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Dammi tre parole #4 – Marzo

Parole, parole, parole: parole che rimbalzano contro i finestrini di macchine lanciate a tutta velocità verso il fraintendimento, mentre accanto a noi sfilano cortei di significati e di interpretazioni che si azzuffano per farsi strada nella Storia, provando a lasciare un segno. Parole giuste, parole sbagliate; parole che diventano mattoni per costruire case, ma anche per tirare su muri; parole che sono bombe, pronte a fare la guerra o a ritornare al mittente dopo essere state lanciate con troppa superficialità: parole intelligenti, parole che sembrano tali solo a chi le pronuncia, mentre chi le ascolta cerca le parole giuste per risanare lo squarcio. Parole che demoliscono, parole che riparano. Spesso, parole che sembrano altre parole, che pesano una tonnellata per alcuni mentre per altri diventano palloncini a cui aggrapparsi per scomparire da qui. Parole che sono briciole seminate lungo il percorso da bocche sempre pronte a parlare, ma poche volte capaci di mordersi la lingua: se provi a raccoglierle, come un Pollicino curioso, forse potresti addirittura risalire all’origine della Voce, e scoprire che tutto è suono, e che le parole altro non sono che corpi risonanti nell’oscurità del senso.

Parola, voce, musica: matrioske che si appartengono, e che restituiscono corpo a ciò che sembra essere solo suono.

Ogni mese, tre parole diverse per dare voce e corpo alla scena che conta, raccogliendo le migliori uscite del mese in una tavola rotonda ad alto quoziente di qualità: flussi di coscienza che diventano occasioni di scoperta, e strumenti utili a restituire un senso a corpi lessicali che, oggi più che mai, paiono scatole vuote

LEO LENNOX

Tutto quello che ti viene in mente se ti diciamo “talento, talent-show, talentscouting

Se penso a queste 3 parole, mi risulta istintivo immaginare una televisione. In effetti gli anni che stiamo vivendo sono stati, per la musica, una storia d’amore (a tratti di quelle che finiscono male) con il canale di comunicazione di massa più importante. La musica e la TV si sono incrociate anche per mezzo dei talent e, nonostante il binomio non sia stato sempre vincente, non possiamo urlare alla disfatta. Sangiovanni, Irama, Marco Mengoni, Aka7even sono solo alcuni dei nomi che ci forniscono la prova provata che, checché se ne dica, con i talent ci si possa costruire una carriera.

Sarebbe anche un po’ da retrogradi pensare il contrario se si ha piena coscienza dell’era in cui viviamo. Eppure non è tutto oro ciò che luccica e molti dei concorrenti che tentano la strada, o l’autostrada, per meglio dire, dei talent , finiscono per fare un piacevolissimo giretto nell’incubo comune del XXI secolo: il celeberrimo dimenticatoio.

La verità, se mai ce ne fosse una e una sola, è che i talent , almeno secondo me, amplificano ciò che si è. Se c’è del talento, esso viene in breve tempo trasformato in diamanti e gemme musicali pronte per la fruizione del pubblico, altrimenti si torna a casa, soli soletti, ma mi auguro sempre in compagnia della voglia di fare della buona  musica. Che poi alla fine è ciò che accomuna sia chi fa freestyle sotto i ponti che chi porta la 674° cover di Adele in TV.

PINTUS

Tutto quello che ti viene in mente se ti diciamo “talento, talent-show, talentscouting”.

Ho sempre pensato al talento come qualcosa di estraneo a chi dovrebbe tecnicamente possederlo. In fin dei conti, il talento è riconosciuto dall’esterno a qualcun altro, e quindi per definizione un’etichetta per riconoscere qualcosa di particolarmente fuori dagli schemi (o sopra la media) rispetto a degli standard. Il concetto di talento si è prestato negli anni alla commercializzazione del talent scouting o del talent show, che hanno un po’ ridotto il discorso di cui parlo sopra all’opposto: riconosco di avere talento e cerco di metterlo in mostra con gli strumenti che il mondo di oggi mi fornisce. Non esiste più la vera ricerca di talento, perché è mangiata dalla troppa esposizione del presunto proprio talento, la cui affermazione è già di per sé scostante rispetto a come secondo me dovrebbe essere. 

Credo, inoltre, che spesso il talento venga confuso con l’originalità rispetto alla proposta di ognuno, e qui parlo di musica in particolare. Vengono spesso definite come talentuose le gesta di un musicista che riesce a raggiungere risultati significativi, ma quest’ultimo aspetto è troppo dipendente a mio avviso dal contesto, dal periodo storico, dall’allineamento della proposta con il trend del momento. Tutto questo fa si che sia difficile riconoscere del talento in maniera puramente diretta, astraendo dai consensi di massa o dai gusti personali. In fin dei conti forse il talento oggettivo non esiste, e proprio per questo ricercarlo come se fosse una verità assoluta negandone le mille sfaccettature ha un che di anacronistico. 

KASHMERE

Tutto quello che ti viene in mente se ti diciamo “talento, talent-show, talentscouting”

Il talento è certamente importante per poter essere notati, ma non è mai sufficiente, perché se non viene costantemente coltivato non può essere in grado di garantire con certezza degli ottimi frutti. Di conseguenza, il ricercatore di talenti detiene un ruolo fondamentale, ma certamente non cruciale e decisivo, perché il talento costituisce senza dubbio una buona base su cui lavorare, ma se poi non c’è allenamento, i risultati faticano ad arrivare. 

Credo che i talent-show possano costituire un possibile trampolino di lancio per qualsiasi artista emergente che ricerchi maggior successo, ma ciò non significa che questo valore dei talent-show non possa rivelarsi un’arma a doppio taglio. L’artista emergente che, dal nulla, si ritrova catapultato in un contesto all’interno del quale il proprio hobby diventa improvvisamente il proprio lavoro può spesso incespicare in numerose difficoltà che potrebbe non essere in grado di sostenere, poiché non ancora pronto a intraprendere tale percorso. 

CELESTE 

Tutto quello che ti viene in mente se ti diciamo “talento, talent-show, talentscouting”

Se penso alla parola talento mi viene in mente la capacità di una persona di rendere un qualcosa di così semplice estremamente magico e irrealizzabile. Preferisco associare questo termine, dunque, non tanto alle abilità tecniche, assolutamente fondamentali, ma alla capacità di saper far emozionare, probabilmente proprio a quelle abilità innate o no che però passano in secondo piano.

Talent-Show e Talescounting mi fanno invece pensare a uno dei sogni che ho nella vita, ovvero quello di fare l’A&R. Credere in qualcuno credo che sia una delle forme di amore più belle che possano esistere. 

URANIA

Tutto quello che ti viene in mente se ti diciamo talento, talent show, talent scouting.

Stefania: Il talento è un dono e lo è altrettanto l’identificarne l’esistenza. Tutti possiamo trovare dentro di noi un piccolo talento e farlo crescere, se abbiamo la forza per svilupparlo e farlo respirare nel modo giusto Il talento non si misura, non si riceve e non si possiede. Si cerca, si trova e si costruisce. Credo che oggi essere una persona di talento nel mondo della musica significhi avere qualcosa da dire e farlo con intelligenza, costanza ed empatia.
I talent show possono dare occasioni e una speranza in più per farsi conoscere ed emergere.

Laura: Talento: Ce l’abbiamo tutti, dobbiamo solo tirarlo fuori. Ognuno di noi ha un’inclinazione particolarmente sviluppata verso qualcosa fin dalla nascita e la sfida sta non solo nel tirarla fuori ma poi nell’accrescerla e renderla un automatismo. Siamo un prato da coltivare che più viene curato più cresce e si fa bello. Dunque oltre ad un talento innato mi viene in mente che serve poi una grande costanza e pazienza per svilupparlo al meglio e arrivare attraverso quello a comunicare qualcosa di se stessi senza tanti giri di parole perchè alla fine 1% è talento e il restante 99% è il lavoro che uno fa.

Talent show: Un mezzo per farsi conoscere e comunicare, un modo per mettersi in gioco e per confrontarsi con tante altre persone che inseguono il tuo stesso sogno, un atto di coraggio verso se stessi e verso il messaggio che si vuole diffondere con la propria arte.

Talent scouting: Ricerca e scoperta di piccoli fiori nascosti fra migliaia di piante grasse piene di spine, una possibilità per i giovani talenti di farsi sentire, un’attività che punta a tirare fuori un talento prima ancora che egli stesso sappia di esserlo o comunque che lo aiuti a farlo emergere nel miglior modo possibile.

KALDOREI

Tutto quello che ti viene in mente se ti diciamo “talento, talent-show, talentscouting”

TALENTO

Quando si parla di talento possono venire in mente numerose definizioni e/o modi di pensare. Per noi il talento è qualcosa di nascosto, è qualcosa che si nasconde da noi stessi e che viene rivelato solo vivendo; una volta fatto questo va allenato , raffinato e portato alla luce. 

Tutti noi ne abbiamo uno , visibile o invisibile , è una sorta di caccia al tesoro dove non c’ è chi cerca e chi perde , c’ è solo chi sente e chi trova.

TALENT-SHOW e TALENTSCOUTING

I talent-show non ci hanno sempre convinto, perché è sempre stato difficile giudicare una persona per quello che realmente è, evitando di giudicarla in base ai propri gusti personali.

Il giudice gioca un ruolo davvero importante, il giudice è un critico oggettivo per la meritocrazia di un talento, deve saperlo scovare, deve saper vedere oltre un ragazzo con una semplice chitarra, un ragazzo con lievi imperfezioni…

Nei talent sono sempre più rari questi giudici e queste capacità che , delle volte devono seguire un certo sistema imposto dal programma.

Questo non esclude la presenza di talent e giudici meritevoli che sanno vedere nelle note di una singola voce un artista puro.

ROBERTO QUASSOLO

Tutto quello che ti viene in mente se ti diciamo “talento, talent-show, talentscouting”

Il talento è un’attitudine innata, qualcosa che contraddistingue un individuo in maniera singolare, una potenzialità che comunque necessita di particolari condizioni per poter essere espressa, e che se riconosciuta coltivata ed affinata può offrire nel corso della vita opportunità.

Riconoscere il proprio talento non è sempre un’operazione immediata e spesso si rischia di trascurare quelle abilità e capacità singolari per una serie di motivi, che il più delle volte hanno a che fare con le nostre paure ed insicurezze, su tutte la paura del giudizio altrui, con la quale tutti noi ci confrontiamo quotidianamente. Scoprire, riconoscere e sviluppare i propri talenti può quindi rivelarsi un compito davvero arduo. 

Ecco quindi che il talent scounting inteso come un processo finalizzato all’implementazione di abilità e caratteristiche che mira all’acquisizione di nuove consapevolezze da parte dell’individuo rispetto al proprio funzionamento e all’effetto delle proprie azioni può risulta estremamente utile ed essere paragonato a mio avviso ad un vero e proprio processo educativo, e chi intraprende questa attività dovrebbe avere la responsabilità di guidare coloro con cui collabora proprio in tal senso.  Non si tratta infatti di lavorare semplicemente su eventuali difetti per migliorarli, ma prestare attenzione ai talenti, abilità e risorse per rafforzarli ancora di più.

Personalmente ritengo che tutto questo processo necessiti tempo, e il più delle volte risulta strettamente connesso all’evoluzione dell’individuo stesso nel corso degli anni, alle esperienze di vita ed indubbiamente agli incontri di persone significative, non è quindi pensabile che l’acquisizione ed il potenziamento delle proprie caratteristiche e potenzialità possa avvenire in un format come quello dei talent show che comunque restano una buona vetrina. Detto in altre parole, non tutti i talenti passano in Tv.

BERT

Tutto quello che ti viene in mente se ti diciamo “talento, talent show, talent scouting”.

Qualcosa di abbastanza lontano dalla mia idea musicale in questo momento. Anche se riconosco che, probabilmente, la popolarità di un emergente passa sicuramente da li nella maggior parte dei casi.

Non credo però che il talento risieda solo li, anzi, ci sono tantissimi artisti bravissimi che non hanno nessuna visibilità ma sono di valore assoluto.

Credo anche che molte cose che vediamo in tv, non corrispondano effettivamente alla realtà.

https://open.spotify.com/track/0Q0bVGUfmFSccMXo26rg9W?si=00e4e151510a48e4

ALESSANDRO TOSI

Tutto quello che ti viene in mente se ti diciamo “talento, talent-show, talentscouting”

Il talento è una cosa individuale e tutti ne abbiamo uno: tutti abbiamo qualcosa in cui siamo più bravi; non i più bravi, semplicemente più bravi. I talent show sono la frizione dei talenti ma il successo in questi contesti non è necessariamente dovuto alla bravura, ma alla commerciabilità del talento. Il talent scout è una figura mitologica che ti contatta quando oramai hai già raccolto il tuo pubblico. Ma è scouting questo?

MAZZOLI

Tutto quello che ti viene in mente se ti diciamo “talento, talent-show, talentscouting”

Vedo il talento come una predisposizione naturale nei confronti di qualcosa, da solo non basta e va curato con la tecnica e l’osservazione, chi parte già col talento dalla sua è un passo avanti ma non per questo è un vantaggio, spesso la consapevolezza di questo stato di grazia è un’arma a doppio taglio 

I Talent show mi sembrano invece uno specchio per le allodole, nella percezione comune sono diventati quasi l’unico modo per arrivare al successo, quando in realtà statisticamente è molto raro, oltre che non mi sembra una strada permissiva nei confronti dell’artista che vi si propone.

Se ci fosse più attenzione sul talento e meno sullo show potrei considerarli pure una strada plausibile per me

Il talent scouting è un’attività fondamentale, credo che la ricerca di artisti con determinate qualità fatta da chi ha visione nel campo pratico possa essere un’enorme possibilità per entrambe le parti.

Una soluzione che lascia spazio agli artisti come agli scout di trovare un profilo adatto l’uno per l’altro con cui crescere e sperimentare.

ZERELLA

Tutto quello che ti viene in mente se ti diciamo “talento, talent-show, talentscouting”

Quando sento la parola “talento” mi vengono in mente tante immagini. Se dovessi restare confinato alla musica moderna ti parlerei di una mia amica cantautrice: Galea.

Se dovessi spiegare a parole cosa è il talento, probabilmente, vi chiedere di fare una chiacchierata con lei su come scrive e canta le canzoni.

Facile dirlo ora, che è fuori con un disco per Sugar – direte voi – ma io lo sostengo dal nostro primo incontro, nel 2018.

Se mi parli di talent show – ahinoi, non posso che sperare che la formula di questi format televisivi cambino iniziando a puntare meno su vestiti, capelli tinti e paillettes e più sulle canzoni. Attualmente il look e la storia personale prevale sul valore delle canzoni, mi auspico accada il contrario.

Se mi parli di talent scounting, disegni sul mio viso un sorriso amaro. Che fine ha fatto il talent scouting? Chi ancora lo fa nei locali o negli studi di registrazione? Chi esce ad ascoltare gli artisti anche dal vivo e non solo su Scuola Indie o New Music Friday?

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Pop

Fossi Maschio: Intervista a Claudia Ottavia

Dopo i buoni riscontri ottenuti con Odio Sanremo, Claudia Ottavia pubblica il nuovo singolo Fossi maschio, un brano dai connotati insoliti, privo di musica e della durata di poco più di un minuto, che manifesta la volontà della cantautrice sarda di uscire fuori dagli schemi della forma canzone, ispirato a Tracy Chapman per il modello di riferimento strutturale. Fossi maschio è un’invito rivolto all’uomo di togliersi la maschera testosteronica, a favore del lato più vulnerabile spesso nascosto dietro lo stereotipo di genere. Fossi maschio è incluso in un progetto che include 7 inediti, prodotti insieme a Michelegiuseppe Rovelli.

Abbiamo fatto alcune domande a Claudia:

Ciao Claudia, Fossi maschio è un brano davvero originale. Come mai hai deciso di pubblicarlo come singolo? 

Intanto sono contenta che lo reputi un brano originale, abbiamo lavorato molto perchè il progetto avesse una personalità. La decisone di pubblicarlo come singolo è perchè lo consideriamo un brano come tutti gli altri, anche se molto particolare per la scelta di lasciarlo senza strumenti, se non la voce, nella sua essenzialità.


Che messaggio vuoi lanciare con Fossi maschio?

Fossi maschio è un brano contro gli stereotipi, di ogni genere. Contro le maschere che ci mettiamo addosso ogni giorno per non mostrare le nostre verità. Fossi maschio parla di fragilità, vulnerabilità, personalità, tutti indici di bellezza, a differenza di tanti altri aspetti superflui e sopravvalutati con cui andiamo in giro ogni giorno per la strada, con gli amici, a lavoro, e soprattutto in famiglia. Ci nascondiamo, ci chiudiamo in pensieri e convinzioni non vere per noi. Ho scritto questo pezzo nella speranza di riuscire a fermarci un attimo a capire chi siamo, cosa ci piace veramente, chi ci piace veramente, per non uscire fuori da noi e crearci inutili aspettative dalla vita.
Odio Sanremo e Fossi maschio sono legati dal filo della provocazione, pensi in questo modo di scuotere le coscienze? Lo spero. Nuovi spunti di riflessione non fanno mai male, anche se ci possono dare fastidio inizialmente, magari possono portare a qualcosa di buono. 


Odi davvero Sanremo o hai un rapporto anche di amore col festival e soprattutto parteciperesti?

Come cita il testo di Odio Sanremo “Odio Sanremo e vorrei partecipare”. Odio Sanremo è un brano sulle contraddizioni umane, quante volte odiamo qualcosa che invece poi scopriamo di amare. Certo che parteciperei e farò di tutto per farlo, più che altro per vivere l’esperienza e poter capire meglio cosa si prova veramente a stare su quel palcoscenico e non di fronte alla televisione. 


Sei sarda, quanto è difficile fare musica nella tua regione?

Questo è un tasto dolente, un argomento che mi tocca profondamente e ti svelo che proprio in questi giorni sto lavorando ad un progetto per aiutare gli artisti emergenti sardi, che molto spesso non sanno davvero dove sbattere la testa e magari abbandonano la loro passione perchè non vedono prospettiva, oppure decidono di emigrare come spesso succede. Io devo dire che sono stata fortunata ad incontrare Michele, il mio produttore, che non solo mi ha spinto a scrivere canzoni, ma mi ha poi aiutato a realizzare questo bellissimo progetto. Insomma mi ha dato una mano concreta per continuare a sognare di fare la cantante. Vero è che qui poi manca tutto il resto, luoghi dove esibirsi e comunicare con gli altri artisti; etichette in grado di sostenerti. Manca l’abitudine a considerare quello del musicista che scrive proprie canzoni, un vero lavoro. Io per esempio, per pagarmi le produzioni e tutto quello sta dietro l’uscita anche solo di un singolo, faccio altri due lavori. Ma non mi arrendo! e cercherò di fare ciò che posso per chi ha la mia stessa passione. 


Progetti futuri?

A breve uscirà il videoclip di Fossi Maschio, poi completerò l’uscita di un questo progetto con un EP di 5 brani, di cui lancerò un singolo che spezza l’ondata delle provocazioni e credo vi stupirà. E in seguito mi auguro di trovare occasioni per suonare live, perchè alla fine è quello il mio obiettivo.

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Indie Intervista Pop

Ciao Manu ci racconta “Ziggy Stardust” con le sue cinque cose preferite

Ziggy Stardust è il nuovo brano di Ciao Manu. Un racconto lucido di sogni non realizzati, che pur mantenendo la solita ironia dell’autore, non nasconde luci ed ombre di un tempo ormai passato. Un excursus che passa tra i primi videogiochi, il “da grande voglio fare”, le prime avventure e i primi amori, fino ai primi miti che sembravano così lontani perché venivano dalla tv, anzi come Ziggy Stardust, venivano da un altro pianeta.
Cantautorato, indie e momenti elettronici, il mood più pop delle chitarre acustiche, contrapposto alle armonie più cupe del pianoforte e delle tastiere, tante fotografie di momenti e persone importanti.

Abbiamo chiesto a Ciao Manu di scegliere le sue 5 cose importanti per parlarci del loro nuovo brano

Home Studio

Il mio piccolo Home-studio è l’angolo dove mi rifugio, dove stacco la spina… quando sono quì può anche passare un intero weekend ed io non me ne accorgo… fuori può anche bruciare il mondo, ma io non lo noto nemmeno.
Quì è dove nascono i miei brani, dai provini agli arrangiamenti, dalle sperimentazioni alle prove per i live!

Panxo

Il mio Panxo è un cucciolone di 30Kg. Ad un cane non importa se sei bello o brutto, se sei ricco o povero, se sei intelligente o stupido, se sei brillante o impacciato… Lui ti ama incondizionatamente e ti seguirebbe fino in capo al mondo!

Il pugilato

ll pugilato al contrario di quello che può sembrare, è uno sport dove c’è tanta tecnica e strategia, e presuppone tanto impegno sia fisico che mentale. A me ha insegnato molto, anche ad essere paziente, ad incassare e ad attendere il momento giusto per colpire. Sul ring come nella vita!

Il Caffè

Il Caffè inteso non soltanto come bevanda che mi permette di cominciare bene anche le giornate più di merda, ma anche come rituale grazie al quale mi fermo a respirare un istante e a riflettere anche nei giorni più intensi. Infine è anche la più bella scusa grazie alla quale riesci a rivedere, anche se solo per pochi minuti, amici che non vedi mai.

La cucina

La cucina è creatività, mettere insieme piccoli ingredienti per ottenere un grande risultato. In cucina si parte seguendo le ricette della tradizione e poi si sperimenta aggiungendo innovazione… un pò come la musica.
E a me piace sia fare musica che cucinare!

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Indie Intervista Pop

Intervista a Letyzia: Mostri è il nuovo singolo

Dopo il convincente debutto con “Buonanotte”, torna Letizya con il nuovo singolo “Mostri“, una ballad indie pop che parla di una relazione a distanza che finisce. La cantautrice si interroga sul valore che diamo ai rapporti, consapevoli di quanto sia sbagliato affidare a un altro la nostra felicità anche se era in grado di azzerare le paure e le insicurezze. “Mostri” è un viaggio di sola andata tra due giovani che concludono il percorso della loro storia.

Letizia Quattrucci, classe 2004, è una cantautrice originaria di Ceccano, in provincia di Frosinone. Inizia a cantare all’età di sette anni per poi presto imparare ad accompagnarsi con vari strumenti, dalla chitarra al pianoforte, fino a scoprire il basso. Dopo essersi fatta notare con una serie di cover sul suo profilo Instagram, pubblica il primo inedito nel 2020 dal titolo “Battito”. A gennaio 2022 pubblica, in collaborazione con l’Elephant Studio di Davide Gobello, il brano “Buonanotte”.

Abbiamo chiesto a Letyzia di rispondere alle nostre domande:

Ciao Letizya, è uscito il tuo nuovo singolo Mostri, ci racconti di cosa parla?

Ciao! Mostri parla di amori a distanza e racconta quello che prova chi resta e vede le cose cambiare senza poter fare niente. È nata dall’esperienza di una mia amica, ho cercato di immedesimarmi nella storia e raccontarla a modo mio. 

Sei felice dell’accoglienza che sta ricevendo?

Moltissimo, è stata una sorpresa e non potevo sperare in meglio!

Buonanotte invece ti ha visto esordire, quale messaggio hai voluto lanciare e ci racconti qualcosa sul videoclip?

Con Buonanotte ho voluto esprimere la voglia di sentirsi liberi e non giudicati che ho io così come tanti altri ragazzi della mia generazione. È stato anche il mio primo videoclip e non sapevo cosa aspettarmi ma alla fine mi sono divertita davvero molto a girarlo! 

Uscirà un video anche per Mostri?

Sì, è uscito pochi giorni fa in anteprima per Le Rane e lo potete trovare sul mio canale YouTube!

Se c’è un artista italiano con cui ti piacerebbe collaborare chi è e perché?

Mi piacerebbe tantissimo collaborare con Tommaso Paradiso perché è un artista che mi piace molto, soprattutto per il suo modo di scrivere e per l’atmosfera che riesce a creare nei suoi brani.

Dopo questi due primi brani cosa hai nel cassetto?

Stiamo già pensando a musica nuova e a occasioni interessanti dove far ascoltare il nostro progetto! E poi, tra i miei sogni nel cassetto, c’è quello di iniziare a lavorare al mio primo album.

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Indie Intervista Pop

Ok, ti ho capito Celeste!

Quando è arrivata in redazione la proposta di Celeste mi sono interrogato a lungo su cosa fare dell’ascolto di quello strano EP che a gran voce chiedeva di essere compreso, andando oltre le prime risposte date dal gusto personale: ho premuto play, infatti, e subito hanno cominciato a proiettarsi sulle pareti del mio cervello immagini diverse, lungo il tracciato di un viaggio a metà tra l’onirico e il distopico tra mondi che oscillano tra romanticismo e sfacciataggine, rendendo davvero difficile per l’ascoltatore poter dire “ok, ti ho capito, Celeste!“.

Non perché la musica di Simone Furlani (nome da “borghese” di Celeste) rappresenti l’avanguardia criptica di quel cantautorato spesso un po’ fine a sé stesso che fa dell’inaccessibilità un vanto, tutt’altro! Il disco di Celeste, in realtà, è squisitamente pop sotto tutti i punti di vista: scrittura scorrevole, immaginifica il giusto ma sopratutto narrativa, sonorità che (lavorate a più mani da più produttori) mostrano una certa propensione per l’urban, il soul e l’hip hop, dimensione estetica del tutto che avvicina Simone ad un’ibridazione fra Gen Z e la figura del rocker senza tempo, che a petto nudo galoppa verso orizzonti nuovi.

La difficoltà, dunque, non sta tanto nei brani proposti e presentati singolarmente all’ascolto, quanto piuttosto nella sensazione che qualcosa sfugga all’immediato discernimento nelle trame di un lavoro che racconta uno stato emotivo in evoluzione, pronto a passare da uno stato solido ad uno sempre più liquido per sublimarsi quasi in gassoso arrivati all’ultimo brano.

Non c’è coerenza fra i brani a livello musicale, e questo non rappresenta un punto di debolezza ma di forza, nell’ottica della comprensione di un progetto che scansa volutamente l’uniformità per tirar fuori dal cilindro qualcosa di “proprio”, a prescindere dall’abito che la canzone si trova ad incollarsi addosso.

Insomma, gli spunti c’erano tutti per non perdere l’occasione di fare qualche domanda al cantautore veneto, che si è ben prestato al nostro fuoco incrociato.

Simone, per il mondo del pop Celeste; ti avranno già fatto questa domanda un sacco di volte, ma non possiamo tirarci indietro dal sondare la nostra curiosità: perché “Celeste”?

La parola “celeste”, apparsa in modo totalmente casuale sulla mia strada, racchiude in qualche modo tutto ciò che voglio portare con i miei racconti, oltre che rappresentare l’approccio che vorrei avere nei confronti della musica. Celeste rappresenta dunque un intricato Universo di elementi prettamente concettuali, dall’amore ai sogni, ma anche, seppur non ancora emerse, dalle insicurezze alla voglia di rivalsa.

“Universo” è il tuo EP d’esordio, anticipato dai singoli “Capriccio” e “18 anni” che, in qualche modo, già permettevano di intuire le molteplici direzioni musicali del lavoro complessivo. Ci racconti come hai lavorato alla produzione dell’extended play?

Le parole chiavi per la produzione di questo progetto sono due: Type Beat. Quest’ultimi rappresentano il pilastro fondamentale, non solo del mio, ma del percorso musicale di miriadi di altre persone. Al momento non ho ancora un produttore fidato, quindi un po’ per fare di necessità virtù, e un po’ per la voglia di addentrarmi nei meandri di questo fantastico mondo, ho deciso di mantenere e appoggiarmi in gran parte per questo progetto proprio ai fantomatici Type Beat di YouTube. In questo EP, per quanto breve, sono stati racchiusi molteplici generi: questo in quanto ho voluto portare più sfaccettature possibili del viaggio narrato.  

Come succede spesso, tra i brani mi ha colpito molto l’ultimo, che sembra quasi chiosare sul viaggio musicale di “Universo” con uno spunto di malinconia che non emerge negli altri brani. Ecco, è qui che sta l’anima di Celeste, divisa a metà tra lo slancio caustico di “Pariolina” e lo sguardo più laconico di “Mezza Estate”?

In passato, prima di approdare a questo viaggio e a Celeste, le mie canzoni erano prettamente lagne amorose scaturite da delusioni sentimentali. Con questo progetto però ho deciso di cogliere dalle esperienze vissute non più solo lo strazio per un qualcosa di appena concluso, ma il bello da un qualcosa che è appena passato. Questo l’ho fatto anche per il semplice motivo che avevo voglia di portare leggerezza grazie alla mia musica anche se, sicuramente, sono già in fase di sviluppo nuovi viaggi molto più intimi e personali. Per quanto ho indirettamente raccontato molto di me con questo EP, ci sono ancora tantissime cose delle quali voglio parlare e, in questo caso, magari lo farò proprio in prima persona.

“Universo”, il brano intendo, occupa giustamente la posizione centrale. Quali sono le cose più importanti del tuo, di universo personale? E qual è invece la peggior paura di Celeste?

La mia peggior, ma non più grande paura, credo sia il fatto di non riuscire a raggiungere gli obiettivi estremamente ambiziosi che costantemente mi pongo, essendo io molto critico e severo con me stesso. Per quanto riguarda gli elementi più importanti del mio Universo personale, credo si possano racchiudere in due macro categorie: la natura, per me luogo di pace sensoriale dalla frenesia e l’estetica goffa e “brutalista” della città; e l’amore, sia nei confronti di una ragazza, che per ogni relazione ed elemento che ci circonda. 

Senti, ma ci dici come ti è venuta in mente “Artemisia”? Me la immagino, chissà perché, come una visione, come una folgorazione…

In realtà, (s)fortunatamente, è qualcosa di molto più terreno e concreto. Come dico in “Pariolina” <<una diva di altri tempi, lo dice pure il tuo secondo nome>>, fa proprio riferimento ad Artemisia. Quest’ultima, dunque, è una persona realmente esistita, il caso poi ha voluto avesse un nome che così ben si prestava a raccontare le mie storie.

Sono previsti dei live, per i mesi a seguire? Stai già pensando a quale potrebbe essere un’idea di spettacolo? Il tutto sembra prestarsi bene a qualcosa che oscilli fra il concerto e la fiaba…

Mi piace molto l’idea della musica come viaggio, tanto terreno quanto sensoriale. Sono quindi dell’idea che sia fondamentale raccontarsi e raccontare una storia, sia da un punto di vista musicale e narrativo, ma anche puramente estetico. Tutto questo è dunque racchiuso all’interno della mia idea di spettacolo, un turbine di emozioni che si sposano in un perfetto sodalizio. Tutto questo al momento l’ho potuto vivere a due soli concerti: quello più recente di Venerus, e nel 2017 a quello dei Twenty One Pilots. Purtroppo al momento non sono ancora previsti live per i mesi a seguire, ma sicuramente mi mobiliterò presto per rimediare a questa grande mancanza. 

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Indie Pop

Darte ci racconta “Tisane Love” con le sue cinque cose preferite

Il cantautore di origini calabresi, Darte, torna con Tisane Love, il nuovo brano che racconta di come è facile sentirsi persi quando ci si ritrova fuori da una relazione tossica come un’overdose.

Il titolo del brano, che arriva dopo i buoni riscontri del singolo “Belli come prima”scritto e prodotto con Mameli, si ispira ad una fantasiosa tisana dalle miscele afrodisiache che simboleggia, metaforicamente, il bisogno di ritagliarsi dei momenti di disintossicazione dalla vita quotidiana. Una sottile ironia che in realtà cela una malinconia, facendo da contrasto ad un sound pop che vuole fare da “scacciapensieri”.  

Abbiamo chiesto a Darte di scegliere le sue 5 cose importanti per parlarci del loro nuovo brano

Pianoforte digitale

Questo piano digitale l’ho preso due anni fa durante l’inizio della pandemia. E’ stata la cosa che più mi ha fatto sentire protetto e al sicuro, ma allo stesso tempo fragile perché è con questo che ho scritto alcune canzoni con cui ho mostrato i lati più intimi di me.

Milano

Milano è la città che mi ha accolto. Mi ha fatto sentire piccolo in così tanta grandezza. La frenesia, la velocità sono cose che ho imparato ad apprezzare. Ah si… anche gli infiniti aperitivi!

Macchina Fotografica Kodak

E’ stata uno dei regali più originali. Quando ho ricevuto questa Kodak usa e getta mi ha fatto tornare in mente i momenti da piccolo alle scuole elementari, quando potevi sentirti importante se avevi una di queste alle gite scolastiche. Ho deciso di tenere cari questa 30ina di scatti, e di utilizzarli nei momenti più belli.

Gatti

Se non si fosse capito amo i gatti. O meglio, ho imparato ad amarli. Ti capiscono meglio di alcune persone. Sono terapeutici.

Casa

Voglio ricordare sempre da dove sono partito. Perché alla fine “nessun posto è casa mia”. Sono i 1200km più lunghi ma che ho sempre piacere ad attraversare per tornare.

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Comunicato stampa Indie Intervista Pop

I Lamette ci raccontano “Plastica” con le loro cinque cose preferite

Il duo piacentino “LAMETTE” , torna con “PLASTICA”, il nuovo singolo uscito venerdì 18 febbraio ed inserito in New Music Friday Italia e Scuola Indie di Spotify, New Music Daily e Super Indie di Apple Music e Pop 2.0 di Amazon Music. Il brano parla di un ragazzo al quale è stato spezzato il cuore da una ragazza che ha saputo manipolarlo fino alla fine. Una storia d’amore finita male, uno sfogo contro la malinconia che in qualche modo ha come filo conduttore le paure e le ansie della Gen-Z.

LAMETTE è un progetto nato nel 2020, composto da Vasco Cassinelli e Cristian Pinieri. Il duo ha totalizzato oltre 300 mila streams su Spotify che li ha inseriti più volte nelle playlist editoriali, New Music Friday Italia, Scuola Indie, Una Vita In Università e la playlist ufficiale di Xfactor 2021.

Abbiamo chiesto ai Lamette di scegliere 5 oggetti per parlarci del loro nuovo brano

Chitarra Fender 

Cristian: “È uno strumento a cui sono molto legato, sin da quando ho iniziato a suonare. È stata il mio primo approccio con la musica, è tutt’ora il 90% dei nostri brani nasce da una demo chitarra/voce.”

 Videocamera vhs

Vasco: “Acquistata per la bellezza di 15€ ad un mercatino dell’antiquariato è una handycam e la uso principalmente per filmare cose a caso (la tengo sempre in macchina per ogni evenienza). Dà sempre quel tocco vintage che mi fa impazzire.”

 Vinile dei 1975

Cristian: “Attualmente è il disco a cui sono più legato, nonostante sia un album del 2013 suona ancora attuale, resta per me una grande fonte di ispirazione e di motivazione. Fun fact: la copia fisica l’ho appesa al muro perché il mio lettore si è rotto.”

 Rick&Morty

Vasco: “Da grande fan della serie tv ho iniziato a collezionare i pupazzetti e questo in particolare è il mio preferito.”

 Macchina fotografica Fujifilm

Cristian: “Oltre alla musica una mia grande passione è la fotografia, specialmente negli ultimi anni questa macchina è diventata il mio “must have” per qualsiasi uscita, da una serata con gli amici ad una session in studio.”

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Indie Intervista Pop

Nella jungla tutta emiliana di Ibisco

Quando ho scoperto Ibisco, circa un paio di mesi fa nell’ambito della nostra rubrica “Dammi tre parole”, ho subito capito che sarebbe stato bello, un giorno, poterlo intervistare.

Sì, perché il ragazzo tutto broncio (fascinoso, sia chiaro!) e Joy Division è uno di quello che ha qualcosa da dire – anzi, più di qualcosa -, e che le volte che parla non passano inosservate le sue risposte e le sue argomentazioni, come ben emerge dall’intervista realizzata da Back To Futura nel salotto di La Jungla Factory; qualche giorno fa, trastullandomi sul web, sono inciampato infatti sulla prima puntata sinergica di “Back To La Jungla”, il format nato in collaborazione tra i due collettivi sopracitati grazie al supporto di Incontri Esistenziali, associazione culturale del bolognese che dal 2015 s’impegna a promuovere la cultura dell’incontro attraverso iniziative che vanno dal sociale al culturale.

E’ proprio nell’ottica di tale “mission” che il nostro caro Ibisco è stato coinvolto nella performance chitarra e voce che lo ha visto protagonista della prima puntata del format, per poi mettersi a nudo con Stefano Valli tra le piante e le belle vibrazioni dell’auditorium della Jungla: come poteva non salirmi la voglia di replicare, e di cogliere al volo l’occasione di fare anche io qualche domanda su “Nowhere Emilia”, il roboante disco d’esordio di Filippo, all’artista stesso?

Ne è venuta fuori una conversazione importante, che mi rende felice del lavoro che faccio. Che poi, è un lavoro? Non lo so, ma nel dubbio continuo per la mia strada: fosse mai, che per la via mi ricapiti di incontrare qualcos’altro di così luminoso come il diamante grezzo (volutamente tale!) che mi ha risposto nel modo che segue.

Filippo, partiamo dal titolo del tuo disco d’esordio, “Nowhere Emilia”. Come si fa ad essere “da nessuna parte” e contemporaneamente in un luogo così definito, come la tua Emilia?

Accade grazie ad una sorta di principio di ubiquità dei luoghi, la capacità che essi abbiano di essere contemporaneamente visibili al di fuori di noi, quali manifestazioni della civiltà e dei suoi opposti, e accessibili all’interno, sotto forma di introspezione, memoria, ricordi, immaginazione.

Certo che il rapporto con il tuo territorio deve avere influenzato la scrittura dell’album; scenari emiliani e periferia bolognese respirano a pieni polmoni attraverso le tracce del disco: che rapporto hai con l’Emilia? 

Un rapporto fatto di interminabile vagare, all’interno del quale le ore vengono fagocitate dai viaggi in auto per guadagnare soldi, dalle carenti memorie di serate urbane, dai moti muscolari ai confini della pianura e da sentimenti a perdita d’occhio.

Nei tuoi brani canti di un disagio che, se vogliamo, sembra raddensarsi attorno ad una visione delle cose che pare urlare, a suo modo, che non esiste alcun futuro. Quali sono i nuclei portanti della tua poetica?

Credo che alla base vi sia una sorta di esistenzialismo che, debole della sua normalizzazione avvenuta nel corso degli anni, per farsi ancora notare quale irrinunciabile punto di vista debba necessariamente alzare i toni. Poi ci sono la fragilità, la sessualità, l’innato desiderio di riscatto soggiacente all’era della disillusione. 

Batterie elettroniche che suonano nelle canoniche, casse sudicie da cui sembra scaturire la vita: gli ultimi, in senso quasi “deandreiano”, siamo noi, generazione allo sbando costantemente impegnata a cercare sé stessa lontano dalla plastificazione del nostro tempo. Credi che esista, nella tua scrittura, qualcosa che possa essere definito “generazionale”? E a questo punto ti chiedo se ti senti parte di qualcosa, di una “generazione sconfitta”.

Dal momento che le persone si rivelano molto più simili tra loro di quanto solitamente non pensino, credo che il vero “essere generazionale” risieda nella più brutale ricerca della sincerità. In questo senso, dal punto di vista della scrittura e della produzione, c’è stata molta attenzione. 

Più che sconfitta, la mia generazione, penso sia sempre più povera di scopi. Il futuro ha sempre meno dimensione. Da un punto di vista meramente masochistico, questo può portare per contrappunto alla formazione di un’urgenza espressiva senza precedenti, dalla quale possano emergere potenti risultati artistici.

Ecco, ho parlato di “beat generation” perché mi pare che il collegamento tra il tuo disco e certe letture (oltre che certi ascolti) sia evidente. Esistono dei libri che hanno influenzato la stesura di “Nowhere Emilia”?

Sicuramente “Noi, ragazzi dello Zoo di Berlino” di Christiane F e “Petrolio” di P. P. Pasolini.

In “B” duetti con Enula, nome conosciuto a chi frequenta la scena “underground”. Credi che oggi si possa ancora parlare di “scena”? Esiste, secondo te, una scena ben precisa come poteva essere negli anni Settanta/Ottanta per la scuola emiliana, genovese, milanese o romana?

“Scena” credo sia un termine meravigliosamente affetto da misticismo e autoironia. È la parola con cui si definisce l’indescrivibile Everest della musica emergente, un mondo dove molto spesso si confondono realtà e velleità, un gigantesco cosplay fatto di amore, sacrificio e un pizzico di spirito sedicente. A mio parere sono i festival a consacrare le varie “scene”, più che il territorio di provenienza.

Cosa vuol dire per Ibisco la parola “cantautore”? Perché in effetti la tua musica respira di uno slancio “autorale” più che evidente. E allora ti chiedo: cosa vuol dire, oggi, fare “canzone d’autore”? Sempre che tu ritenga che tale definizione generica possa, a suo modo, descrivere almeno parzialmente quello che fai.

È una parola che da un lato mi spaventa in quanto ormai sovraccarica di retorica passatista. Fare musica oggi significa inevitabilmente riassemblare elementi precostituiti nel modo più originale e inedito possibile. Il cantautorato, in questo senso, è un ingrediente, più che un’essenza.

Quali sono le tre cose che Ibisco meno sopporta della nostra contemporaneità.

Il bisogno di esprimersi da ignoranti (il silenzio non è un reato), L’ipocrisia di un sistema economico-politico troppo poco orientato al benessere sociale, la mascolinità tossica.

Raccontaci in una manciata di parole la tua esperienza a La Jungla Factory, dove hai recentemente riassaporato il gusto del “live” con una session acustica di “Chimiche”.

Punk, punk, punk. Persone che vivono con grande anima la missione della musica e dell’arte in generale. C’è bisogno di spazi come questo.

Chiudiamo con la più classica delle domande, che però oggi pare essere l’unica che conta: a quando dal vivo, in tour?

Ci stiamo preparando per iniziare a portare il disco live entro pochissimi mesi.

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Intervista Pop

Efferre racconta “Pezzi di un puzzle”: una riflessione a tutto tondo sulle relazioni

Dopo il debutto con il singolo ElisaEfferre torna con Pezzi di un puzzle, un brano up tempo dal sound elettronico chenel testo affronta a tutto tondo il mondo delle relazioni.

“Spesso ci buttiamo tra le braccia di un altro solo per cercare di guardare avanti, sentirci ancora vivi, lasciare alle spalle il passato e perché non sopportiamo le mancanze”. 

Efferre, all’anagrafe Antonio Feroleto, è un cantautore e produttore di origini calabresi ma trapiantato da tempo a Bologna. Negli anni gravita nel circuito dei locali del capoluogo emiliano, suona insieme ad artisti delle scena elettronica internazionale come FatBoy Slim, Ellen Allien, Seth Troxler, Martinez Brothers.

Il cantautore calabrese EFFERRE ha risposto alle nostre domande in questa intervista:

Ciao Antonio, è uscito il tuo nuovo singolo Pezzi di un puzzle. Di cosa parla?

Parla di due persone che si incontrano dopo un po di tempo e si rendono conto di come alcuni sentimenti non siano cambiati.

C’è un verso di una canzone di un tuo concittadino che fa: “Complichiamo i rapporti come grandi cruciverba” (Cremonini, Nessuno vuole essere Robin). Pensi che si colleghi bene al tuo pezzo? 

Beh si perchè no? poi nessuno vuole essere robin è il mio pezzo preferito di Cesare, sono onorato di questo accostamento.

Quanto c’è di autobiografico in questo singolo?

Penso che chiunque scriva un pezzo ci metta dentro contenuti autobiografici. Siamo portati a scrivere tante volte perchè non riusciamo a dire a parole delle cose e le mettiamo dentro le canzoni.

Il tuo pezzo precedente, Elisa, invece racconta una storia in terza persona. Quali sono i punti caratteriali di questa ragazza e in cosa potrebbe immedesimarsi una ragazza?

Si Elisa è più una descrizione immaginaria di una ragazza.Ho provato a descriverla nelle cose quotidiane che accomunano un po tutte le persone di oggi in modo tale che chiunque si ci possa rispecchiare un po.

Parliamo del sound, tu fai elettronica da anni. Questo progetto come si collega al percorso artistico avuto in precedenza?

Nella vita non si butta mai niente 🙂 Ho prodotto sempre roba da dancefloor con queste sonorità ho pensato che aggiungendo una parte cantautorale potessi far fare il salto di qualità ai miei dischi.speriamo che alla fine sarà così

Tre album di musica elettronica che ti hanno segnato?

Questa è dura!.
You’ve come a long way baby – Fat boyslimorchestra of bubbles – Ellen Allien & Apparate sarei falso se non ci mettessi anche Play it loud – Marco Carola

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Indie Intervista Pop

Le cinque cose preferite di Vinci Luglio

VINCI LUGLIO debutta sui digital stores con il brano “Usciamo Insieme”, dopo essersi classificata al secondo posto alla trentesima edizione del “Festival Città di Caltanissetta” (presidente di giuria, Beppe Vessicchio). La canzone, distribuita da ADA Music Italy, è stata prodotta con Luca D’Aversa e la supervisione di Marta Venturini, presso lo Studio Nero (Calcutta, Coez, Emma Marrone, Ghemon, ecc.), a Roma.  Il sound mescola la tradizione melodica italiana con le sonorità d’oltreoceano, ispirandosi al pop di Battisti con un po’ di Tame Impala, passando per l’influenza degli ultimi lavori di Di Martino, conterraneo dell’artista.

Per l’occasione, abbiamo chiesto a Vincenza di parlarci delle sue 5 cose preferite:

Il disco Dalla di Lucio Dalla 

Ho diversi dischi preferiti e dischi preferiti diversi in base al periodo che sto attraversando. Eppure, se dovessi scegliere un album che mi accompagna da un considerevole numero di anni senza stancarmi mai sarebbe Dalla, di Lucio Dalla. Se il disco preferito è quello di cui non skippi neanche un brano, non ci sono dubbi: è proprio questo. 

Il mio ukulele  

Per quanto lo bistratti è sempre con me e fa da base d’appoggio alla scrittura di tutti i miei brani. 

Le Correzioni di Jonathan Franzen

Per me un bel libro non è quello che leggi tutto d’un fiato, ma quello che il fiato te lo fa trattenere. Diverse volte nel corso della lettura di questo libro ho sentito il bisogno di fare delle pause, per metabolizzare quello che avevo appena letto. È il libro preferito del mio autore preferito. Una piccola curiosità, proprio alla protagonista di un libro di Franzen ho dedicato un mio brano ancora inedito!

Le “minne” di Sant’Agata 

Da catanese adottiva quale sono, vado letteralmente matta per questi involucri di pasta di mandorla, ripieni di crema di ricotta con gocce di cioccolato e arance candite, chiusi con pan di spagna e ricoperti di ghiaccia reale bianca. Caratterizzati dall’aspetto candido e sormontati da una ciliegia rossa, sono dedicati proprio alla santa patrona della città.

Il mare d’inverno

Sarà un cliché, ma il mare d’inverno è un privilegio dei miei 30 anni a cui non sono più disposta a rinunciare.