Il duo piacentino “LAMETTE” , torna con “PLASTICA”, il nuovo singolo uscito venerdì 18 febbraio ed inserito in New Music Friday Italia e Scuola Indie di Spotify, New Music Daily e Super Indie di Apple Music e Pop 2.0 di Amazon Music. Il brano parla di un ragazzo al quale è stato spezzato il cuore da una ragazza che ha saputo manipolarlo fino alla fine. Una storia d’amore finita male, uno sfogo contro la malinconia che in qualche modo ha come filo conduttore le paure e le ansie della Gen-Z.
LAMETTE è un progetto nato nel 2020, composto da Vasco Cassinelli e Cristian Pinieri. Il duo ha totalizzato oltre 300 mila streams su Spotify che li ha inseriti più volte nelle playlist editoriali, New Music Friday Italia, Scuola Indie, Una Vita In Università e la playlist ufficiale di Xfactor 2021.
Abbiamo chiesto ai Lamette di scegliere 5 oggetti per parlarci del loro nuovo brano
Chitarra Fender
Cristian: “È uno strumento a cui sono molto legato, sin da quando ho iniziato a suonare. È stata il mio primo approccio con la musica, è tutt’ora il 90% dei nostri brani nasce da una demo chitarra/voce.”
Videocamera vhs
Vasco: “Acquistata per la bellezza di 15€ ad un mercatino dell’antiquariato è una handycam e la uso principalmente per filmare cose a caso (la tengo sempre in macchina per ogni evenienza). Dà sempre quel tocco vintage che mi fa impazzire.”
Vinile dei 1975
Cristian: “Attualmente è il disco a cui sono più legato, nonostante sia un album del 2013 suona ancora attuale, resta per me una grande fonte di ispirazione e di motivazione. Fun fact: la copia fisica l’ho appesa al muro perché il mio lettore si è rotto.”
Rick&Morty
Vasco: “Da grande fan della serie tv ho iniziato a collezionare i pupazzetti e questo in particolare è il mio preferito.”
Macchina fotografica Fujifilm
Cristian: “Oltre alla musica una mia grande passione è la fotografia, specialmente negli ultimi anni questa macchina è diventata il mio “must have” per qualsiasi uscita, da una serata con gli amici ad una session in studio.”
Quando ho scoperto Ibisco, circa un paio di mesi fa nell’ambito della nostra rubrica “Dammi tre parole”, ho subito capito che sarebbe stato bello, un giorno, poterlo intervistare.
Sì, perché il ragazzo tutto broncio (fascinoso, sia chiaro!) e Joy Division è uno di quello che ha qualcosa da dire – anzi, più di qualcosa -, e che le volte che parla non passano inosservate le sue risposte e le sue argomentazioni, come ben emerge dall’intervista realizzata da Back To Futura nel salotto di La Jungla Factory; qualche giorno fa, trastullandomi sul web, sono inciampato infatti sulla prima puntata sinergica di “Back To La Jungla”, il format nato in collaborazione tra i due collettivi sopracitati grazie al supporto di Incontri Esistenziali, associazione culturale del bolognese che dal 2015 s’impegna a promuovere la cultura dell’incontro attraverso iniziative che vanno dal sociale al culturale.
E’ proprio nell’ottica di tale “mission” che il nostro caro Ibisco è stato coinvolto nella performance chitarra e voce che lo ha visto protagonista della prima puntata del format, per poi mettersi a nudo con Stefano Valli tra le piante e le belle vibrazioni dell’auditorium della Jungla: come poteva non salirmi la voglia di replicare, e di cogliere al volo l’occasione di fare anche io qualche domanda su “Nowhere Emilia”, il roboante disco d’esordio di Filippo, all’artista stesso?
Ne è venuta fuori una conversazione importante, che mi rende felice del lavoro che faccio. Che poi, è un lavoro? Non lo so, ma nel dubbio continuo per la mia strada: fosse mai, che per la via mi ricapiti di incontrare qualcos’altro di così luminoso come il diamante grezzo (volutamente tale!) che mi ha risposto nel modo che segue.
Filippo, partiamo dal titolo del tuo disco d’esordio, “Nowhere Emilia”. Come si fa ad essere “da nessuna parte” e contemporaneamente in un luogo così definito, come la tua Emilia?
Accade grazie ad una sorta di principio di ubiquità dei luoghi, la capacità che essi abbiano di essere contemporaneamente visibili al di fuori di noi, quali manifestazioni della civiltà e dei suoi opposti, e accessibili all’interno, sotto forma di introspezione, memoria, ricordi, immaginazione.
Certo che il rapporto con il tuo territorio deve avere influenzato la scrittura dell’album; scenari emiliani e periferia bolognese respirano a pieni polmoni attraverso le tracce del disco: che rapporto hai con l’Emilia?
Un rapporto fatto di interminabile vagare, all’interno del quale le ore vengono fagocitate dai viaggi in auto per guadagnare soldi, dalle carenti memorie di serate urbane, dai moti muscolari ai confini della pianura e da sentimenti a perdita d’occhio.
Nei tuoi brani canti di un disagio che, se vogliamo, sembra raddensarsi attorno ad una visione delle cose che pare urlare, a suo modo, che non esiste alcun futuro. Quali sono i nuclei portanti della tua poetica?
Credo che alla base vi sia una sorta di esistenzialismo che, debole della sua normalizzazione avvenuta nel corso degli anni, per farsi ancora notare quale irrinunciabile punto di vista debba necessariamente alzare i toni. Poi ci sono la fragilità, la sessualità, l’innato desiderio di riscatto soggiacente all’era della disillusione.
Batterie elettroniche che suonano nelle canoniche, casse sudicie da cui sembra scaturire la vita: gli ultimi, in senso quasi “deandreiano”, siamo noi, generazione allo sbando costantemente impegnata a cercare sé stessa lontano dalla plastificazione del nostro tempo. Credi che esista, nella tua scrittura, qualcosa che possa essere definito “generazionale”? E a questo punto ti chiedo se ti senti parte di qualcosa, di una “generazione sconfitta”.
Dal momento che le persone si rivelano molto più simili tra loro di quanto solitamente non pensino, credo che il vero “essere generazionale” risieda nella più brutale ricerca della sincerità. In questo senso, dal punto di vista della scrittura e della produzione, c’è stata molta attenzione.
Più che sconfitta, la mia generazione, penso sia sempre più povera di scopi. Il futuro ha sempre meno dimensione. Da un punto di vista meramente masochistico, questo può portare per contrappunto alla formazione di un’urgenza espressiva senza precedenti, dalla quale possano emergere potenti risultati artistici.
Ecco, ho parlato di “beat generation” perché mi pare che il collegamento tra il tuo disco e certe letture (oltre che certi ascolti) sia evidente. Esistono dei libri che hanno influenzato la stesura di “Nowhere Emilia”?
Sicuramente “Noi, ragazzi dello Zoo di Berlino” di Christiane F e “Petrolio” di P. P. Pasolini.
In “B” duetti con Enula, nome conosciuto a chi frequenta la scena “underground”. Credi che oggi si possa ancora parlare di “scena”? Esiste, secondo te, una scena ben precisa come poteva essere negli anni Settanta/Ottanta per la scuola emiliana, genovese, milanese o romana?
“Scena” credo sia un termine meravigliosamente affetto da misticismo e autoironia. È la parola con cui si definisce l’indescrivibile Everest della musica emergente, un mondo dove molto spesso si confondono realtà e velleità, un gigantesco cosplay fatto di amore, sacrificio e un pizzico di spirito sedicente. A mio parere sono i festival a consacrare le varie “scene”, più che il territorio di provenienza.
Cosa vuol dire per Ibisco la parola “cantautore”? Perché in effetti la tua musica respira di uno slancio “autorale” più che evidente. E allora ti chiedo: cosa vuol dire, oggi, fare “canzone d’autore”? Sempre che tu ritenga che tale definizione generica possa, a suo modo, descrivere almeno parzialmente quello che fai.
È una parola che da un lato mi spaventa in quanto ormai sovraccarica di retorica passatista. Fare musica oggi significa inevitabilmente riassemblare elementi precostituiti nel modo più originale e inedito possibile. Il cantautorato, in questo senso, è un ingrediente, più che un’essenza.
Quali sono le tre cose che Ibisco meno sopporta della nostra contemporaneità.
Il bisogno di esprimersi da ignoranti (il silenzio non è un reato), L’ipocrisia di un sistema economico-politico troppo poco orientato al benessere sociale, la mascolinità tossica.
Raccontaci in una manciata di parole la tua esperienza a La Jungla Factory, dove hai recentemente riassaporato il gusto del “live” con una session acustica di “Chimiche”.
Punk, punk, punk. Persone che vivono con grande anima la missione della musica e dell’arte in generale. C’è bisogno di spazi come questo.
Chiudiamo con la più classica delle domande, che però oggi pare essere l’unica che conta: a quando dal vivo, in tour?
Ci stiamo preparando per iniziare a portare il disco live entro pochissimi mesi.
Dopo il debutto con il singolo Elisa, Efferre torna con Pezzi di un puzzle, un brano up tempo dal sound elettronico chenel testo affronta a tutto tondo il mondo delle relazioni.
“Spesso ci buttiamo tra le braccia di un altro solo per cercare di guardare avanti, sentirci ancora vivi, lasciare alle spalle il passato e perché non sopportiamo le mancanze”.
Efferre, all’anagrafe Antonio Feroleto, è un cantautore e produttore di origini calabresi ma trapiantato da tempo a Bologna. Negli anni gravita nel circuito dei locali del capoluogo emiliano, suona insieme ad artisti delle scena elettronica internazionale come FatBoy Slim, Ellen Allien, Seth Troxler, Martinez Brothers.
Il cantautore calabrese EFFERRE ha risposto alle nostre domande in questa intervista:
Ciao Antonio, è uscito il tuo nuovo singolo Pezzi di un puzzle. Di cosa parla?
Parla di due persone che si incontrano dopo un po di tempo e si rendono conto di come alcuni sentimenti non siano cambiati.
C’è un verso di una canzone di un tuo concittadino che fa: “Complichiamo i rapporti come grandi cruciverba” (Cremonini, Nessuno vuole essere Robin). Pensi che si colleghi bene al tuo pezzo?
Beh si perchè no? poi nessuno vuole essere robin è il mio pezzo preferito di Cesare, sono onorato di questo accostamento.
Quanto c’è di autobiografico in questo singolo?
Penso che chiunque scriva un pezzo ci metta dentro contenuti autobiografici. Siamo portati a scrivere tante volte perchè non riusciamo a dire a parole delle cose e le mettiamo dentro le canzoni.
Il tuo pezzo precedente, Elisa, invece racconta una storia in terza persona. Quali sono i punti caratteriali di questa ragazza e in cosa potrebbe immedesimarsi una ragazza?
Si Elisa è più una descrizione immaginaria di una ragazza.Ho provato a descriverla nelle cose quotidiane che accomunano un po tutte le persone di oggi in modo tale che chiunque si ci possa rispecchiare un po.
Parliamo del sound, tu fai elettronica da anni. Questo progetto come si collega al percorso artistico avuto in precedenza?
Nella vita non si butta mai niente 🙂 Ho prodotto sempre roba da dancefloor con queste sonorità ho pensato che aggiungendo una parte cantautorale potessi far fare il salto di qualità ai miei dischi.speriamo che alla fine sarà così
Tre album di musica elettronica che ti hanno segnato?
Questa è dura!. You’ve come a long way baby – Fat boyslimorchestra of bubbles – Ellen Allien & Apparate sarei falso se non ci mettessi anche Play it loud – Marco Carola
VINCI LUGLIO debutta sui digital stores con il brano “Usciamo Insieme”, dopo essersi classificata al secondo posto alla trentesima edizione del “Festival Città di Caltanissetta” (presidente di giuria, Beppe Vessicchio). La canzone, distribuita da ADA Music Italy, è stata prodotta con Luca D’Aversa e la supervisione di Marta Venturini, presso lo StudioNero (Calcutta, Coez, Emma Marrone, Ghemon, ecc.), a Roma. Il sound mescola la tradizione melodica italiana con le sonorità d’oltreoceano, ispirandosi al pop di Battisti con un po’ di Tame Impala, passando per l’influenza degli ultimi lavori di Di Martino, conterraneo dell’artista.
Per l’occasione, abbiamo chiesto a Vincenza di parlarci delle sue 5 cose preferite:
Il disco Dalla di Lucio Dalla
Ho diversi dischi preferiti e dischi preferiti diversi in base al periodo che sto attraversando. Eppure, se dovessi scegliere un album che mi accompagna da un considerevole numero di anni senza stancarmi mai sarebbe Dalla, di Lucio Dalla. Se il disco preferito è quello di cui non skippi neanche un brano, non ci sono dubbi: è proprio questo.
Il mio ukulele
Per quanto lo bistratti è sempre con me e fa da base d’appoggio alla scrittura di tutti i miei brani.
Le Correzioni di Jonathan Franzen
Per me un bel libro non è quello che leggi tutto d’un fiato, ma quello che il fiato te lo fa trattenere. Diverse volte nel corso della lettura di questo libro ho sentito il bisogno di fare delle pause, per metabolizzare quello che avevo appena letto. È il libro preferito del mio autore preferito. Una piccola curiosità, proprio alla protagonista di un libro di Franzen ho dedicato un mio brano ancora inedito!
Le “minne” di Sant’Agata
Da catanese adottiva quale sono, vado letteralmente matta per questi involucri di pasta di mandorla, ripieni di crema di ricotta con gocce di cioccolato e arance candite, chiusi con pan di spagna e ricoperti di ghiaccia reale bianca. Caratterizzati dall’aspetto candido e sormontati da una ciliegia rossa, sono dedicati proprio alla santa patrona della città.
Il mare d’inverno
Sarà un cliché, ma il mare d’inverno è un privilegio dei miei 30 anni a cui non sono più disposta a rinunciare.
“Chi sono io?” è il nuovo brano dei Sofisma, duo indie rock dalle sonorità energiche. La canzone racconta la voglia di trovare sé stessi e la ricerca della propria identità. Una melodia vocale sfrontata e decisa, per un testo che affronta una tematica importante come la paura dell’essere dimenticati e dell’ansia sociale.
Un brano indie-pop trainato dai riff di chitarra, un sound energico di influenza britpop e post-rock che ricorda la scena alternativa inglese della seconda metà degli anni Ottanta.I Sofisma sono un duo musicale formatosi in provincia di Alessandria nel 2020. I due fratelli, Nicolò Sassi (Voce, tastiere, batteria) e Matteo Sassi (Chitarra, basso, cori), iniziano a studiare musica intorno ai dieci anni e formano diversi gruppi con cui suonano principalmente nell’alessandrino. Nel 2020 decidono di mettersi in proprio formando il duo musicale Sofisma e si dedicano alla scrittura di nuovi brani. Nel 2021 escono i loro due primi singoli: “Notte Blu” e “Un’altra verità”.
Nicolò e Matteo hanno risposto alle nostre domande:
Disponibile dal 5 gennaio, “COME SERPENTI”, il singolo d’esordio di HERMES distribuito da ADA Music Italy. Il brano, prodotto da Alessandro Landini e masterizzato da Marco Ravelli ( Pinguini tattici nucleari, Iside, Chiamamifaro), racconta di una relazione ormai arrivata al capolinea, e di quanto a volte può essere difficile accettare e superare la paura che la fine di un rapporto comporta.
Il sound mescola rnb, indie pop e it pop. Un brano uptempo dove ritmiche funky delle chitarre sostengono un groove ballabile e catchy. Hermes è Christian Cotugno, giovane cantautore classe 2000. Si approccia al mondo della musica e dalla danza sin da bambino e la sua musica racconta la “generazione z” e le loro storie d’amore con ironia ed un pizzico di leggerezza. Nel 2021, dopo diverse esperienze musicali, inizia a lavorare al suo primo EP anticipato dal brano “Come serpenti” edito da Aurora Dischi Publishing e distribuito da ADA Music Italy.
Hermes a risposte alle nostre domande in questa intervista:
Brida, già il nome, in qualche modo mi incuriosisce. Non so il perché, ma mi ricorda qualcosa che è sepolto sotto, che è antico, che suona quasi mitologico: Brida, Brida, Brida… forse un personaggio di qualche saga greca o romana? O forse siamo più a Nord, verso l’Europa dei vichinghi? O nei continenti caldi, dove tutto diventa sole e vita che splende? Vabbé, ma che importa: quel che sappiamo di Brida è che, al momento, la ragazza è geolocalizzata in Toscana dopo una peregrinazione che l’ha portata a fare su e giù per il mondo, da Londra al Brasile; insomma, una vita che assomiglia più ad un crocevia di esperienze umane e musicali diverse, che ad un blocco granitico e inamovibile che puoi decidere di spostare da una parte o dall’altra.
Basta leggere un po’ le note stampa dell’artista per renderci conto che, un’improvvisata, di certo Bridanon è – anzi: la giovane cantante toscana ne ha già fatta di gavetta, ma ciò che incoraggia è il fatto che sembri essere ben consapevole che il percorso formativo non finisca mai, e che senza dolore non c’è gloria, come direbbe qualche celebre inventore di slogan. Anche quando la vita ti porta a mettere in discussione il cammino fatto fin qui, e a ponderare l’ipotesi che in fondo fare il musicista nel 2022 stia assomigliando sempre più a qualcosa che oscilla fra le definizioni di “lusso” e “martirio”. In mezzo, c’è una quotidianità fatta di sacrifici e di lavoro, nel costante tentativo di tirar fuori da sé stessi qualcosa che torni a stupirci, prima ancora che stupire gli altri.
Forse, dopo lunghe peregrinazioni, Brida pare aver trovato il suo “centro di gravità permanente”: la squadra di produttori, in primis, sembra esser riuscita nell’impresa di dare una forma convincente ad una scrittura che pare ancora legata al momento, e all’ispirazione che non segue regole né canoni; insomma, quello di Brida è un flusso che trova un flow ben preciso nelle contaminazioni Trip Hop e Urban della lettura musicale proposta dal team di Fennec, permettendo al brano di farsi ipnotico senza perdere di tensione e sostanza. Le parole, invece, arrivano subito con sincerità perché non pare esserci posa, dietro la penna di Brida: la ragazza si racconta, racconta il proprio rapporto con sé stessa e con l’altro da sé; mette alla berlina le proprie paure e ne fa una hit buona per superare i momenti no, senza doversi a tutti i costi raccontare che “andrà tutto bene“.
Sì, perché la verità è che “va bene” ciò che ci impegniamo a far andare in tale direzione: anche se, spesso, questo vuol dire compiere sacrifici che non sapevamo di essere pronti ad affrontare. E questo, forse, non è crescere?
In occasione dell’uscita del suo primo singolo da solista, “Nebula”, abbiamo fatto qualche domanda alla violinista e musicista (da anni sul palco con Blindur) Carla Grimaldi, che battezza il suo debutto in solitaria con un brano dedicato all’osservazione dei cieli, metafora di una ricerca esistenziale (oltreché musicale) che non vuole fermarsi alla punta del proprio naso.
Carla Grimaldi, una vita sui palchi e oggi ti metti in proprio. Era da tanto che covavi lanecessità di una tua affermazione solistica oppure è un qualcosa che è nato da poco, questotuo slancio solitario?
Con Blindur sono sempre stata estremamente libera di esprimermi e di sperimentare con il mio strumento nell’ambito della musica folk alternativa, della quale sono una grande fan, ma la mia passione per le Amiina e per i Sigur Ròs mi ha spinta verso l’esplorazione di nuovi orizzonti musicali. È da qui che nasce la mia scelta di avviare una carriera solista, che non si discosta in realtà così tanto dall’estetica musicale di Blindur. Ho voluto mettermi alla prova, capire compositivamente fin dove potevo spingermi, lavorando su idee accumulate negli anni ma lasciate a fermentare. In generale comunque, direi che ho sempre fantasticato intorno all’ idea di un mio progetto solista, tutto incentrato sugli archi e sull’elettronica, e sono molto felice di aver finalmente iniziato!
Tra l’altro, “Nebula”, il tuo brano d’esordio, vede la collaborazione artistica con MassimoDe Vita (Blindur), con il quale hai condiviso gran parte della sua e della tua esperienzamusicale. Eppure, il linguaggio utilizzato qui è ben diverso rispetto a quello di Blindur:esiste una continuità tra ciò che è “Nebula” e il percorso da cui vieni? Oppure il brano è una“rottura” con tutto ciò che lo precede?
Dal punto di vista estetico, sicuramente “Nebula” rappresenta una sorta di rottura con quello che è l’immaginario sonoro di Blindur, in quanto lontana dall’universo folk-rock-alternativo e più vicina ad un immaginario post-classico. Quest’ultimo, è un mondo al quale mi sono avvicinata negli ultimi anni, principalmente ascoltando artisti quali Olafur Arnalds, Rob Moose e Amiina, ma anche grazie alla mia collaborazione con Manuel Zito, pianista e compositore, con il quale ho collaborato per la colonna sonora del documentario “Le Soldat”, con la regia di Davide Bongiovanni. Io e Manuel siamo inoltre tra gli artisti coinvolti nel “The Outlaw Ocean Music Project”, un progetto molto ambizioso del giornalista Ian Urbina (New York Times, National Geographic), volto a denunciare tutte le azioni illegali che coinvolgono gli oceani. Vi faccio però un piccolo spoiler dicendo che l’atmosfera generale di “Nebula” si potrà ritrovare nelle prossime uscite di Blindur, programmate per il 2022! Quindi teneteci d’occhio! In generale comunque, sono convinta che ogni artista sia influenzato da tutto ciò che suona e che ascolta, e per quanto mi riguarda Blindur è un progetto che mi ha formata e continua a formarmi come musicista, quindi direi che esisterà sempre una continuità tra i miei lavori e Blindur.
“Nebula” è un concetto, prima ancora che un brano, che oggi ci chiama ad alzare lo sguardo,e a capire quanto siamo piccoli e destinati a scomparire. Il brano, con le sue sfumatureeteree, aiuta effettivamente il viaggio a farsi concreto. Ma come nasce il tuo esordio, eperché hai deciso di chiamarlo “Nebula”?
Il mio esordio è legato alla mia formazione scientifica, e al fatto che le Scienze Naturali sono per me grandissima fonte di ispirazione sia quando compongo che quando suono. Da qui mi è piaciuta l’idea di dare al brano un nome scientifico che richiamasse al concetto di “nascita”: “Nebula” è infatti il nome scientifico delle nebulose, la materia da cui si formano le stelle.
Pur essendo allergici alle categorie e ai generi, è evidente che “Nebula” non rientra esattamente nei canoni del “pop”, eppure possiede qualcosa che lo rende estremamentemelodico e “popolare”. Quale ritieni che sia, oggi, il destino della musica strumentale ecome definiresti il tuo brano d’esordio?
Rispetto alla musica strumentale, la definirei un Universo in espansione. Questo perchè sempre più artisti hanno side projects strumentali, e perchè la musica strumentale sta acquistando un ruolo sempre più importante nella nostra quotidianità, diventato rifugio emotivo spesso, e assumendo ruoli importanti anche nel mondo visual e cinematografico. Definirei “Nebula” un brano pop nell’immaginario, nella melodia e nella struttura, con un carattere classico legato all’orchestrazione.
Tra l’altro, pare esserci un concept ben preciso che collega il tuo esordio con quello cheverrà, e sopratutto con l’outfit studiato per te da APNOEA. Ti va di spiegarci un po’ il tutto?
APNOEA è un giovane brand napoletano con il quale condivido importanti ideali. I due fondatori Pina Pirozzi ed Enzo Della Valle utilizzano materiali non convenzionali e giacenze di magazzino per la realizzazione dei capi, con l’intento di porre l’accento sulla questione sostenibilità e rispetto per l’ambiente, due temi per me molto importanti. Inoltre, propongono abiti sizeless, senza taglia, secondo il tentativo di far aderire un abito non al corpo, ma alla personalità di chi lo indossa, lanciando a mio avviso un importante messaggio di inclusività nel mondo della moda. Questi presupposti, insieme alla straordinaria bellezza dei loro capi, mi hanno totalmente colpita, non capita facilmente di sentirsi così affini artisticamente ed ideologicamente, e da lì la volontà di collaborare. Tra l’altro, vi svelo che “Nebula” è solo l’inizio della nostra collaborazione! I brani che seguiranno andranno ad affrontare il tema del Climate Change, ed io ed APNOEA stiamo già lavorando a nuove idee per i prossimi outfit.
Salutiamoci con un proverbio delle tue parti, che sia di buon auspicio per questo 2022 giàzoppicante!
“Dicette ‘o pappice vicino ‘a noce, damme ‘o tiempo ca te spertose” (Disse l’insettino alla noce, dammi il tempo che ti buco). Credo che sia un proverbio di ottimo auspicio: credici, lavora sodo, persevera e, piano piano, arriverai al tuo obiettivo!
GiusiPre pubblica il nuovo singolo A.C.C., acronimo di Amore Cinismo e Caffè, in cui sdrammatizza la complessità dell’amore e l’inizio di una relazione. Giuseppina Prejanò è una cantautrice calabrese trapiantata a Roma, classe 1985. Il suo esordio discografico avviene nel 2020 con la pubblicazione dell’EP Canzoni indigeste. Autunno e A.C.C. segnano l’inizio della collaborazione con Maionese Project e anticipano un nuovo album, la cui uscita è prevista nel 2022.
GiusiPre ha riposto alle nostre domande in questa intervista:
– Ciao GiusiPre, A.C.C., titolo del tuo ultimo singolo, è l’acronimo di Amore, cinismo e caffè. Qual è il tuo modo di affrontare in questo momento della tua vita i sentimenti?
“In questo momento li vivo con serenità: è stato un percorso lungo, ma ho imparato a fidarmi di quello che provo e a non dubitare dell’amore che ricevo. Spesso la paura di perdere e l’orgoglio possono essere d’ostacolo, soprattutto quando costruisci una relazione”.
– Il caffè come metafora della quotidianità, raccontaci la tua giornata tipo
“La mia giornata tipo inizia molto presto rigorosamente con un’intera macchinetta di caffè da 4 tazze!Nel giro di un’ora sono pronta per sfrecciare sul G.R.A. alla volta del mio lavoro, che amo tanto quanto la musica: Stare a scuola e insegnare mi piace tantissimo, incontrare le studentesse e gli studenti è una fonte di gioia anche quando i problemi sono tanti, anche quando le giornate sono grigie e difficili.Al rientro compenso l’attesa nel traffico con musica a palla e canzoni di ogni tipo, poi a casa si pranza, si fa rassegna stampa e un po’ di spetteguless, che non fa mai male. Nel pomeriggio tra un po’ di studio e qualche serie tv si procede con le prove. I vicini fino ad ora non si sono mai lamentati! La sera è il momento degli amici o di un bel film rilassante, e quando possibile di concertini carini in giro per la Capitale“.
– Il riff di chitarra è l’elemento chiave dell’arrangiamento, come è nata l’idea di dare questa veste leggera e ballereccia al brano?
“La scelta è stata assolutamente spontanea anche per smorzare un po’ la pesantezza della situazione narrata nel testo. In tutta sincerità ho vissuto davvero quella situazione e avevo bisogno di riderci su, mantenendo un giusto equilibrio senza prendermi troppo sul serio. Daniele Giuili e Nicola D’Amati hanno capito al solito e mi hanno aiutato a fare il resto!”.
– Il videoclip è ambientato in una disco anni ’70. Qual è l’aneddoto più divertente che è capitato durante le riprese e qual è lo storytelling?
“Nel video ci sono due GiusiPre, una molto cazzuta e allegra, l’altra più sofisticata e snob: alla fine la prima prevale sull’altra, sempre nell’ottica di dare spazio alla leggerezza. Con Silvia Morganti (art director) abbiamo considerato la festa in disco come un momento per mettere da parte i pensieri e godersi la compagnia, la spensieratezza e naturalmente la musica. Il mood anni ‘70 lo abbiamo scelto anche suggestionati dai suoni della canzone.La giornata di riprese inevitabilmente è stata super divertente e la cosa che sicuramente ci ha fatto più ridere è stato girare le scene di brindisi e cicchetti riempiti tè alla pesca: verosimile ma estremamente deludente! “.
– Questo singolo è il secondo da quando hai iniziato a collaborare con la Maionese Project. Come ti stai trovando con questa nuova realtà?
“Decisamente bene! Sono affiancata da persone che tengono molto in considerazione quello che propongo e che mi lasciano completa libertà di gestione e movimento, cosa fondamentale per un artista e per nulla scontata.
– E il primo singolo è stato Autunno in cui canti la precarietà della tua generazione paragonandola alla stagione della caducità. Una tua riflessione a riguardo
“La precarietà ci affligge da tanto, da prima del Covid purtroppo, e nel corso degli anni diventa sempre più difficile accettarla, soprattutto quando sei bravo a fare quello che fai, e lo fai con professionalità e passione. In Autunno parlo anche del dover abbandonare i propri luoghi d’origine per andare a fare un lavoro precario e di come questa condizione lavorativa precaria investe anche il piano affettivo ed esistenziale. Il punto è non lasciare che le passioni si spengano, cercare un senso in quello che facciamo che possa andare oltre il tempo determinato lasciando il segno. E aggiungo soprattutto è necessario interessarci, partecipare alla vita politica e andare a votare”.
“STASERA MI BUTTO” è il nuovo singolo di SCHIANTA (Calogero Chianta), nato nell’entro terra siciliano. Il brano uscitoper Aurora Dischi / ADA Music Italy, è stato inserito nelle playlist editoriali di Spotify, New Music Friday Italia, Sangue Giovane e Scuola Indie.
Il brano parla di quella “scossa” che si prova dopo una rottura, quel mix di rabbia, tristezza, strafottenza e amore che ti si muove nello stomaco subito dopo la fine di una relazione. Il sound, a metà tra indie old school e il pop punk, si rifà a la wave 80’s mixata a melodie più energiche di influenza post punk.
Schianta ha risposto alle nostre domande in questa intervista