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Indie Pop

Quello che ho capito ascoltando il primo disco di Piccoli Bigfoot

Ho ascoltato il primo EP Tra Bergamo e il Far West di Piccoli Bigfoot e a mano a mano mi sono reso conto che Piccoli Bigfoot è un’entità che cambia aspetto canzone per canzone.

Piccoli Bigfoot si sarebbe dovuto chiamare “Grandi Mamme” perché nel primo brano Prima gli immigrati ripete la domanda “cosa vuoi mangiare stasera?” ed effettivamente mi ricorda mia madre che mi chiama alle 9.03 di ogni mattino mentre ho appena poggiato il culo sulla sedia della mia scrivania e mi fa la fatidica domanda “cosa vuoi mangiare stasera?” e io rispondo “guarda madre, non saprei, ho fatto colazione un’ora fa” e sta cosa, ogni volta, mi fa ricordare che effettivamente ho fame e che quindi preso dalle voglie alzo il culo dalla sedia e mi dirigo verso la macchinetta più vicina per decidere che snackino mangiarmi per metà mattinata, solo che poi me lo mangio in quel momento lì perché sono un ingordo di merda e di conseguenza arrivo alle 11 che ho di nuovo fame. E così via, ogni giorno. Tutta colpa della domanda “cosa vuoi mangiare stasera?”. Non lo so Piccoli Bigfoot, però adesso ti devo lasciare perché sto per andare a vedere cosa mi può offrire la macchinetta.

Dopo aver preso uno snackino ricco di fibre, l’unico commestibile di tutta la macchinetta, mi approccio all’ascolto del secondo brano La Bella e la Maschera, che come prima considerazione ho pensato fosse un remake della filastrocca La Bella Lavanderina. Estremamente deluso e affranto nel constatare che in realtà non è La Bella Lavenderina, mi sono immaginato Piccoli Bigfoot assumere la forma di folletto delle foreste mentre canta questa lieta canzoncina che sembra uscita fuori da pub di un paesino irlandese.

Poi si passa al terzo brano Se Se Se che se si ascolta molto attentamente si possono immaginare i seguenti versetti:

Se ni’ mondo esistesse un po’ di bene
e ognun si honsiderasse suo fratello
ci sarebbe meno pensieri e meno pene
e il mondo ne sarebbe assai più bello

Potrebbe essere benissimo una parte di questa canzone di Piccoli Bigfoot e invece no, è una poesia scritta da Pietro Pacciani, conosciuto anche come Mostro di Firenze, espressa con amore e affetto durante l’imputazione di sedici omicidi e bacchettato dal giudice per la mancanza di tatto seppure la poesia fosse molto bella. Non dico che Piccoli Bigfoot sia un mostro, però se si guarda con un occhio un po’ più critico, è difficile non notare che assomiglia a Chewbecca di Star Wars, che un po’ mostro è dai.

Al quarto brano Sindrome di Peter Punk e al quinto brano La Più Bella che C’è, Piccoli Bigfoot si trasforma in patriota cantando inni alla sua città, Bergamo, e ai suoi abitanti affetti da questa sindrome di eterni bambini sempre arrabbiati. Questo forse è la forma che più gli si addice in questo suo percorso da mutaforma: in particolare nell’ultimo brano si sente quanto Bergamo sia parte di Piccoli Bigfoot e – dopo l’ultimo anno e mezzo pandemico che ha passato – dedicargli un brano poetico è la forma più dolce che si possa fare per esprimere quanto si voglia bene al posto in cui si è nati. Bravo Piccoli Bigfoot, ma dal cuore grande.

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Indie

Artegiani: “racchiudo le mie emozioni dentro alle canzoni”

Lei 1 Lei 2” è una canzone d’amore e di ripensamenti ed è anche il nuovo singolo di Artegiani, fuori in questo caldo venerdì di luglio.

La prima canzone ad uscire per l’etichetta spezzina Revubs Dischi, un singolo che sicuramente sarà il primo di una lunga serie. Noi ce lo siamo fatti raccontare!

Created with RNI Films app. Preset ‘Agfa Vista 100’
Ciao Artegiani, benvenuto! Raccontati con tre aggettivi, anzi due, per chi ancora non ti conosce!

Bellissimo e bravissimo (ride ndr). No scherzo, ho appena chiesto ai miei amici e hanno concordato gioviale e ironico.

“Lei 1, lei 2” è il titolo del tuo nuovo singolo uscito il 2 luglio per Revubs Dischi, ti va di raccontarcelo?

Assolutamente, “Lei 1 Lei 2” è un pezzo d’amore e di indecisioni, che ho scritto per mettere un po’ a posto le idee e perché quando le persone mi scoppiano dentro spesso mi viene da mettere quelle emozioni dentro alle canzoni.

Ci sono dei generi o degli artisti ai quali ti sei ispirato maggiormente specialmente negli ultimi mesi?

Molti, in Italia in particolare Motta e Vasco Brondi, fra gli emergenti Davide Petrella, Generic animal e Tommy Dali, mentre in generale alcuni artisti che si muovono fra il pop e l’hip hop in un certo modo ibrido e slegato dai canoni usuali mi attirano molto. Per esempio CarlxFranco, Izi, Tauro boys, ma anche Ginevra, Mara Sattei, Bartolini, Venerus.

Oltre alla musica ci sono delle immagini fotografiche, pittoriche e perché no, filmiche, a cui ti ispiri maggiormente?

Alcune in particolare no, ma ci sono delle fotografie o anche delle copertine di film oltre che pellicole vere e proprie che mi catapultano in mondi che mi scaturiscono emozioni e sensazioni fortissime. Sono ispirazioni grandissime quando accade.

Saluta la redazione di Perindiepoi con un messaggio che vuoi lanciare e a cui tieni molto!

Ciao ragazzi e lettori di Perindiepoi, impariamo a stare bene!

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Indie Pop

Ttom: “se occhio non vede, il cuore sa”

Ritornato dalla Scozia, ecco che Ttom ritorna in pista e in rotazione con un nuovo singolo, stavolta per l’etichetta Revubs Dischi: “Prendimi la mano” è il canto introspettivo di un autore che riscrive in chiave moderna ed elettropop quelli che sono i sentimenti che hanno da sempre accomunato tutta l’umanità.

Il testo gira intorno al detto “occhio non vede, cuore non duole“, chi non lo conosce?

Magari c’è chi lo conosce ancora meglio perché proprio questo modo di dire è diventano più o meno vero solo dopo essere stato davvero sperimentato sulla propria pelle, sul proprio cuore. Ttom conosce a memoria la sensazione che si prova a fingere di non sapere, anche quando non è l’occhio a vedere, e così ha deciso di dedicare proprio a questa emozione un’intera canzone.

Con lui poi abbiamo parlato anche della sua musica, ovviamente. E in modo particolare di quali siano gli artisti che gli sono stati vicini nei momenti più creativi e anche in quelli più spenti.

Insomma, lasciamo che sia Ttom a poter dare risposta a quelle che sono state le domande lasciate aperte dalla redazione, buona visione!

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Pop

Tra “kooks” ci si intende: una chiacchierata con gli Unkle Kook

Mica capita tutti i giorni di trovarsi a tu per tu con un brano come “Surf in Maremma”: disabituati come siamo agli smottamenti emotivi, certo dev’essermi sembrata una novità quasi inedita ritrovarmi alle prese con una sensazione di irrefrenabile movimento (che partiva dallo stomaco per diramarsi agli arti, senza però desistere dalla conqusita – riuscita – del cuore e del cervello) che mi ha costretto, sin dal primo play, ad innamorarmi di questo quintetto di folli “kooks” (che in linguaggio tecnico da surfisti significa una cosa non proprio carina, a differenza della musica proposta dalla band) che il venerdì di uscita mi ha saputo inaspettatamente regalare.

Per questo, una volta palesatami davanti la possibilità di andare più “a fondo” con gli Unkle Kook ho colto la palla al balzo: un’intervista non poteva che essere il modo migliore per capire chi avessi davanti. E chi ho davanti, a questo giro, di certo non riesce ad essere “contenuto” nelle poche domande di questo improvvisato simposio; tuttavia, gli spunti per capire di che pasta siano fatti gli Unkle Kook ci sono già tutti: per il resto, c’è Spotify (per fortuna, o purtroppo) e i palchi di tutta Italia, residenze itineranti della band surf/jazz/psyco rock più eccentrica che potrete scoprire oggi.

Ciao Unkle Kook, tre aggettivi utili a descrivere la vostra musica e uno che invece dice esattamente il contrario rispetto a ciò che siete, a ciò in cui credete.

Bagnata, ironica, facile. Il contrario di ciò che siamo? Se deve essere un aggettivo direi “noiosi”, anche se non ti giuro che sia esatto. Ciò in cui crediamo poi… non posso risponderti perché non siamo noiosi.

Il vostro è un esordio discografico che viene da lontano, con esperienze live di un certo tipo. Insomma, di pubblico e di artisti ne avete visti parecchi, in questi anni. Cosa ne pensate della scena, e che futuro credete possa avere un’idea di musica come la vostra, così incentrata sulla dimensione del live?

Probabilmente è da tanto tempo che non si sente così forte il bisogno di musica dal vivo ed in generale di tutto ciò che coinvolge i nostri corpi, da troppo oramai distanti e disabituati al contatto e alla vicinanza. Abbiamo tutti voglia di vibrare insieme e cosa c’è di più trascinante di una ritmica sfrenata e primordiale, con sferzate di chitarre riverberate e sassofono ululante? Ci sarà sempre bisogno di rock’n’roll e per farlo bisogna sudare, insieme.

Ecco, a proposito del live: un vostro pensiero/opinione/giudizio sulla situazione del settore dello spettacolo al netto del disastro pandemico che ha messo in ginocchio un’intera industria.

Speriamo che questa tragedia diventi una lezione; che sia servita ad imparare che senza musica e arte si può sopravvivere, ma abbiamo bisogno di vivere. Sarebbe bello che tutto questo servisse anche a creare le condizioni, a livello fiscale e culturale, per cui il lavoro del musicista sia un percorso dignitoso e rispettato, possibile per tutti coloro che decidono di dedicare la propria vita a un’arte complessa ed essenziale come questa.

“Surf in Maremma” è un brano che raccoglie voci diverse, e affida a chitarre e sax le redini di una canzone che sembra quasi divisa in livelli, in strati. Quali sono le vostre principali influenze, e come nasce il titolo del brano?

Il nostro è un gruppo di cinque musicisti. Ognuno di noi porta il suo sound che è fatto di un’infinità di musica e di esperienze diversissime. Certamente uno degli idoli degli Unkle Kook è Dick Dale, ma anche Little Richard, o Erkin Koray, la musica balcanica o psichedelica, il punk, o quel brano che ancora non abbiamo ascoltato. “Surf in Maremma” è un titolo direi didascalico, nel senso che descrive proprio quello di cui parla: una vacanza al mare, in Toscana, dove da bravi “kooks” il surf è stata un’esperienza piuttosto fallimentare, e con l’acqua alle caviglie e le chitarre in braccio abbiamo scritto questo brano.

Ora, ovviamente, confidiamo che non vogliate fermarvi, anzi, che presto ci darete in pasto qualcosa di ancor più corposo di questo esordio piacevolissimo ma fin troppo breve! Ci sono programmi in vista?

Abbiamo pronti in canna una bella serie di brani per accompagnarvi nelle prossime settimane. Sentirete! E in autunno contiamo di tornare in studio a buttar giù un’altra quintalata di musica divertentissima.

Salutateci facendoci una promessa che già sapete che non manterrete!

Ciao a tutti dagli Unkle Kook! Vi promettiamo che quando ci verrete a sentire dal vivo potrete godervi lo spettacolo comodamente adagiati sulle vostre seggiole. Rock’n’roll!!!

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Internazionale Pop

Le 5 cose preferite dagli The Heron Temple

Esce giovedì 17 giugno 2021 (in distribuzione Artist First) Sciogliersi un po’, il nuovo singolo dei The Heron Temple. Un nuovo capitolo di cantautorato electro-pop che fonde movenze elettroniche e giri di chitarra elettrica, per chi ha sognato almeno una volta di perdersi con qualcuno che si ama, per chi ama ballare sulle canzoni tristi e per chi, forse, ama anche litigare. Scioglietevi un po’…

Non abbiamo saputo resistere, e abbiamo chiesto loro quali sono le loro cinque cose preferite.

Vincent – CASA: Durante i vari lockdown in molti hanno sviluppato un rapporto conflittuale con casa e lo capisco, ma per me è stato completamente il contrario. Prima di allora passavo davvero poco tempo a casa tra concerti, studio di registrazione e teatro. Da quando si è fermato tutto mi sono reso conto di quanto fossi fortunato ad avere una casa con un grande giardino in una delle regioni con il clima migliore del mondo. Ho scoperto che si può lavorare al computer anche seduto su una sdraio sotto il sole o semplicemente farsi una birra con gli amici sdraiati per terra con un paio di candele intorno. Ho vissuto per tanti anni all’estero ma solo ora inizio ad avere la percezione di quanto possa realmente amare la mia casa ed il senso di benessere che mi da sentire radici ben ancorate al terreno.

Vincent – HER di Spike Jonze: Ho visto per la prima volta questo film per sbaglio, credendo fosse un film leggero, di quelli da guardare prima di andare a letto. Ne sono uscito completamente rotto, non saprei dire se in negativo o in positivo. Ho trovato così tanti spunti sociali, relazionali ed emotivi che per mesi vivevo in una specie di bolla in cui rivedevo tutto quanto nella vita quotidiana. È stata una sorta di ossessione che mi feriva ed allo stesso tempo mi rigenerava. E questo dovrebbe fare l’arte nella sua forma più alta, deve turbarti ma trascinarti in uno stato di catarsi così intenso da essere liberatorio.

Valerio – L’ALCHIMISTA di Paulo Coelho: Il protagonista del romanzo è Santiago,

un pastore andaluso che ha un sogno: quello di recarsi in Egitto per raggiungere le Piramidi dove troverà un tesoro. Santiago si avventura alla scoperta del mondo, incontra tante persone, entra a contatto con diverse lingue e culture di cui non era neanche a conoscenza, a tratti vorrebbe tornare indietro, lì dove tutto ha avuto inizio e dove può sentirsi più al “sicuro”, ma dall’altro lato non riesce a resistere all’insaziabile curiosità e l’irrefrenabile tentazione di non sapere cosa gli riserverà il domani.

Un viaggio che si rivelerà a tutti gli effetti un “viaggio dentro se stesso”.

Un libro per i sognatori e che in un periodo psicologicamente pesante mi ha riempito occhi e cuore di gioia.

Entrambi – ABBEY ROAD dei Beatles: per noi Abbey Road è uno di quei dischi che significano molto di più che semplici canzoni in sequenza. A casa di Vincent spesso mettevamo su il vinile di Abbey Road mentre scrivevamo le bozze dei nuovi brani. Dal primo all’ultimo secondo c’è talmente groove, sensualità, delicatezza, genialità che reputiamo Abbey Road una fonte d’ispirazione continua e sempre rinnovata. E’ un disco avvolgente che sembra portarti su un’altra galassia aprendoti nuovi orizzonti.

Entrambi – No Diggity di Chet Faker: abbiamo scelto questa canzone perchè in qualche modo è stata un po’ la svolta nel nostro modo di suonare. Vincent è cresciuto ascoltando i grandi del passato (Rolling Stones, Led Zeppelin, Robert Johnson etc.) mentre Valerio è stato sempre propenso ad assorbire tantissimi generi diversi guardando alle nuove uscite musicali.


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Indie Pop

Il lockdown secondo Franco e La Repubblica dei Mostri

Esce domenica 25 aprile 2021, giorno dell’anniversario della liberazione d’Italia, il nuovo singolo di Franco e La Repubblica dei Mostri dal titolo Superstiti Superbi Supereroi. Il brano, che segue la pubblicazione dell’album Sciarra Chitarra Musica Battaglia, è completamente scritto e prodotto in casa, nato dunque nel periodo di confinamento forzato: una canzone elegante con un vestito casalingo, specchio di questi tempi, uno sguardo intimo verso l’esterno: una casa e i suoi mille abitanti, in una città deserta.   Come una lente d’ingrandimenti sulle piccole cose, il brano esplora punti di vista
intorno al microcosmo delle mura domestiche, mentre si osserva il mondo fuori.

Non abbiamo resistito e gli abbiamo chiesto com’è andato il loro lockdown.

Come state passando questo strano periodo, qual è la vostra routine?
è diventato difficile rispondere a questa domanda perché questo “strano periodo” ormai sta andando avanti da oltre un anno, con oscillazioni di aperture-chiusure anche dal punto di vista emotivo. Ognuno di noi ha trovato diversi escamotage per organizzarsi la quotidianità tra quarantena, smart-working, gestione degli equilibri familiari… insomma non sempre semplicissimo, soprattutto le occasioni per stare tra noi sono state davvero poche. Di sicuro le giornate sono state più scandite da ritmi domestici rispetto a prima, e hanno finito anche per assomigliarsi un po’ tutte! Con qualche piccola gioia: abbiamo realizzato dei video di live dalle nostre case, ci siamo dedicati alla produzione di due nuovi videoclip animati, e stiamo appunto lavorando alla produzione di nuovi pezzi tra cui il singolo appena uscito Superstiti Superbi Supereroi.

L’arrivo della pandemia vi ha sconvolto qualche piano? Quale?
Ha sconvolto tutti i piani! Il nostro ultimo disco, che abbiamo amato molto anche perché frutto di una lavorazione piuttosto lunga, è uscito il 28 febbraio dell’anno scorso… potete immaginare tutto quello che avevamo previsto rispetto ai live e alla promozione e che è completamente saltato, togliendoci la gioia di condividere dal vivo questo progetto.

Ve la ricordate la primissima quarantena? Come la passaste?
Come dimenticarsela :)La passammo sicuramente più confusi di adesso, ma forse gustandoci di più la riscoperta della dimensione intima della vita domestica. Oggi siamo tutti decisamente più stanchi di questo microcosmo e non vediamo l’ora di riconnetterci con il mondo esterno.



Di cosa parla il vostro ultimo singolo? L’avete scritto nell’ultimo anno?
Si tratta un brano che abbiamo scritto e arrangiato in questi mesi di isolamento, in una modalità per così dire “casalinga”, senza troppo lavoro in fase di produzione. Sentivamo l’esigenza di rispondere a questo periodo di assenza forzata di live, dopo aver dedicato molto tempo alla lavorazione del nostro ultimo disco, con un processo più snello e per così dire istantaneo di brani che hanno preso vita negli ultimi mesi, tra cui appunto questo singolo.Non c’è un percorso narrativo lineare nel pezzo, sono immagini e sensazioni che vengono soprattutto dall’esigenza di restituire il rovesciamento di prospettiva che ci ha portati ultimamente a rivolgere lo sguardo sulle piccole cose, sui dettagli legati alla quotidianità. Le mura di casa sono diventate nell’ultimo anno la dimensione principale intorno a cui hanno preso corpo i nostri pensieri.

Cosa vi manca più di qualsiasi cosa?
Abbracciarsi

Vi ricordate ancora l’ultima serata che avete fatto post 22.00?L’ultima serata post 22.00 trascorsa insieme è stata quella del concerto live che abbiamo fatto a ottobre, a Milano, per lanciare il nostro ultimo disco “Sciarra Chitarra Musica Battaglia”. C’era un’energia bellissima, arrivavamo da mesi faticosi e da un’estate più spensierata, c’era tanta voglia di stare insieme e di suonare dal vivo.Speriamo di ritrovare presto quell’energia perché ne abbiamo tutti bisogno!

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Indie Pop

“Divino” come Ian Luis

Si scrive Sebastiano Inturri, si legge Ian Luis, artista classe 1993 che sin da piccolo aveva capito che il suo destino era diventare un cantautore, e così è stato. Dopo il suo ultimo album “Generale paranoia”, Ian Luis torna con un nuovo singolo “Divino”, divino come l’apatia che trasforma magicamente tutto il circostante, divino come tutto quello che non vediamo ma che percepiamo ugualmente.

A continuare questa similitudine lasciamo che sia direttamente l’artista.

Ciao Ian Luis, a proposito di “Divino”, questo è anche il titolo del tuo ultimo singolo, ti va di
raccontarcelo?

Divino nasce con la voglia di mandare un messaggio di speranza, verso tutte quelle persone che magari si sentono sole e sperdute, dentro la loro apatia o la loro solitudine. Oltre questo ‘’Divino’’ è anche quella scintilla, quella ispirazione appunto divina che arriva quando scrivi una canzone, quando dai vita e partorisci un mondo tutto tuo.

Può succedere a tutti di vivere dei momenti di apatia, quando accade a te, qual è la tua “cura” a questa malattia dell’anima?

La Musica, può sembrare una risposta scontata, ma grazie ad essa sono riuscito ad incanalare ogni mia tristezza e ogni cosa negativa in parole, melodia e musica.

Ascoltando il tuo brano “L’amore è come il morbillo” mi viene da pensare che la scelta della similitudine sia stata ben scelta, oltre ai segni dell’amore quello per una persona, ci sono delle cicatrici che ti porti dietro dovute alla tua esperienza nell’ambito della musica?

Fortunatamente ancora no, tutte le cicatrici che mi porto dentro riguardano le persone, credo che comunque qualsiasi cicatrice derivata dalle esperienze musicali sia un modo per cadere e rialzarsi, così da vedere la strada di nuovo in salita, di nuovo in ascesa.

Lasciaci con gli artisti che in questo momento sono stati di maggiore ispirazione per te e
per la creazione dei tuoi brani!

Cosmo, ComaCose, Willie Peyote, Brunori Sas, Miglio, Sirente.

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Elettronica Indie Internazionale Pop

Il lockdown secondo Hesanobody

Esce venerdì 30 aprile 2021 il nuovo singolo di Hesanobody per Street Mission Records (etichetta londinese distribuita da [PIAS]). Si tratta del primo nuovo estrato dal nuovo e conclusivo capitolo della trilogia di EP iniziata con The Need To Belong e The Night We Stole The Moonshine, in uscita quest’estate. Il progetto solista di Gaetano Chirico torna con il suo inconfondibile cantautorato electro-pop di respiro internazionale. The Necessary Beauty è un risveglio dopo una serie di sogni e incubi, un ritorno alla realtà che ritrova il protagonista a fare il punto della sua vita, confrontandosi con domande retoriche, inutili, che rischiano di ingigantirsi intralciando il suo cammino, una preghiera fragile per ritrovare una via che rendiamo inconsciamente impervia, auto-sabotandoci.

Gli abbiamo chiesto come ha passato il lockdown!

Come stai passando questo strano periodo, qual è la tua routine?

Sto passando questo periodo sforzandomi di renderlo il più normale possibile. La mia routine non è cambiata tantissimo, “semplicemente” molte cose che prima facevo di persona, adesso son costretto a farle da casa davanti ad un computer e qualsiasi serata con altre persone, che sia fuori o a casa, deve terminare entro un certo orario. È di sicuro alienante, anche per una persona che ama molto stare a casa come me. Più che altro a seconda del momento mi capita di vivere male e con fastidio l’impossibilità di scegliere, di avere alternative.

L’arrivo della pandemia ti ha sconvolto qualche piano? Quale? 

Li ha di certo rallentati parecchio. Già l’anno scorso ero pronto a pubblicare un singolo in primavera, ma le chiusure, le limitazioni e l’incertezza hanno bloccato qualsiasi cosa, facendomi ripensare a tutto il mio nuovo lavoro. Mi auguro in meglio!

Te la ricordi la primissima quarantena? Come la passasti?

Chiuso in casa, per fortuna non da solo come molta gente. Con la mia ragazza ci siamo accodati alle innumerevoli persone che hanno deciso di darsi alla panificazione, ma solo dopo aver lottato per settimane alla folle ricerca del lievito.

Di cosa parla il tuo ultimo singolo? L’hai scritto nell’ultimo anno?

‘The Necessary Beauty’ è sostanzialmente una preghiera. Un’esortazione a non lasciarsi sopraffare dalle aspettative che noi stessi e gli altri riponiamo sul nostro percorso di vita, a non auto-sabotarci cercando risposte alle domande sbagliate. Ho iniziato a scriverlo nel maggio del 2019, dopo di che l’ho lasciato sedimentare fino all’estate scorsa, quando sono riuscito a trovare la veste definitiva grazie all’aiuto di Federico Ferrandina, il produttore della traccia.

Cosa ti manca più di qualsiasi cosa?

Non aver paura di abbracciare familiari e amici, ma son fiducioso si tratti solo di pazientare ancora per poco.

Ti ricordi ancora l’ultima serata che hai fatto post 22.00?

Quest’estate nella mia città natale Reggio Calabria. Ho passato diverse di serate pseudo-normali e senza limitazioni dettate da coprifuoco. Non vedo l’ora si possa tornare a farlo.

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Indie Internazionale Pop Post-Punk

Bibopolare, massaggio cardiaco per un cuore al collasso

Mica facile tornare alla vita, ricordarsi come scrivere di musica dopo così tanto tempo che non lo fai. Le bollette da pagare, gli affitti da sbarcare, il dentista da saldare e una liquidità alienante che ci sta condannando – in modo sempre più disperato e tragicamente “resiliente” – ad assumere le forme di contenitori che non si lasciano individuare ma che, ciononostante, danno una direzione sempre cangiante al nostro existere et cogitare, insomma, la frenesia di una quotidianità sempre più isterica mi ha tenuto, negli ultimi mesi, lontanissimo da quello che più amo fare: scoprire cose nuove, ascoltare musica che emozioni, dare un senso a tutto questo grigiore che attanaglia l’entusiasmo ed uccide la fantasia.

Ci voleva in effetti un disco come quello di Bibopolare – eccentrico cantastatorie (o meglio, auto-terapeuta lucano: ascoltate il suo ultimo lavoro, e capirete cosa intendo) originario di Potenza ma con base a Bologna – per farmi riprendere in mano il filo del discorso, restituendo un po’ di speme a questo corpo lasso e stanco di immondizie musicali (cit.) e di direttori artistici che sarebbero dovuti andare in pensione già quarant’anni fa (ai tempi, insomma, del celebre disco “Patriots” del grande Franco Battiato) e che invece, travestiti da novelli hipster e produttori rigenerati (Frank Zappa docet), continuano a vendere la rivoluzione a colpi di mercato.

Perché si sa, la moda di essere ribelli non smetterà mai di far arricchire editori e discografici sempre ben attenti ai bisogni dei più giovani, che altro non sono che «splendide invenzioni – come direbbe Alessandro Carrera – del XXI secolo» e – da almeno sessant’anni, quando cioè il boom economico ha scoperto il “tempo libero” – pacchetti azionari deambulanti per l’industria dell’intrattenimento.

Bibo, invece, dal bagno di casa sua (sì, quello che sentite nel disco è lo splendido riverbero naturale che si può apprezzare solo nel gabinetto della propria abitazione) ha registrato un disco diverso, che parla di tutte quelle cose che ho elencato sopra e che negli ultimi mesi mi hanno succhiato via a forza la voglia di ascoltare, di scrivere e di crederci: dall’ascolto denso e (volutamente) faticoso di “Com a na crap” – letteralmente, “come una capra” – emergono richiami alle radici e slanci verso un recupero del passato tanto retrò da sembrare futuristico, tanto originario da diventare originale.

E in effetti, “Com a na crap” è un disco che non possono capire tutti, che in playlist non finirà mai perché invece che consolare l’ascoltatore lo prende a pugni, con la crudezza di una poesia amara avvalorata dal filtro sempre malinconico e nostalgico della scelta dialettale, ben lontana qui dal populismo dello stornello o della tarantella (anche se, ben s’intende, nulla vi sarebbe stato di male in caso contrario) ma piuttosto vicino al cinismo onirico di un Trilussa (anche se qui il dialetto usato non è quello romano, ovviamente, ma il lucano).

Bibo racconta di dolori che appartengono alla mia, alla nostra generazione, irrisolti cronici a cavallo tra un passato da inadatti alla responsabilità e un futuro che ci obbliga al protagonismo, senza concedere margini di errore ad un popolo di eterni adolescenti immobilizzati dalla costante svalutazione della propria virtù, dalla disistima inflazionata da una crisi prima valoriale e poi economica, da una licenza di sopravvivenza che ci ha disimparato a vivere davvero.

Insomma, in “Com a na crap” Bibopolare racconta tutti i motivi che mi hanno spinto, come dicevo, a desistere dall’ascoltare musica nuova, dal cercare «nell’inferno ciò che inferno non è» e dal credere che possa servire a qualcosa; allo stesso tempo, nello stesso disco, si annidano tutti i motivi necessari a non smettere di resistere, a non cessare di lottare.

Sapere di non essere soli, in questa disperata trincea, fa bene al cuore rimettendolo al proprio posto, dov’è sempre stato. Qui, trovate qualche domanda fatta all’artista, che ha risposto con la sua proverbiale e serafica semplicità. Su tutte le piattaforme d’ascolto digitale, invece, trovate “Com a na crap”, il disco d’esordio di Bibopolare.

Fatevi del bene: sudatevelo; ne vale la pena.

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Elettronica Internazionale Pop

Le 5 cose preferite dei Low Polygon

Con un nome che fa riferimento diretto alla grafica tridimensionale – in particolare ai poligoni – i Low Polygon si pongono l’obiettivo di tradurre in musica quello che sentiresti nel tenere in mano un cubo. Da un lato dinamiche nette e affilate. Dall’altro lato, loop sia nella musica che nei testi. Una tridimensionalità che viene trasportata live con strumenti acustici ed elettronici. Low Polygon è un progetto che nasce nel 2018 a Dalmine in provincia di Bergamo. Inizialmente concepito come un progetto di musica elettronica prende nel tempo la forma di un ibrido acustico/elettronico per poter essere portato sui palchi.

Dietro Low Polygon ci sono Giorgio, Davide, Marco e Omar; un team a metà tra la musica e l’arte grafica con una concezione stilistica, sonora e artistica improntata sul concetto “low poly”.

Ecco quali sono le loro cinque cose preferite.

BABASUCCO
Eravamo all’Off Topic di Torino e Omar aveva queste bustine di “babasucco” che gli avevano dato giorni prima come energizzante con caffeina e/o ingredienti con effetti simili. L’utilizzo era semplice: busta, acqua, mescola. Sta di fatto che abbiamo deciso di testarla su Marco senza dirgli niente per vedere se effettivamente funzionasse, per essere sicuri abbiamo usato qualche busta in più. C’è da dire che Marco non è mai stato un gran fruitore di caffeina e la botta di energia si è manifestata in modo piuttosto massiccio: pochi minuti dopo averlo bevuto non riusciva a smettere di muoversi, è stato un razzo a smontare tutte le cose sul palco ed è uscito dal retro del locale facendo avanti e indietro più volte sulla via, l’effetto è durato in modo considerevole contando che nella pausa autogrill tra Torino e Bergamo è sceso dalla macchina per fare svariati giri di corsa attorno all’autogrill alle 2 di notte.

POLIZIA
Chi ci conosce sa che abbiamo sempre avuto difficoltà a descrivere il nostro genere musicale, c’è dell’elettronica ma con molti riferimenti suonati, delay piuttosto ricercati ma anche fuzz ignoranti e quando i poliziotti in un controllo di routine fuori dall’autostrada ci hanno chiesto “ah si, eravate a suonare? e che genere fate?” siamo caduti in un silenzio di riflessione che è risultato estremamente sospetto. Marco cercando di riempire il vuoto esordisce con “prima cantavamo in inglese ora cantiamo in italiano” la risposta dell’agente è stata “avete fatto bene, potete andare”; è da quel momento che abbiamo deciso definitivamente di cantare in italiano.

IL LICEO ARTISTICO PIERO PELÙ
La prima volta che siamo andati a suonare a Firenze è nata una legge non scritta interna al gruppo per cui Giorgio non può guidare.
Non c’è un vero motivo anche perchè io (Giorgio) ho sempre guidato, ma da allora nelle trasferte più lunghe sto seduto dietro e mi faccio portare, top. Mentre mi godevo il viaggio dai sedili posteriori ho convinto tutti che a Firenze ci fosse un liceo artistico dedicato a Piero Pelù. Ci piace ricordare quel momento.

IL GIOCO DI OMAR
Esiste un gioco alcolico che dopo averlo giocato nessuno ricorda più le regole e vanno riscritte, è il gioco di Omar.
Omar è l’unico che se lo ricorda: tra i nostri amici esistono molte varianti di questo gioco perché ogni volta viene ricreato, anche se onestamente ora non me le ricordo.

LA PASTA PRE CONCERTO
Alcuni la mangiano prima, altri la mangiano dopo, altri come Cesti scompaiono fino all’inizio del concerto perchè si ritira a meditare nell’angolo più isolato del locale. Insomma la abbiamo provata di tutti i tipi: calda, fredda, buona, e soprattutto dimmerda.
Nonostante l’imprevisto che il cibo svolge nel periodo tra il soundcheck e il live, questa pasta di Schrödinger è il momento che aspetti prima di salire sul palco. Contiamo di tornare presto a mangiarla e di conseguenza a suonare.