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Indie Pop

“Bordi”, il nuovo singolo del duo Wabeesabee

“Bordi”, il nuovo singolo degli Wabeesabee, uscito il 23 febbraio 2023, si insinua nei cuori degli ascoltatori con una forte carica emotiva.

Il secondo singolo dei Wabeesabee, estratto dall’album “Isole”, si intitola “Bordi” e si distingue per la sua capacità di afferrare l’ascoltatore nei momenti di oscurità e solitudine. La band si è posta l’obiettivo di creare una canzone che fungesse quasi da mano tesa, un’ancora di salvezza durante i momenti più difficili della vita. Gli Wabeesabee ci mostrano di aver voluto esplorare il concetto della percezione delle relazioni umane. Il brano si articola intorno all’idea che l’isolamento può creare un muro illusorio tra noi e gli altri, ma che alla fine ciò che conta è la volontà individuale di superare le proprie sfide. Questa volontà, secondo la band, rappresenta una responsabilità personale che nessun’altro può assumersi al nostro posto.

Con influenze profonde della black music, “Bordi” offre un viaggio emozionale attraverso tematiche di rinascita, speranza e resilienza. La canzone invita gli ascoltatori a esplorare il proprio io interiore e ad abbracciare la bellezza e la complessità dell’esperienza umana.

Puoi ascoltare il brano qui:

Biografia

Andrea (batteria e cori) e Saverio (chitarre, tastiere e voce) sono il doppio cuore degli Wabeesabee. Il nome nasce da “Wabi-sabi”, visione del mondo fondata sull’accoglimento della transitorietà delle cose. Nel 2021 pubblicano il primo disco, “Muktada” (Pulp Dischi/Artist First).

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Fonte: Costello’s Agency

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Elettronica Intervista Pop

Il nuovo EP di ELIO guidato dai quattro elementi naturali. L’intervista al cantautore laziale che ama l’elettronica

Il 30 gennaio 2024 è uscito “Un nuovo richiamo”, l’EP d’esordio di Elio con distribuzione Artist First. Abbiamo colto l’occasione per fare qualche domanda al cantautore.

Ciao Elio, rompiamo il ghiaccio chiedendoti di raccontare ai nostri lettori cosa ti ha spinto a intraprendere la carriera solista, dopo quasi 10 anni di esperienze musicali variegate, tra le quali ricordiamo quella di gruppo con Il Grande Capo e l’interessante progetto Animaliguida, dove assieme a Roberta Lanave creavate degli happening a cavallo tra una performance teatrale e un concerto sperimentale.

Ciao!

Il mio rapporto con la scrittura è un rapporto assiduo da quando ho 15 anni. Ho sempre visto la “struttura Canzone” come un contenitore all’interno del quale inserire quello che vivevo nell’istante in cui lo vivevo. Lavoro in teatro da sempre e conosco persone meravigliose che negli anni hanno collaborato con me, e che hanno contribuito a trasformare il mio “centro di gravità permanente”. Ma due anni fa ho capito che era necessario assumersi la responsabilità di un gesto solitario, di un’azione artistica che avesse totale appoggio sulle mie stesse radici e in cui specchiarmi e ritrovarmi. 

Per il tuo percorso solista hai avuto al tuo fianco Roberto Cammarata, musicista e produttore già “dietro” importanti realtà palermitane come La Rappresentante di Lista e Omosumo. Come si è sviluppato il lavoro con lui?

Il lavoro con Roberto è stato intenso e coinvolgente. Ha colto nelle demo che gli avevo proposto dei lati che non avevo valutato, li ha amplificati e ha dato respiro alla struttura musicale, senza aver paura di dare un taglio diverso rispetto all’originale. Ho seguito i suoi suggerimenti, le sue visioni, e ho imparato moltissimo da lui. E’ stato davvero molto importante per me. 

Il tuo EP d’esordio ha un concept molto particolare, una sorta di viaggio introspettivo attraverso diverse fasi della vita. Com’è nata l’idea di associare le canzoni del disco ai quattro elementi naturali?

Quando ho scelto i brani dell’EP ho volutamente scelto quattro canzoni molto diverse tra loro. Ho immaginato di potermi presentare attraverso le varie sfaccettature del mio mondo creativo. Ho cercato di specificarne sempre di più la differenza, ed ecco che gli elementi naturali sono venuti in aiuto. Ogni canzone ha un particolare e dettagliato rapporto con l’elemento a cui è stata associata.

Sappiamo che Giovanni Lindo Ferretti e Franco Battiato sono un po’ i numi tutelari del progetto. Ci sono stati anche ascolti internazionali che hanno influenzato il sound e lo stile di “Un Nuovo Richiamo”? In certi momenti ci sembra che ti sia avventurato vicino a lidi elettronici nordeuropei.

Sono contento che sia arrivata questa sensazione. Adoro i Royksopp, Kalkbrenner e in generale la musica elettronica nordeuropea (mi viene in mente anche Rasmussen). Non nego di essere anche molto condizionato dai Depeche Mode e dall’indietronica francese, che negli ultimi anni imperversa nei miei ascolti.

Ci salutiamo con una curiosità. Leggendo i crediti del tuo lavoro abbiamo notato che dietro le foto e l’art direction del disco si cela Ilaria Tortoriello, la stessa persona che suonava il basso nella tua vecchia band, Il Grande Capo. Se non si tratta di un clamoroso caso di omonimia, puoi raccontarci come si è sviluppata la nuova collaborazione con lei?

Io e Ilaria ci conosciamo da quando avevamo 16 anni. Entrambi facciamo parte di un piccolo gruppo di creativi che come noi sono cresciuti nel Sud Pontino, che hanno vissuto anni bellissimi di musica live, spaziando tra tantissimi generi musicali, e che negli anni non hanno mai smesso di credere nella ricerca artistica, facendola diventare il loro modo di sopravvivere. Abbiamo suonato insieme per quattro anni ma Ilaria nel frattempo è diventata una fotografa straordinaria. Abbiamo creato un concept che accompagna ogni canzone dell’EP. Mi sono affidato completamente, anche perché la collaborazione che dura da anni in questi casi fa la differenza. Ilaria ha dato al progetto ancora più forza grazie al suo lavoro.

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Indie Pop

In arrivo il disco d’esordio di Pugni.

Abbiamo ascoltato in anteprima il debut album di Pugni, musicista pisano trapiantato a Torino, in uscita nei prossimi mesi. Salta subito all’occhio che ciò che caratterizza l’artista e muove il suo percorso creativo è l’incontro tra le sue due identità: psicologo e cantautore. Partendo dalla quotidianità della sua professione, Pugni si pone l’obiettivo di scavare nell’animo fino ad arrivare ad indagare l’inconscio tramite le proprie creazioni musicali cercando di trovare un significato ai tormenti di ogni giorno. Come la sua personalità, anche il disco di Pugni rivela una doppia anima: la voce del cantautore alterna momenti delicati e urlati, così come la musica passa da chitarre dal sapore grunge ad attimi più folk. Pugni proprio come la lotta interiore che ognuno di noi deve affrontare continuamente.

La distribuzione delle sue opere è affidata a Believe Music Italia, mentre GDG Press seguirà l’ufficio stampa del progetto. A breve fuori il primo singolo estratto.

ph: Giulia Bartolini

BIO
Lorenzo Pagni, in arte Pugni, nasce nel 1993 sulle sponde di un fiume e cresce navigando sulle sue acque. Per la maggior parte della sua vita, ogni giorno, ha passato ore seduto su una canoa, sorretto dall’acqua e circondato dagli alberi, in silenzio, ripetendo lo stesso gesto milioni di volte. Pugni scopre la musica da bambino grazie ai dischi del padre, ma la comprende nel ritmo cadenzato dalle remate. Quella chiamata sarà tanto forte da trasformare il remo in una chitarra e la fatica in conoscenza dell’animo umano. Lorenzo di giorno fa lo psicologo in una clinica psichiatrica, di notte scrive canzoni.

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Fonte: Costello’s Records

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Intervista Pop

Tra le strade affollate di sogni di “Urbe” di Yassmine Jabrane

Yassmine Jabrane è un’artista alla quale, da queste parte, teniamo parecchio: piglio “crossover” capace di unire la poesia di una scrittura ispirata a venature mediterranee che richiamano a sonorità perdute, la cantautrice ha finalmente debuttato con un disco che parla di identità, ricerca e voglia di reinventarsi, senza perdere naturalezza.

Cantautrice che non smette di stupire, Yassmine Jabrane ha da poco pubblicato “Urbe”, il suo primo disco: ecco, ma perché hai scelto proprio questo, come titolo del tuo lavoro?

Credo sia il più rappresentativo del progetto e dei brani che porta al suo interno! Essere in città ed essere cittadina è una parte fondamentale per me, Urbe è la mia dedica al luogo che mi ha cresciuta.

Raccontaci un po’ la genesi di queste canzoni: è stata una lunga gestazione quella di “Urbe”?

Molto, così tanto che ho pensato più volte che non sarei riuscita a condividerlo mai. C’è tanto di me, della mia storia, che a volte credo di essermi sentita forse un po’ troppo nuda scrivendo queste canzoni.

Pochi, ma intensi brani, per un percorso che ha vissuto già diverse svolte importanti ed emozionanti, con la partecipazione a premi di spessore. Quali sono state, secondo te, le tappe fondamentali del tuo percorso fin qui?

Credo sicuramente aver avuto la possibilità di cantare su palchi palchi grandi come quello di Deejay on Stage o prestigiosi come quello del Premio Lunezia.

Parliamo dei brani, che lasciano emergere l’intimità di una scrittura autoriflessiva: quanto ti senti cambiata, da quando hai cominciato a scrivere le canzoni di “Urbe”? Quanto invece continuano ad essere per te attuali?

È stato un lungo percorso, quindi inevitabilmente la risposta è si. Nonostante ciò sono sempre brani attuali per me. Credo che sia perché parlano di sensazioni più che di momenti e quindi questo li rende per me sempre attuali.

“Lady D”, il tuo ultimo singolo, aveva fatto intuire che il tuo sarebbe stato un disco capace di dare centralità alla tua sensibilità, rappresentando in qualche modo un nuovo modo di “vivere” l’emozione. Come ci si scherma dai dolori del nostro tempo? 

Francamente non ne ho idea… la mia soluzione è essere sempre circondata dalle “mie” persone. Per me non c’è nulla di più curativo di un pianto tra amici. Una vera e buona rete di supporto è un grande dono!

Quali sono le cose che vorresti cambiare nella discografia italiana? Immagina di avere la bacchetta magica…

La prima cosa che mi è venuta in mente leggendo la domanda, sono nomi di artisti emergenti che spaccano eppure non hanno la risonanza che meritano, quindi direi… un grande grande festival per emergenti..?

Bene, grazie per il tuo tempo Yassmine! E ora, cosa dobbiamo aspettarci dal tuo futuro?

Spero sempre più musica, sperando che l’uscita di Urbe sia solo un inizio!

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Intervista Pop

“Oltre” la mediocrità della canzone contemporanea c’è Paduano

Paduano è un nome che ci piace molto; il suo nuovo EP, “Oltre”, ci ha colpiti per la sua capacità di mettere a fuoco con lucidità ed eleganza un racconto personale che facilmente si eleva alla collettività. Potevamo, insomma, non fargli qualche domanda? Ovviamente, no.

Paduano, è un piacere conoscerti con un disco. Da quanto aspettavi questo momento?

Piacere mio. Dopo il primo disco pubblicato nel 2021, avevo in mano altri brani, non del tutto completi. Questo periodo è stato colmo di ricerca, ascolto e studio per cercare di avvicinarmi a sonorità diverse da cui sono attratto da qualche tempo. Poter pubblicare questo lavoro dopo qualche anno di elaborazione, è stata come una liberazione, un salpare e lasciare gli ormeggi, un nuovo punto di partenza.

“Oltre” è un lavoro denso, che a suo modo racconta con sincerità un percorso personale che può essere anche collettivo. Quanto è stato “terapeutico” per te scrivere le canzoni di questo tuo EP d’esordio? 

É stato terapeutico quanto formativo. Si può dire che alcuni di questi brani sono stati scritti insieme alla musica e alla ricerca del suono che abbiamo effettuato. Mi son ritrovato a dover cambiare modo di scrivere testi, non potendo essere prolisso, c’era la necessità di una scelta dettagliata e precisa delle parole. Poter riuscire a rendere i miei pensieri in brani diretti e allo stesso tempo esplicativi, sì questa è stata la mia terapia.

Una manciata di canzoni: perché non un disco più denso?

L’Ep presenta due brani dal carattere più pop (Buccia d’arancia e Argini), gli altri brani sono, a mio avviso, un’ottimo incontro tra canzone d’autore e  musica strumentale. La scelta di non inserire altri brani è proprio quella di non perdere la direzione che è stata presa per questo lavoro, che questi brani potessero conservare il loro spazio, senza il rischio di perdersi e confondersi in altre dimensioni.

Raccontaci i brani: in ognuno, c’è un po’ di te, ma ce n’è uno al quale ti senti particolarmente legato? 

Sono tutti brani che ho scritto nel giro di un anno, e quindi sono figli dello stesso trascorso e di emozioni e sensazioni simili fra loro. Il filo conduttore che li unisce è sicuramente quello di porsi delle domande, a cui, per certi versi, non serve neanche dare delle risposte definitive, ma domande che stimolano a guardare il proprio interno e cio’ che ci circonda da più prospettive. Posso dire per certo che Buccia d’arancia sia una dei brani a cui sono più legato, per l’intreccio melodico con il testo, e per aver provato a rendere un mio pensiero preciso e determinato avvicinabile a esperienze altrui.

Tra tutti, ci ha colpito per il suo sound “Ipermetrope”, brano dal retrogusto sperimentale che riflette in modo metaforico sul senso del tempo, e del suo inesorabile passaggio. Ci racconti come nasce questa canzone?

Un altro brano a cui sono molto legato è proprio Ipermetrope. E’ un brano che non ha la struttura classica della canzone, ma si è praticamente evoluta con l’arrangiamento. Sono molto legato al testo, che credo sia quello più personale dell’EP, ed emotivamente mi ha trasmesso tanto. E’ la presa di coscienza e la razionalizzazione della fine di un rapporto, capendo che la verità da cui a volte si cerca di scappare puo’ scaturire una delusione momentanea che il tempo trasformerà solo in un ricordo. L’arrangiamento e l’ambientazione di questo tema combaciano perfettamente ed il finale del brano sembra pian pian, tramite un vortice di archi e di synth, spostare le nuvole per far passare la tempesta.

Tutti i brani, vedono la firma di Caterina Bianco e Michele De Finis come produttore. Ci racconti come vi siete conosciuti, e com’è stato lavorare insieme?

Li ho conosciuto prima musicalmente con i progetti in cui hanno suonato e poi personalmente. Nel 2019 ero alla ricerca di un chitarrista, ed entrai in contatto con Michele, chitarrista, tra gli altri, degli EPO, band di cui sono fan. Gli feci ascoltare delle mie idee di brani e decidemmo di lavorarci insieme per arrangiarli, con l’aiuto di Caterina, che è per me tra le musiciste e polistrumentiste più brave di Napoli e non solo, ed in seguito di Antonio Dafe, sound designer e fonico di Tropico e La Maschera.

Paduano, grazie per il tuo tempo, e in bocca al lupo! Quando potremo ascoltarti dal vivo?

Siamo in fase di costruzione del live, tra poco usciranno le date dove poter sentire  questo disco dal vivo, Grazie a voi e viva il lupo.

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Indie Pop

Il primo disco di Pas Mal non è rock, ma spacca lo stesso

Niente male il disco d’esordio di Pas Mal, nome d’arte di Lorenzo Federici, volto certamente conosciuto alla scena indipendente nazionale: “Se fosse musica rock” è un concentrato di pop ben costruito e lavorato nelle fucine di La Clinica Dischi, con un occhio di riguardo per una scrittura che riesce ad essere profonda senza perdere leggerezza – come direbbe Italo Calvino.

Pas Mal ha un timbro che si scolpisce bene nel cuore, convincendo fin da primo ascolto della bontà di una proposta che conferma le aspettative ad ogni nuovo play: brani più arrembanti e coinvolgenti (come la hit “Vale Tutto” o “Crolla il cielo”) si sposano alla perfezione con canzoni più sommesse, che quasi assomigliano a rivelazioni fatte sottovoce al nostro cuore: lo avevamo già notato con “Asciutto”, ma potremmo dire lo stesso di “Sotto i nostri occhi”.

“Cimici”, infine, è davvero una piccola perla che racconta le insicurezze di tutti: un manifesto generazionale che trasuda tra le spire di un brano che fa degli interrogativi della vita uno stile di vita, dei dubbi e delle incertezze dei compagni di viaggio fedelissimi quanto rumorosi.

Un ottimo esordio, insomma, che merita fiducia e attenzione: fin qui, tutto bene, ora ci aspetta il futuro.

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Indie Pop

Tra le strade di “Urbe” in cerca di noi stessi: il primo EP di Yassmine Jabrane

Urbe” come città, dimensione interiore che apre le sue porte alla contemplazione pubblica, con vista sul cuore aperto di una penna sensibile, e capace certamente di spiccare nel “grigio diluvio democratico” del nostro tempo avaro di bellezza: questo è molto di più è il primo disco di Yassmine Jabrane, canta autrice romana che dopo una lunga gavetta tira le somme del suo percorso fin qui racchiudendole in quattro canzoni dal retrogusto esterofilo.

Il disco si presenta fin da subito con una compattezza di sound che rivela 1:00 direzione artistica, volta ad esaltare la timbrica espressiva e evocativa di Yassmine: quattro canzoni che rimbalzano fin da subito da un orecchio all’altro, passando dal cuore e incastrandosi nella testa grazie a strutture pop che tuttavia non al mainstream; il tutto, ben cucito addosso all’artista dal lavoro certosino di Cesare Augusto Giorgini.

Il lavoro si presenta come una riflessione a cuore aperto sulle tematiche emotive ed esistenziali che più stanno a cuore all’autrice, che senza filtri si presenta al pubblico italiano con la precisa volontà di trasformare le debolezze in forza e in nuovi punti di partenza. Così, l’ansia può diventare un’occasione di riflessione sui freni che ci imponiamo, una relazione andata male si rivela spunto di indagine riguardo al bene che davvero riusciamo a volere a noi stessi, la nostra sete di risposte risulta la cartina tornasole della nostra paura del buio: insomma, un disco che si tiene perfettamente in equilibrio fra l’opera d’arte e il manifesto terapeutico di una generazione in cerca di nuovi centri di stabilità permanente.

Yassmine dimostra di essere uno tra i nomi nomi da tenere d’occhio per questo 2024, capace di fondere insieme linguaggi apparentemente distanti ma mai così alchemicamente uniti come in “Urbe”.

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Indie Pop

“Oltre”, il nuovo disco di Paduano che prova a salvarti dalla mediocrità

Conoscete Paduano? Non ancora?

Beh, allora è arrivato il momento di rimediare alla mancanza: è uscito in questi giorni “Oltre”, il secondo disco del cantautore, conferma dell’estro poetico di una penna da seguire con molta attenzione. 

Sei tracce che si susseguono con leggerezza e profondità, provando a raccontare un mondo interiore che in Paduano si apre alla collettività, alla narrazione comunitaria: c’è una sensazione di condivisione che s’innalza dalla scrittura intima dell’artista, in un connubio riuscito fra personale e generazionale, con un occhio di riguardo per quella generazione, appunto, di trentenni in cerca di riferimenti persi tra i fumi del millenium bug, e della nostra diseducazione sentimentale (sì, di questa collettività fa parte anche il sottoscritto quindi la recensione è ancora più accorata).

Tutte le canzoni sembrano riflettere su dubbi condivisi, con parole selezionate e affilate con la lima, in linea con le pretese poetiche di una penna che sa incidere, e ricucire con attenzione: c’è una chirurgica attenzione ai dettagli, in “Oltre”, che conferma quanto di buono si muova silenziosamente nel sottobosco italiano, al riparo da riflettori che, il più delle volte, sembrano bruciare il talento come falene contro i neon.

Invece Paduano riesce nel suo cono d’ombra ad illuminare tutti i punti interrogativi, lavorando al sicuro da pretese di mercato che non lo sfiorano, permettendogli – almeno per ora: non possiamo che augurargli il successo, e banchi di prova ancor più intensi per la sua “integrità” – di tirar fuori dal cilindro un’opera sincera, coerente, complessa e allo stesso tempo capace di arrivare a tutti. 

Sei canzoni che raccontano la complessità delle relazioni, dell’accettare il tempo che passa e di provare a non farsi soffocare dal turbinio del presente: un invito al silenzio, alla riflessione, a prendersi il tempo di “perdere tempo” ma in modo intelligente, con spirito autocritico e stile intellettuale. Un lavoro prezioso, che possiede i suoi slanci pop (“Argini” e “Buccia d’arancia” su tutti) senza mai perdere il contatto poetico con una materia durissima come il diamante, che traspare tra le pieghe di un disco ben prodotto e ben orchestrato. 

Una conferma su un talento da non perdere d’occhio, e nel caso da scoprire. Custodendolo con gelosa attenzione. 

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Indie Intervista Pop

SAFARI: SEMPREVERDE è l’amore tossico del nuovo singolo

SEMPREVERDE è il nuovo singolo dei SAFARI disponibile dal 06 ottobre. l brano parla di una relazione difficile e della voglia di ritornare a ad inseguire i propri sogni. Un invito ad utilizzare il tempo che abbiamo senza sprecarlo in situazioni negative prosciugano la nostra energia. Un sound che parte dall’indie italiano per mescolarsi poi con sonorità dell’attuale scena pop internazionale. Il brano segui i singoli “Ho piano tutta la notte” e “Esse”. Il progetto SAFARI è composto da Alessandro De Blasio (voce, synth, programmazione), Daniele Pertosa (voce, chitarra), Giancarlo Latartara (Batteria), Francesco Petitti (basso).

Abbiamo chiesto ai ragazzi dei SAFARI di rispondere a qualche domanda:

1 Ciao parlateci un po dei Safari e del progetto musicale  

Eccoci qui, come Safari. Ci siamo conosciuti nel 2019 (Alessandro e Daniele), e da subito abbiamo cominciato a scrivere assieme, ma sempre con l’idea di avviare una band tra il pop, l’indie e la synth wave anni 80 . Ed ora la band è al completo, dopo l’arrivo di Franky al basso e Giancarlo alla batteria.

2  Sempreverde è il vostro nuovo singolo, ci raccontate come è nato e di cosa parla? 

Il nostro ultimo singolo “SEMPREVERDE” racconta quel tipo di amore tossico che ti consuma dall’interno dal quale molto spesso, è molto difficile allontanarsi magari anche solo per abitudine, affetto e malinconia.

3 Quali sono le vostre influenze musicali più importanti?

Artisti  come Colapesce e Dimartino, i Beatles, Cage the Elephant, Arctic Monkeys e Mac Demarco, hanno influenzato profondamente il nostro sound e la scrittura.

4 Cosa ne pensate dell’attuale scena musicale? Con quali artisti vi piacerebbe collaborare 

La scena musicale attuale? Abbiamo pochi “eroi” rimasti ai quali ispirarci ma di sicuro, ci piacerebbe tanto collaborare con Colapesce e Dimartino, Calcutta o artisti diametralmente opposti  a ciò che facciamo.

5 Progetti per il prossimo futuro?

Intanto guardiamo al futuro, registriamo i prossimi singoli e siamo in preparazione per i prossimi live.

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rock

Tra i Clash e il Belpaese c’è il porto sicuro di LEHAVRE

Vi piace la musica che sale dalle cavità della terra, ricordando ai vostri piedi come si fa a tenere il ritmo? Il suono lontano di mille esplosioni nel cielo di Londra, mentre da un’auto che passa si sente l’eco del primo disco dei Clash? Vi piace pensare che anche il rocker più duro può nascondere un cuore tenero?

Allora, non avete altro da fare che sintonizzarvi sulle frequenze dei LEHAVRE, neonato progetto campano con non poca gavetta alle spalle e una forte necessità di correre dietro ad un tempo che fugge: “Come i Clash” è il biglietto da visita di una band che non puoi perdere di vista.

Ciao, LEHAVRE! Partiamo dalle domande semplici: da cosa deriva il vostro nome d’arte?

La ricerca del nome è l’aspetto che ci ha tormentato di più. A un certo punto c’erano le canzoni, c’era il progetto intero e persino un live alle porte, ma mancava il nome. Poi è arrivata l’illuminazione. Un film di Aki Kaurismäki, un gioco da tavolo, un porto sicuro, una squadra di calcio che in modo rocambolesco raggiunge la serie A francese. Erano tutti segnali. Alla fine quel nome, così musicale e imponente, era sempre stato sotto i nostri occhi.

Raccontateci qualcosa di voi, in modo da far scoprire ai nostri lettori chi siate. Come nasce il progetto?

Mentre tutti scrivevano canzoni in cameretta noi, impossibilitati ad uscire per il lock-down, non avevamo nulla da dire. Se non vivi non scrivi. Quando tutto è tornato alla normalità l’urgenza di scrivere canzoni è stata troppo forte, quindi io e il batterista (Marco e Lorenzo) abbiamo raccolto i cocci del precedente progetto (Kafka Sui Pattini) e abbiamo formato un gruppo nuovo, accogliendo a bordo un altro Marco. Per rispondere alla tua domanda, il progetto nasce in modo eruttivo: dovevamo buttare fuori quello che avevamo covato silenziosamente per due anni.

Avete uno stile che fonde il pop punk dei primi duemila con un ottimo gusto retrò: quali sono i vostri principali riferimenti musicali?

Arctic Monkeys per sempre. 

“Come i Clash” esplicita un approccio che sembra volersi fare manifesto: come nasce la canzone? E perché avete deciso di partire proprio da qui?

Niente ti descrive meglio di ciò che ami. E ciò che ami lo omaggi. Come i Clash è una dichiarazione d’amore, oltre che di intenti. Quale miglior modo di presentarsi al mondo se non dire “hey, ecco dove voglio arrivare ed ecco come ho intenzione di riuscirci” mentre alzi il volume della distorsione.

Sembrate però allo stesso tempo dei romantici, oltre che dei “dinamitardi”… dobbiamo aspettarci anche ballad più malinconiche, dai vostri futuri passi discografici?

Sicuramente, probabilmente non saranno ballad nel senso canonico, ma i prossimi singoli affronteranno tematiche più introspettive. 

Grazie del vostro tempo e a presto! Vi vedremo dal vivo, prima o poi?

Più prima che poi.