Quando è arrivata in redazione la proposta di Celeste mi sono interrogato a lungo su cosa fare dell’ascolto di quello strano EP che a gran voce chiedeva di essere compreso, andando oltre le prime risposte date dal gusto personale: ho premuto play, infatti, e subito hanno cominciato a proiettarsi sulle pareti del mio cervello immagini diverse, lungo il tracciato di un viaggio a metà tra l’onirico e il distopico tra mondi che oscillano tra romanticismo e sfacciataggine, rendendo davvero difficile per l’ascoltatore poter dire “ok, ti ho capito, Celeste!“.
Non perché la musica di Simone Furlani (nome da “borghese” di Celeste) rappresenti l’avanguardia criptica di quel cantautorato spesso un po’ fine a sé stesso che fa dell’inaccessibilità un vanto, tutt’altro! Il disco di Celeste, in realtà, è squisitamente pop sotto tutti i punti di vista: scrittura scorrevole, immaginifica il giusto ma sopratutto narrativa, sonorità che (lavorate a più mani da più produttori) mostrano una certa propensione per l’urban, il soul e l’hip hop, dimensione estetica del tutto che avvicina Simone ad un’ibridazione fra Gen Z e la figura del rocker senza tempo, che a petto nudo galoppa verso orizzonti nuovi.
La difficoltà, dunque, non sta tanto nei brani proposti e presentati singolarmente all’ascolto, quanto piuttosto nella sensazione che qualcosa sfugga all’immediato discernimento nelle trame di un lavoro che racconta uno stato emotivo in evoluzione, pronto a passare da uno stato solido ad uno sempre più liquido per sublimarsi quasi in gassoso arrivati all’ultimo brano.
Non c’è coerenza fra i brani a livello musicale, e questo non rappresenta un punto di debolezza ma di forza, nell’ottica della comprensione di un progetto che scansa volutamente l’uniformità per tirar fuori dal cilindro qualcosa di “proprio”, a prescindere dall’abito che la canzone si trova ad incollarsi addosso.
Insomma, gli spunti c’erano tutti per non perdere l’occasione di fare qualche domanda al cantautore veneto, che si è ben prestato al nostro fuoco incrociato.
Simone, per il mondo del pop Celeste; ti avranno già fatto questa domanda un sacco di volte, ma non possiamo tirarci indietro dal sondare la nostra curiosità: perché “Celeste”?
La parola “celeste”, apparsa in modo totalmente casuale sulla mia strada, racchiude in qualche modo tutto ciò che voglio portare con i miei racconti, oltre che rappresentare l’approccio che vorrei avere nei confronti della musica. Celeste rappresenta dunque un intricato Universo di elementi prettamente concettuali, dall’amore ai sogni, ma anche, seppur non ancora emerse, dalle insicurezze alla voglia di rivalsa.
“Universo” è il tuo EP d’esordio, anticipato dai singoli “Capriccio” e “18 anni” che, in qualche modo, già permettevano di intuire le molteplici direzioni musicali del lavoro complessivo. Ci racconti come hai lavorato alla produzione dell’extended play?
Le parole chiavi per la produzione di questo progetto sono due: Type Beat. Quest’ultimi rappresentano il pilastro fondamentale, non solo del mio, ma del percorso musicale di miriadi di altre persone. Al momento non ho ancora un produttore fidato, quindi un po’ per fare di necessità virtù, e un po’ per la voglia di addentrarmi nei meandri di questo fantastico mondo, ho deciso di mantenere e appoggiarmi in gran parte per questo progetto proprio ai fantomatici Type Beat di YouTube. In questo EP, per quanto breve, sono stati racchiusi molteplici generi: questo in quanto ho voluto portare più sfaccettature possibili del viaggio narrato.
Come succede spesso, tra i brani mi ha colpito molto l’ultimo, che sembra quasi chiosare sul viaggio musicale di “Universo” con uno spunto di malinconia che non emerge negli altri brani. Ecco, è qui che sta l’anima di Celeste, divisa a metà tra lo slancio caustico di “Pariolina” e lo sguardo più laconico di “Mezza Estate”?
In passato, prima di approdare a questo viaggio e a Celeste, le mie canzoni erano prettamente lagne amorose scaturite da delusioni sentimentali. Con questo progetto però ho deciso di cogliere dalle esperienze vissute non più solo lo strazio per un qualcosa di appena concluso, ma il bello da un qualcosa che è appena passato. Questo l’ho fatto anche per il semplice motivo che avevo voglia di portare leggerezza grazie alla mia musica anche se, sicuramente, sono già in fase di sviluppo nuovi viaggi molto più intimi e personali. Per quanto ho indirettamente raccontato molto di me con questo EP, ci sono ancora tantissime cose delle quali voglio parlare e, in questo caso, magari lo farò proprio in prima persona.
“Universo”, il brano intendo, occupa giustamente la posizione centrale. Quali sono le cose più importanti del tuo, di universo personale? E qual è invece la peggior paura di Celeste?
La mia peggior, ma non più grande paura, credo sia il fatto di non riuscire a raggiungere gli obiettivi estremamente ambiziosi che costantemente mi pongo, essendo io molto critico e severo con me stesso. Per quanto riguarda gli elementi più importanti del mio Universo personale, credo si possano racchiudere in due macro categorie: la natura, per me luogo di pace sensoriale dalla frenesia e l’estetica goffa e “brutalista” della città; e l’amore, sia nei confronti di una ragazza, che per ogni relazione ed elemento che ci circonda.
Senti, ma ci dici come ti è venuta in mente “Artemisia”? Me la immagino, chissà perché, come una visione, come una folgorazione…
In realtà, (s)fortunatamente, è qualcosa di molto più terreno e concreto. Come dico in “Pariolina” <<una diva di altri tempi, lo dice pure il tuo secondo nome>>, fa proprio riferimento ad Artemisia. Quest’ultima, dunque, è una persona realmente esistita, il caso poi ha voluto avesse un nome che così ben si prestava a raccontare le mie storie.
Sono previsti dei live, per i mesi a seguire? Stai già pensando a quale potrebbe essere un’idea di spettacolo? Il tutto sembra prestarsi bene a qualcosa che oscilli fra il concerto e la fiaba…
Mi piace molto l’idea della musica come viaggio, tanto terreno quanto sensoriale. Sono quindi dell’idea che sia fondamentale raccontarsi e raccontare una storia, sia da un punto di vista musicale e narrativo, ma anche puramente estetico. Tutto questo è dunque racchiuso all’interno della mia idea di spettacolo, un turbine di emozioni che si sposano in un perfetto sodalizio. Tutto questo al momento l’ho potuto vivere a due soli concerti: quello più recente di Venerus, e nel 2017 a quello dei Twenty One Pilots. Purtroppo al momento non sono ancora previsti live per i mesi a seguire, ma sicuramente mi mobiliterò presto per rimediare a questa grande mancanza.