Categorie
Intervista Pop

Le parole contano per Ciccorelli

Gabriele Ciccorelli nasce a Roma nel 1994, da sempre sensibile alle influenze storiche dei cantautori italiani. Crede che la musica sia il mezzo più potente ed immediato per trasmettere e ricevere emozioni, dei viaggi in macchina si ricordano i dischi in sottofondo, più che le destinazioni e la viabilità. Da sempre affascinato dal suono delle parole,dalle urla e dalle imperfezioni musicali. Oltre alla musica, studia recitazione, scrive romanzi, per esprimersi a tutto tondo e coccolare le parole, sottolineando la loro importanza, inventando storie e nuotare su altre realtà, che non siano necessariamente le nostre, che ogni tanto annoiano.

Dal 23 Novembre 2021 è disponibile su tutti gli store digitali, il secondo singolo della carriera artistica musicale di Ciccorelli. “Luminarie” è un brano soffice che, grazie alla particolare vocalità di Gabriele, ci abbraccia dolcemente durante l’ascolto. Dalla collaborazione con la piccola etichetta Nientedimenolab e di Rebecca Palazzolo che si è occupata della produzione del brano, distribuito da Artist First. Abbiamo fatto una chiacchierata spensierata con Gabriele per scoprire qualcosa di più sul suo mondo!

Ciao Gabriele. Iniziamo subito con le presentazioni. Parlaci del progetto musicale Ciccorelli. Da dove nasce questa spinta artistica e quali sono le tue esigenze comunicative?

Ciao a voi. Nasce tutto dalle difficoltà, soprattutto comunicative, che quando ero adolescente prendevano il sopravvento. E dall’ascolto soprattutto. Perché sono dell’idea che qualunque tipo di espressione vada in qualche modo vista prima dall’altra parte. Mi rendevo conto di ascoltare la musica mentre gli altri la sentivano e mettemo il focus sui testi dei grandi cantautori. Quindi è stato quasi naturale poi, una volta assorbito dai più grandi, provare, non ad imitarli, ma a dire la mia. Per questo a 17 anni comprai una chitarra con i soldi vinti al fantacalcio, come modo per aiutarmi a parlare, a parlarmi. E dopo tanti anni di canzoni in cameretta,ho provato a farle ascoltare a chi ne avrà voglia.

Abbiamo ascoltato anche il tuo singolo d’esordio “Manica” un brano prettamente Pop. Con “Luminarie” ti sei messo definitivamente a nudo?

È particolare proprio perché da dentro, probabilmente non lucidamente, non ho idea a quale genere ho intenzione di appartenere. Le canzoni vengono fuori sgomitando, senza progettazione e tu anche lo volessi difficilmente riesci a ribellarti a questa esplosione. Sicuramente Manica è un brano che tocca atmosfere diverse rispetto a Luminarie, abbiamo infatti pensato che potesse essere l’inizio più coerente rispetto alle canzoni che ho sempre scritto ( Una vita di storie finite prima ancora di iniziare).

Con Luminarie è stato diverso, non era in programma e anzi fino a qualche giorno prima di registrare eravamo orientati su un’altra canzone. Quando è arrivata però ho detto “è lei”, lei è la mia canzone a prescindere da tutto. È probabilmente un brano di considerazioni da uomo di mezza età, nonostante io abbia metà dell’età dell’uomo di mezza età. A prescindere da tutto, non potevo essere più sincero di così.

Cosa sono per te le luminarie? Quali sono le luci di cui non puoi fare proprio a meno?

L’idea di Luminarie nasce da una serie tv che mi ha ossessionato per anni che è “How I met your mother”, in particolare un episodio che si chiama “Sinfonia di Luminarie” in cui Robin, nel periodo di Natale, scopre di non poter avere figli ed è decisa a non raccontarlo a nessuno e Ted, senza sapere cosa la turbasse, le fa trovare a casa un gioco di luci di natale, nel buio del salotto. Senza chiederle nulla della motivazione di tanta tristezza. Da qui poi la frase “Come si trova luce al buio senza mai parlare?”

Come a sottolineare quanto sia raro nella vita fare qualcosa per qualcuno che soffre senza sapere la motivazione di tanta sofferenza. Per questo Luminarie è intesa come “Luce di speranza” che può essere una luce di natale, un Dio, una persona, una canzone, qualsiasi cosa che ci faccia stare bene senza dover spiegare il perché. Come diceva il più grande di tutti “A modo mio avrei bisogno di carezze anch’io”. Ed è così, tutti hanno bisogno di carezze, anche e soprattutto chi finge con il mondo di saper nuotare bene nella propria solitudine.

Come definiresti questo brano? Una preghiera sottovoce oppure un urlo disperato?

Tra le due direi la prima. Preferisco sempre le cose sottovoce perché non arrivano all’orecchio di cento persone, magari arrivano all’orecchio di una sola persona, ma facendo un rumore assordante. Nella canzone la parte più “ disperata” è quasi una ricerca di attenzioni, come un bambino dispettoso nei confronti dei genitori, dopo la nascita della sorella più piccola. Ma poi l’idea di dare un ritornello un po’ più vellutato, è quella di voler dare un’intenzione, a chi sente di averne bisogno. 

Questa canzone è un’analisi personale, pura osservazione alle situazioni quotidiane sociali, non è una critica. Non mi piace chi nella musica vuole spiegarti come sia la vita e non potrei mai farlo io. Vuole essere speranza nelle mie intenzioni, non un modo per condividere il dolore. 

Parlaci del team che ti sta accompagnando in questo percorso musicale.

Il migliore. Nientedimenolab. Sono ragazzi per bene, che hanno cercato fin dal primo momento di capire cosa volessi dire, con pazienza, entusiasmo ed esperienza. La cosa più importante nella musica è la condivisione e non parlo delle piattaforme social (anche se pure quelle..) ma del confronto, della voglia di migliorare e di crescere insieme, senza necessariamente andare in una direzione più “facile” ma mantenendo unicità, che a prescindere se bella o brutta, è la tua e quella di ogni persona che scrive qualcosa. Il brano poi è stato prodotto da  Rebecca Palazzolo, che è stata super paziente con me e con tutte le mie invereconde fisime, che già ho nella vita, pensa nella musica.. Che te lo dico a fa’!

Oltre alla musica, sappiamo che hai scritto anche un libro. Ci vuoi raccontare qualcosa?

Manco a dirlo è un libro pieno di musica e manco a dirlo l’ho scritto quando stavo al terzo rewatch di quella serie lì (prima o poi me ne libererò). È una storia di tutti i giorni con un linguaggio non da tutti i giorni. Parla di questo ragazzo che ha sempre cercato “La donna della mia vita” ma in modo ossessivo, una sorta di missione. Solo che lui a differenza di Ted non è proprio il tipo che ti fa trovare le luminarie a casa se sei triste. Anzi a dirla tutta è anche un po’ stronzo. E questo libro si lega perfettamente alla musica, perché poi anche qui non c’è un vero e proprio genere, potrebbe essere rosa, ma anche commedia, una spruzzata di erotico, un po’ di dramma che sta sempre bene e una cifra di parolacce. Vai a capì.. diciamo un libro indie pop dai…che inizia e finisce con due canzoni dei Radiohead.

Salutiamoci con un consiglio per i lettori. Come districarsi e rimanere a galla in questi tempi poco inclusivi?

Mah…stanno tutti in fissa con il paddle ultimamente. Mi tocca provare pure a me. A parte gli scherzi, non sono granché bravo a consigliare, faccio già un gran casino di mio. Quello che posso dire è sempre e solo “musica”. Nella mia vita, a prescindere dalla domanda ,la risposta è sempre “Musica”. Sono tempi veloci, sta diventando tutto liquido. 

Io sono dell’idea che la musica sia un grande strumento di rifugio, farla ma anche e soprattutto ascoltarla. Che è diverso sentirla. Una canzone, nel mio mondo ideale, non può mai essere un sottofondo musicale nella pausa pranzo. Una canzone è un messaggio e per capire se sia quello giusto per noi, dobbiamo cercare con forza di comprenderne ogni angolo. A prescindere da quale canzone. Anche la canzone più spensierata del mondo può salvare una vita. E ci vorrebbe una maggior attenzione, a partire dall’ educazione scolastica. Dicono semplificando “I ragazzi di oggi ascoltano solo musica di merda” ed io non sono d’accordo. I ragazzi di oggi ascoltano la musica che hanno a disposizione, se nessuno gli fa ascoltare i grandi cantautori del passato, se nessuno gli spiega quei testi, come possono appassionarsi di quella musica li? La bellezza nasce dalla conoscenza, senza conoscenza si fa quello che si può. Io a scuola odiavo il flauto e avevo insufficiente in Musica, forse se invece che farci suonare il flauto tutti insieme (Io suonavo in playback), ci avessero fatto leggere un testo di Dalla, De Andrè, Battisti/Mogol, fatti ascoltare, spiegando, forse forse  avrei iniziato a suonare prima la chitarra e non avrei fatto tutto quel casino per vincere il fantacalcio. 

Categorie
Indie Intervista Pop

Mangla ci racconta “Non mi va più”

“Non mi va più” è il debut single di MANGLA ( Gianluca Manglaviti), una canzone che parla di tutte quelle cose che ti porti dietro quando finisce una storia , quelle cose che ti ritrovi sempre nella tasca della giacca quando esci e ti muovono ancora qualcosa dentro il petto. “Non mi va più” è una di quelle frasi che diciamo sempre quando finisce una storia.

Il brano è un alternarsi di momenti sonori dove, l’energia del beat si intreccia alle ritmiche elettroniche e ai synt, in un mix di influenze indie e pop.

Gianluca Manglaviti è un giovane cantautore romano. Mangla è un “pezzetto” del suo cognome, abbreviativo che usano anche i suoi amici, compagni e professori.Di giorno è uno studente di giurisprudenza, di notte scrive canzoni accompagnato sempre da Ettore, il suo bulldog francese. 

MANGLA ha risposto alle nostre domande in questa intervista:

https://www.youtube.com/watch?v=e7wgi9lhWDw

Categorie
Indie Pop

Le lacrime di Parrelle

E’ fuori da qualche giorno l’ultima fatica di Parrelle, artista che fa parte del roster dell’etichetta indipendente romana Luppolo Dischi. Dal 12 Novembre è presente su tutti i Digital Stores grazie alla distribuzione di Artist First. Si tratta del settimo singolo negli ultimi tre anni ed una cosa è restata indelebile, anche dopo diverse release: l’anima fragile di Parrelle. Chi dice che non bisogna offrire il nostro lato più debole alle intemperie di questa vita? Chi ha deciso che le piccole onde di malinconia e di dolore, che si nascondono nell’anima, non vanno condivise con chi non ci conosce personalmente?

Si tratta di rischiare. Di lanciarsi nel vuoto con un paracadute che altre volte non si è aperto, e ci ha fatto schiantare al suolo, rompendoci in mille pezzi, come un vaso di cristallo. Oppure di tuffarsi da una scogliera altissima, chiudendo gli occhi, aspettando che l’impatto con l’acqua, resistente come un muro, ci lasci scampo, e ci permetta di emergere nuovamente. Per respirare aria, a pieni polmoni.

“Alla fine siamo tutti un po’ masochisti. Alla fine siamo tutti perennemente ossessionati da un qualcosa, un qualcuno, che ci farà male, ma che speriamo possa farci stare bene. Ed anche il più cinico, il più introverso, il “senza cuore”, un cuore eccome se ce l’ha, e magari batte ancora più forte, e se ne frega del giudizio degli altri, delle consuetudini: farà male ok, pazienza, ma quegli attimi in cui rischierà tutto, saranno tra i più belli della sua vita.”

Artwork by Alyssa Sermidi

mifacciomaleok” è il nuovo singolo di Parrelle in collaborazione con L.E.D., altro giovane della scuderia Luppolo Dischi, che come un attore di Hollywood fa un cameo di poche scene, regala al brano quel pizzico di malinconia in più ( come se già non bastava quella presente ihih ) e completa un viaggio di tre minuti tra auto flagellazione e un filino di speranza, di fiducia in sé stessi. Il tutto, perfettamente cucinato dalla produzione di Ayellow, altro astro nascente della scena musicale indipendente.

BIO

“Vivo a Boscoreale, paese in provincia di Napoli con gli occhi sul Vesuvio, in una strada che porta il nome di “Via Parrella” al singolare, ma che nel corso degli anni, grazie al dialetto, viene comunemente definita al plurale: “abito ai Parrelle”; da qui nasce il mio nome d’arte, la strada dove abito, perché ovunque mi porterà la musica non dovrò mai, e dico mai, dimenticare da dove sono partito, le mie radici.
Nella vita faccio il fisioterapista alla luce del sole, e l’artista quando scende la notte, ed è più facile chiudersi nei propri spazi e lasciar parlare la musica. Le prime orecchie ad ascoltare le mie canzoni sono quelle lunghe e affusolate di Snoopy, che insieme al divano compongono la platea di tutte le mie demo”

Categorie
Pop

Intervista ad Alessio Marucci: Mongolfiere è il nuovo brano

MONGOLFIERE”, è il nuovo brano del cantautore Alessio Marucci, nato dalla preziosa collaborazione con Marco Canigiula (autore anche per AnnalisaEmma Muscat e tanti altri) e Francesco Sponta (autore anche per Annalisa, ArisaAnna Tatangelo e tanti altri), e prodotto negli studi di Cantieri Sonori.

Il brano affronta il tema dalla nostalgia per qualcosa che era, ma che non è più. Percorre strade fatte di ricordi, affronta il dolore di un addio, ma spera in qualcosa di migliore che arriverà. Il punto di vista, infatti, è proprio quello di una persona immersa nel suo dolore per aver perso qualcosa che credeva importante, che intorno a sé trova solo ciò che resta, ovvero macerie; ma è serena, perché sa di aver fatto il possibile per salvare quel che poteva salvare. Il meccanismo delle mongolfiere, in un certo senso, è correlato al concetto di libertà: quando una relazione finisce, che sia un amore o un’amicizia, potrebbe essere vista come qualcosa che aiuta a ritrovarci, una sorta di liberazione da un peso che ci tratteneva a terra e che liberandocene rende più agevole il decollo della mongolfiera.

Alessio Marucci ha risposte alle nostre domande in questa intervista:

Ciao Alessio, benvenuto su Perindiepoi. Ci racconti qualcosa sul tuo progetto? “Ciao a tutti gli amici di Perindiepoi. Il mio progetto è nato diversi anni fa. La musica è sempre stata la bussola mentre tutto intorno a me cambiava. Durante un periodo un po’ particolare della mia vita avevo rischiato di perderla, per delle mie paranoie, finché non ho capito che nella vita avrei potuto fare tutto, diventare chiunque, ma lei doveva esserci sempre. Da lì nacque “Un miglio da te”, pubblicato nel 2018, che parlava proprio dell’importanza di ritrovare sé stessi. Quando il progetto è nato il periodo storico/musicale era totalmente diverso: il vero pop era ancora il genere dominante, il saper cantare, sebbene stesse cominciando a calare, era ancora un’arte apprezzata… a differenza di oggi. Ma sono molto orgoglioso di portare avanti ancora questo genere, nonostante sia passato di moda”.

Mongolfiere è il tuo nuovo singolo: com’è nato questo brano? Di cosa parla?
“Mongolfiere è una canzone che racconta la nostalgia per una relazione che finisce. Come dico
sempre “le canzoni migliori nascono da un cuore infranto”, ma il mio messaggio questa volta è nel
titolo. Se uno ci pensa, le mongolfiere non hanno nulla a che fare con la nostalgia; ma perdere
qualcuno non deve per forza essere negativo. Talvolta, può rappresentare una liberazione da un
peso che ci teneva a terra: tolto il peso siamo più liberi di decollare. E questo è proprio il
meccanismo delle mongolfiere”.

Hai collaborato con molti autori per questo tuo ultimo lavoro. Come sono nate queste collaborazioni? Come è stato lavorare con autori che hanno scritto canzoni per big della musica italiana?
“Beh, sicuramente per me è un grosso orgoglio avere al mio fianco dei professionisti di questo
calibro. La collaborazione con Marco Canigiula e Francesco Sponta è nata nel 2017, più o meno,
quando ci siamo messi al lavoro per “Un miglio da te”. Io stavo uscendo da un periodo di pausa,
cercavo la mia strada ed ho trovato loro”.


Quali sono gli artisti che hanno maggiormente influenzato il tuo percorso artistico?
“Mah, io credo che ogni artista che seguo abbia qualcosa che ha influenzato il mio percorso. In
Italia penso alla tecnica vocale di Giorgia; alla agilità vocale e all’intonazione sempre perfetta,
nonché alla versatilità di Anna Tatangelo; ai testi e alla bellissima voce profonda di Tiziano Ferro…
se guardo al panorama internazionale, ovviamente, non posso non menzionare Christina Aguilera,
Demi Lovato, Bruno Mars… mi piace molto lasciarmi influenzare dalle sonorità RnB…”.

Domanda di rito: progetti futuri? Live? Magari un disco?
“Progetti futuri… tanti… ci sarà una versione acustica di Mongolfiere e le tracce per il disco ci sono.
Sarà pronto presto e ne sono davvero fiero perché, non solo è il mio disco di esordio come
cantante ed autore, ma anche come produttore. Meglio di così…”.

Segui Alessio Marucci su Instagram

Categorie
Intervista Pop

I Lamette ci raccontano “mi piaci cosi” il nuovo brano con Tamì

E’ uscito il  22 ottobre, “mi piaci così” ( Aurora Dischi / ADA Music Italy / Warner Music Italy ), il nuovo singolo dei LAMETTE in collaborazione con Tamì.

Il brano che arriva dopo l’esperienza alle audition di xfactor 2021, parla di una relazione d’amore in cui è difficile comunicare.

Le sonorità del brano spaziano tra Indie Pop, Alt-Pop, Lo-fi e Urban mentre il mood del brano è principalmente cloudy. Il brano sarà accompagnato da un videoclip girato a Venezia ed è stato prodotto da Alessandro Landini e masterizzato da Marco Ravelli  (Pinguini tattici nucleari, Iside, Chiamamifaro, ecc).

I Lamette hanno risposto alle nostre domande in questa intervista:

Ciao ragazzi, raccontate agli amici di Perindiepoi chi sono i Lamette

Ciao siamo Lamette, siamo due ragazzi di piacenza classe 98 .
Abbiamo cominciato a fare musica insieme fin dai primi anni di scuole superiori , dopo un periodo di ricerca e di affinamento del progetto abbiamo pubblicato il nostro primo singolo nel 2020 in piena pandemia
“.

Mi piaci così è il vostro nuovo brano, di cosa parla?

“Il brano parla di una relazione complicata, gira attorno al sapere accettare i difetti del proprio partner nel tentativo di mandare avanti la relazione”.

Come è nata la collaborazione con Tamì

“La collaborazione con Tamì è partita da una nostra demo che avevamo nel cassetto, una volta riascoltata abbiamo subito pensato che una voce femminile sarebbe stata perfetta su questo brano, abbiamo scelto di contattare Tamì perché vista la sua voce ed il suo stile ci sembrava la scelta più azzeccata”.

Avete partecipato alle audition di XFactor 2021, come è stata questa esperienza per voi?

“L’esperienza ad XFactor è stata senza dubbio formativa, specialmente dal punto di vista “live”, abbiamo sicuramente imparato a gestire meglio tutto l’approccio alla preparazione di un live set ed in generale l’approccio al palco”.

Quali sono i prossimi passi dei Lamette?

Al momento abbiamo un bel po’ di brani da parte, non possiamo dire molto però ci aspettano dei mesi pieni di musica.

Categorie
Intervista Pop

Intervista agli OTTO X OTTO

Il duo Veronese degli otto x otto, torna con il nuovo singolo “YANG” disponibile dal 01 ottobre sulle piattaforme streaming e digitali.

YANG è un brano personale che parla di quel tipo di complementarietà che fa stare bene. Parla di quella diversità radicale che finisce per essere più un’uguaglianza. Lo Yin e lo Yang contengono entrambi, al loro interno, una parte del loro opposto, quindi alla fine diventano quasi la stessa entità.

“Per scrivere questo pezzo ci siamo guardati dentro e abbiamo analizzato cosa rappresenta uno per l’altro e abbiamo deciso di spiegare, con una canzone, come ci sentiamo: diametralmente opposti ma in fondo un po’ simili”. Avevamo inviato a Simone Sproccati delle demo semplici piano e voce e lui ci ha restituito una pre produzione totalmente inaspettata, un mood azzeccato, delle sonorità indie pop che ci appartenevano a pieno. Con SOLI avevamo detto che non ci eravamo fan delle canzoni d’amore, che era stato un caso il fatto di aver scritto una canzone così…..quasi un anno dopo ci siamo ricascati!“.

Il brano prodotto con Simone Sproccati, arriva dopo i buoni riscontri del singolo “SOLl ” inserito anche nelle playlist editoriali di Amazon Music e trasmesso in rotazione su Rai Radio 2 Indie.

Gli otto x otto hanno risposte alle nostre domande in questa intervista:

Categorie
Indie Intervista Pop

La salvifica irriverenza di Biagio

Quanto c’fa parià il buon Biagio, che spero perdonerà il mio osceno tentativo di napoletanizzare la mia fredda “nordicità” – ognuno ha i suoi sogni nel cassetto, il mio è quello di nascere lontano dalla fredda e astiosa Milano, con un piede (se non due) tra Napoli e l’Equatore.

Dicevo, quanto ci fa divertire Biagio, cantautore partenopeo che qualche giorno fa è tornato alla ribalta con un nuovo singolo dopo l’esordio (che ci siamo colpevolmente persi) con “Geeno”: “celovuoi” è il nuovo concentrato di umorismo, ironia e finefinissimafinississima acidità scagliato contro chi nella vita non sa prendere una posizione netta su certe spinose tematiche (che il testo, ad ogni modo, chiarisce) trincerandosi dietro il leonismo da tastiera.

Insomma, la lettura del mondo offerta da Biagio è quella che passa attraverso le valvole del rock demenziale e si scalda con le sonorità d’oltremanica abilmente impiantate sul progetto da Stefanelli, uno che da queste parti è già passato più volte e che Perindiepoi apprezza da tempo.

Gli ingredienti c’erano tutti, quindi, per non lasciarci sfuggire l’occasione di fare due chiacchiere con Biagio, che si è prestato amabilmente al nostro simposio virtuale.

Ciao Biagio, a quanto pare non ami molto i social o perlomeno sembri un po’ scettico sull’utilizzo che talvolta se ne fa; fortunatamente però non siamo dovuti venire fino a Napoli per chiederti un po’ di cose su di te e sul tuo brano (benedetta/maledetta tecnologia, che accorcia/aumenta le distanze!). Anzitutto, come e dove “muore” Biagio Vicidomini e nasce Biagio, l’ironico e blasfemo cantante.

Biagio nasce dalla più classica delle delusioni amorose. Suonavo già il pianoforte, ho incominciato a suonare la chitarra e a scrivere canzoni depresse per l’amore appena perduto. Successivamente mi sono ripreso e ho approcciato ad un modo nuovo di scrivere basato su quello che realmente mi accade. La mia vita è molto movimentata e gli eventi di conseguenza ironici, da qui la vena ironica della mia scrittura.

Prima di arrivare al fulcro concettuale del pezzo, forse già un po’ spoilerato prima, sarebbe bello se ci raccontassi un po’ la tua musica tra influenze intuizioni e produzione (tra parentesi originale ed avvolgente)

La mia musica nasce piano/synth o chitarra e voce. Ascoltando tantissima musica ogni giorno ho infinite influenze che si riassumono nelle melodie create ad hoc dal buon Stefanelli, produttore amico e mentore. 

“Celovuoi”, titolo ironico e scanzonato ma che a livello tematico solleva inevitabilmente il polverone del dibatto sull’utilizzo dei social network e sui conseguenti misunderstandig che si vengono molto spesso a creare a causa della lontananza fisica e talvolta emotiva: Dicci la tua, nel video – con il tuo modo scanzonato di fare – citi numerose piattaforme, e non senza una certa ironia dissacrante!

Partendo dal presupposto che sto per fare un discorso un po’ da boomer, ma rimpiango i tempi in cui ci si conosceva per strada e ci si avvicinava ad una ragazza incuriositi da uno sguardo o da un sorriso fugace. Aggiungere le persone sui social e scorrerle come le pietanze di un menù di un fast food mi perplime e non poco. Sono vecchio? Forse sì, ma preferisco un bel palo ben assestato dal vivo piuttosto che un visualizzato con la doppia spunta blu.

Visto che qui abbiamo i nostri agganci, siamo riusciti a vedere in anteprima il videoclip della tua canzone – ora disponibile su tutte le piattaforme – con una regia d’eccezione e un cast stellare (sognavamo da tempo di scrivere una cosa del genere!). Quello che ci interessa però è parlare un po’ della vena blasfema, se così si può definire, che lo caratterizza e come questo in un paese, in fissa totale con il politica correct, come l’Italia potrebbe essere percepito.

I miei testi sono palesemente dissacranti, quale miglior occasione per rappresentare in maniera spregiudicata e demitizzante il concetto se non provarci con una suora di bella presenza? Sono cresciuto in una famiglia cattolica praticante, ma non ho badato molto alla piega blasfema che ha inevitabilmente preso il video. Ho pensato per lo più ad agire per immagini forti per descrivere i miei testi ed il mio progetto.
In tema ecclesiastico ti faccio però una confessione, mia madre si è rifiutata di vedere il video, per fortuna mi rivolgo ad un pubblico più giovane.

Biagio, si è detto fin troppo. Ora salutaci, e mandaci a quel paese nel modo più carino che hai a disposizione.

Grazie a tutti, è stato un piacere, tutto vostro, vi auguro una buona vita, fate buone cose!

Categorie
Intervista Pop

BELLI COME PRIMA: DARTE RACCONTA IL NUOVO SINGOLO

Darte torna con il nuovo brano “belli come prima” scritto e prodotto con Mameli, dopo i buoni riscontri del singolo “Calzini” e l’esperienza del Deejay one Stage di Radio DEEJAY.

Il brano inserito nelle playlist editoriali di Spotify e Apple Music, parla di un amore e di un’estate che fa un po’ da terzo incomodo tra due che si ritroveranno a settembre con nuove consapevolezze. Marco Ravelli (Pinguini Tattici Nucleari, Iside) ne ha curato mix e master.

Darte ci racconta qualche curiosità in questo video:

Darte (Carmelo Irto) cantautore di origini calabresi classe ’96. E’ al CET di Mogol che matura consapevolezze musicali e scopre il cantautorato italiano come fonte di ispirazione. Vive a Milano da tre anni: “Quella di venire a vivere in questa città è stata una scelta che rifarei altre mille volte”. Ed è proprio la città meneghina ad essere al centro della sua scrittura “Mi piace riportare aneddoti di vita quotidiana, quello che vedono i miei occhi e sentono le mie orecchie a volte, un po’ per caso, le ritrovo tra i testi delle mie canzoni”. Arriva nel 2019 il suo primo singolo “La NASA” seguito dai  brani “Ti Va” e “Calzini” inserita nelle playlist editoriali di spotify “New music friday italia” e “Scuola Indie“. Partecipa al Deejay On the Stage di Radio Deejay in apertura di MahmoodNoemi Carl Brave a Riccione.

Categorie
Indie Pop

Nello scrigno di Blumosso

Blumosso è un artista che più volte ho avuto occasione di incontrare lungo il mio cammino di recensore e ascoltatore imperscrutabile e indefesso, ma del quale ho avuto modo di parlare ancora troppo poco.

Ecco perché oggi, all’uscita di “TG” – unico lampo apprezzabile di una scena ancora evidentemente assopita, in questi primi giorni settembrini – mi è sembrata palesarsi di fronte la possibilità di colmare lacune passate, e dire la mia su un progetto che fa parlare di sé da qualche anno, riservandosi il merito di riuscire ad alzare l’asticella dell’offerta senza la pretesa di stupire pubblico e addetti al settore con effetti pirotecnici, quanto piuttosto attraverso il lusso coraggioso della semplicità e dell’urgenza. Chiavi di volta, oggi più che mai, utili a tenere in piedi la curiosità di una pletora di ascoltatori sempre più disincentivati alla curiosità da progetti privi di nerbo, e di reale “necessità” d’esistere.

Sì, perché non basta saper suonare uno strumento (oggi, in realtà, non serve neanche più) per poter “fare musica”, né saper scrivere un testo in un italiano simil-corretto (oggi, in realtà, neanche questo serve più): la differenza fra l’esecutore di un copione e l’artista sta nel fatto che al secondo il copione non serve affatto; attenzione, non è questa una condanna al “metodo” e all’artigianato, tutt’altro. Dico solo che di copioni e di brutte copie oramai più che prevedibili ne abbiamo piene le orecchie (e non solo) e che di fronte a canzoni che sanno mantenersi in piedi da sole senza pretendere alcunché che non sia la voglia dell’ascoltatore di ascoltare, beh, la differenza si sente.

Blumosso viene da un percorso che gli ha permesso, nella vita, di sperimentare più copioni (tutti esclusivamente scritti di proprio pugno) e di gettarsi in toto nell’esperienza della scrittura prima ancora che della musica, in modo totalizzante e imprevedibile; al netto dell’ascolto di “In un baule di personalità multiple” (il suo primo disco del 2018), “Di questo e d’altri amori” non può che mettere in luce l’evidente tendenza di uno spirito libero alla divergenza rispetto a sé stesso, e alle proprie comfort zone: nell’era delle playlist e del “digitaloso”, Simone riscopre la purezza di una voce che abbisogna solo di sé stessa (e al massimo, di un piano o di una chitarra) per farsi sentire, avvalorata da una scrittura che sembra intenzionata a spogliarsi del superfluo per ricontestualizzarsi nella semplicità di tre piccoli inni alle cose piccole, essenziali.

“Nordest”, “Vabeh” e “Tg” sono facce (giuste) della stessa medaglia, l’epigrafe di un sentimento e dell’esperienza di un amore che non riusciva a sentirsi contenuto in un solo brano, e che come edera rampicante ha dovuto estendersi – risalendo dalle radici di una riscoperta cantautorale di Blumosso stesso – fino alla punta delle dita di una penna completamente impegnata a decodificarsi, per ritrovarsi. I tre singoli pubblicati per Luppolo Dischi e raccolti in “Di questo e d’altri amori rivelano una coerenza che trova forza nella semplicità delle sue immagini, nell’essenzialità delle sue forme: un connubio riuscito nella protezione di uno scrigno da custodire gelosamente, prima di nuove odissee.

Blumosso, Ulisse e Simone Perrone. Dal baule di personalità multiple dell’artista pugliese continuano a scappare declinazioni di se stesso capaci di non stancare, costringendo anzi l’ascoltatore ad affezionarsi ancor più ad ogni nuovo tentativo di volo.

Perché si sa, l’umanità vince sempre.

Categorie
Comunicato stampa

Si intitola “Mi sento bene” il singolo d’esordio di Munendo

Si intitola “Mi sento bene” il singolo d’esordio di Munendo, disponibile da oggi, lunedì 31 maggio, su tutte le piattaforme digitali. Accompagnato da un videoclip ufficiale, questo singolo descrive una condizione molto particolare dell’artista: “È un brano scritto una settimana dopo che ci avevano spiegato che era il caso di restare dentro casa, quando ancora non avevamo familiarità con termini come “congiunti” o “distanziamento sociale”. Una condizione surreale che in quel momento mi ha messo davanti agli occhi la distanza tra gli esseri umani e quanto sia difficile da gestire. Capire che il tempo stava rallentando eppure continuava a passare mentre le persone non potevano stare vicine come prima”.

La gestazione del brano ha creato non pochi tormenti a Munendo: “Come mi succede piuttosto spesso ho avuto un approccio sospettoso nei confronti della canzone, nonostante l’avessi completata in poche ore. Mi sono domandato se avesse senso un brano che parlava del lockdown, prevedendo che di lì a poco ne avremmo avuti a centinaia. Poi dopo qualche ascolto mi sono convinto abbastanza rapidamente che erano tutte pippe mentali perché poi alla fine a monte mi stavo esprimendo in modo sincero e coerente con me stesso e quindi è scattato il feeling speciale con il pezzo”.

Ecco come Munendo racconta l’uscita del singolo “Mi sento bene”: “L’esigenza di raccontare una quarantena andata bene, ho avuto un punto di vista privilegiato avendo potuto guardare alla finestra il mondo attorno muto ma che urlava. L’obbligo di distanziarci ci è piovuto addosso all’improvviso, ci ha colti tutti alla sprovvista perché anche se eravamo perfettamente abituati al virtuale non eravamo preparati ad essere costretti ad avere solo quello”.

Nato a Roma, e già questa è una condanna all’agrodolce. Inizio a studiare piano perché tra i genitori andava di moda iscrivere i figli, ma anche io seguo la moda e mi stufo di fare le scale e i saggi di fine anno, quindi smetto. Poi trovo una chitarra e inizio a suonarla, poi a cantare, poi a scrivere. Infine decido di provare a fare tutte e 3 le cose contemporaneamente e, trovandolo divertente, tiro su un po’ di band e mi butto nella movida dei live romani. In tempi più recenti affianco il tutto con live più intimi nei quali condivido il palco con una loopstation a cui chiedo sempre sforzi superiori rispetto alle sue possibilità, quindi decido di chiedere qualcosa in più anche a me stesso e di tirare fuori molte delle cose che ho scritto ultimamente.

La tentazione di essere felici