Quando è arrivata in redazione la proposta di Celeste mi sono interrogato a lungo su cosa fare dell’ascolto di quello strano EP che a gran voce chiedeva di essere compreso, andando oltre le prime risposte date dal gusto personale: ho premuto play, infatti, e subito hanno cominciato a proiettarsi sulle pareti del mio cervello immagini diverse, lungo il tracciato di un viaggio a metà tra l’onirico e il distopico tra mondi che oscillano tra romanticismo e sfacciataggine, rendendo davvero difficile per l’ascoltatore poter dire “ok, ti ho capito, Celeste!“.
Non perché la musica di Simone Furlani (nome da “borghese” di Celeste) rappresenti l’avanguardia criptica di quel cantautorato spesso un po’ fine a sé stesso che fa dell’inaccessibilità un vanto, tutt’altro! Il disco di Celeste, in realtà, è squisitamente pop sotto tutti i punti di vista: scrittura scorrevole, immaginifica il giusto ma sopratutto narrativa, sonorità che (lavorate a più mani da più produttori) mostrano una certa propensione per l’urban, il soul e l’hip hop, dimensione estetica del tutto che avvicina Simone ad un’ibridazione fra Gen Z e la figura del rocker senza tempo, che a petto nudo galoppa verso orizzonti nuovi.
La difficoltà, dunque, non sta tanto nei brani proposti e presentati singolarmente all’ascolto, quanto piuttosto nella sensazione che qualcosa sfugga all’immediato discernimento nelle trame di un lavoro che racconta uno stato emotivo in evoluzione, pronto a passare da uno stato solido ad uno sempre più liquido per sublimarsi quasi in gassoso arrivati all’ultimo brano.
Non c’è coerenza fra i brani a livello musicale, e questo non rappresenta un punto di debolezza ma di forza, nell’ottica della comprensione di un progetto che scansa volutamente l’uniformità per tirar fuori dal cilindro qualcosa di “proprio”, a prescindere dall’abito che la canzone si trova ad incollarsi addosso.
Insomma, gli spunti c’erano tutti per non perdere l’occasione di fare qualche domanda al cantautore veneto, che si è ben prestato al nostro fuoco incrociato.
Simone, per il mondo del pop Celeste; ti avranno già fatto questa domanda un sacco di volte, ma non possiamo tirarci indietro dal sondare la nostra curiosità: perché “Celeste”?
La parola “celeste”, apparsa in modo totalmente casuale sulla mia strada, racchiude in qualche modo tutto ciò che voglio portare con i miei racconti, oltre che rappresentare l’approccio che vorrei avere nei confronti della musica. Celeste rappresenta dunque un intricato Universo di elementi prettamente concettuali, dall’amore ai sogni, ma anche, seppur non ancora emerse, dalle insicurezze alla voglia di rivalsa.
“Universo” è il tuo EP d’esordio, anticipato dai singoli “Capriccio” e “18 anni” che, in qualche modo, già permettevano di intuire le molteplici direzioni musicali del lavoro complessivo. Ci racconti come hai lavorato alla produzione dell’extended play?
Le parole chiavi per la produzione di questo progetto sono due: Type Beat. Quest’ultimi rappresentano il pilastro fondamentale, non solo del mio, ma del percorso musicale di miriadi di altre persone. Al momento non ho ancora un produttore fidato, quindi un po’ per fare di necessità virtù, e un po’ per la voglia di addentrarmi nei meandri di questo fantastico mondo, ho deciso di mantenere e appoggiarmi in gran parte per questo progetto proprio ai fantomatici Type Beat di YouTube. In questo EP, per quanto breve, sono stati racchiusi molteplici generi: questo in quanto ho voluto portare più sfaccettature possibili del viaggio narrato.
Come succede spesso, tra i brani mi ha colpito molto l’ultimo, che sembra quasi chiosare sul viaggio musicale di “Universo” con uno spunto di malinconia che non emerge negli altri brani. Ecco, è qui che sta l’anima di Celeste, divisa a metà tra lo slancio caustico di “Pariolina” e lo sguardo più laconico di “Mezza Estate”?
In passato, prima di approdare a questo viaggio e a Celeste, le mie canzoni erano prettamente lagne amorose scaturite da delusioni sentimentali. Con questo progetto però ho deciso di cogliere dalle esperienze vissute non più solo lo strazio per un qualcosa di appena concluso, ma il bello da un qualcosa che è appena passato. Questo l’ho fatto anche per il semplice motivo che avevo voglia di portare leggerezza grazie alla mia musica anche se, sicuramente, sono già in fase di sviluppo nuovi viaggi molto più intimi e personali. Per quanto ho indirettamente raccontato molto di me con questo EP, ci sono ancora tantissime cose delle quali voglio parlare e, in questo caso, magari lo farò proprio in prima persona.
“Universo”, il brano intendo, occupa giustamente la posizione centrale. Quali sono le cose più importanti del tuo, di universo personale? E qual è invece la peggior paura di Celeste?
La mia peggior, ma non più grande paura, credo sia il fatto di non riuscire a raggiungere gli obiettivi estremamente ambiziosi che costantemente mi pongo, essendo io molto critico e severo con me stesso. Per quanto riguarda gli elementi più importanti del mio Universo personale, credo si possano racchiudere in due macro categorie: la natura, per me luogo di pace sensoriale dalla frenesia e l’estetica goffa e “brutalista” della città; e l’amore, sia nei confronti di una ragazza, che per ogni relazione ed elemento che ci circonda.
Senti, ma ci dici come ti è venuta in mente “Artemisia”? Me la immagino, chissà perché, come una visione, come una folgorazione…
In realtà, (s)fortunatamente, è qualcosa di molto più terreno e concreto. Come dico in “Pariolina” <<una diva di altri tempi, lo dice pure il tuo secondo nome>>, fa proprio riferimento ad Artemisia. Quest’ultima, dunque, è una persona realmente esistita, il caso poi ha voluto avesse un nome che così ben si prestava a raccontare le mie storie.
Sono previsti dei live, per i mesi a seguire? Stai già pensando a quale potrebbe essere un’idea di spettacolo? Il tutto sembra prestarsi bene a qualcosa che oscilli fra il concerto e la fiaba…
Mi piace molto l’idea della musica come viaggio, tanto terreno quanto sensoriale. Sono quindi dell’idea che sia fondamentale raccontarsi e raccontare una storia, sia da un punto di vista musicale e narrativo, ma anche puramente estetico. Tutto questo è dunque racchiuso all’interno della mia idea di spettacolo, un turbine di emozioni che si sposano in un perfetto sodalizio. Tutto questo al momento l’ho potuto vivere a due soli concerti: quello più recente di Venerus, e nel 2017 a quello dei Twenty One Pilots. Purtroppo al momento non sono ancora previsti live per i mesi a seguire, ma sicuramente mi mobiliterò presto per rimediare a questa grande mancanza.
Il cantautore di origini calabresi, Darte, torna con Tisane Love, il nuovo brano che racconta di come è facile sentirsi persi quando ci si ritrova fuori da una relazione tossica come un’overdose.
Il titolo del brano, che arriva dopo i buoni riscontri del singolo “Belli come prima”scritto e prodotto con Mameli, si ispira ad una fantasiosa tisana dalle miscele afrodisiache che simboleggia, metaforicamente, il bisogno di ritagliarsi dei momenti di disintossicazione dalla vita quotidiana. Una sottile ironia che in realtà cela una malinconia, facendo da contrasto ad un sound pop che vuole fare da “scacciapensieri”.
Abbiamo chiesto a Darte di scegliere le sue 5 cose importanti per parlarci del loro nuovo brano
Pianoforte digitale
Questo piano digitale l’ho preso due anni fa durante l’inizio della pandemia. E’ stata la cosa che più mi ha fatto sentire protetto e al sicuro, ma allo stesso tempo fragile perché è con questo che ho scritto alcune canzoni con cui ho mostrato i lati più intimi di me.
Milano
Milano è la città che mi ha accolto. Mi ha fatto sentire piccolo in così tanta grandezza. La frenesia, la velocità sono cose che ho imparato ad apprezzare. Ah si… anche gli infiniti aperitivi!
Macchina Fotografica Kodak
E’ stata uno dei regali più originali. Quando ho ricevuto questa Kodak usa e getta mi ha fatto tornare in mente i momenti da piccolo alle scuole elementari, quando potevi sentirti importante se avevi una di queste alle gite scolastiche. Ho deciso di tenere cari questa 30ina di scatti, e di utilizzarli nei momenti più belli.
Gatti
Se non si fosse capito amo i gatti. O meglio, ho imparato ad amarli. Ti capiscono meglio di alcune persone. Sono terapeutici.
Casa
Voglio ricordare sempre da dove sono partito. Perché alla fine “nessun posto è casa mia”. Sono i 1200km più lunghi ma che ho sempre piacere ad attraversare per tornare.
Il duo piacentino “LAMETTE” , torna con “PLASTICA”, il nuovo singolo uscito venerdì 18 febbraio ed inserito in New Music Friday Italia e Scuola Indie di Spotify, New Music Daily e Super Indie di Apple Music e Pop 2.0 di Amazon Music. Il brano parla di un ragazzo al quale è stato spezzato il cuore da una ragazza che ha saputo manipolarlo fino alla fine. Una storia d’amore finita male, uno sfogo contro la malinconia che in qualche modo ha come filo conduttore le paure e le ansie della Gen-Z.
LAMETTE è un progetto nato nel 2020, composto da Vasco Cassinelli e Cristian Pinieri. Il duo ha totalizzato oltre 300 mila streams su Spotify che li ha inseriti più volte nelle playlist editoriali, New Music Friday Italia, Scuola Indie, Una Vita In Università e la playlist ufficiale di Xfactor 2021.
Abbiamo chiesto ai Lamette di scegliere 5 oggetti per parlarci del loro nuovo brano
Chitarra Fender
Cristian: “È uno strumento a cui sono molto legato, sin da quando ho iniziato a suonare. È stata il mio primo approccio con la musica, è tutt’ora il 90% dei nostri brani nasce da una demo chitarra/voce.”
Videocamera vhs
Vasco: “Acquistata per la bellezza di 15€ ad un mercatino dell’antiquariato è una handycam e la uso principalmente per filmare cose a caso (la tengo sempre in macchina per ogni evenienza). Dà sempre quel tocco vintage che mi fa impazzire.”
Vinile dei 1975
Cristian: “Attualmente è il disco a cui sono più legato, nonostante sia un album del 2013 suona ancora attuale, resta per me una grande fonte di ispirazione e di motivazione. Fun fact: la copia fisica l’ho appesa al muro perché il mio lettore si è rotto.”
Rick&Morty
Vasco: “Da grande fan della serie tv ho iniziato a collezionare i pupazzetti e questo in particolare è il mio preferito.”
Macchina fotografica Fujifilm
Cristian: “Oltre alla musica una mia grande passione è la fotografia, specialmente negli ultimi anni questa macchina è diventata il mio “must have” per qualsiasi uscita, da una serata con gli amici ad una session in studio.”
Quando ho scoperto Ibisco, circa un paio di mesi fa nell’ambito della nostra rubrica “Dammi tre parole”, ho subito capito che sarebbe stato bello, un giorno, poterlo intervistare.
Sì, perché il ragazzo tutto broncio (fascinoso, sia chiaro!) e Joy Division è uno di quello che ha qualcosa da dire – anzi, più di qualcosa -, e che le volte che parla non passano inosservate le sue risposte e le sue argomentazioni, come ben emerge dall’intervista realizzata da Back To Futura nel salotto di La Jungla Factory; qualche giorno fa, trastullandomi sul web, sono inciampato infatti sulla prima puntata sinergica di “Back To La Jungla”, il format nato in collaborazione tra i due collettivi sopracitati grazie al supporto di Incontri Esistenziali, associazione culturale del bolognese che dal 2015 s’impegna a promuovere la cultura dell’incontro attraverso iniziative che vanno dal sociale al culturale.
E’ proprio nell’ottica di tale “mission” che il nostro caro Ibisco è stato coinvolto nella performance chitarra e voce che lo ha visto protagonista della prima puntata del format, per poi mettersi a nudo con Stefano Valli tra le piante e le belle vibrazioni dell’auditorium della Jungla: come poteva non salirmi la voglia di replicare, e di cogliere al volo l’occasione di fare anche io qualche domanda su “Nowhere Emilia”, il roboante disco d’esordio di Filippo, all’artista stesso?
Ne è venuta fuori una conversazione importante, che mi rende felice del lavoro che faccio. Che poi, è un lavoro? Non lo so, ma nel dubbio continuo per la mia strada: fosse mai, che per la via mi ricapiti di incontrare qualcos’altro di così luminoso come il diamante grezzo (volutamente tale!) che mi ha risposto nel modo che segue.
Filippo, partiamo dal titolo del tuo disco d’esordio, “Nowhere Emilia”. Come si fa ad essere “da nessuna parte” e contemporaneamente in un luogo così definito, come la tua Emilia?
Accade grazie ad una sorta di principio di ubiquità dei luoghi, la capacità che essi abbiano di essere contemporaneamente visibili al di fuori di noi, quali manifestazioni della civiltà e dei suoi opposti, e accessibili all’interno, sotto forma di introspezione, memoria, ricordi, immaginazione.
Certo che il rapporto con il tuo territorio deve avere influenzato la scrittura dell’album; scenari emiliani e periferia bolognese respirano a pieni polmoni attraverso le tracce del disco: che rapporto hai con l’Emilia?
Un rapporto fatto di interminabile vagare, all’interno del quale le ore vengono fagocitate dai viaggi in auto per guadagnare soldi, dalle carenti memorie di serate urbane, dai moti muscolari ai confini della pianura e da sentimenti a perdita d’occhio.
Nei tuoi brani canti di un disagio che, se vogliamo, sembra raddensarsi attorno ad una visione delle cose che pare urlare, a suo modo, che non esiste alcun futuro. Quali sono i nuclei portanti della tua poetica?
Credo che alla base vi sia una sorta di esistenzialismo che, debole della sua normalizzazione avvenuta nel corso degli anni, per farsi ancora notare quale irrinunciabile punto di vista debba necessariamente alzare i toni. Poi ci sono la fragilità, la sessualità, l’innato desiderio di riscatto soggiacente all’era della disillusione.
Batterie elettroniche che suonano nelle canoniche, casse sudicie da cui sembra scaturire la vita: gli ultimi, in senso quasi “deandreiano”, siamo noi, generazione allo sbando costantemente impegnata a cercare sé stessa lontano dalla plastificazione del nostro tempo. Credi che esista, nella tua scrittura, qualcosa che possa essere definito “generazionale”? E a questo punto ti chiedo se ti senti parte di qualcosa, di una “generazione sconfitta”.
Dal momento che le persone si rivelano molto più simili tra loro di quanto solitamente non pensino, credo che il vero “essere generazionale” risieda nella più brutale ricerca della sincerità. In questo senso, dal punto di vista della scrittura e della produzione, c’è stata molta attenzione.
Più che sconfitta, la mia generazione, penso sia sempre più povera di scopi. Il futuro ha sempre meno dimensione. Da un punto di vista meramente masochistico, questo può portare per contrappunto alla formazione di un’urgenza espressiva senza precedenti, dalla quale possano emergere potenti risultati artistici.
Ecco, ho parlato di “beat generation” perché mi pare che il collegamento tra il tuo disco e certe letture (oltre che certi ascolti) sia evidente. Esistono dei libri che hanno influenzato la stesura di “Nowhere Emilia”?
Sicuramente “Noi, ragazzi dello Zoo di Berlino” di Christiane F e “Petrolio” di P. P. Pasolini.
In “B” duetti con Enula, nome conosciuto a chi frequenta la scena “underground”. Credi che oggi si possa ancora parlare di “scena”? Esiste, secondo te, una scena ben precisa come poteva essere negli anni Settanta/Ottanta per la scuola emiliana, genovese, milanese o romana?
“Scena” credo sia un termine meravigliosamente affetto da misticismo e autoironia. È la parola con cui si definisce l’indescrivibile Everest della musica emergente, un mondo dove molto spesso si confondono realtà e velleità, un gigantesco cosplay fatto di amore, sacrificio e un pizzico di spirito sedicente. A mio parere sono i festival a consacrare le varie “scene”, più che il territorio di provenienza.
Cosa vuol dire per Ibisco la parola “cantautore”? Perché in effetti la tua musica respira di uno slancio “autorale” più che evidente. E allora ti chiedo: cosa vuol dire, oggi, fare “canzone d’autore”? Sempre che tu ritenga che tale definizione generica possa, a suo modo, descrivere almeno parzialmente quello che fai.
È una parola che da un lato mi spaventa in quanto ormai sovraccarica di retorica passatista. Fare musica oggi significa inevitabilmente riassemblare elementi precostituiti nel modo più originale e inedito possibile. Il cantautorato, in questo senso, è un ingrediente, più che un’essenza.
Quali sono le tre cose che Ibisco meno sopporta della nostra contemporaneità.
Il bisogno di esprimersi da ignoranti (il silenzio non è un reato), L’ipocrisia di un sistema economico-politico troppo poco orientato al benessere sociale, la mascolinità tossica.
Raccontaci in una manciata di parole la tua esperienza a La Jungla Factory, dove hai recentemente riassaporato il gusto del “live” con una session acustica di “Chimiche”.
Punk, punk, punk. Persone che vivono con grande anima la missione della musica e dell’arte in generale. C’è bisogno di spazi come questo.
Chiudiamo con la più classica delle domande, che però oggi pare essere l’unica che conta: a quando dal vivo, in tour?
Ci stiamo preparando per iniziare a portare il disco live entro pochissimi mesi.
Dopo il debutto con il singolo Elisa, Efferre torna con Pezzi di un puzzle, un brano up tempo dal sound elettronico chenel testo affronta a tutto tondo il mondo delle relazioni.
“Spesso ci buttiamo tra le braccia di un altro solo per cercare di guardare avanti, sentirci ancora vivi, lasciare alle spalle il passato e perché non sopportiamo le mancanze”.
Efferre, all’anagrafe Antonio Feroleto, è un cantautore e produttore di origini calabresi ma trapiantato da tempo a Bologna. Negli anni gravita nel circuito dei locali del capoluogo emiliano, suona insieme ad artisti delle scena elettronica internazionale come FatBoy Slim, Ellen Allien, Seth Troxler, Martinez Brothers.
Il cantautore calabrese EFFERRE ha risposto alle nostre domande in questa intervista:
Ciao Antonio, è uscito il tuo nuovo singolo Pezzi di un puzzle. Di cosa parla?
Parla di due persone che si incontrano dopo un po di tempo e si rendono conto di come alcuni sentimenti non siano cambiati.
C’è un verso di una canzone di un tuo concittadino che fa: “Complichiamo i rapporti come grandi cruciverba” (Cremonini, Nessuno vuole essere Robin). Pensi che si colleghi bene al tuo pezzo?
Beh si perchè no? poi nessuno vuole essere robin è il mio pezzo preferito di Cesare, sono onorato di questo accostamento.
Quanto c’è di autobiografico in questo singolo?
Penso che chiunque scriva un pezzo ci metta dentro contenuti autobiografici. Siamo portati a scrivere tante volte perchè non riusciamo a dire a parole delle cose e le mettiamo dentro le canzoni.
Il tuo pezzo precedente, Elisa, invece racconta una storia in terza persona. Quali sono i punti caratteriali di questa ragazza e in cosa potrebbe immedesimarsi una ragazza?
Si Elisa è più una descrizione immaginaria di una ragazza.Ho provato a descriverla nelle cose quotidiane che accomunano un po tutte le persone di oggi in modo tale che chiunque si ci possa rispecchiare un po.
Parliamo del sound, tu fai elettronica da anni. Questo progetto come si collega al percorso artistico avuto in precedenza?
Nella vita non si butta mai niente 🙂 Ho prodotto sempre roba da dancefloor con queste sonorità ho pensato che aggiungendo una parte cantautorale potessi far fare il salto di qualità ai miei dischi.speriamo che alla fine sarà così
Tre album di musica elettronica che ti hanno segnato?
Questa è dura!. You’ve come a long way baby – Fat boyslimorchestra of bubbles – Ellen Allien & Apparate sarei falso se non ci mettessi anche Play it loud – Marco Carola
VINCI LUGLIO debutta sui digital stores con il brano “Usciamo Insieme”, dopo essersi classificata al secondo posto alla trentesima edizione del “Festival Città di Caltanissetta” (presidente di giuria, Beppe Vessicchio). La canzone, distribuita da ADA Music Italy, è stata prodotta con Luca D’Aversa e la supervisione di Marta Venturini, presso lo StudioNero (Calcutta, Coez, Emma Marrone, Ghemon, ecc.), a Roma. Il sound mescola la tradizione melodica italiana con le sonorità d’oltreoceano, ispirandosi al pop di Battisti con un po’ di Tame Impala, passando per l’influenza degli ultimi lavori di Di Martino, conterraneo dell’artista.
Per l’occasione, abbiamo chiesto a Vincenza di parlarci delle sue 5 cose preferite:
Il disco Dalla di Lucio Dalla
Ho diversi dischi preferiti e dischi preferiti diversi in base al periodo che sto attraversando. Eppure, se dovessi scegliere un album che mi accompagna da un considerevole numero di anni senza stancarmi mai sarebbe Dalla, di Lucio Dalla. Se il disco preferito è quello di cui non skippi neanche un brano, non ci sono dubbi: è proprio questo.
Il mio ukulele
Per quanto lo bistratti è sempre con me e fa da base d’appoggio alla scrittura di tutti i miei brani.
Le Correzioni di Jonathan Franzen
Per me un bel libro non è quello che leggi tutto d’un fiato, ma quello che il fiato te lo fa trattenere. Diverse volte nel corso della lettura di questo libro ho sentito il bisogno di fare delle pause, per metabolizzare quello che avevo appena letto. È il libro preferito del mio autore preferito. Una piccola curiosità, proprio alla protagonista di un libro di Franzen ho dedicato un mio brano ancora inedito!
Le “minne” di Sant’Agata
Da catanese adottiva quale sono, vado letteralmente matta per questi involucri di pasta di mandorla, ripieni di crema di ricotta con gocce di cioccolato e arance candite, chiusi con pan di spagna e ricoperti di ghiaccia reale bianca. Caratterizzati dall’aspetto candido e sormontati da una ciliegia rossa, sono dedicati proprio alla santa patrona della città.
Il mare d’inverno
Sarà un cliché, ma il mare d’inverno è un privilegio dei miei 30 anni a cui non sono più disposta a rinunciare.
“Chi sono io?” è il nuovo brano dei Sofisma, duo indie rock dalle sonorità energiche. La canzone racconta la voglia di trovare sé stessi e la ricerca della propria identità. Una melodia vocale sfrontata e decisa, per un testo che affronta una tematica importante come la paura dell’essere dimenticati e dell’ansia sociale.
Un brano indie-pop trainato dai riff di chitarra, un sound energico di influenza britpop e post-rock che ricorda la scena alternativa inglese della seconda metà degli anni Ottanta.I Sofisma sono un duo musicale formatosi in provincia di Alessandria nel 2020. I due fratelli, Nicolò Sassi (Voce, tastiere, batteria) e Matteo Sassi (Chitarra, basso, cori), iniziano a studiare musica intorno ai dieci anni e formano diversi gruppi con cui suonano principalmente nell’alessandrino. Nel 2020 decidono di mettersi in proprio formando il duo musicale Sofisma e si dedicano alla scrittura di nuovi brani. Nel 2021 escono i loro due primi singoli: “Notte Blu” e “Un’altra verità”.
Nicolò e Matteo hanno risposto alle nostre domande:
Parole, parole, parole: parole che rimbalzano contro i finestrini di macchine lanciate a tutta velocità verso il fraintendimento, mentre accanto a noi sfilano cortei di significati e di interpretazioni che si azzuffano per farsi strada nella Storia, provando a lasciare un segno. Parole giuste, parole sbagliate; parole che diventano mattoni per costruire case, ma anche per tirare su muri; parole che sono bombe, pronte a fare la guerra o a ritornare al mittente dopo essere state lanciate con troppa superficialità: parole intelligenti, parole che sembrano tali solo a chi le pronuncia, mentre chi le ascolta cerca le parole giuste per risanare lo squarcio. Parole che demoliscono, parole che riparano. Spesso, parole che sembrano altre parole, che pesano una tonnellata per alcuni mentre per altri diventano palloncini a cui aggrapparsi per scomparire da qui. Parole che sono briciole seminate lungo il percorso da bocche sempre pronte a parlare, ma poche volte capaci di mordersi la lingua: se provi a raccoglierle, come un Pollicino curioso, forse potresti addirittura risalire all’origine della Voce, e scoprire che tutto è suono, e che le parole altro non sono che corpi risonanti nell’oscurità del senso.
Parola, voce, musica: matrioske che si appartengono, e che restituiscono corpo a ciò che sembra essere solo suono.
Ogni mese, tre parole diverse per dare voce e corpo alla scena che conta, raccogliendo le migliori uscite del mese in una tavola rotonda ad alto quoziente di qualità: flussi di coscienza che diventano occasioni di scoperta, e strumenti utili a restituire un senso a corpi lessicali che, oggi più che mai, paiono scatole vuote.
MAELSTROM
Tutto quello che ti viene in mente se ti diciamo “Sogno, realtà, futuro”.
Tutto quello che ti viene in mente se ti diciamo “Sogno, Realtà, Futuro”.
Domanda difficilissima. Mi viene in mente “La vita è sogno” di Calderon de La Barca, il tema del sogno affrontato dalla corrente surrealista nella storia dell’arte, il sogno di un bambino, il sogno di un adolescente, il sogno di un uomo. La realtà e il futuro, come delle virgole tra le lettere della parola sogno.
RICKY FERRANTI
Tutto quello che ti viene in mente se ti diciamo “Sogno, realtà, futuro”.
“I sogni sono messaggi dal profondo” così recita l’incipit di un film che adoro da sempre e di cui hanno recentemente fatto un remake. Per alcune civiltà è il sogno ad essere Realtà e la Realtà che diventa Sogno. Da secoli il Sogno rappresenta un mistero per studiosi e filosofi ed il limite che li separa è sottile e spesso indecifrabile. “Hai mai fatto un sogno talmente vero da sembrare reale ?” , recita Morpheus in Matrix. Mi piace pensare che questo confine così labile esista semplicemente per una nostra limitazione cognitiva e di percezione data dall’utilizzo limitato del nostro cervello. Questo limite di percezione è ciò che influenza la nostra realtà ed il nostro futuro. Jung diceva “Rendi cosciente l’inconscio, altrimenti sarà l’inconscio a guidare la tua vita e tu lo chiamerai destino”. Il nostro futuro è determinato dalla nostra capacità di cogliere i messaggi profondi dei sogni e di riuscire a trasformarli in realtà.
NUELLE
Tutto quello che ti viene in mente se ti diciamo “Sogno, realtà, futuro”.
SOGNO
Il sogno per noi è quel luogo in cui si rifugia il pensiero per trovare speranza e motivazione. Un sogno è un obiettivo, un obiettivo è un sogno, è quello che da senso alla nostra vita.
REALTA‘
La realtà è una palestra dove ogni giorno dobbiamo affrontare sfide, soffrire e gioire. Dove servono muscoli per superare tutte le difficoltà e rendere una futura realtà esattamente come la vorremmo.
FUTURO
Ci viene in mente la famosissima canzone di Lucio Dalla “Futura” come prima cosa ma sopratutto quel luogo pieno di paura, ma con la curiosità di sapere come andrà a finire, cosa succederà e quali emozioni proveremo sulla nostra pelle.
BEHRTO
Tutto quello che ti viene in mente se ti diciamo “Sogno, realtà, futuro”.
Di questi tempi la parola “sogno” è una parola che si sta affievolendo nella bocca delle gente e anche io non la utilizzo quasi più. Mi ricordo subito dopo il lockdown un mio amico mi scrisse testuale “sono andato dal tabaccaio a prendere le sigarette credevo di partire per Bali”. Mi manca viaggiare e lo so che può sembrare strano, perché il viaggiare almeno per me, ma sicuramente anche per tutti gli altri è una cosa che rientra nell’ordinario e non si può definire un sogno, però mi manca l’odore dello smog mescolato a quello dell’umidità e della vegetazione lussureggiante, mi manca far partire l’applauso dopo l’atterraggio, mi manca vedere e sentire il tiepido mare dopo una notte piena di stelle, mi manca sballare il ritmo circadiano, mi manca addentrarmi nella giungla, bere un drink sulla spiaggia indossando un leggero cappello di paglia o fumare una sigaretta mentre guardo animali esotici danzare. In questo momento per me sognare significa pensare di poter tornare a fare quello che non abbiamo più potuto fare in questi due anni; in particolare viaggiare.
Quando si parla di “realtà” mi viene in mente la realtà alternativa e oscura di “ritorno al futuro 2” quando i protagonisti tornano al loro tempo di partenza però trovano un mondo sottosopra. Dal mio punto di vista il nostro mondo sopratutto adesso si sta lentamente inabissando verso quella realtà crudele del film. La parola “futuro” è una parola complessa c’è chi dice che il futuro è adesso, c’è chi dice più drasticamente che il futuro è un salto nel vuoto, è come andare solo in spiaggia in piena notte, farti un bagno e fissare il buio davanti a te; insomma il futuro è ignoto. Quando penso al “futuro”, e qui mi allaccio a quel che ho detto prima riguardo la parola “sogno”, spero semplicemente di uscire al più presto da questa brutta situazione che sta sempre più gravando su tutti noi. Quindi a questo punto forse potrei realizzare che le parole “sogno” e “futuro”, almeno secondo me, potrebbero equivalersi in questo momento. In pratica sogno molto banalmente che ci possa essere un futuro per tutti o meglio una via d’uscita fatta di viaggi e nuove esperienze.
Per quanto riguarda la musica ho zero aspettative per il futuro, l’unica cosa che vorrei è poter continuare a scrivere e suonare come ho sempre fatto; mi basta questo.
FRANCESCA MORETTI
Tutto quello che ti viene in mente se ti diciamo “Sogno, Realtà, Futuro”.
Quando la realtà in cui viviamo non rispecchia le nostre aspettative è inevitabile rifugiarsi nel sogno, prefigurarsi una realtà alternativa, quasi utopica, che riesca a farci sentire più appagati. Anche a me capita spesso di cercare di evadere dalla realtà e di crearmi aspettative sul mio futuro, aspettative che però, a volte, possono essere deluse. Seppur questa dimensione quasi onirica mi faccia sentire meglio, almeno momentaneamente, sono consapevole non sia possibile vivere costantemente nel mondo dei sogni, distogliendo del tutto lo sguardo dalla realtà. Sognare rimane di sicuro un ottimo espediente per cercare di addolcire la realtà; tuttavia non bisogna dimenticare che la nostra vita è ora, nel presente, e che affinché anche solo una minima parte di questi sogni si possa avverare, in un futuro prossimo o meno, è necessario impegnarsi e battersi quotidianamente.
MARSALI
Tutto quello che ti viene in mente se ti diciamo “Sogno, Realtà, Futuro”.
Sono sempre stata una grande sognatrice anche se crescendo ho vissuto dei momenti di contrasto interiore legati al rapporto con i vari piani della realtà. A volte mi capita di auto-analizzarmi e di cadere nella trappola di dover dare delle dimensioni giuste ai miei sogni per renderli più o meno affini alla vita reale. Non credo che ci siano dei parametri che possano valere per tutti, ognuno di noi ha dentro di sé il potere e la libertà di concepire la propria visione della vita, la propria visione del presente e del futuro. Il Sogno, in senso lato, può essere forse la nostra carta jolly soprattutto in quei momenti in cui vivere ci appesantisce e in cui la realtà ci inaridisce.
Se non potessi più sognare, vagare con la mente, immaginarmi il domani, mi sentirei vuota. Anche da questa idea nasce il mio ultimo singolo “Booking”.
CLOUDCASTER
Tutto quello che ti viene in mente se ti diciamo “Sogno, realtà, futuro”.
Partiamo dalla realtà: passiamo la maggior parte del tempo a fare cose che non ci piacciono, ma siamo coscienti del fatto che siano necessarie per poterci permettere quei pochi attimi di sogno.
Vi lasciamo due righe di un personaggio del manga Berserk che ha dedicato la sua intera vita al sogno: “Per quanto siano irrealizzabili, la gente ama i sogni. Il sogno ci dà forza e ci tormenta, ci fa vivere e ci uccide. E anche se ci abbandona, le sue ceneri rimangono sempre in fondo al cuore…fino alla morte” cit. Grifis.
Visto le aspettative attuali, per ora se pensiamo al futuro speriamo solo di avere un concerto che non venga annullato a causa della pandemia, sì ci accontentiamo di poco, meglio rifugiarci nel sogno.
PI’ GRECO
Tutto quello che ti viene in mente se ti diciamo “Sogno, realtà, futuro”.
Ho sempre riconosciuto la parola “SOGNO” nell’accezione relativa all’attività psichica svolta durante il sonno. Anche quando (da ragazzo) volevamo essere i Jesus andMary Chain (anziché gli U2) non ritenevo quel desiderio un sogno, ma una scelta.
Ritengo e sospetto che non siano necessariamente i numeri a definire la “REALTÀ”, ma la propria consapevolezza. Poi, che il desiderio si realizzi in funzione di vaste platee o esigue minoranze, per me, cambia poco o nulla.
Il “FUTURO” è tra poco, al massimo domani. Nel bene e nel male non mi permetto di guardare eccessivamente avanti, probabilmente avvinto dalla ricerca del “Qui ed ora” (a volte necessario e terapeutico) oltre che per paura della delusione, sentimento devastante e spesso sottovalutato.
FRANCESCO MORRONE
Tutto quello che ti viene in mente se ti diciamo “Sogno, realtà, futuro”.
Paradossalmente le vedo tutte come trappole mentali. Credo siano tre parole, al giorno d’oggi, bellissime ma prive di reale significato, quasi sovrastimate poiché poco concrete. Gli attribuisco limitazioni che creano false speranze. Preferirei associarle a parole come obiettivo, determinazione, incertezza.
SCIANNI
Tutto quello che ti viene in mente se ti diciamo “Sogno, realtà, futuro”.
Penso che ci sia un concreto collegamento tra sogno, realtà e futuro.
Per futuro personalmente intendo il raggiungimento dei propri obiettivi , partendo da un sogno, attraversando la realtà dove magari si lavora duramente per raggiungere questo futuro desiderato. Un sogno è un desiderio che non potrebbe esistere senza realtà e futuro.
LA COMPLICE
Tutto quello che ti viene in mente se ti diciamo “Sogno, realtà, futuro”.
Sogno è una parola che oggi sentiamo forse lontana, è quasi paradossale pensare che la frase “ho un sogno, avere un sogno” di Scary Movie potesse acquistare una parvenza quasi filosofica nel 2022. Il sogno è continuare ad averne, e non lasciarsi spegnere dalle circostanze. Questo perché la realtà per noi Millennials oramai ha il sapore della disillusione, soprattutto dopo essere quasi usciti da due crisi economiche ed essersi beccati una pandemia. Sentiamo di girare a vuoto come criceti su una ruota, provando ad aggrapparci al bordo della spaccatura generazionale. Se penso al futuro con realismo, vedo una situazione molto distopica. Se la penso in modo propositivo spero nel ritorno della qualità in tutto, con ritmi meno estenuanti di ascolto e consumo che diano la possibilità di creare le cose e le opere con il giusto tempo. Una sostenibilità a tutto tondo: energetica ed ambientale ma anche e soprattutto emotiva.
BRIDA
Tutto quello che ti viene in mente se ti diciamo “Sogno, realtà, futuro”.
Se penso al sogno penso a quel qualcosa che arde dentro ad ognuno di noi e che non riusciamo mai a non ascoltare, seguire ed assecondare. Quel qualcosa che ti fa rischiare pur di raggiungerlo anche solo per un istante. Nel mio caso parlo di una carriera come artista nella musica. La realtà e tutto ciò che succede intorno al sogno. La realtà conta, a volte fa male a volte è semplice e altre volte no ma bisogna viverla bisogna provare a renderla nostra e non in balia del succedere delle cose. Se penso al futuro invece penso al termine “sorpresa”:lo vivo come una sorpresa e cerco sempre di essere pronta a reagire facendo una mossa ma spesso è bello anche lasciarsi andare e perdere il controllo. Lasciarsi stupire.
CARLA GRIMALDI
Tutto quello che ti viene in mente se ti diciamo “Sogno, realtà, futuro”.
I sogni sono cose semplici, fatti di una materia impalpabile, come le nuvole, il vento, il fuoco o la musica. Il sogno inizia appoggiando un dito su una corda che vibra, ha il tipico odore resinoso della pece che copre i crini dell’archetto, ha il calore del legno del violino che tengo stretto al corpo; così il sogno piano piano lascia che la mente si liberi, diventi leggera, slacci le cinghie e molli le zavorre: sono pronta ad un nuovo viaggio. Questa volta magari fra le stelle, in una colorata nebulosa, la prossima potrebbe essere sul fondo dell’oceano, nella camera magmatica di un vulcano o in cima ad un ghiacciaio…
Un sogno che serve a volare alto, a cambiare prospettiva sulla realtà, cercando di abbracciare un paesaggio spazio temporale quanto più ampio possibile, un panorama inedito e finalmente completo, per cogliere nell’insieme le meraviglie e le brutture. Quando si torna poi dai sogni, dal volo, dalla visione dallo spazio di quello che siamo stati e siamo, cosa resta se non il desiderio, quasi necessario, di conservare lo stupore, la consapevolezza, l’incanto e l’orizzonte che abbiamo visto?
Così, con quel bagaglio di nuovi alfabeti, non resterà che provare ad immaginare caratteri nuovi, fonemi ancora sconosciuti, dizionari sulla cui copertina sia scritto “vocabolario della lingua universale dal presente al futuro”. Tra quelle pagine si troveranno parole nuove per curare ogni male, ogni ferita dell’animo e della terra, ogni violenza, ogni inutile sofferenza e tutto sarà nato da quel sogno che era viaggio, visione, suono e spirito vibranti, pensiero libero, dito sulla corda e odore resinoso di pece sui crini dell’archetto.
GIOVANNI ARTEGIANI
Tutto quello che ti viene in mente se ti diciamo “Sogno, Realtà, Futuro”.
Tanto sogno e realtà quanto basta per sopravvivere, penso che questo sia il mio approccio alla vita. Sono sempre dentro la mia testa a fare i miei viaggi, quindi direi che di sogno ce n’è tanto. Ma la realtà è importante e ogni giorno cerco di aggiungerne un piccolo pezzo, anche se partivo da così lontano che sto ancora lottando per raggiungere un seiuccio stiracchiato in quanto a piedi per terra e senso di realtà!
MANILA
Tutto quello che ti viene in mente se ti diciamo “Sogno, Realtà, Futuro”.
Tutto quello che viene in mente se vi diciamo “Sogno, Futuro, Realtà”.
Sogno: Vivere di musica e con la musica.
Futuro: Chi vivrà, vedrà.
Realtà: molto precaria, ma noi non molliamo.
Il nostro sogno ovviamente, da quando abbiamo dato vita al progetto, è quello di farsi sentire e creare una nostra realtà in cui i nostri fan vengano coinvolti. Il futuro dipenderà sicuramente da noi…ma anche e soprattutto da chi vorrà darci un’opportunità e ascoltarci. La realtà è ben più dura ma proprio grazie al sogno e al futuro non ci spaventa.
Disponibile dal 5 gennaio, “COME SERPENTI”, il singolo d’esordio di HERMES distribuito da ADA Music Italy. Il brano, prodotto da Alessandro Landini e masterizzato da Marco Ravelli ( Pinguini tattici nucleari, Iside, Chiamamifaro), racconta di una relazione ormai arrivata al capolinea, e di quanto a volte può essere difficile accettare e superare la paura che la fine di un rapporto comporta.
Il sound mescola rnb, indie pop e it pop. Un brano uptempo dove ritmiche funky delle chitarre sostengono un groove ballabile e catchy. Hermes è Christian Cotugno, giovane cantautore classe 2000. Si approccia al mondo della musica e dalla danza sin da bambino e la sua musica racconta la “generazione z” e le loro storie d’amore con ironia ed un pizzico di leggerezza. Nel 2021, dopo diverse esperienze musicali, inizia a lavorare al suo primo EP anticipato dal brano “Come serpenti” edito da Aurora Dischi Publishing e distribuito da ADA Music Italy.
Hermes a risposte alle nostre domande in questa intervista:
Brida, già il nome, in qualche modo mi incuriosisce. Non so il perché, ma mi ricorda qualcosa che è sepolto sotto, che è antico, che suona quasi mitologico: Brida, Brida, Brida… forse un personaggio di qualche saga greca o romana? O forse siamo più a Nord, verso l’Europa dei vichinghi? O nei continenti caldi, dove tutto diventa sole e vita che splende? Vabbé, ma che importa: quel che sappiamo di Brida è che, al momento, la ragazza è geolocalizzata in Toscana dopo una peregrinazione che l’ha portata a fare su e giù per il mondo, da Londra al Brasile; insomma, una vita che assomiglia più ad un crocevia di esperienze umane e musicali diverse, che ad un blocco granitico e inamovibile che puoi decidere di spostare da una parte o dall’altra.
Basta leggere un po’ le note stampa dell’artista per renderci conto che, un’improvvisata, di certo Bridanon è – anzi: la giovane cantante toscana ne ha già fatta di gavetta, ma ciò che incoraggia è il fatto che sembri essere ben consapevole che il percorso formativo non finisca mai, e che senza dolore non c’è gloria, come direbbe qualche celebre inventore di slogan. Anche quando la vita ti porta a mettere in discussione il cammino fatto fin qui, e a ponderare l’ipotesi che in fondo fare il musicista nel 2022 stia assomigliando sempre più a qualcosa che oscilla fra le definizioni di “lusso” e “martirio”. In mezzo, c’è una quotidianità fatta di sacrifici e di lavoro, nel costante tentativo di tirar fuori da sé stessi qualcosa che torni a stupirci, prima ancora che stupire gli altri.
Forse, dopo lunghe peregrinazioni, Brida pare aver trovato il suo “centro di gravità permanente”: la squadra di produttori, in primis, sembra esser riuscita nell’impresa di dare una forma convincente ad una scrittura che pare ancora legata al momento, e all’ispirazione che non segue regole né canoni; insomma, quello di Brida è un flusso che trova un flow ben preciso nelle contaminazioni Trip Hop e Urban della lettura musicale proposta dal team di Fennec, permettendo al brano di farsi ipnotico senza perdere di tensione e sostanza. Le parole, invece, arrivano subito con sincerità perché non pare esserci posa, dietro la penna di Brida: la ragazza si racconta, racconta il proprio rapporto con sé stessa e con l’altro da sé; mette alla berlina le proprie paure e ne fa una hit buona per superare i momenti no, senza doversi a tutti i costi raccontare che “andrà tutto bene“.
Sì, perché la verità è che “va bene” ciò che ci impegniamo a far andare in tale direzione: anche se, spesso, questo vuol dire compiere sacrifici che non sapevamo di essere pronti ad affrontare. E questo, forse, non è crescere?