sovrastrutture umane fatte di ansie, preoccupazioni, impegni e pressioni sociali, imbracciando i nostri strumenti. Sul palco abbiamo la possibilità di essere energia, dare sfogo ai nostri istinti artistici e abitare lo spazio scenico con libertà. Abbiamo avuto la fortuna di suonare nei contesti più disparati, calcando palchi differenti per forma, dimensioni e contesto. Abbiamo onorato ciascuno dei palchi sui quali abbiamo avuto la possibilità di esibirci con grande gratitudine e riconoscimento, anche nelle situazioni più spartane e arrangiate. 

Ma la fortuna più grande finora, è stata quella di trovare ad ogni concerto, delle persone pronte ad ascoltarci con attenzione, entusiasmo e trasporto. Tra queste persone ci sono sicuramente alcune della cerchia dei nostri affetti personali – alle quali va tutta la nostra gratitudine per ciò che stanno facendo per i Malvasia – ma anche perfetti sconosciuti che ci hanno mostrato, rispecchiando attraverso i loro occhi curiosi e affascinati, quanto siamo coinvolti e affiatati.
Siamo abituati ad essere insicuri, ipercritici, pessimisti e a non piacerci mai. Ma sul palco qualcosa cambia, e dai loro occhi riusciamo a vedere, anche nei momenti peggiori, quanto ci piaccia essere i Malvasia. 

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Indie Pop

Il primo disco di Pas Mal non è rock, ma spacca lo stesso

Niente male il disco d’esordio di Pas Mal, nome d’arte di Lorenzo Federici, volto certamente conosciuto alla scena indipendente nazionale: “Se fosse musica rock” è un concentrato di pop ben costruito e lavorato nelle fucine di La Clinica Dischi, con un occhio di riguardo per una scrittura che riesce ad essere profonda senza perdere leggerezza – come direbbe Italo Calvino.

Pas Mal ha un timbro che si scolpisce bene nel cuore, convincendo fin da primo ascolto della bontà di una proposta che conferma le aspettative ad ogni nuovo play: brani più arrembanti e coinvolgenti (come la hit “Vale Tutto” o “Crolla il cielo”) si sposano alla perfezione con canzoni più sommesse, che quasi assomigliano a rivelazioni fatte sottovoce al nostro cuore: lo avevamo già notato con “Asciutto”, ma potremmo dire lo stesso di “Sotto i nostri occhi”.

“Cimici”, infine, è davvero una piccola perla che racconta le insicurezze di tutti: un manifesto generazionale che trasuda tra le spire di un brano che fa degli interrogativi della vita uno stile di vita, dei dubbi e delle incertezze dei compagni di viaggio fedelissimi quanto rumorosi.

Un ottimo esordio, insomma, che merita fiducia e attenzione: fin qui, tutto bene, ora ci aspetta il futuro.