Demoni è un album di dieci brani per scoprire una dimensione completamente nuova della band che, messa da parte l’istintività del primo album, riesce a traghettare l’ascoltatore in un viaggio in bilico tra ragione e sentimento, spaziando tra ritmiche incalzanti, arrangiamenti cangianti e suadenti melodie. Mi ritrovo qui, superati i 30 con questo disco nelle cuffie, che mi ha fatto stare male più del dovuto, con un album subdolo e suadente che ti culla con belle linee di chitarra e testi rassicuranti, per accompagnarti alla fine alla consapevolezza più estrema: la pacchia è finita, sei un adulto, nessuno ti ama davvero, e se anche ti amasse sarebbero comunque tantissimi casini. Demoni è un disco che non dovete ascoltare se stata affrontando un trasloco, come me, e vi trovate nel cuore di un misero bilocale in periferia, se vi sentite soli e siete stufi delle pacche sulle spalle degli amici. Questo disco sarà una coltellata se vi aspettate un disco pop-rock di quelli che vi rifilava vostro padre in macchina, se pensate che le band di provincia non abbiano più drammi da raccontare e se eravate abituati ai cantautori indie.
E mi ritrovo qui, in questa sera strana, in una via silenziosa, con questo dannato tram che non vuole passare: Demoni è probabilmente un disco che vuole indagare il sentimento che deriva dal sentirsi abbandonati, la responsabilità estrema che arriva quando non siamo più dipendenti da nessuno, quando siamo adulti, e incredibilmente soli. Non ci sono canzoni d’amore che tengano, quando non c’è nessuno ad ascoltarle. Avrei voluto condividere questo disco che una persona che mi ha lasciato qui, in questo bilocale, credo che ci avrebbe fatto bene, credo che avrebbe saputo comunicarci come ci sentivamo, meglio di quanto abbiamo saputo fare noi. In particolare, Tutto quello che saremo, mi ha mostrato tutte le possibilità che non abbiamo avuto e sono lì, schiaffate brutalmente dentro una canzone, con una semplicità estrema che odio tantissimo non aver saputo fare mia.
Qui dentro ci ho ritrovato i dischi dei Marlene Kuntz che mi faceva ascoltare mia madre, i Baustelle che ascoltavo io al liceo, tutti i concerti che mi sono ritrovato a fare da solo quando tutti hanno smesso di ascoltare rock e hanno cominciato a fare figli, una familiarità di una band che mi sembra di conoscere da anni. Una nostalgia infinita per un mondo che non tornerà più. Mi piace pensare che questo disco arrivi da un passato tormentato, quello adolescenziale, e che voglia ammonirmi su tutti gli sbagli che alla fine mi sono ritrovato a compiere, tutti quei demoni che ora mi porto dietro, ineluttabilmente. Un disco dedicato agli adulti che non si erano ancora resi conto di esser diventati tali, come me che neanche Zerocalcare c’era riuscito…
L’amore raccontato come lo racconta La Belle Epoque fa male, perchè affonda nella sfiducia, nelle complicità che fanno male, perchè racconta di come si possono condividere le fughe e di come la felicità è così rara che, quando arriva, sarebbe da prenderne nota.
Gabriele Ciccorelli nasce a Roma nel 1994, da sempre sensibile alle influenze storiche dei cantautori italiani. Crede che la musica sia il mezzo più potente ed immediato per trasmettere e ricevere emozioni, dei viaggi in macchina si ricordano i dischi in sottofondo, più che le destinazioni e la viabilità. Da sempre affascinato dal suono delle parole,dalle urla e dalle imperfezioni musicali. Oltre alla musica, studia recitazione, scrive romanzi, per esprimersi a tutto tondo e coccolare le parole, sottolineando la loro importanza, inventando storie e nuotare su altre realtà, che non siano necessariamente le nostre, che ogni tanto annoiano.
Dal 23 Novembre 2021 è disponibile su tutti gli store digitali, il secondo singolo della carriera artistica musicale di Ciccorelli. “Luminarie” è un brano soffice che, grazie alla particolare vocalità di Gabriele, ci abbraccia dolcemente durante l’ascolto. Dalla collaborazione con la piccola etichetta Nientedimenolab e di Rebecca Palazzolo che si è occupata della produzione del brano, distribuito da Artist First. Abbiamo fatto una chiacchierata spensierata con Gabriele per scoprire qualcosa di più sul suo mondo!
Ciao Gabriele. Iniziamo subito con le presentazioni. Parlaci del progetto musicale Ciccorelli. Da dove nasce questa spinta artistica e quali sono le tue esigenze comunicative?
Ciao a voi. Nasce tutto dalle difficoltà, soprattutto comunicative, che quando ero adolescente prendevano il sopravvento. E dall’ascolto soprattutto. Perché sono dell’idea che qualunque tipo di espressione vada in qualche modo vista prima dall’altra parte. Mi rendevo conto di ascoltare la musica mentre gli altri la sentivano e mettemo il focus sui testi dei grandi cantautori. Quindi è stato quasi naturale poi, una volta assorbito dai più grandi, provare, non ad imitarli, ma a dire la mia. Per questo a 17 anni comprai una chitarra con i soldi vinti al fantacalcio, come modo per aiutarmi a parlare, a parlarmi. E dopo tanti anni di canzoni in cameretta,ho provato a farle ascoltare a chi ne avrà voglia.
Abbiamo ascoltato anche il tuo singolo d’esordio “Manica” un brano prettamente Pop. Con “Luminarie” ti sei messo definitivamente a nudo?
È particolare proprio perché da dentro, probabilmente non lucidamente, non ho idea a quale genere ho intenzione di appartenere. Le canzoni vengono fuori sgomitando, senza progettazione e tu anche lo volessi difficilmente riesci a ribellarti a questa esplosione. Sicuramente Manica è un brano che tocca atmosfere diverse rispetto a Luminarie, abbiamo infatti pensato che potesse essere l’inizio più coerente rispetto alle canzoni che ho sempre scritto ( Una vita di storie finite prima ancora di iniziare).
Con Luminarie è stato diverso, non era in programma e anzi fino a qualche giorno prima di registrare eravamo orientati su un’altra canzone. Quando è arrivata però ho detto “è lei”, lei è la mia canzone a prescindere da tutto. È probabilmente un brano di considerazioni da uomo di mezza età, nonostante io abbia metà dell’età dell’uomo di mezza età. A prescindere da tutto, non potevo essere più sincero di così.
Cosa sono per te le luminarie? Quali sono le luci di cui non puoi fare proprio a meno?
L’idea di Luminarie nasce da una serie tv che mi ha ossessionato per anni che è “How I met your mother”, in particolare un episodio che si chiama “Sinfonia di Luminarie” in cui Robin, nel periodo di Natale, scopre di non poter avere figli ed è decisa a non raccontarlo a nessuno e Ted, senza sapere cosa la turbasse, le fa trovare a casa un gioco di luci di natale, nel buio del salotto. Senza chiederle nulla della motivazione di tanta tristezza. Da qui poi la frase “Come si trova luce al buio senza maiparlare?”
Come a sottolineare quanto sia raro nella vita fare qualcosa per qualcuno che soffre senza sapere la motivazione di tanta sofferenza. Per questo Luminarie è intesa come “Luce di speranza” che può essere una luce di natale, un Dio, una persona, una canzone, qualsiasi cosa che ci faccia stare bene senza dover spiegare il perché. Come diceva il più grande di tutti “A modo mio avrei bisogno di carezze anch’io”. Ed è così, tutti hanno bisogno di carezze, anche e soprattutto chi finge con il mondo di saper nuotare bene nella propria solitudine.
Come definiresti questo brano? Una preghiera sottovoce oppure un urlo disperato?
Tra le due direi la prima. Preferisco sempre le cose sottovoce perché non arrivano all’orecchio di cento persone, magari arrivano all’orecchio di una sola persona, ma facendo un rumore assordante. Nella canzone la parte più “ disperata” è quasi una ricerca di attenzioni, come un bambino dispettoso nei confronti dei genitori, dopo la nascita della sorella più piccola. Ma poi l’idea di dare un ritornello un po’ più vellutato, è quella di voler dare un’intenzione, a chi sente di averne bisogno.
Questa canzone è un’analisi personale, pura osservazione alle situazioni quotidiane sociali, non è una critica. Non mi piace chi nella musica vuole spiegarti come sia la vita e non potrei mai farlo io. Vuole essere speranza nelle mie intenzioni, non un modo per condividere il dolore.
Parlaci del team che ti sta accompagnando in questo percorso musicale.
Il migliore. Nientedimenolab. Sono ragazzi per bene, che hanno cercato fin dal primo momento di capire cosa volessi dire, con pazienza, entusiasmo ed esperienza. La cosa più importante nella musica è la condivisione e non parlo delle piattaforme social (anche se pure quelle..) ma del confronto, della voglia di migliorare e di crescere insieme, senza necessariamente andare in una direzione più “facile” ma mantenendo unicità, che a prescindere se bella o brutta, è la tua e quella di ogni persona che scrive qualcosa. Il brano poi è stato prodotto da Rebecca Palazzolo, che è stata super paziente con me e con tutte le mie invereconde fisime, che già ho nella vita, pensa nella musica.. Che te lo dico a fa’!
Oltre alla musica, sappiamo che hai scritto anche un libro. Ci vuoi raccontare qualcosa?
Manco a dirlo è un libro pieno di musica e manco a dirlo l’ho scritto quando stavo al terzo rewatch di quella serie lì (prima o poi me ne libererò). È una storia di tutti i giorni con un linguaggio non da tutti i giorni. Parla di questo ragazzo che ha sempre cercato “La donna della mia vita” ma in modo ossessivo, una sorta di missione. Solo che lui a differenza di Ted non è proprio il tipo che ti fa trovare le luminarie a casa se sei triste. Anzi a dirla tutta è anche un po’ stronzo. E questo libro si lega perfettamente alla musica, perché poi anche qui non c’è un vero e proprio genere, potrebbe essere rosa, ma anche commedia, una spruzzata di erotico, un po’ di dramma che sta sempre bene e una cifra di parolacce. Vai a capì.. diciamo un libro indie pop dai…che inizia e finisce con due canzoni dei Radiohead.
Salutiamoci con un consiglio per i lettori. Come districarsi e rimanere a galla in questi tempi poco inclusivi?
Mah…stanno tutti in fissa con il paddle ultimamente. Mi tocca provare pure a me. A parte gli scherzi, non sono granché bravo a consigliare, faccio già un gran casino di mio. Quello che posso dire è sempre e solo “musica”. Nella mia vita, a prescindere dalla domanda ,la risposta è sempre “Musica”. Sono tempi veloci, sta diventando tutto liquido.
Io sono dell’idea che la musica sia un grande strumento di rifugio, farla ma anche e soprattutto ascoltarla. Che è diverso sentirla. Una canzone, nel mio mondo ideale, non può mai essere un sottofondo musicale nella pausa pranzo. Una canzone è un messaggio e per capire se sia quello giusto per noi, dobbiamo cercare con forza di comprenderne ogni angolo. A prescindere da quale canzone. Anche la canzone più spensierata del mondo può salvare una vita. E ci vorrebbe una maggior attenzione, a partire dall’ educazione scolastica. Dicono semplificando “I ragazzi di oggi ascoltano solo musica di merda” ed io non sono d’accordo. I ragazzi di oggi ascoltano la musica che hanno a disposizione, se nessuno gli fa ascoltare i grandi cantautori del passato, se nessuno gli spiega quei testi, come possono appassionarsi di quella musica li? La bellezza nasce dalla conoscenza, senza conoscenza si fa quello che si può. Io a scuola odiavo il flauto e avevo insufficiente in Musica, forse se invece che farci suonare il flauto tutti insieme (Io suonavo in playback), ci avessero fatto leggere un testo di Dalla, De Andrè, Battisti/Mogol, fatti ascoltare, spiegando, forse forse avrei iniziato a suonare prima la chitarra e non avrei fatto tutto quel casino per vincere il fantacalcio.
Parole, parole, parole: parole che rimbalzano contro i finestrini di macchine lanciate a tutta velocità verso il fraintendimento, mentre accanto a noi sfilano cortei di significati e di interpretazioni che si azzuffano per farsi strada nella Storia, provando a lasciare un segno. Parole giuste, parole sbagliate; parole che diventano mattoni per costruire case, ma anche per tirare su muri; parole che sono bombe, pronte a fare la guerra o a ritornare al mittente dopo essere state lanciate con troppa superficialità: parole intelligenti, parole che sembrano tali solo a chi le pronuncia, mentre chi le ascolta cerca le parole giuste per risanare lo squarcio. Parole che demoliscono, parole che riparano. Spesso, parole che sembrano altre parole, che pesano una tonnellata per alcuni mentre per altri diventano palloncini a cui aggrapparsi per scomparire da qui. Parole che sono briciole seminate lungo il percorso da bocche sempre pronte a parlare, ma poche volte capaci di mordersi la lingua: se provi a raccoglierle, come un Pollicino curioso, forse potresti addirittura risalire all’origine della Voce, e scoprire che tutto è suono, e che le parole altro non sono che corpi risonanti nell’oscurità del senso.
Parola, voce, musica: matrioske che si appartengono, e che restituiscono corpo a ciò che sembra essere solo suono.
Ogni mese, tre parole diverse per dare voce e corpo alla scena che conta, raccogliendo le migliori uscite del mese in una tavola rotonda ad alto quoziente di qualità: flussi di coscienza che diventano occasioni di scoperta, e strumenti utili a restituire un senso a corpi lessicali che, oggi più che mai, paiono scatole vuote.
GALEA
Tutto quello che ti viene in mente se ti dico: “Generazione, Diritti, Rivoluzione”.
Ultimamente si parla tantissimo di generazioni (Millenials, GenZ) e penso che sia molto bello il fatto di potersi riconoscere in un gruppo di appartenenza, senza che questa classificazione comporti alcun tipo di limite alla propria identità, anzi. Un coro di tante voci, seppur diverse, è più risonante di quelle stesse voci prese singolarmente e questo facilita il raggiungimento di uno scopo comune.
Di primo acchito associo la parola “diritti” al passato, quindi alla strada che è stata fatta per raggiungere determinati traguardi ed è strano, perché la conquista di molti diritti è ancora decisamente in corso. Forse mi viene in mente il passato perché non sarei né lucida né oggettiva parlando di un presente che si sta dispiegando davanti ai miei occhi. Spero che nel 2060 ripenserò a questo presente come a un periodo di lotta utile a delle conquiste finalmente ottenute.
Mi viene in mente Revolution 1 dei Beatles, in particolare il verso “But when you talk about destruction, don’t you know that you can count me out (in)”, come se la posizione di Lennon riguardo ai metodi violenti della rivoluzione fosse ancora incerta e dubbiosa. Il resto del testo invece è piuttosto chiaro, ma quell’in riporta il brano in una dimensione di ambiguità e indecisione in cui è facile rispecchiarsi quando ci si interroga su come una rivoluzione dovrebbe adoperare.
APICE
Tutto quello che ti viene in mente se ti dico: “Generazione, Diritti, Rivoluzione”.
L’ordine in cui le cose mi si presentano già di per sé costituisce un viatico interessante (a mio parere, quanto meno) circa la comprensione della relazione intrinseca che esiste fra gli addendi, e circa l’innefficacia – almeno, in questo caso – della proprietà commutativa, al punto che il risultato cambia eccome a seconda del modo in cui queste parole si combinano fra loro.
Mi spiego: ogni generazione, in qualche modo, nasce nell’orizzonte predeterminato di una serie di diritti ottenuti, e di diritti da conquistare; è il mondo in cui nasciamo e proviamo ad auto-definirci che, in fin dei conti, ci spinge a capire cosa siamo e cosa non siamo, né vogliamo essere: ad ogni generazione, si lega quindi la necessità storica di rivoluzioni che, attraverso vie differenti, discendono dalla contemplazione dei diritti che esistono, ma soprattuto di quelli che ancora non ci sono. Bene, generazione–diritti–rivoluzione.
Ma è anche vero che pare intellettualmente disonesto considerarci meritevoli di qualcosa che non ci siamo conquistati, ed è anche vero che viviamo nell’era di un post-modernismo (se non di una post-contemporaneità: siamo già nel “futuro”, per alcuni…) che sembra averci dato più risposte semplici e perentorie che domande capaci di solleticare il dubbio, attivando la complessità del pensiero: tanti diritti ci precedono, e forse è proprio questo che ci ha allontanato dal concepire la rivoluzione come un appuntamento inevitabile con la Storia; l’ordine diritti–generazione–rivoluzione è fallace, oggi, perché l’ultimo addendo diventa spessa superfluo, o quanto meno si rivela un fatto di posa e di retorica stantia, e quanto mai generazionale. Ecco, questo è quello che oggi mi pare essere, spesso e volentieri, il rapporto tra le parole designate quanto meno nella contemporaneità. Credo che quello della rivoluzione sia una ginnastica a cui ci si allena attraverso la negazione, ma quella vera, e che tante battaglie a volte finiamo col combatterle solo perché ci piace “giocare alla rivoluzione“: andare fino in fondo, poi, è merito di pochi – forse, di quelli che davvero si sentono “negati” di qualcosa, perché il dolore degli altri è sempre dolore a metà e per quanto tu ti possa impegnare ad empatizzare con le ferite altrui non sarà mai come avercele incise nella carne. Punto.
Quello che oggi trovo essere l’ordine più efficace a sparigliare le carte credo sia Rivoluzione, Diritti, Generazione: credo alla forza di rottura di un atto violento (non tanto – o non solo – nelle modalità, ma negli effetti), che possa determinare diritti nuovi da cui possano prendere forza nuove generazioni di pensiero, prima ancora che di persone. Sperando che la nostra, di generazione, non se ne stia a guardare mentre qualcun’altro la sorpassa a sinistra (o peggio ancora, a destra), ma se anche fosse così poco importa: la Storia fa sempre il suo corso, e il precipitare degli eventi è necessario alla definizione di nuovi mondi.
MILELLA
Tutto quello che ti viene in mente se ti dico: “Generazione, Diritti, Rivoluzione”.
Con Generazione mi viene in mente Kurt Cobain; da adolescente pensavo fosse un “poeta”, ma crescendo ho scoperto che se ti ammazzi dopo aver “professato” determinate cose, sei solo un ciarlatano.
Diritti e Rivoluzione invece, sono due facce della stessa medaglia; una medaglia pesante per i tempi che corrono, una medaglia che a quanto pare e a quanto visto in parlamento in questo momento storico, in molti non vogliono indossare.
FLORIDI
Tutto quello che ti viene in mente se ti dico: “Generazione, Diritti, Rivoluzione”.
Generazione:
This is my generation, baby
Cavolo se sono un fottutissimo nostalgico, non so se capita spesso anche a voi ma io in preda a chissà quale ragione reale spesso pronuncio la seguente frase “sarei voluto nascere negli anni 60/70, ma mi andavano bene anche gli anni 80” ora a dirla tutta, in realtà, per 5 mesi sono un figlio degli anni 80, ma poco conta… m’interrogo spesso sul perché se scavo nel profondo, io, fino in fondò non mi riconosca in questa generazione, le risposte sono talmente tante e talmente articolate che la mia autoanalisi termina con un’emicrania alienante, i soliti dubbi e un gin tonic in più sul conto del mio povero fegato. Comunque siamo una generazione fondamentalmente sola, con riferimenti sempre meno a fuoco e obiettivi che tendiamo a credere facilmente raggiungibili e che per la legge di Murphy puntualmente non si realizzeranno, ma allo stesso tempo siamo testardi e vogliosi di provare a cambiare qualcosa
Diritti:
Raga, mi sembra di essere tornato al primo anno di università, quando forte dell’impegno politico che avevo esercitato negli ultimi due anni di liceo come rappresentate d’istituto mi apprestavo a scegliere Giurisprudenza come facoltà definitiva per la mia vocazione, quella di diventare un PM pronto a stravolgere le regole del gioco, pronto a scendere in campo in favore dei più deboli, mi ero ripromesso che mi sarei incaricato solo di cause giuste, ma ripensandoci bene questo è anticostituzionale, quindi la mia folgorante carriera magistrale è durata più o meno 4 stagioni. Però a quel tempo ho capito una grande verità per me, che scrivere canzoni (cosa che facevo già da qualche anno) poteva farmi abbracciare qualcuno che soffriva come me, poteva far arrivare la mia voce, il mio pensiero ovunque ci fosse qualcuno pronto ad accoglierlo poteva permettermi di dire la mia su armonie semplici o complesse, sapeva mettermi a nudo e sostenere cause alle quali tenevo.
Rivoluzione:
Dici che vuoi una rivoluzione
Bene, sai
Tutti noi vogliamo cambiare il mondo
Mi dici che è evoluzione
Bene, sai
Tutti noi vogliamo cambiare il mondo
Ma quando mi parli di distruzione,
sai che non puoi contare su di me
Non sai che andrà tutto bene?
Dici che hai una soluzione concreta
Bene, sai
A noi tutti piacerebbe vedere il tuo piano
Mi chiedi un contributo
Bene, sai
Stiamo facendo quello che possiamo
Ma se vuoi denaro per gente con pensieri di odio
Tutto ciò che posso dire è: fratello, devi aspettare
Non sai che andrà tutto bene?
Quando penso alla parola rivoluzione le mie sinapsi creano subito uno Swipe Up, anzi no, un link in evidenza, connesso a questa canzone e alla sua potenza espressiva. Mamma mia i Beatles.
FRANCESCA MORETTI
Tutto quello che ti viene in mente se ti dico: “Generazione, Diritti, Rivoluzione”.
Oggi fortunatamente queste tre parole si sentono nominare spesso. Stiamo vivendo un periodo in cui è molto più frequente sentir parlare di diritti rispetto a prima, specialmente grazie ai social. Credo che la mia generazione sia molto più avanti rispetto a quelle precedenti, soprattutto quando si tratta di temi come omotransfobia, femminismo, razzismo, ambientalismo. Spesso ci chiamano gioventù bruciata, quando invece bisognerebbe solo lasciarci spazio e lasciarci fare. Magari la rivoluzione è più vicina di quanto sembri.
MARSALI
Tutto quello che ti viene in mente se ti dico: “Generazione, Diritti, Rivoluzione”.
Non mi reputo un’attivista incallita, vi dico la verità, ma sicuramente sono sempre stata una persona che si è schierata o esposta nelle varie situazioni della vita per “dire la sua”. Credo che la nostra generazione, quella dei social intendo, abbia molti più strumenti rispetto ai giovani di venti anni fa per far sentire la sua voce e per sensibilizzare anche le fasce di età più adulte su dei temi che prima erano dei grandi taboo. Il tempo scorre veloce e io stessa a venticinque anni a volte mi sento indietro rispetto a certe innovazioni di pensiero ma questo non deve farci paura, la nostra piccola grande rivoluzione, anche nei confronti della musica, deve essere l’empatia, il sapersi mettere nei panni dell’altro, il vedere non sempre quelli attorno a noi come dei nemici da buttare giù ma magari come compagni di viaggio storti in questo storto pianeta. I diritti ci spettano è vero, non vanno meritati, ma dobbiamo dimostrare almeno di saperli gestire.
DAVIDE BOSI
Tutto quello che ti viene in mente se ti dico: “Generazione, Diritti, Rivoluzione”.
La musica accompagna da sempre le ‘nuove’ e le ‘vecchie’ generazioni che si susseguono nel tempo.
Ricordo quelli che più di altri hanno avuto la sensibilità di combattere per i diritti dei più deboli, degli ultimi (Bob Dylan, John Lennon, Joan Baez per citarne alcuni).
Penso alle opportunità che la musica ha di farsi portavoce della lotta per la libertà e uguaglianza fra le generazioni e il loro tempo.
ILGEOMETRA
Tutto quello che ti viene in mente se ti dico: “Generazione, Diritti, Rivoluzione”.
Ho idee molto confuse rispetto a tutto ciò che mi circonda ormai. Non ho un’opinione forte su niente. Attualmente, in questo preciso momento storico, non mi appassiona alcuna tematica che non sia legata ai vini naturali, ai ristoranti recensiti della guida Michelin e ai film di Carlo Verdone del periodo compreso tra il 1983 e il 1995. Quindi, effettuate tali premesse, posso affermare senza troppo imbarazzo che la prima cosa che avverto ascoltando queste tre parole è un leggero senso di fastidio.
Provo fastidio per me stesso, per la miseria delle connessioni associative che si sviluppano nella mia mente all’ascolto di questi vocaboli (ti accorgi/di come vola bassa la bassa la mia mente? / è colpa dei pensieri associativi / se non riesco a stare adesso qui…).
E così, la parola “generazione” mi fa pensare a tutti quei termini di più o meno recente coniazione, come “generazione x”, “generazione z”, “boomer”, “millenials”, che si leggono negli articoli di Vice o nei meme, con significati per me sempre volto vaghi e/o post-ironici.
La mia generazione, quella cresciuta negli anni ’90 insomma, dovrebbe essere sulla rampa di lancio della genitorialità, della fascinazione per gli investimenti immobiliari, del progressivo decadimento fisico che si manifesta attraverso la comparsa – sui propri profili social – delle fotografie sfocate di grassissimi pasti domenicali, serviti in approssimative teglie di alluminio, preparati con l’irrinunciabile collaborazione del proprio partner, che di solito coltiva anche un piccolo orto. Entrambi indossano vestaglie. E ascoltano i podcast di Barbero come grande momento di accrescimento culturale condiviso. Io non ho figli, vivo in albergo e mangio bresaola e broccoli bolliti per 5 giorni alla settimana.
La parola “diritti” mi fa pensare a moltissime cose fastidiose e inopportune. Potrei scriverle, perché la mia opinione non è affatto influente e anche se esprimessi dei concetti aberranti (ammesso che ne sia in grado), passerei comunque inosservato. Ma preferisco comunque non rischiare. In ogni caso, per molti anni ho ripetuto a memoria la solita filastrocca tale per cui “in un paese in cui non sono garantititi i diritti sociali, i diritti civili diventano dei privilegi”, o qualcosa del genere. È una filastrocca che mi piace ancora. Quando la recitavo, in tutti questi anni, provavo un enorme senso di autocompiacimento. Per fortuna, in tutti questi anni, nessuno mi ha mai chiesto di argomentare con maggiore grado di analisi il mio assunto. Sarebbe stato molto imbarazzante.
La parola “Rivoluzione” mi fa pensare a un compito in classe di storia avente per tema la Rivoluzione d’Ottobre, svolto in quarto superiore. Presi nove e ne ero molto orgoglioso. Tuttavia, all’epoca, ero uno studente pigro e discontinuo, senza nemmeno il fascino che solitamente si accompagna a questo archetipo di liceale. Immagino fu anche per questo che la docente si sentì in dover di ammonirmi, innanzi a tutta la classe, ricordandomi che “una rondine non fa primavera”. Credo che quell’episodio contribuì molto nella mia attitudine a ridimensionare metodicamente tutto ciò che in vita mia è stato associabile al successo. Quello stesso giorno tornai a casa, staccai il poster di CheGuevara da sopra al letto e ne appesi uno di BrunoTabacci.
SCICCHI
Tutto quello che ti viene in mente se ti dico: “Generazione, Diritti, Rivoluzione”.
Vedendo scritte queste parole mi viene in mente appunto, di quanto l’Italia abbia bisogno di una rivoluzione, di quante persone ne abbiano bisogno per continuare a vivere e per un futuro migliore. Io nella mia generazione ci credo, abbiamo molto più a cuore i pari diritti rispetto a chi invece sta al governo ora, guardate che fine ha fatto il DDL ZAN, oppure quante poche persone si sono presentate al senato durante il discorso contro la violenza sulle donne, 8 su 630. Noi, vogliamo il cambiamento, vogliamo un paese libero da pregiudizi e paure, vogliamo pari diritti senza distinzioni di sesso, orientamento o colore della pelle, vogliamo la normalità… e vuoi o non vuoi se non sarà ora, tra qualche anno le persone sedute su quelle sedie non ci saranno più e ci saranno persone più competenti (spero) verso i diritti umani.
UTAH
Tutto quello che ti viene in mente se ti dico: “Generazione, Diritti, Rivoluzione”.
Se ci dite “generazione” ci viene in mente l’ansia, ansia di dover dimostrare sempre qualcosa, ansia perché non sappiamo più aspettare. In un mondo in cui ormai tutto è a portata di mano vogliamo tutto e subito.
I diritti sono scale, sono ponti, sono tutto ciò che è utile per passare oltre.
I diritti sono Martelli che spaccano un muro, sono persone che gridano dietro quel muro, sono persone che abbattono un muro.
Rivoluzione è un termine forte, un’arma a doppio taglio. La rivoluzione, quella vera, bisogna avere il coraggio di pensarla ma soprattutto la determinazione di portarla avanti.
Se cerchi la rivoluzione, guardati attorno.
SEBASTIANO PAGLIUCA
Tutto quello che ti viene in mente se ti dico: “Generazione, Diritti, Rivoluzione”.
C’è una splendida canzone di Gaber, uscita nel 2001 che dice: “La mia generazione ha perso”. Ecco, la mia non è mai scesa in campo. E se non è mai scesa in campo allora la nostra è stata davvero una rivoluzione mancata, un occasione perduta per far riconoscere diritti tuttora repressi.
Sarà che non so bene a quale generazione appartengo: sono una sorta di ibrido cresciuto correndo per le strade di un paesino dove cellulari, computer e ogni altro congegno elettrico era visto come sacro e intoccabile per i bambini e ora sono immerso in un mondo in cui non si può e non si vuole vivere se non attraverso uno schermo.
Tra le battaglie per i diritti che la mia generazione ha perduto a tavolino, come esponente di un mondo, quello del lavoro nella musica, così sofferente e scopertosi senza alcuna tutela negli ultimi due anni, penso anche ai diritti d’autore, imbrigliati e mortificati in uffici di burocrati che ti accolgono sulle loro poltroncine come banchieri a cui stai per chiedere un mutuo.
Lo scorso 19 novembre è uscito il nuovo singolo di Pietro Gandetto dal titolo Another planet,pezzo che anticipa l’uscita di un disco che vedrà presto la luce. Il cantautore, originario di Alessandria ma milanese d’adozione, ci regala un brano dal sound internazionale dove l’amore è anche un pretesto per affrontare tematiche di stretta attualità che ci riguardano tutti: il riscaldamento globale e il cambiamento climatico. Un brano che ispira positività e cambiamento in un connubio tra sonorità vintage anni ’80, dal sapore quasi dance, e suoni contemporanei più minimalisti ed evocativi, in una sintesi ben riuscita tra strumenti suonati e linee elettroniche. Un viaggio in un futuro ideale, in cui “l’altro pianeta” diventa il rifugio di una storia d’amore, che sulla terra viene messa in discussione dall’incerto futuro del pianeta.
Oltre ad essere un cantautore, Pietro Gandetto esercita anche la professione di avvocato e per questo motivo, cogliendo l’occasione dell’uscita del suo nuovo brano, abbiamo parlato con con lui del climate change e gli abbiamo chiesto 4 soluzioni o proposte di legge per salvare il nostro pianeta.
Questo è quello che ci ha detto:
Mentre la crisi climatica peggiora vistosamente e gli effetti dei cambiamenti climatici sono ormai visibili a tutti, gli artisti scendono in piazza per dire la loro e sensibilizzare il loro pubblico. Negli ultimi cinquant’anni la tematica ambientale è stata oggetto di molte canzoni, e ogni artista ha a modo suo portato avanti questa importante battaglia contro il cambiamento climatico con l’arma più potente a sua disposizione, la propria voce.
A modo mio, ho contribuito a questa causa con il mio ultimo singolo uscito il 19 novembre, Another Planet, che trovate su tutte le piattaforme di streaming (https://lnk.to/AnotherPlanet). Quando ho deciso di trattare questo tema così delicato, essendo io anche un avvocato, ho letto alcuni libri, come La Nazione delle Piante di Mancuso, che mi hanno aperto un mondo, e ho cercato i cantanti che avevano affrontato il tema. In questo modo sono riuscito a identificare alcuni macro-filoni, associando le possibili soluzioni al problema del climate change con alcune canzoni che mi hanno particolarmente colpito.
La prima cosa da fare per ridurre il disastro che si sta consumando ai danni del nostro Pianeta sarebbe evitare di far finta che il problema non ci riguardi: molte persone se ne fregano del fatto che, per esempio, l’innalzamento della temperatura globale di 2°C sarebbe già sufficiente per trasformare la nostra Terra in un mondo irriconoscibile. Per informare e sensibilizzare le persone, gli artisti hanno un’arma in più che è proprio l’arte, che ha il potere di arrivare alle persone in maniera più diretta. Per esempio, in Another Planet affronto il tema da un’angolazione particolare. Parlo di due persone che si amano, ma faticano a trovare un luogo in cui vivere, perché la Terra sta bruciando e il cielo sta cadendo (I know the Earth is burning, I know the sky is falling). Parlo di Venezia che sta andando sott’acqua mentre le persone ridono a una festa (People Laughing at dinner, Venice going underwater) pensando che questo sia un problema che non le riguarda.Volevo trattare il tema con un pezzo allegro ed energetico come è Another Planet e sono andato alla ricerca di sonorità anni ‘80 un’epoca dove il benessere economico e sociale si rifletteva anche nella musica. Non volevo associare un messaggio apocalittico, perché credo che non siamo ancora al punto di non ritorno. Così è nata la canzone.
Una seconda soluzione da adottare subito è l’introduzionedella Carbon Tax, cioè la tassa sulle emissioni di Co2 penalizzando così le industrie più inquinanti. In Italia è stata introdotta alla fine degli anni ’90 con l’articolo 8 della legge n. 448 del 23 dicembre 1998, ma mai realmente attuata. Di questo parla per esempio Neil Young nel suo album “Colorado“, registrato durante una notte di luna piena, a 2667 metri di altezza, in uno studio alimentato principalmente da pannelli solari. Nei suoi testi Young attaccata l’economia capitalista e il sistema industriale ed energetico accusandoli di aver prodotto un’enorme quantità di anidride carbonica per oltre un secolo. A causa loro i livelli di CO2 sono i più alti mai registrati negli ultimi 800mila anni e stanno aumentando a un ritmo che non ha precedenti.
Un’altra strada è abolire gli allevamenti intensivi di animali. Se si eliminassero o almeno si riducessero il consumo di latticini e carne bovina, e ci orientasse verso cibi proteici alternativi (non per forza dobbiamo diventare tutti vegani), anche la nostra salute migliorerebbe, senza parlare dei risvolti etici e ambientali. Di questo parla Paul McCartney nel brano Looking for changes: l’ex Beatles, convinto vegano e da sempre sostenitore dei diritti degli animali, ha pubblicato nel 1993 il brano Looking for changes per sensibilizzare il pubblico su questo tema così delicato. Il pezzo in questione è contenuto nell’album pubblicato da McCarney nel 1993 come solista, Off The Ground. L’artista invita a un cambiamento che riguarda proprio il modo di trattare e sfruttare intensivamente gli animali, e non risparmia termini crudi e violenti nel testo del brano.
Si dovrebbe poi bloccare la cementificazione di suolo fertile. Il cemento crea il fenomeno delle isole di calore, aumenta le emissioni e provoca il disboscamento (anche se è in bioedilizia) di intere aree sradicando le piante che invece assorbono l’anidride carbonica e sono quindi la nostra salvezza. Sarebbe meglio ristrutturare o ricostruire (in modo ecologico) gli edifici esistente. Bisognerebbe evitare di costruire nuovi parcheggi, nuove strade e autostrade che attirano nuovo traffico. Di questi temi parla – indirettamente – Billie Eilish: nei suoi luoghi di infanzia in California, gli incendi provocati dall’intensificarsi del disboscamento dovuto alla cementificazione sono all’ordine del giorno, suo fratello e produttore Finneas O’Connel ha infatti ribadito chiaramente in un’intervista che All the good girls go the hell parla di cambiamento climatico: le erbe che si seccano più velocemente per l’aumento delle temperature causano l’aumento della velocità di propagazione degli incendi spesso provocati dall’uomo.
La letteratura pop in materia è numerosa, così come lo sono i comportamenti sostenibili che tutti dovremmo mettere in pratica da subito per rendere la nostra casa più vivibile e preservarla, ma anche per salvare noi stessi, perché la Terra ci sta dicendo chiaramente che non ci vuole più. Non basterebbero altre 1000 canzoni per far cambiare idea a tutti, ma se il compito dell’arte, oltre che intrattenere, è anche farsi portavoce di messaggi e concetti più alti, sono orgoglioso di aver messo la mia voce a servizio di una causa importante.
Fuori da venerdì 15 ottobre per Visory Indie (distr. Believe) l’ultimo singolo di Inghy, cantautrice romana classe 1996. Circolo vizioso è un pezzo dalle sonorità delicate ed avvolgenti con cui l’artista ci racconta la sua esperienza con un amore tossico e distruttivo, un brano per incoraggiare i suoi ascoltatori a rimettere insieme i cocci della propria vita e andare avanti a testa alta. La produzione del brano è stata realizzata con la collaborazione di rebtheprod e Sala.
Si tratta di un pezzo puramente autobiografico e, per questo motivo, abbiamo chiesto all’autrice di darci 5 consigli per guarire da una relazione tossica:
5 consigli per uscire da una relazione tossica? Di solito sono abbastanza brava a dare consigli, però questa domanda, devo dire la verità, mi ha un po’ messo in crisi. Il fatto è che è un argomento talmente vasto. Perché una relazione è tossica? Può esserlo per mille motivi… ed io che consigli potrei mai dare? Alla fine (e per fortuna) ne ho vissuta solo una di relazione così.
Quando si è talmente presi da una persona, non ci si capisce più niente, diventi scemo, ma proprio scemo! Non vedi, non ragioni, per questo secondo me è necessario avere qualcuno che ogni tanto ti ricordi che il tuo mondo deve essere basato su te stesso e su nessun altro. Si tratta di sano egoismo, di amor proprio. E se tu che stai leggendo, non hai nessuno che ti ricordi questa cosa, spero che queste parole possano servirti a qualcosa. A volte dimentichiamo di amarci, perché concentriamo tutto il nostro amore su un’altra persona… ma secondo me, prima o poi, è inevitabile accorgersi di quello che sta succedendo.
Tu guardati allo specchio un istante, domandati se ti stai dando tutta l’importanza che meriti, e poi agisci in base alla tua risposta! Dopo averle provate tutte, una volta toccato il fondo, ci sono due possibilità: o rimani giù, o torni su, anche con difficoltà, perché nessuno dice che sia semplice, però torni su. Come dice il grande Lucio Battisti :“che non si muore per amore è una gran bella verità, perciò dolcissimo mio amore, ecco quello che da domani mi accadrà: io vivrò senza te”
Quindi credo che il mio primo consiglio sia proprio questo: provale tutte, tocca il fondo se è necessario a ricordati di amare te stesso! Un’altra cosa fondamentale sono gli amici, quelli veri intendo, non l’amico del bar! Gli amici ci salvano la vita! Prima di fare l’ultimo gesto “d’amore” per il mio circolo vizioso, ero con i miei amici, hanno provato in tutti i modi a dirmi di non andare. Se non gli avessi dato ascolto, forse starei ancora in quella stessa situazione. Però poi sono stati presenti, e non è stato necessario dare troppe spiegazioni, è bastata la loro presenza, capire che ero importante per qualcuno e trovare la pace e la leggerezza nelle risate e nelle birre insieme a loro, nelle piccole cose della vita, che sono le più importanti! Sono stata fortunata!
Il secondo consiglio mi sembra chiaro: affidiamoci a chi ci ama veramente!
Mi sembra doveroso dare la giusta importanza alle passioni! La musica mi ha aiutato tanto! Scrivere questo brano è stata una liberazione. Dal momento in cui ho iniziato a mettere nero su bianco, ho iniziato veramente a realizzare cosa mi stesse succedendo. Ogni parola che scrivevo era un pezzetto di sofferenza lasciata indietro. Quindi mi sento di dire: aggrappiamoci alle nostre passioni, ai nostri sogni , a quello che sappiamo che ci fa stare bene. Anche se difficile, sforziamoci!Concentriamoci su ciò che è veramente importante per noi. Mi sento di consigliare di imparare ad amare se stessi e portarsi rispetto!
Penso che sia fondamentale per uscire dalle situazioni dolorose che la vita ci presenta. Penso anche che questo sia un valore che si apprende con il tempo, piano piano. Un valore che ci dovrebbero trasmettere fin da bambini, al quale dobbiamo essere educati. Se non hai imparato ad amarti, se nessuno te l’ha insegnato, se da solo non sai da dove iniziare, fatti aiutare! Non dobbiamo mai vergognarci di chiedere aiuto, siamo essere umani e come tali abbiamo bisogno di altre persone per sopravvivere e tirare avanti! Fidarsi degli altri è molto difficile in un mondo come il nostro, in cui tutto va velocissimo e ognuno pensa alle proprie cose, un mondo che a volte sembra così superficiale. Però c’è sempre qualcuno che ci somiglia, disposto ad andare oltre la superficie. Crediamo nelle persone !
Nessuno ha mai capito veramente bene cos’è l’amore, neanche chi pensa di essere innamorato! È un concetto così astratto, difficile da interpretare. Se cerchiamo su internet l’etimologia della parole AMORE, è strettamente collegata a sensazioni di desiderio, passione, attrazione. Sensazioni apparentemente positive, ma che possono diventare deleterie, se non gestite bene. Secondo me, l’amore è una cosa bellissima, e come tale, dovrebbe trasmetterci sensazioni bellissime… quando notiamo che iniziano a diventare pesanti, iniziamo a farci qualche domanda!
Nel video per il suo nuovo singolo S.E.R.E.N.A., il cantautore romano Moderno si ritira in eremitaggio in un casolare abbandonato del Seicento, in fuga dalla società contemporanea. Durante il ritiro spirituale, trascorso tra letture ed esercizio fisico, l’artista scopre però che non potrà trovare la propria rinascita nell’isolamento o nei libri, ma nel buttare le lenti che distorcono la realtà e tornare a guardare le cose per quello che sono: imperfette sì, ma in mutamento. Ci siamo fatti consigliare da Moderno i cinque brani ideali da “portare con sé” in un eremitaggio.
Rodriguez – Cause
Ho scoperto questo cantautore grazie al docu-film Sugar Man. Storia di un emarginato, di un uomo anonimo, resa romantica da questa chitarra acustica e da questa voce calda e trainante che racconta. È la colonna sonora ideale di chi cerca una propria identità. Da ascoltare quando il sole è alto.
Soko – We Might Be Dead Tomorrow
La sentirei al tramonto o mentre sto cercando di studiare le stelle. Come dice una persona molto importante per me, questa canzone è come il “sollievo dopo aver pianto”, una riflessione, sorridendo, sul senso dell’esistenza.
Nick Murphy – I Work for the Universe
È un po’ così che mi sento quando mi faccio da parte. Sto lavorando per un ri-equilibrio personale e quindi un ri-equilibrio delle forze che spingono da una parte all’altra quest’universo, verso il suo destino naturale. Più c’è equilibrio, più il sistema rimane in piedi, in armonia, e balla un lento.
Touché Amoré – Come Heroine
“From peaks of blue / Come heroine / And I’m just a risk / A colossal near miss / Prone to resist what is best for me”. Ci vuole anche un po’ di rabbia e di distorsione, nei momenti più cupi in cui devi toglierti da dentro scogli e scorie dannose. Un pezzo liberatorio.
Franco Battiato – Io chi sono?
Io sono. Ma io “chi sono?” È sufficiente citare il Maestro: “qui non si impara niente, gli stessi errori, inevitabilmente, da sempre, come sempre. Però in una stanza vuota, la luce si unisce allo spazio. Sono una cosa sola”.
Potete guardare qui sotto il video di S.E.R.E.N.A:
Dopo averli ritrovati con il singolo Sottotitoli, da subito presenza costante nella playlist Rock Italia di Spotify, a quasi due anni dall’uscita del loro album d’esordio Povere bestie (gennaio 2020) i ragazzi de Il Corpo Docenti fanno doppietta con un nuovissimo brano intitolato Entrambi. Anch’esso prodotto da Divi de I Ministri, Entrambi vede la band perlustrare campi musicali fino ad ora per lei inesplorati, con gli arrangiamenti che calzano una forte componente new wave inedita per Il Corpo Docenti.
Entrambi è una canzone che la band stessa definisce “bagnata e poco sobria”. Per capire meglio questa definizione ci siamo fatti raccontare dal trio milanese che cosa sia una canzone “bagnata e poca sobria”, e quali altri brani possano rientrare a pieno titolo in questa ambita (e mabigua) categoria.
Oltre a Entrambi, che ci ha dato lo spunto per questa piccola lista, abbiamo scelto le canzoni più significative dei nostri momenti “bagnati e poco sobri”, quelle che ci fanno scendere una lacrimuccia o cantare a squarciagola di ritorno dalle nostre date. Non avendo la benché minima idea di come dividerle equamente in “bagnate” e “poco sobrie” abbiamo fatto quello che ci riesce meglio: andare completamente a caso.
I Ministri – Sabotaggi
Per la categoria “canzoni poco sobrie” iniziamo con Sabotaggi visto che è quella che mette sempre d’accordo tutti e tre, che non manca mai e viene urlata con quel poco di voce che rimane appena saliamo in macchina per i ritorni a casa a notte fonda.
Bugo – Quando impazzirò
Ci ricordiamo benissimo il periodo in cui uscì Quando impazzirò perché fu un mese prima del lockdown (circa) e a ogni data che facevamo la sentivamo almeno quattro o cinque volte, sempre – o quasi – in situazioni poco sobrie.
The Cure – Homesick
Parlando invece di momenti “bagnati”, Luca ha un aneddoto per Homesick: un giorno stava tornando a casa e, trovandosi nel bel mezzo di un diluvio, parcheggiò la macchina poco vicino la porta di ingresso. Dato che la pioggia non accennava a diminuire decise di tirare giù il sedile e godersi questa canzone. Purtroppo la canzone finì prima del temporale e il nostro si bagnò lo stesso. Fine aneddoto non molto interessante.
Cigarettes After Sex – K.
Altro brano per momenti “bagnati” è sicuramente K. che consigliamo vivamente di ascoltare da soli, quando piove e – perché no? – quando si ha in corpo una modesta dose di alcol.
Fuori da venerdì 5 novembre 2021 per Lost Generation Records (e in distribuzione Believe)“Coro per la fine del mondo”, il nuovo singolo della cantautrice e producer Kimerica. Atmosfere crepuscolari e metropolitane e un sound che oscilla tra dark e indie tratteggiano i contorni di un incontro al limite del sovrannaturale, alienante, autodistruttivo, che si risolve con l’arrivo, comunque, di una nuova alba
Ableton Push
Questo è Ableton Push, il mio fidato supporto nelle mie sessioni di produzione. Da quando l’ho comprato (ci ho fatto il filo per anni) non so più come facevo prima, con questo oggettino fantastico ci ho scritto un sacco di pezzi divertendomi il triplo, e poi mi fa sentire una vera producer 🙂
Poster
É stato appena a svariati muri per poi finire “provvisoriamente”, all’ennesimo trasloco, appoggiato per terra in corridoio. Amo profondamente quello che rappresenta questo poster: quattro artisti incredibili nel culmine del loro percorso creativo, la buona musica, la mia infanzia. Ah, Abbey Road è uno dei dischi migliori della storia della musica, se non sei d’accordo non possiamo essere amici.
Biografia di Marina Abramovic
Questo libro (un po’ vissuto, si è preso la pioggia) ha avuto un impatto enorme sulla mia vita, sia perché la storia di Marina Abramovic è incredibile ed estremamente d’ispirazione, sia perché l’ho letto in un momento delicato e instabile per me, mi ci sono tuffata dentro e ne sono uscita arricchita.
Scarpe
Queste scarpe assurde le ho prese per un videoclip, che poi è la scusa che uso sempre per comprare qualsiasi capo d’abbigliamento e simili che chiaramente non metterei per andare a fare una passeggiata in centro. Rosse, esagerate, eccentriche: Kimmosissime.
Gatti
Ultimi ma non per importanza, non potevo non menzionare Ciuco e Codamozza, i veri padroni di casa. Per me casa è dove stanno loro, insieme abbiamo già affrontato 4 traslochi in 4 città diverse, loro sono il mio punto fermo. Oltre a fornirmi pet terapy gratuita 365 giorni l’anno, sono parte della famiglia, anche se mi mordicchiano tutti i cavi audio.
“Non mi va più” è il debut single di MANGLA ( Gianluca Manglaviti), una canzone che parla di tutte quelle cose che ti porti dietro quando finisce una storia , quelle cose che ti ritrovi sempre nella tasca della giacca quando esci e ti muovono ancora qualcosa dentro il petto. “Non mi va più” è una di quelle frasi che diciamo sempre quando finisce una storia.
Il brano è un alternarsi di momenti sonori dove, l’energia del beat si intreccia alle ritmiche elettroniche e ai synt, in un mix di influenze indie e pop.
Gianluca Manglaviti è un giovane cantautore romano. Mangla è un “pezzetto” del suo cognome, abbreviativo che usano anche i suoi amici, compagni e professori.Di giorno è uno studente di giurisprudenza, di notte scrive canzoni accompagnato sempre da Ettore, il suo bulldog francese.
MANGLA ha risposto alle nostre domande in questa intervista:
Esce mercoledì 17 novembre 2021 (in distribuzione Sony Music e prodotto da Golpe Music) Zingaro, il nuovo singolo di Nyco Ferrari. Un nuovo capitolo per il cantautore di stanza a Milano: un brano sfacciatamente pop anche per chi non ascolta pop, per chi spesso cede ai clichè e per tutti quelli che si ritrovano sempre agli aperitivi, ma anche per chi ama il cinema d’autore e i circoli letterari. Qui Nyco Ferrari offre una versione ironica ed ossimorica di sé stesso: un’anima impegnata che si ritrova a ballare con poco.
Zingaro. Un po’ distanti dalla città. Musica leggera in periferia. Ballare soli fregandosene di tutto. Ballare con poco.
Zingaro è una canzone con due anime. C’è quella spensierata, che canta “popporoppò” sui tetti di Milano a ritmo di reggaeton. E c’è quella impegnata, che chiede, senza cortesia, di non sprecare tempo alienandosi nel virtuale, ma di tornare alle immagini concrete della vita vera: una schitarrata alla luna, un viaggio esotico, una scelta coraggiosa come quella di cambiare tutto. Cliché, forse, ma quanto mi piacciono i cliché.
Per l’occasione, non abbiamo resistito, gli abbiamo chiesto se potevamo un giro a casa sua.
Per la categoria “pollice verde”:
Io parlo con le piante. Ok, freak. Ma i discorsoni che ci facciamo… Questo cactus ha un nome, ma non posso dirlo perché è omonimo dell’allieva di canto che me l’ha regalato. Era poco più di un cetriolo verde quando me l’ha portato dicendomi “ti assomigliava, e te l’ho preso”. Mi sta simpatico perché non sapendo se preferiva le foglie o le spine se le è tenute entrambe.
Per la rubrica “arte contemporanea”:
Glenda. In arte Glenda Es Feliz, l’artista dell’autoritratto. Per chi non la conoscesse, Glenda dipinge prioritariamente se stessa, e ad ogni autoritratto va sempre più giù, gli occhi dei suoi quadri sono sempre più profondi. E questo quadretto è un unicum. Qui Glenda sorride! E mi fa impazzire come ride perché è il riso di qualcuno che ha appena realizzato qualcosa di fantastico, ha appena capito che dentro di sé c’è qualcosa di meraviglioso che non lo abbandonerà mai. Poi con ‘sti capelli colorati mi sembra una Amie Winehouse appena arrivata a Camden Town che ha deciso di voler essere quello che le pare.
Dipartimento “Arte Africana”:
L’essenza. Arrivare all’essenza delle cose. Toccarle con mano, sentire la terra a contatto con la pelle. E poi il caldo. Sentire il caldo che ti veste come un abito e il mondo che emana afrori estatici. Scusa mi perdo quando ci penso. Ma diciamo che le maschere africane mi riportano a questo universo che poi alla fine sfocia nello spirituale, che è un po’ l’orizzonte a cui punto. Questa è una statua Bambara dal Congo comprata con i soldi di una giornata di busking a Milano. Il ragazzo che me l’ha venduta mi ha assicurato che purifica gli ambienti dalle cattive energie.
From New York with Love:
Questa è un’opera di James Hill, che si firma 1471, ma chiamatelo 14, Fourteen se siete suoi amici. Lo trovate spesso vendere le sue opere, nella stazione della metropolitana di Times Square. È probabilmente la reincarnazione di Basquiat. E questo guantone è un casino, giuro, servirebbe un libro per descrivere l’impalcatura concettuale che lo definisce. Ma in breve: vi campeggia “555” che per 14 è il numero della transizione, e nel suo alfabeto segreto c’è scritto “THE EMPTINESS IS ENOGH”: poca grammatica per dire una cosa: “il vuoto basta.” È l’oggetto più emblematico della mia vita, perché riassume l’insegnamento più grande che mi ha dato New York.
Infine, posiamo per la categoria “Saturday Night Ball”
La Disco Ball. È un oggetto che ho riscoperto da pochissimo, trovandola per caso in un mercatino dell’usato. Non significa più molto a noi notturni del 2022, e invece è l’epitome della nostra società: è un oggetto che attira la nostra attenzione non facendo altro che riflettere tutto ciò che ha attorno, continua a cambiare, non riusciamo mai ad avere un’immagine precisa di quello che riflettono i suoi mille piccoli schermi, e ballandoci sotto nella trance dei nostri rituali moderni alziamo le braccia verso di lei come in adorazione di una divinità. Ti ricorda qualcosa? Filosofia a parte, metti la tua canzone preferita, spegni la luce, e puntaci addosso una torcia.