Dropout è un compositore e designer grafico in continuo movimento tra Italia, Inghilterra e Giappone. Chitarrista per elezione, synthesista per evoluzione, dal 1996 ha all’attivo diversi lavori su commissione per multimedia, ambienti (negozi, installazioni architettoniche), installazioni artistiche e danza contemporanea. Oltre che 7 LP di Indie elettronica sperimentale. Collabora con la compagnia inglese Londonacoustics.com nella progettazione e realizzazione di plugin pro-audio, oltre che con altre aziende internazionali del settore musicale come, per esempio, sE Electronics, Sonic Distribution e Aston Microfoni. Il lavoro di Dropout è un caleidoscopio di suoni elettronici che evocano sfumature rarefatte di kraut-rock, strutture progressive ’70, con sporadiche sonorità new wave e decise influenze elettro-folk, per un risultato mai troppo nostalgico, sempre proteso verso la sperimentazione contemporanea, e certamente con un percorso personale in direzione ostinata & contraria alla volatilità e imposizione delle mode.
Di recente è uscito su tutte le piattaforme il suo nuovo album “Sulla fine delle cose”, una raccolta introspettiva e carica di nostalgia per quegli eventi lontani nel passato che hanno contribuito alla costruzione di sé.
Abbiamo provato a conoscere meglio l’artista facendo un giro a casa sua, ecco cosa ci ha mostrato:
Lettore audio digitale portatile
In realtà non è propriamente legato alla stanza di per sé, infatti è un oggetto che mi segue ovunque ma che trovo di fondamentale importanza. Per questo ritengo vada mostrato.
È importante perché nonostante paia ormai, ad oggi, un apparecchio obsoleto lo trovo in realtà forse l’unico modo per contrastare la volatilità e di conseguenza la vacuità della musica liquida degli ultimi due decenni. Mi aiuta a conservare ciò che mi appartiene, ciò che mi piace. Mi ricorda l’identità che mi sono costruito in miriadi di ascolti e di passioni musicali.
Mi aiuta a valutare, ponderare, filtrare ciò che è veramente bello da ciò che è solamente cool.
Due Terabyte di colonne sonore dell’esistenza (tra l’altro in alta qualità) che nessun Spotify di turno riuscirà mai a restituirmi.
Chitarra acustica del 1978
Nell’ultimo disco “Sulla fine delle cose” non l’ho usata molto, a vantaggio di una classica Ryoji Matsuoka M50 “Gran Concerto” del ‘79, però questa è una compagna speciale che sta sempre lì pronta per sessioni di improvvisazione/meditazione.
Si tratta di una Yamaki modello Heritage ’78, l’ho cercata per molto tempo e l’ho preferita per corposità di suono a una già ottima Martin D28 del ‘73.
Il “Catafalco”
Il “Catafalco” è una mia creazione in continua evoluzione, da quando nel 2013 lavoravo alla sE Electronics in UK, fabbrica di microfoni da studio: praticamente si tratta di una struttura di registrazione che può stare in un trolley (faccio molti viaggi intercontinentali) e che consiste di un’asta, una serie di assorbitori sonori, vari supporti, un’interfaccia di registrazione, un preamp 4 canali, e 4 microfoni intercambiabili, per registrare al volo chitarra e voce insieme. Anche questo, come la chitarra di cui sopra, sta sempre lì alla mia sinistra pronto per catturare il momento.
Se viene.
Le apparecchiature
Il mio studio di Osaka è pieno zeppo di strumenti, libri e apparecchiature audio più o meno note. Senz’altro un buon 90% sono cose vintage, comprate rotte e poi riparate.
E qui in foto voglio mostrare solamente l’ultimo arrivato: un delay a nastro dal suono davvero stupendo. L’ho recuperato, smontato, pulito, riparato e modificato… e adesso sembra non vedere l’ora di partecipare al prossimo disco.
La finestra
Non è nemmeno questo pertinente agli oggetti ma fa comunque parte della stanza.
Non mi sono mai piaciuti gli studi senza finestre. Quando suono necessito di una visione del mondo e in questo caso si tratta dell’affaccio di un balcone verso l’ultimo scampolo di Osaka, a nord-ovest.
I tramonti struggenti e saturi tipici del Giappone hanno ispirato molte delle mie recenti composizioni, come per esempio “Un’altra fine del giorno”, nel nuovo disco appena uscito.