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Intervista Pop

Alla scoperta del nuovo mondo di Millepiani

E’ nato “Un mondo nuovo” per Millepiani, cantuatore toscano che negli ultimi anni abbiamo avuto modo di apprezzare. Penna da esteta, riflessioni filosofiche che si avvolgono su atmosfere che spaziano dallo space-rock alla canzone d’autore: questo è (solo in parte) Millepiani. Potevamo quindi non intervistarlo?

Cantautore che non smette di stupire, Millepiani ha da poco pubblicato “Un mondo nuovo”, il suo secondo disco: ecco, ma perché hai scelto proprio questo, come titolo del tuo lavoro?

Il richiamo al distopico “Il mondo di nuovo” di Aldous Huxley è sicuramente il primo che salta all’occhio, ma il titolo “Un mondo nuovo” può essere considerato un vero topos letterario. Nel mio caso però l’intenzione dell’opera non è distopica ma auspica una rinascita, una speranza per il futuro, una nuova consapevolezza e libertà, una nuova etica.

Raccontaci un po’ la genesi di queste canzoni: è stata una lunga gestazione quella di “Un mondo nuovo”? 

Ebbene sì, è stata molto lunga. Quando scrivo, ogni canzone è lavorata moltissimo prima di andare in produzione e rimane in cantiere anche degli anni a decantare. Ogni brano è stato scelto per il disco da una rosa molto ampia di canzoni che avevo nel mio archivio e ho cercato di trovare un equilibrio concettuale ed estetico che combaciasse perfettamente con quello che volevo comunicare. D’altro canto invece, il nucleo, le linee melodiche e i giri armonici delle canzoni sono stati creati in modo più immediato e spontaneo, prima di essere sottoposti al processo alchemico di raffinazione che richiede la stesura dei testi e degli arrangiamenti. E’ stato un viaggio molto bello e importante.   

Otto intensi brani, per un percorso che ha vissuto già diverse svolte importanti ed emozionanti, con la partecipazione a rassegne, concerti e palchi di spessore. Quali sono state, secondo te, le tappe fondamentali del tuo percorso fin qui?

Cerco sempre situazioni dove il lato culturale, etico ed estetico siano considerate importanti, sia che si tratti di un piccolo circolo, che di una piazza, sia che si tratti di un evento più grande. I live che mi hanno dato più soddisfazione sono stati comunque il Borgosound Festival di Parma e suonare per Openstage davanti al Politecnico di Milano. Il prossimo live inoltre sarà davvero speciale: in un luogo iconico di Milano che ha molto a che fare con l’arte contemporanea e una famosa scultura di Maurizio Cattelan… è una sorpresa! Seguite i miei profili social e prossimamente ne saprete di più!

Parliamo dei brani, che lasciano emergere l’intimità di una scrittura autoriflessiva e allo stesso tempo collettiva: quanto ti senti cambiato, da quando hai cominciato a scrivere le canzoni di “Un mondo nuovo”? Quanto invece continuano ad essere per te attuali?

La scrittura delle canzoni di “Un mondo nuovo” è stata un viaggio tanto personale quanto collettivo, capace di riflettere una profonda introspezione e una connessione con l’universo che ci circonda. Mi sento profondamente cambiato rispetto a quando ho iniziato questo progetto. D’altronde “panta rei” come diceva il buon Eraclito. La mia evoluzione come artista e come individuo è il risultato di un flusso costante di esperienze, pensieri ed emozioni. Ogni brano è un frammento di questo flusso, catturato in un momento preciso, ma sempre in movimento.

Tuttavia, nonostante questo continuo mutamento, c’è un nucleo di costanza nelle mie canzoni, un’essenza immutabile che volendo richiama la filosofia di Parmenide. Egli sosteneva che l’essere è statico e immutabile. In questo senso, le mie canzoni continuano ad essere attuali perché riflettono un’essenza profonda e inalterabile della mia visione del mondo. Sono ancorate a valori e sentimenti che rimangono costanti, anche se il contesto e le mie esperienze si trasformano.

In definitiva, scrivere questi brani è stato un modo per navigare tra il cambiamento e la permanenza, tra il flusso incessante delle esperienze e la stabilità dell’essere. Così, mi sento cambiato, ma al contempo ritrovo in queste canzoni una parte di me che rimane sempre la stessa, rendendole attuali e significative nel presente quanto lo erano all’inizio del loro concepimento.

“Un bagno di stelle”, prima traccia dell’LP, fa subito intuire che il tuo è un disco capace di dare centralità alla sensibilità, rappresentando in qualche modo un nuovo modo di “vivere” l’emozione. Come ci si scherma dai dolori del nostro tempo? 

Il dolore, con le sue ferite profonde, è una componente intrinseca della nostra esistenza. Tuttavia, è proprio attraverso il dolore che possiamo crescere e migliorare, trovando noi stessi e rinascendo con un nuovo ego. Come affermava Emanuele Severino, non è la meraviglia a scaturire il pensiero filosofico e a indurci a porci domande sull’essere, ma piuttosto il “trauma” del dolore dell’esistenza. Questo trauma, lungi dall’essere una condanna, è la scintilla che accende la nostra coscienza e ci spinge a esplorare le profondità del nostro essere.

Nel mio percorso artistico e personale, ho imparato che il dolore non è un nemico da evitare, ma un maestro da ascoltare. È nel confronto con le sofferenze che possiamo scoprire la nostra forza interiore e la nostra capacità di resilienza. Scrivere canzoni è stato per me un modo di dare voce a queste esperienze, di trasformare il trauma in arte e di trovare una sorta di catarsi.

“Un bagno di stelle” è una metafora di questa trasformazione. Le stelle, simboli di luce e speranza, emergono dall’oscurità del cielo notturno, proprio come la nostra sensibilità e la nostra capacità di vivere le emozioni emergono dal buio del dolore. Questa traccia, e l’intero album, rappresentano un viaggio attraverso le ombre e le luci dell’esistenza, un percorso di introspezione che ci conduce verso una maggiore consapevolezza e una rinascita interiore.

Schermarsi dai dolori del nostro tempo non significa ignorarli, ma piuttosto accoglierli, comprenderli e trasformarli. È attraverso questa trasformazione che possiamo trovare un nuovo modo di vivere l’emozione, più profondo e autentico. In questo senso, il dolore diventa una porta d’accesso alla nostra essenza più vera, un mezzo per connetterci con noi stessi e con il mondo che ci circonda.

In definitiva, “Un bagno di stelle” ci invita a immergerci nella nostra sensibilità, a confrontarci con i nostri dolori e a rinascere come individui più consapevoli e completi. È un viaggio attraverso il trauma dell’esistenza, che ci guida verso una nuova comprensione dell’essere e delle emozioni che ci definiscono.

Detto questo, “Un mondo nuovo” si presenta proprio come un antidoto, un balsamo, una via da percorrere per scegliere di essere felici. Alla fine, la felicità è una scelta, anche se questo concetto è difficile da accettare.

Felicità e dolore sono due facce della stessa medaglia. Attraverso il confronto con il dolore, possiamo trovare la forza per scegliere la felicità. “Un mondo nuovo” non offre una felicità superficiale e momentanea, ma una felicità profonda e duratura, frutto della consapevolezza e dell’accettazione delle sfide della vita.

La felicità non è un dono che ci viene concesso passivamente, ma una decisione attiva, una scelta di abbracciare la vita in tutte le sue sfumature. Come una tela bianca su cui dipingere, ogni giorno ci offre la possibilità di scegliere i colori e le forme che vogliamo dare alla nostra esistenza. Questo album è un invito a prendere in mano il pennello e a creare il nostro capolavoro, a scegliere la felicità anche di fronte alle difficoltà.

Alla fine, la vera felicità nasce dalla nostra capacità di trovare bellezza e significato in ogni esperienza, di trasformare il dolore in crescita e il trauma in saggezza. È una scelta che richiede coraggio e determinazione, ma che ci porta a vivere una vita più autentica e appagante.

“Un mondo nuovo” è un viaggio attraverso questa scelta, un cammino che ci guida verso una nuova comprensione di noi stessi e del mondo, un percorso che ci permette di trovare la nostra strada verso la felicità.

Quali sono le cose che vorresti cambiare nella discografia italiana? Immagina di avere la bacchetta magica…

Mi piacerebbe che il mondo della discografia fosse più legato alla cultura, al mondo dell’arte e della letteratura, che fosse meno vincolato ai profitti che rendono la musica a mio parere meno interessante e la appiattiscono. C’è una divergenza importante fra il panorama musicale italiano che offre tantissimo a livello qualitativo e la circuitazione mainstream che invece spesso trovo superficiale e basata sul mero intrattenimento spicciolo.

Mi piacerebbe che la musica fosse più concepita come forma d’arte piuttosto che come intrattenimento. Ma so che questa è un’utopia. Aspetta un attimo, ma a noi piacciono le utopie! 

Bene, grazie per il tuo tempo Millepiani! E ora, cosa dobbiamo aspettarci dal tuo futuro?

Grazie a te e a tutta la redazione di Perindiepoi! E’ sempre un piacere parlare con voi! 

Il mio viaggio nella musica continua e nel mio futuro ci sarà sempre, come c’è sempre stata, la voglia di scrivere canzoni e di cantarle a qualcuno, questa è una mia certezza. 

Nell’immediato sono in un periodo creativo molto fertile, sto accumulando nuove canzoni, alcune sono già praticamente pronte con musica, testi e arrangiamenti, altre sono bozze da sviluppare. Inoltre è appena uscito il video di “Fantasmi a metà” con una ballerina d’eccezione: Teresa Firmani, che danza tra i murales del centro storico di Carrara, la mia città natale. Spero che verrà apprezzato anche dagli appassionati di danza contemporanea e d’arte urbana. Anche la visione generale per il prossimo disco si sta delineando pian piano nella mia mente, come un’aurora che precede l’alba.

Quest’estate inoltre, porterò in giro le canzoni di “Un mondo nuovo” in diverse situazioni, dai piccoli locali, dove sarò solo con la mia acustica, oppure in duo con l’elettrica di Diego Colletta, a piazze più grandi, dove mi sosterrà la band nella classica formazione batteria-basso-chitarra elettrica-voce.  quindi che altro aggiungere? Grazie a tutta la vostra redazione e a presto!

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Indie Pop

Riscoprire sé stessi con Millepiani

C’è da dire che non è certo roba di tutti i giorni imbattersi in un lavoro così semplice e, allo stesso tempo, estremamente complesso come quello di Millepiani, cantautore toscano che da qualche anno a questa parte sta facendo scoprire il suo nome ad amanti del cantautorato e, in generale, a chiunque abbia un debole per la musica che “non ha smesso di dire” qualcosa.

Sì, perché oggi più che mai sembra quasi di trovarci incastrati in una dimensione che vuole privarci della contemplazione del presente e, allo stesso tempo, della consapevolezza di un passato che diviene necessaria per sbarcare nel futuro: ecco perché, forse, a Millepiani dev’essere sembrato opportuno riprendere il filo del discorso laddove si era interrotto (e cioè, con la pubblicazione di “Eclissi e Albedo”, il suo primo disco da solista) riafferrando le fila di un approccio che fa della ricerca e del “dubbio” il motore perpetuo della sua rincorsa ad un possibile “significato” delle cose.

“Krakaota” diventa così l’incendio e la distruzione di ogni luogo comune sul “brano pop del venerdì”: ritmi incessanti ma gentili che fanno da trampolino a sonorità elettroniche pronte a miscelarsi con un afflato acustico che esplode, nel finale, in un solo chitarristico estremamente rock’n’roll; poi, c’è da dire che la parte del protagonista la recita la voce e, ancor più che la voce, la penna di Millepiani: c’è la sensazione che il cantautore toscano sia alla ricerca di un “centro di gravità permanente” che qui diventa proprio la tabula rasa creata dall’esplosione di ogni certezza, e dalla consapevolezza di una necessaria ricostruzione che possa essere libera da atavici sofismi e dilemmi.

Un “Krakatoa” musicale che regala a chi segue la canzone d’autore la sensazione di non essere davvero così solo: tutt’altro.

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Pop

I mille piani di Millepiani

“Eclissi e albedo”, detto anche “piccolo viatico alla comprensione dei sogni”.

Sì, perché al primo ascolto del primo disco da solista di Millepiani, la sensazione che emerge è quella di trovarsi al centro di un tornello onirico, che ad ogni nuovo brano lascia entrare l’ascoltatore sempre più in profondità in una giungla di riferimenti, di spunti di riflessione, di citazioni erudite. “Erudita“, che bella parola, oggi che le parole nemmeno le usiamo più, preferendo sintetiche abbreviazioni e cenni d’intesa che poi, d’intesa vera, non sono mai.

Ecco, in questo senso Millepiani rappresenta una resistenza all’usura del quotidiano, del profano inteso in senso più prosaico, meno poetico: la sua scelta lessicale comprende una gamma di lemmi che già di per sé fungono da cesoia e forbice per un pubblico da costruire, sì, ma con attenzione e selezione; non è da tutti, l’ascolto di “Eclissi e albedo”, e Millepiani lo sa. Quando si scrive musica, almeno così penso, è un po’ come se si partecipasse ad uno speed date: hai tre minuti scarsi per convincere qualcuno a continuare ad ascoltare cos’hai da dire, cosa c’è oltre la manciata di secondi che l’ascolto di un brano offre; come in ogni forma di dialogo, la scelta delle parole determina la reale possibilità ricettiva dell’interlocutore, che di fronte ad un lessico sconosciuto e una grammatica dimenticata reagirà ritraendosi, oppure lasciandosi affascinare ancor di più dallo stile di Millepiani.

Sì, non ci sono vie di mezzo, per “Eclissi e albedo”: o ci stai dentro, o te ne tieni fuori – e a distanza, perché ciò che non si conosce spesso fa paura. Le otto tracce del disco aprono lo sguardo su mondi fatti di letteratura, poesia e filosofia pregna e densa: i giochi di luce che scaturiscono dal disco non sono dovuti a semplici scelte di produzione ma alla poetica di una penna consapevole della propria mission poetica, tutta incentrata sull’importanza dei punti di vista. Il sole, l’eclissi, l’albedo, la notte sono fenomeni di trasformazione della luce che trovano acchito nella riflessione esistenziale e metaforica sull’uomo, soggetto implicito quanto dimenticato dai tre quarti della produzione autorale contemporanea, sempre più attenta alla narcisistica auto-referenzialità che alla meditazione riguardo a ciò che siamo.

In questo senso, il disco di Millepiani è un lavoro per cuori forti. Certe porte, abbiamo paura ad aprirle perché non sappiamo cosa ci aspetti al di là della soglia. Ecco, il cantautore toscano sembra aver creato una sorta di mappa utile a non perdersi (o forse, più utile a smarrirsi) nel labirinto della coscienza; certo, qualche pecca sull’intenzione vocale – talvolta un po’ troppo seduta sulla declamazione stentorea, quasi con andamento monodico, da vaticinio più che da pop music – e forse (almeno, a mio gusto) qualche sbrodolamento lessicale di troppo c’è, ma nulla che un po’ di labor lime e sana ginnastica solistica non possano risolvere, nel complesso di un polittico articolato che sembra già avere le carte in regola per suscitare nuove conferme. Aspettiamo risvolti.

Intanto, qui sotto, le nostre domande a Millepiani, per capire meglio come si possa trovare l’alba dentro l’imbrunire.

La nostra intervista a Millepiani