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Le 5 cose preferite di N’to Stina

Fuori dal 2 settembre “Musica Per Coppiette”, il terzo album di N’to Stina. Undici tracce acoustic punk rock e quattro bonus track che raccontano con ironia la vita di coppia, l’amicizia e l’avventura del viaggio. 

N’to Stina dopo un anno di pausa torna con una serie di brani travolgenti. La sua chitarra acustica coinvolge e cattura l’ascoltatore. La sua ironia strappa un sorriso e rallegra la giornata. “Musica Per Coppiette” è un album energico e fin dall’inizio ci presenta subito lo stile del musicista. Il primo pezzo “Mi sono rotto” è un vero e proprio sfogo verso la musica che non sempre regala soddisfazioni e l’amore. Si passa a due pezzi “Arezzo/Padova” e “Le case chiuse” in cui il tema è la disillusione amorosa. “Parità dei Sessi” e “Cazzeggiare” giocano sull’ironia. Mentre l’amore torna in modo differente rispetto ai primi brani in “Sempre gli stronzi” e “Voglio una ragazza cinese”. Si passa al tema di amicizia e viaggi in “Zurigo”.

Non mancano all’interno dell’album anche delle ballad romantiche dove N’to Stina si addolcisce e parla alla propria amata. In “Musica Per Coppiette” sono presenti anche alcuni brani in spagnolo e “Al Menos Tú Me Ama Un Poco” in versione elettrica.

Noi abbiamo deciso, com spesso facciamo, di chiedergli quali sono le sue 5 cose preferite.

1. La chitarra

Premetto subito di non essere un Jimi Hendrix o un Mark Knopfler della chitarra e che la mia tecnica è molto basilare, molti accordi ma pochissimi assoli e molto minimali. Amo questo strumento musicale… Trasmettere le proprie emozioni attraverso sei corde è una cosa stupenda! La possibilità di poter suonare qualsiasi canzone con questo strumento lo è ancora di più! Molti pomeriggi li passo con la chitarra sulle gambe davanti al PC, cercando accordi di canzoni che mi piacciono e provando a suonarle, per me è il top del relax. Penso che non riuscirei a vivere troppo a lungo senza toccare quelle sei corde.

2. blink-182

Sono sincero perché credo sia stupido indossare troppe maschere al giorno d’oggi e senza ulteriori giri di parole, confermo che i blink-182 sono la mia band preferita. Ho altre influenze musicali che vanno dal cantautorato all’hardcore-punk ma i blink per me rappresentano musicalmente il passaggio dall’adolescenza alla maturità nel miglior modo possibile. Nonostante i vari cambi di formazione della band, sono riusciti sempre a preservare quel “non prendersi troppo sul serio” a me tanto caro. Senza dubbio sono e rimangono una delle influenze che più mi ha spronato a fare musica e a scrivere testi propri.

3. Lo skate

Come per quanto riguarda la chitarra, non sono un Tony Hawk della tavola a quattro ruote. In adolescenza passavo molte giornate allo skatepark senza mai concludere nemmeno un ollie. Adesso che in teoria sono adulto, ho ricominciato a skateare e la tavola un po’ salta, anche se quell’ollie ancora non mi riesce. Anche se tuttora con i trick sono totalmente inesperto, andare in skate mi fa sentire benissimo.

Mi fa sentire libero. Mi appassiona molto vedere come gli skater professionisti riescano a salire rampe e scendere senza farsi male o vederli saltare scalinate assurde e tanto altro ancora… Penso veramente che lo skate sia qualcosa che vada aldilà del concetto di gravità umano, ed ogni giorno continua a sorprendermi sempre di più!

4. Viaggiare

C’è da dire che nell’era pre-covid, viaggiare era una cosa molto più all’ordine del giorno che in questi ultimi anni e personalmente da bambino mi ritrovavo a viaggiare molto insieme ai miei genitori. Purtroppo, è andata come è andata e molti viaggi in Europa ed all’estero che avevo in mente di fare già nel 2020, sono stati rimandati a tempo indeterminato. Tutto sommato, quando mi capita di avere abbastanza ferie dal lavoro, non perdo tempo ad organizzare un viaggio in qualche parte del mondo.

Adoro viaggiare, vedere posti nuovi e conoscere persone con storie ed abitudini diverse.

5. Il punk

Si può benissimo intendere come subcultura giovanile emersa negli Stati Uniti e nel Regno Unito a metà degli anni settanta, sia come genere musicale. Per citare il film “SLC Punk!”, chissenefrega di chi è stato ad iniziare!

Il punk per me è vita, un sentimento, che non è circoscritto solo alla musica con suoni di un certo tipo, se ce l’hai, ce l’hai dentro. Amo il punk sia stilisticamente che musicalmente e l’ascolto in ogni suo sottogenere, pure l’emo-trap, ed ascolto sia band storiche che recenti, sia internazionali che italiane e se riesco vado a pure ai concerti che sono dei veri e propri eventi per chi ama il genere. Non ho mai sentito un così forte senso di comunità sopra e sotto il palco quanto ai concerti punk, ogni volta sembra di essere in famiglia. Dagli anni ottanta fino ad oggi, c’è ancora chi dice sia morto.

Non sono d’accordo in alcun modo.

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Pop

Tina Platone ci racconta i suoi “Impulsi elettrici”

Finalista di Music is The Best e vincitrice del premio Rockit Pro del contest musicale organizzato da Panico Concerti e la regione Emilia-Romagna, conclusosi lo scorso 19 Maggio, che le ha permesso di pubblicare il singolo Luna d’Arancia, Tina Platone torna con un nuovo brano, decisamente più scuro e intitolato Impulsi Elettrici.

Il brano si presenta come un dramma sexy, un ballo nella psiche tra i pensieri tristi di giornate no e quelli delle profonde epifanie che si manifestano nel dolore.

La mente è come una caverna decadente in cui vengono proiettate delle ombre, scrivere canzoni è un processo di rivelazione e guarigione.

“In Impulsi Elettrici -rispondiamo ai ruggiti- e al senso di inadeguatezza e impotenza evocati nel brano precedente, Luna D’arancia. L’uno conseguenza dell’altro, come tappe di un percorso, puntate di un film che è stato la mia vita nel momento in cui li ho scritti, difficile ma anche prezioso e arricchente.”

Il brano è uscito il 29 Giugno su tutte le piattaforme digitali per l’etichetta Triginta.


Partiamo facendo ordine tra le idee che viaggiano nella tua testa. Presentati a chi ancora non ti conosce, cosa dobbiamo assolutamente sapere su di te?

Ciao! Sono Tina Platone, sono una cantautrice e sono da poco usciti due singoli Luna D’arancia e Impulsi Elettrici, puoi ascoltarli su tutte le piattaforme digitali e sono il preludio di una serie di brani che trattano il tema delle

Impulsi elettrici è il secondo episodio di un film a puntate di cui tu sei la regista. Ma facendo un salto indietro, cosa è successo nel primo episodio dal titolo Luna d’arancia?

Dico sempre che questi due brani sono uniti insieme da un link tematico che è la depressione. Il primo brano parla del sentirsi inappagati, svuotati da stimoli, complici uno stile di vita sregolato e l’ansia da prestazione di fronte alle sfide della vita e il confronto con gli altri. Credo sia successo a tutti nella vita di subire una battuta d’arresto. Luna D’Arancia è un istantanea di quel momento.

Qual è quindi il collegamento con l’episodio successivo che è appunto Impulsi elettrici?

Il brano successivo è sempre un brano cupo, scuro. Però qui avviene la prima reazione a quello stato descritto prima. Si torna a ruggire, per riprendere in mano la direzione della propria vita.

Perché hai scelto di mescolare l’elemento della danza nel videoclip di questo brano e come mai la scelta è ricaduta proprio sulla performer Laura Carnevali?

La danza è una disciplina che mi è sempre piaciuta, da piccola ho frequentato per qualche anno un corso di hiphop. Inutile dire che poi sono diventata un pezzo di legno, per cui di fronte a chi sa comunicare con il corpo rimango sempre affascinata.

Detto questo, il brano con il suo andamento cantilenante mi richiamava la danza, così ho chiesto a Laura di intepretarlo e coreografarlo. Nutro per lei una profonda stima artistica, mette una grande passione nel suo lavoro e la trovo estremamente espressiva.

Hai un programma l’uscita di un EP o di un album entro la fine dell’anno? Se sì secondo te gli ascoltatori hanno ancora la soglia dell’attenzione per ascoltare un lavoro per intero o la loro attenzione dura il tempo di un singolo?

Ho in programma l’uscita di un concept ep, sul tema delle ombre. Una piccola raccolta di brani che racchiudono momenti e considerazioni cupe che mi hanno attraversato negli ultimi anni.

Sulla questione dell’attenzione dell’ascoltatore mi sento di dire che cerco semplicemente di fare le cose con un senso. Per me presentare un lavoro significa trovare la formula che più si adatta al racconto che voglio fare. Il pubblico per me è un entità sensibile e intelligente, e va trattata come tale. Non mi piace cercare strategie per attirare l’attenzione o mantenerla, penso che crescendo sia umanamente che artisticamente si possa migliorare e creare link più forti con le persone, detto questo, prima va curato il proprio lavoro artistico e

Se dovessi pensare alle tue canzoni come colonna sonora, in quale momento o fase della vita consiglieresti di ascoltarle?

Consiglierei l’ascolto durante le fasi di transizione, quando avverti che stai cambiando e ti senti confus*. E’ in quei momenti che scrivo, per cercare di comprendere il momento che sto attraversando e in che direzione sto andando.

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Pop

Cosa c’è nella camera di Argo

Esce venerdì 16 settembre 2022 “Mi hanno detto che”, il primo singolo di Argo, prodotto da Trem, dopo più di un anno senza alcuna pubblicazione. Il singolo in questione rappresenta una frattura di un equilibrio fittizio che l’artista si era creato in successione ad alcune difficoltà personali che affronta nel testo, come disturbi d’ansia e dipendenza.

Argo compromette la propria “stabilità di facciata” accettando l’irruenza di un periodo passato che continua a pesare e a condizionare le sue aspettative e la sua concezione di sé. Il brano, accompagnato esclusivamente da alcune note di pianoforte e violino curate da Trem, trascina un’atmosfera soffocante ma anche consapevole. 

Noi ci siamo fatti mostrare casa sua, ed ecco com’è andata.

Ho 14 anni, vivo ancora a Brescia e acquisto un walkman usato online per €5. Questa è la “foto” che ho in testa ogni volta che mi capita tra le mani questo affascinante “strumento vintage”. Avevo appena trovato una decina di musicassette di mio padre, si era fatto delle compilation della musica che si ascoltava verso l’inizio degli anni ’90. Volevo fare un tuffo nel passato, sentirmi come mio padre che ascoltava quella musica in camera sua. Ho iniziato a sentirle mentre studiavo o mentre disegnavo i graffiti. Mi sono subito lasciato travolgere da alcuni artisti come i Queen, Peter Tosh, Jimmy Cliff, Sting. È stato un bell’input per il mio interesse verso la musica.

Questo disegno l’ho ricevuto da un mio caro amico, Christian (in arte Morb).
Era appena uscito uno dei miei primi pezzi (“Stand-By”), stavamo ascoltando la musica a casa sua e ad un certo punto parte la mia traccia.
Lui inizia a focalizzarsi solo su un disegno e per me era normale, anche lui era presissimo dai graffiti, pensavo stesse facendo le solite tag. Dopo alcuni minuti mi regala il foglio con sopra una frase della mia canzone “Serpenti fratè, non li senti, non ci sono sonagli, arrivano e non te l’aspetti”. Ricordo che mi emozionò molto questo gesto. Ora tengo il foglio all’interno del mio armadio e lo guardo ogni giorno.

 

Ai primi live mi diedero dei pass totalmente inutili. Si trattava di contesti piccoli, non c’era bisogno di un pass per tutti e venti i ragazzi che dovevano cantare.
Mi piacque così tanto farmi sentire, però, che decisi di tenere ogni cosa che potesse ricordarmi quella sensazione. Conservo tutto sulle due mensole dove tengo i miei vinili preferiti.

Questo è il mio lockdown.
Il lockdown mi è servito molto sotto tanti aspetti, innanzi tutto mi ha insegnato a stare bene da solo. Ero ingrassato di 10 kg, pur essendo sempre stato molto magro. Stavo terminando una terapia per i miei problemi d’ansia che mi ha causato un rallentamento del metabolismo significativo. Ho iniziato a bere molto alcool dopo aver interrotto l’uso di ansiolitici, e ogni bottiglia la lasciavo in camera. Ora è diventata una collezione, un promemoria per ricordarmi che “ho già dato”.

Durante il lockdown ho comprato delle cose per poter registrare le idee che mi venivano per dei nuovi testi. Poi l’interesse si è allargato verso tutto il mondo della post produzione audio (editing, mix, mastering, ecc).
Dopo un’esperienza lavorativa che non mi appagava mi sono iscritto a un corso per diventare un tecnico del suono.

Queste cuffie sono state il regalo di compleanno delle persone più vicine a me. Da questo regalo ho potuto sentire tutto il sostegno delle persone a cui voglio bene.

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Indie

I segreti di Conserere: una doppia residenza artistica a Milano

In ViaFarini.Work (in via Marco d’Agrate 33, Milano) una settimana di incontri tra il collettivo di musicisti Conserere e artisti esterni, coordinato da Simone Baron (USA) e Camila Nebbia (Argentina): un workshop tradizionale si espande fino alla resa di un lavoro finale sotto forma di concerto. Dal 12 al 18 settembre.

Conserere è un collettivo autogestito e autofinanziato composto da musicisti e musiciste che fanno dell’improvvisazione il centro della propria ricerca artistica. Nato nel 2016 in risposta ad un bisogno condiviso di avere spazi e luoghi in cui potersi confrontare sul tema, Conserere vuole creare una rete di supporto, educazione e diffusione riguardo al tema della musica improvvisata.
 L’attenzione del collettivo si rivolge in particolare ad un tipo di improvvisazione fondata sull’idea di ascolto e dialogo. Non ci sono generi, sonorità o strumenti che non siano ben accetti, purché questi si integrino nel paesaggio sonoro con intelligenza e senso critico. L’idea che muove Conserere è quella che possa esistere una collettività che tutela la crescita degli individui, che a loro volta attraverso la propria crescita rendono viva e sana la comunità in cui vivono. È solo attraverso lo sviluppo di un’acuta capacità di osservazione, ascolto e analisi che è possibile prendere delle scelte consapevoli e determinanti nello stabilire la qualità del mondo in cui viviamo. Tramite la pratica dell’improvvisazione si esercita il corpo a reagire in maniera creativa e immediata a situazioni inaspettate ed estemporanee.

Non potevamo che farci raccontare qualcosa.

  1. Chi fa parte del collettivo Conserere? E come siete arrivati, nell’ormai lontano 2016, alla nascita di Conserere?

    Iniziando dalla seconda domanda, Conserere nasce a Milano come risposta ad una necessità condivisa tra musicisti e musiciste (soprattutto gravitanti attorno agli ambienti di Scuola Civica e Conservatorio, ma non solo) di avere uno spazio in cui poter praticare musica improvvisata, disciplina che purtroppo spesso in Italia, sia a livello istituzionale che non, viene trattata senza la giusta considerazione e fatica a trovare lo spazio che merita.
    Ricavato questo spazio-tempo in cui esercitare l’improvvisazione, è sorta in fretta anche la necessità di proporre attività sul territorio volte alla promozione e diffusione della musica improvvisata, proprio a fronte di voler avvicinare nuove persone e creare una scena -sia di musicist* che di pubblico- più stabile e fervida di quanto non sia ad ora. In questo senso teniamo molto al sottotitolo di Conserere, che è “Laboratorio di improvvisazione aperto alla città”.
    Fanno parte del Collettivo, ad oggi, giovani musicisti e musiciste provenienti da vari percorsi: chi studia nei Conservatori o nelle Accademie di musica, chi studia altro ma ha sempre suonato, chi si approccia alla musica da poco, chi svolge il lavoro del/della musicista a tempo pieno. Quello che accomuna queste persone tuttavia è un’estrema voglia di ascoltare e l’idea che sia possibile creare nuove forme di interazione, artistica o sociale che sia, basate sull’ascolto, la comprensione e il rispetto reciproco.
  2. Qual è la storia di uno dei membri più vecchi di questo gruppo, e quale invece quella di uno degli ultimi arrivati?

    Federico, uno dei fondatori di Conserere:
    “Quando nacque Conserere frequentavo le classi di jazz del Conservatorio di Milano, fresco di maturità. La curiosità e l’entusiasmo per il jazz e musica improvvisata mi spingevano a creare eventi di incontri creativi tra persone, musicisti, nei quali potersi immergere suonando, ascoltando e discutendo assieme.
    A seguito di due preziosi anni nella scena milanese jazz mi sono spostato ad Amsterdam per perfezionare i miei studi e interagire con una scena musicale creativa di respiro internazionale.
    Dopo quattro anni olandesi mi ritrovo adesso a metà tra Italia e Olanda, affiancando anche l’attività di insegnamento a quella concertista/artistica. Con l’obbiettivo di creare ponti tra musicisti di diversi luoghi e favorire lo sviluppo di un ambiente più internazionale in Italia, talvolta chiuso nel suo provincialismo…”
    Giovanni, uno dei più recenti membri del collettivo:
    “La prima volta che mi sono imbattuto nel laboratorio Conserere ho avuto la percezione che si trattasse di un ibrido tra alcune tipologie di teatro e una jam musicale allo stesso tempo. Ci è stato suggerito di ispirarsi a qualsiasi spunto sonoro ci circondasse compreso il silenzio, il tutto sottolineando il valore del rispetto reciproco. Provenendo come artista dal sound design ho trovato nel progetto: sia un modo per imparare ad allenare il suonare musica d’insieme sia pane per i miei denti poiché ho sempre adorato ascoltare per farmi ispirare senza un vero e proprio genere di riferimento. Come nella vita (e questo è uno degli ideali principali di Conserere) non è preoccupante che ci siano diversità tra le persone, l’importante è che vi sia il rispetto tra esse.”
  3. In che senso “l’improvvisazione sia come pratica di innovazione che di adattamento”?

    “Improvvisare”, in senso comune, ha la maggior parte delle volte un’accezione di ripiego su qualcosa per via di una mancanza di qualcos’altro, senza una vera conoscenza né competenza approfondita di questo qualcos’altro (“improvvisare qualcosa a una cena”, “improvvisarsi un mestiere”, etc). Questa è una pratica di adattamento, ovverosia adattare la propria attività e cercare di stare dentro in qualcosa forse di noto ma non troppo confortevole. Noi senza dubbio accettiamo questa connotazione della parola improvvisare.
    Tuttavia vogliamo anche e soprattutto usare l’improvvisazione come pratica di indagine e ricerca. Un tipo di improvvisazione che non è dettata dalla mancanza di alcunché, ma è generata anzi dalla volontà di scoperta. Scoprendo cose nuove è possibile innovare. In questo senso, come pratica di innovazione, l’improvvisazione è il mezzo che scegliamo per cercare conoscere la realtà.
  4. Esistono musicisti che non sanno improvvisare?

    In un’accezione molto larga di improvvisazione, no. Tutti improvvisiamo ogni giorno, a iniziare da quando ci svegliamo e decidiamo con cosa fare colazione, o come vestirci, o se intessiamo relazioni con altre persone. Soprattutto per quanto riguarda le relazione che le altre persone, è molto difficile prestabilirle: questo ci obbliga ad improvvisare.
    In un’accezione musicale di improvvisazione, sicuramente sì esistono musicisti che non improvvisano. Così come esistono musicisti che non leggono la musica, musicisti che improvvisano bene in uno stile ma non in un altro, musicisti che scrivono musica o musicisti che non scrivono musica. La musica è un campo vastissimo, ognuno sceglie per sé il modo in cui decide di conoscerla, studiarla, praticarla. La musica è esattamente il mondo, piena di culture e persone differenti. In tutto queste differenze e capacità o non-capacità, quello che dovrebbe contare unicamente è il rispetto reciproco e la comprensione dei percorsi altrui.
  5. E adesso?

    E adesso vi aspettiamo tutti e tutte mercoledì 14 e sabato 17 settembre, in ViaFarini.Work, via Marco d’Agrate 33, ore 21.00 per i concerti di Conserere Ensemble assieme a Simone Baron e Camila Nebbia. Ingresso gratuito a offerta libera. Saranno due concerti memorabili.
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Indie Intervista Pop

La vita è una serie di “Partenze”: dentro l’EP dei Manila

I Manila mi piacciono da quando, qualche tempo fa, arrivò in mail la proposta di “Cuore in gola”, l’ultimo loro singolo prima della pubblicazione – risalente a sole poche settimane fa: non sentitevi in colpa se ancora non li conoscete, ma non rimandate oltre il momento della scoperta! – di “Partenze”, l’EP d’esordio prodotto da Leo Caleo (ricordate “Asteroidi”? Quanto ci era piaciuta, quella canzone…).

Già allora si avvertiva che la musica del quintetto toscano respirasse di una sua dimensione diversa rispetto a ciò che sul mercato pare dominare scene ridotte ormai a stanze virtuali, a contenitori di prodotti troppo spesso simili a lattine da esporre sugli scaffali di un supermercato (low cost) piuttosto che a vere e proprie “opere”: ecco perché, oggi, trovarci a parlare di “Partenze” diventa un buon antidoto alle tossine da “qualunquismo” applicato.

Abbiamo fatto qualche domanda alla band, che ben si è prestata al nostro fuoco incrociato. Buona lettura, e correte a scoprire “Partenze”.

Ciao Manila, abbiamo già avuto modo di conoscere la vostra musica qualche tempo fa, quando abbiamo selezionato il vostro nome tra le uscite calde del nostro bollettino mensile. Oggi, tornate con un EP carico di novità: quanto aspettavate questo momento, e come vi sentite, ora che il vostro disco di debutto è finalmente “fuori”?

Ciao Perindiepoi! Beh, sicuramente è una grandissima soddisfazione! Riuscir finalmente a vedere pubblicato ovunque del materiale a cui lavoravi da tempo appaga e, soprattutto, pensare che chiunque possa ascoltarlo è una bella sensazione! 

Partiamo dall’inizio, seguendo il flusso suggerito dal titolo dell’EP: da dove “parte”, il viaggio di Manila?

Il nostro viaggio parte esattamente da qui, da questo EP che segna la “fine primo tempo” del nostro cammino intrapreso con i nostri primi tre singoli. Ora ci siamo, si parte, siamo pronti a tutto.  

Tre singoli pubblicati nel giro di diversi mesi, a testimonianza di un progetto cresciuto con “lievitazione lenta”, senza fretta di nulla: è stato un processo complesso e frastagliato, oppure le tempistiche della pubblicazione erano state decise già dall’inizio?

Secondo noi, dilazionare le uscite con qualche mese di distacco può creare un po’ di hype senza far “dimenticare” alla gente che esistiamo. Poi, in effetti, quando lavoriamo a un brano, cerchiamo di dargli il massimo della cura e della dedizione e, quando ne scegliamo uno su cui lavorare, va tutto in discesa, la programmazione in genere viene sempre rispettata. 

I vostri brani raccontano, con la semplicità del pop, una condizione di eterna ricerca di un centro di gravità permanente, di un luogo che “inferno non sia”. Credete che ci sia qualcosa di “generazionale”, in tale condizione di “partenti” che “Partenze” sembra raccontare?

No, noi in realtà non vogliamo farne una questione generazionale ma più semplicemente descrivere situazioni che possono far parte della vita delle persone in generale. Ci spieghiamo meglio, nei brani contenuti nell’EP ci sono persone che non riescono a legare sentimentalmente ed emotivamente tra di loro e inevitabilmente, le loro strade si dividono. Le nostre “Partenze” personali riguardano principalmente questa pubblicazione e tutto ciò che le sta intorno, la nostra avventura musicale sia in studio che live. I nostri bagagli sono pronti, si parte, dobbiamo far sentire la nostra musica!

“Segnali” ci colpisce, perché è un brano da mood estivo che arriva però a chiudere l’estate. C’è qualche aneddoto legato ai due brani che chiudono la cinquina dei vostri inediti?

La curiosità più grande riguarda proprio il brano che vi ha colpito di più: “Segnali” nasce inizialmente come brano acustico ed è stato poi riarrangiato col tempo. L’avreste mai detto? “First reaction, shock!”

L’ultima domanda la vorremo dedicare a chi ha lavorato alla produzione dei vostri brani: Leo Caleo è infatti un nome che, da queste parti, è già passato. Ci raccontate come è stato lavorare con lui?

Leo, che sotto veste di produttore si fa chiamare “Merlo Dischi”, è una persona esplosiva e alle volte imprevedibile, ma ha dei colpi di genio che riescono a ordinare e indirizzare verso la forma definitiva di un brano, nel quale riesce sempre a inserire un po’ i gusti musicali di tutti i membri della band. Ha delle ottime intuizioni e lavorare con lui è persino divertente!

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Pop

Cosa c’è nella sala prove dei Rosso Marte

Esce domenica 11 settembre 2022 il singolo di debutto dei Rosso Marte, un nuovo progetto che si affaccia sulla scena indipendente in attesa di un disco in uscita ad ottobre. Ecco un brano dal titolo “Godi e persevera”  che si presenza come una canzone di rinascita, un grido di rabbia e sana disperazione, che ha fame e voglia di riscatto. Il brano è scritto in romanesco, una scelta linguistica intesa come sincera espressione della cultura e delle emozioni più profonde della band. Il coro di sottofondo dona al pezzo un’atmosfera western.

Noi non potevamo resistere, e abbiamo fatto un salto nella loro sala prove. Ecco cosa ci hanno mostrato.

Claudio:
AMPLIFICATORE ORANGE MINI CRUSH

È un piccolo amplificatori da 3W, lo porto con me da sempre e nella base operativa dei Rosso Marte non poteva mancare. In contrasto con tutta la strumentazione potente che si usa normalmente, mi riporta sempre a una dimensione intima, Lo-Fi. Mi da sempre conforto averlo nei miei luoghi creativi, lo uso per qualsiasi cosa, dalla voce, ai sintetizzatori, dona quel suono scatoloso e distorto ma allo stesso tempo autentico che non si otterrebbe con nessun plugin.

AMULETO SU BECCU

Preso in una bancarella in Sardegna, da un artigiano del luogo, un oggetto dal grande valore spirituale raffigurante la maschera del carnevale ottanese ”Su Beccu” in osso di montone. La cultura Sarda mi ha dato tanto in passato e ho bisogno di avere sempre con me un amuleto che ha in se un’energia antica legata al carnevale, al folclore, alla terra. Mi sembra giusto averlo sempre sul palco e in sala prove, appeso all’asta del microfono o alla pedaliera della chitarra.

Luca:
PEDALE CASSA DW4000

Agli occhi degli addetti ai lavori questo è uno dei pedali più venduti e usati da noi che percuotiamo tamburi. Tuttavia si tratta di un oggetto a me molto caro, essendo infatti il primissimo pezzo mai acquistato della mia batteria. Lo comprai nel 2007, con i primi soldi messi da parte grazie ai lavoretti estivi. Da allora non l’ho più cambiato con niente, nonostante gli anni iniziano a farsi sentire (e le migliaia di ore suonate sulle spalle). Lui c’è sempre stato, nei miei primi concerti, nelle prove, fino alla registrazione di “Ciao Freud” di qualche mese fa. Fa tutt’ora parte del mio set, circondato da tamburi e piatti molto più giovani di lui.

CD “BY THE WAY – RHCP” ORIGINALE DEL 2002

Senza girarci intorno, sono cresciuto a pane e Red Hot. Probabilmente Chad Smith è la ragione per cui ho preso in mano le bacchette, e questo CD mi è stato regalato da mio padre il giorno stesso della sua uscita, essendo già un patito da quando avevo 6 anni (nel 1999, anno in cui uscì Californication). Come si vede dalla foto è parecchio vissuto, lo portavo sempre con me nel mio lettore CD portatile della Philips, lo ascoltavo e lo riascoltavo e facevo l’air drumming di ogni singolo brano sognando di suonare in uno arena con 60.000 persone. Non poteva certo non farmi compagnia nella casa dei Rosso Marte.

Oggetto in Comune:
TENDA ISOLANTE ACUSTICA

È l’ultimo oggetto montato nella nostra sala prove, posizionata all’entrata svolge la funzione tecnica di isolarci a livello acustico dall’esterno. Rappresenta per noi quel distacco dal mondo esterno quando siamo lì dentro, in modo da concentrarci e trasportaci profondamente nel nostro mondo sonoro.

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Pop

“Solo colpa mia” di Parker è il miglior recupero che potrete fare a settembre

Settembre è sempre il periodo più strano dell’anno, quello in cui bisogna riassestare il tutto, quello in cui bisogna inevitabilmente scontrarsi con il fatto che no, tutti gli obiettivi che c’eravamo dati prima della fine dell’estate non li rispetteremo, perchè saremo inondati di impegni di cui non avevamo neanche potuto considerare l’esistenza. Settembre è quel mese in cui ci rendiamo conto che siamo solo dei falliti e che ci siamo lasciati indietro tantissimo dischi durante l’anno, che non riusciremo mai a stare al passo con le uscite discografiche, perchè siamo sepolti ancora da quelle vecchie.

E scavando come un procione tra tutto ciò che avevo lasciato indietro, eccomi che mi imbatto in “Solo colpa mia” di Parker. Titolo esemplare per me che mi sento un fallito, per me che mi ero fatta la lista infinita di film da vedere e che non rispetterò mai. ndici tracce che si sviluppano come un’autobiografia musicale tra riferimenti letterari e movenze sfacciatamente pop. Un disco che sa di casa, che non ha pretese e che si assorbe facilmente nei tragitti casa-ufficio, in tutta questa normalità imperante scandita dalla sveglia alle 7 e 30. Ho voglia di vivere in questo disco, che per una volta non scimmiotta scene impegnate, volontà di suonare diverso, volontà di appartenenza alla scena underground, ma è di un semplicissimo cantautorato pop, e racconta la storia di tutti noi stronzi che non facciamo altro che perderci i pezzi per strada, collezionando colpe e fallimenti.

Parker è un progetto semplice diretto senza mezzi termini. Un viaggio tra tristezza e sensi di colpa con l’ostacolo della solitudine. Manuel Pippus, vero nome di Parker, ex chitarrista dei Quasar, band di apertura del primo tour dei Modà e dei Q-indie, band inglese brit pop, decide di intraprende la strada di cantautore dopo anni di inattività cercando di raggiungere l’ascoltatore toccando i punti più fragili dell’animo: la fragilità emotiva e la riconoscenza non ricambiata.

La vera felicità si ottiene non aspettandosi nulla indietro, vivendo al massimo delle proprie possibilità e dando un’importanza alla propria persona molto più intensa e vera di quella che è.

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Pop

Cosa c’è nella camera di Samuele Proto

Dopo “Fuliggine” Samuele Proto torna a raccontarsi con “Atenei“, il nuovo singolo in uscita venerdì 9 settembre per Shed626, che anticipa la pubblicazione dell’album il 23 settembre. Atenei è una ballad romantica ispirata alla musica d’autore degli anni ’70 che racconta il sentimento personale del vuoto e della mancanza di una persona cara. Un’emozione semplice e diretta descritta da una scrittura ricca di immagini che ricreano l’atmosfera della notte, con i colori e le forme di una città deserta, e pian piano lasciano spazio all’arrivo dell’alba:

 “Si scorge tra le montagne, la luce rossa dell’alba, sembra quasi mattina.
Non c’è più ombra che tenga, i fari negli atenei ma tu non ci sei.”

Noi abbiamo deciso di fare un salto a casa sua, ed ecco cosa ci ha mostrato.

POUF 

Sono sempre stato un tipo molto dinamico. Mi è sempre piaciuto pensare e fare tanto, dieci, quindici idee alla volta non mi hanno mai spaventato. Sarà per questa costante irrequietezza mentale e fisica, o per il fisiologico bisogno di prendermi dei momenti “meditativi”, che lego questo oggetto, un pouf, alla mia infanzia, adolescenza e crescita. 

Ricordo ancora quando i miei genitori me lo misero in cameretta, ero veramente piccolo, frequentatore assiduo dell’asilo, bambino fantasioso e sempre pronto a creare nuovi mondi. All’epoca usavo il puoi in modo abbastanza spericolato, morbido atterraggio dai “miei voli” scalmanati. Momenti in cui i miei pensieri si focalizzavano su una sola cosa, momenti in cui concettualmente meditavo. Crescendo il gioco divenne riflessione ed ecco come il pouf si trasformò in un ottimo “compagno di chiacchiere”. Non sono mai stato un tipo estremamente negativo. Ma il “periodo teen” mette a dura prova chiunque. Le lacrime del periodo trovavano forza in quella strana seduta, ed io, sfogato, tornavo a vivere il tumultuoso giro di pensieri. 

Oggi questo pouf ha un ruolo decisamente più profondo, anche se indiretto. Il mio disco è stato scritto proprio la sopra, e anche se il mio sogno è quello di lavorare con la musica, con le mie parole. Cosa è meditazione se non sdraiarsi la sopra e lasciare i propri pensieri su carta?

CONTINUUM

Quando avevo circa 13 anni vidi un video. Si trattava di un Live di John Mayer, personaggio sconosciuto fino a quel momento. In casa si sentiva buona musica, si suonavano strumenti ma mai avrei pensato che un video potesse stravolgermi la vita. Un momento fortuito, un attimo. Si accesa la scintilla. Da quel momento il mio desiderio è stato solo uno, fare la mia musica. 

Con quel video comincia a buttarmi a capofitto nella cosa, e scoprì tutto un mondo. Ogni giorno andavo alla ricerca di nuova musica, dal più antico di blues di Big Mama Thornton ai pezzi dei cantautori italiani. Poi il pop moderno, poi il rock, la musica brasiliana e così via. Un giro del mondo che aveva però come fine ed inizio sempre questo disco: Continuum. Ti sarò per sempre grato John. Hai cambiato, spero in meglio, la mia esistenza con questo album. 

SEI CORDE

Risulta banale, ma banale non è. 

Sei corde, oggetto complesso, particolare. La chitarra è ciò che, nel mio caso, materializza l’immateriale. 

Non importa quale sia la chitarra, non sono del tutto legato al modello o al colore. Cosa importante è che stia sempre ben a portata di mano. Accanto alla scrivania, al divano. Guai a chi si dimentica del divertimento, i giocattoli cambiano forma, utilizzo ma sono sempre fondamentali per non smettere di andare oltre il normale. 

MACCHININA 

Non amo particolarmente guidare. Mi stanco facilmente, fosse per me l’auto sarebbe solo oggetto di trasporto. Poi però mi fermo ad osservare certe linee, certi tratti. Mi rendo conto che il gusto è soggettivo ma ci sono alcune cose che sconfiggono il passare del tempo. Elementi che rimangono attuali, forse perché estremamente ben fatti, o forse semplicemente perché estremamente belli. 

Questa macchinina, me la porto sempre dietro. Nelle sue mille evoluzioni rimane ai miei occhi sempre oggetto misterioso. Capace di rimanere immortale, mai banale, sempre da scoprire. Cosi tanto da dedicargli il mio primo EP “33 Stradale”. 

Certe sere la guardo, tratteggia la linea del mio lavoro nella musica, l’obiettivo di riuscire, anche se solo per pochi, a realizzare qualcosa che rimarrà nel tempo.

 

QUADRO

Questa stampa è una foto che mi porterò dietro per sempre. Siamo io e mio fratello il giorno in cui abbiamo portato la prima scrivania e il primo computer nel nostro posto. Il nostro studio/casa/mondo.

C’è poco da aggiungere a riguardo. Circondarsi di persone a cui vuoi bene, portare avanti i propri progetti e cogliere nelle piccole cose gli elementi STRAordinari.  

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Indie

Cosa c’è nella sala prove dei Sospesi

Esce giovedì 8 settembre 2022, in attesa di un album di debutto in uscita il 22 settembre, un nuovo capitolo firmato dai Sospesi, band lombarda che torna dall’estate regalandoci “Attitudine“, il nuovo singolo. I Sospesi sono una band alternative rock che con i propri testi si oppone alla hustle culture, alla società perfomativa e alla stigmatizzazione dell’errore. Il brano che ben si incastra con il concept dell’album in arrivo (dal titolo “Tentativi ed errori“), dedicato a chi si sente un fallimento e sta ancora scavando tra le proprie attitudini, a chi è esausto dei paragoni con gli altri, delle pressioni esterne ed interne. 

Abbiamo deciso di andarli a disturbare nella loro sala prove, ed ecco cosa ci hanno mostrato.

l foglio con scritto “Salvini Merda”.
l’8 giugno 2019 abbiamo suonato all’Andalo Rock in apertura ad Edda.
Salvini era diventato vicepresidente del consiglio dei ministri dall’inizio del mese e aveva già chiuso i porti e respinto navi cariche di esseri umani.

Il frigo pieno di birre sottomarca: è il carburante della nostra tristezza. Ogni sorso ti fa pensare a quanto la tua permanenza in questo mondo sia approssimativa. E’ anche la nostra moneta di scambio e il kit di benvenuto: se passi da noi sai che puoi trovare sempre un caffè e una birretta fredda oltre che 5 amici con cui piangere. Il frigo con le birre, sempre puntualmente rifornito e ordinato, è anche la cosa che fa sentire la nostra saletta una seconda casa dove puoi suonare, arrabbiarti, confrontarti e trovare un posto sicuro dove poterti rifugiare.

Le sedie di plastica: strumento fondamentale della convivenza in saletta. Hanno sorretto i nostri corpi per molti anni finchè, un giorno, all’improvviso hanno deciso di cedere una ad una in modo sequenziale al peso delle nostre membra. Questo avvenimento oltre ad aver scaturito ilarità e problemi articolari ci ha fatto riflettere sulla fragilità delle cose che amiamo: di come un giorno sono forti alleati per il nostro benessere e poi, d’improvviso, si rompono lasciandoti quel vuoto sconfinato da colmare (e il mal di schiena per 3 settimane).

L’umarell 3D:
É il manager della band, il membro in più. È sempre presente, in ogni registrazione, prova o live da quando suoniamo. Il nostro spirito guida: stanco.

Lo sgabello Ikea:

Parte 1 di un kit per porre fine alle sofferenze o detta meglio “ci serviva per un video…ci servirà per il futuro”

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Pop

Le 5 cose preferite di Myle

“Is not Here” è il nuovo album di Myle, al secolo Emiliano Aimi: nato a Parma ma di stanza in Costa Azzurra, il musicista si è avvalso della collaborazione di importanti nomi nazionali e internazionali per un disco di quattordici canzoni che attraversa molti generi e molte atmosfere. Ecco le sue cinque cose preferite. 

01 SCRIVERE

La linfa. La missione. Scrivere, raccontare e comunicare. Per me è tutto ciò che davvero conta. Scrivo e interpreto musica perché qualcuno la ascolti, scrivo testi perché qualcuno li viva, perché qualcuno faccia suo il messaggio. Scrivere e riscrivere, pensare e ripensare, finché tutto non si incastra con la musica e con ciò che voglio raccontare.

02 IL VINO

Negli anni è diventata la massima passione, insieme alla musica, oltre che il lavoro a cui dedico gran parte del mio tempo. La gastronomia, la ristorazione e l’agricoltura in generale, ma soprattutto il vino. Quello vero, quello degli artigiani, quello prodotto nel rispetto della terra, della pianta e di chi beve. Quello magico, quello che racconta storie millenarie di vita e passione, quello che emoziona. Non avrei mai saputo quale bottiglia mettere, quindi ho scelto una delle cantine più iconiche, suggestive e forse metafisiche al Mondo, quella di Josko Gravner, in una foto scattata da me chissà quanti anni fa.

03 BERNARDO BERTOLUCCI

Ho tanti ispiratori, e forse non è uno di questi. Forse eh, magari perché banalmente non un musicista o uno scrittore. Ma in Bertolucci trovo le atmosfere in cui sono nato, e è davvero uno dei pochissimi orgogli che ritrovo nelle mie origini. Lui che ha raccontato le tragedie di tutti quegli uomini ridicoli che forse ancora non si sono sforzati di capire chi sia stato per Parma e, ancora di più, per il nostro Tempo.  Ecco, uno dei più grandi narratori delle tragedie umani del proprio tempo, delle meschinità, del dualismo, dell’alienazione e allo stesso tempo della vitalità. 

Poche cose mi rendono fiero come l’esserne conterraneo, e poche cose mi mortificano come il mancato riconoscimento che ha avuto in vita dalla propria terra d’origine.

Qui nell’opera di un altro grande conterraneo, nonché mio grande amico, purtroppo scomparso a causa del Covid, ovvero Flavio Kampah. Un altro grandissimo artista che Parma non ha mai saputo comprendere.

04 IL LUOGO IN CUI VIVO

Ovvero Nizza e in generale la Costa Azzurra. Suggestivo è dir poco: una sintesi di contaminazioni culturali, storiche e sociali. Non è Francia, non è Italia, non è Inghilterra, non è Mediterraneo, ma è un’unione di tutto questo in sviluppi sorprendenti.

Cielo enorme, mare azzurro, clima da favola, storia millenaria, società, arte e cultura in evoluzione frenetica. Sembra che ci si debba andare in vacanza e basta, poi in realtà ti sorprende ogni giorno. 

05 IL CAFFE’

E con questo tanti altri riti da degustatore seriale, alla ricerca della purezza del sapore e del prodotto, dell’esaltazione massima del lavoro degli agricoltori. Perché di questo si tratta, in fondo: di agricoltori dalle braccia sottili e dai nervi d’acciaio, che ogni giorno coltivano e raccolgono, e gli artigiani che devono fare del loro meglio per finalizzare senza rovinare il lavoro enorme che ci sta alla base. Questo è la gastronomia, sapete, tutto il resto non è che un esercizio di stile.

Qui il capolavoro di estrazione pura degli olii essenziali di un caffè tostato forse dal più grande artista mai vissuto, Gianni Frasi.

Il caffè simboleggia la capacità e la magia dell’andare a fondo in ciò che si fa, trovare il modo di rendere straordinario ciò che nient’altro che un “piccolo osso morto”, ma che deve soltanto esprimere la propria vera essenza.