In occasione dell’uscita del suo primo singolo da solista, “Nebula”, abbiamo fatto qualche domanda alla violinista e musicista (da anni sul palco con Blindur) Carla Grimaldi, che battezza il suo debutto in solitaria con un brano dedicato all’osservazione dei cieli, metafora di una ricerca esistenziale (oltreché musicale) che non vuole fermarsi alla punta del proprio naso.
Carla Grimaldi, una vita sui palchi e oggi ti metti in proprio. Era da tanto che covavi lanecessità di una tua affermazione solistica oppure è un qualcosa che è nato da poco, questotuo slancio solitario?
Con Blindur sono sempre stata estremamente libera di esprimermi e di sperimentare con il mio strumento nell’ambito della musica folk alternativa, della quale sono una grande fan, ma la mia passione per le Amiina e per i Sigur Ròs mi ha spinta verso l’esplorazione di nuovi orizzonti musicali. È da qui che nasce la mia scelta di avviare una carriera solista, che non si discosta in realtà così tanto dall’estetica musicale di Blindur. Ho voluto mettermi alla prova, capire compositivamente fin dove potevo spingermi, lavorando su idee accumulate negli anni ma lasciate a fermentare. In generale comunque, direi che ho sempre fantasticato intorno all’ idea di un mio progetto solista, tutto incentrato sugli archi e sull’elettronica, e sono molto felice di aver finalmente iniziato!
Tra l’altro, “Nebula”, il tuo brano d’esordio, vede la collaborazione artistica con MassimoDe Vita (Blindur), con il quale hai condiviso gran parte della sua e della tua esperienzamusicale. Eppure, il linguaggio utilizzato qui è ben diverso rispetto a quello di Blindur:esiste una continuità tra ciò che è “Nebula” e il percorso da cui vieni? Oppure il brano è una“rottura” con tutto ciò che lo precede?
Dal punto di vista estetico, sicuramente “Nebula” rappresenta una sorta di rottura con quello che è l’immaginario sonoro di Blindur, in quanto lontana dall’universo folk-rock-alternativo e più vicina ad un immaginario post-classico. Quest’ultimo, è un mondo al quale mi sono avvicinata negli ultimi anni, principalmente ascoltando artisti quali Olafur Arnalds, Rob Moose e Amiina, ma anche grazie alla mia collaborazione con Manuel Zito, pianista e compositore, con il quale ho collaborato per la colonna sonora del documentario “Le Soldat”, con la regia di Davide Bongiovanni. Io e Manuel siamo inoltre tra gli artisti coinvolti nel “The Outlaw Ocean Music Project”, un progetto molto ambizioso del giornalista Ian Urbina (New York Times, National Geographic), volto a denunciare tutte le azioni illegali che coinvolgono gli oceani. Vi faccio però un piccolo spoiler dicendo che l’atmosfera generale di “Nebula” si potrà ritrovare nelle prossime uscite di Blindur, programmate per il 2022! Quindi teneteci d’occhio! In generale comunque, sono convinta che ogni artista sia influenzato da tutto ciò che suona e che ascolta, e per quanto mi riguarda Blindur è un progetto che mi ha formata e continua a formarmi come musicista, quindi direi che esisterà sempre una continuità tra i miei lavori e Blindur.
“Nebula” è un concetto, prima ancora che un brano, che oggi ci chiama ad alzare lo sguardo,e a capire quanto siamo piccoli e destinati a scomparire. Il brano, con le sue sfumatureeteree, aiuta effettivamente il viaggio a farsi concreto. Ma come nasce il tuo esordio, eperché hai deciso di chiamarlo “Nebula”?
Il mio esordio è legato alla mia formazione scientifica, e al fatto che le Scienze Naturali sono per me grandissima fonte di ispirazione sia quando compongo che quando suono. Da qui mi è piaciuta l’idea di dare al brano un nome scientifico che richiamasse al concetto di “nascita”: “Nebula” è infatti il nome scientifico delle nebulose, la materia da cui si formano le stelle.
Pur essendo allergici alle categorie e ai generi, è evidente che “Nebula” non rientra esattamente nei canoni del “pop”, eppure possiede qualcosa che lo rende estremamentemelodico e “popolare”. Quale ritieni che sia, oggi, il destino della musica strumentale ecome definiresti il tuo brano d’esordio?
Rispetto alla musica strumentale, la definirei un Universo in espansione. Questo perchè sempre più artisti hanno side projects strumentali, e perchè la musica strumentale sta acquistando un ruolo sempre più importante nella nostra quotidianità, diventato rifugio emotivo spesso, e assumendo ruoli importanti anche nel mondo visual e cinematografico. Definirei “Nebula” un brano pop nell’immaginario, nella melodia e nella struttura, con un carattere classico legato all’orchestrazione.
Tra l’altro, pare esserci un concept ben preciso che collega il tuo esordio con quello cheverrà, e sopratutto con l’outfit studiato per te da APNOEA. Ti va di spiegarci un po’ il tutto?
APNOEA è un giovane brand napoletano con il quale condivido importanti ideali. I due fondatori Pina Pirozzi ed Enzo Della Valle utilizzano materiali non convenzionali e giacenze di magazzino per la realizzazione dei capi, con l’intento di porre l’accento sulla questione sostenibilità e rispetto per l’ambiente, due temi per me molto importanti. Inoltre, propongono abiti sizeless, senza taglia, secondo il tentativo di far aderire un abito non al corpo, ma alla personalità di chi lo indossa, lanciando a mio avviso un importante messaggio di inclusività nel mondo della moda. Questi presupposti, insieme alla straordinaria bellezza dei loro capi, mi hanno totalmente colpita, non capita facilmente di sentirsi così affini artisticamente ed ideologicamente, e da lì la volontà di collaborare. Tra l’altro, vi svelo che “Nebula” è solo l’inizio della nostra collaborazione! I brani che seguiranno andranno ad affrontare il tema del Climate Change, ed io ed APNOEA stiamo già lavorando a nuove idee per i prossimi outfit.
Salutiamoci con un proverbio delle tue parti, che sia di buon auspicio per questo 2022 giàzoppicante!
“Dicette ‘o pappice vicino ‘a noce, damme ‘o tiempo ca te spertose” (Disse l’insettino alla noce, dammi il tempo che ti buco). Credo che sia un proverbio di ottimo auspicio: credici, lavora sodo, persevera e, piano piano, arriverai al tuo obiettivo!
GiusiPre pubblica il nuovo singolo A.C.C., acronimo di Amore Cinismo e Caffè, in cui sdrammatizza la complessità dell’amore e l’inizio di una relazione. Giuseppina Prejanò è una cantautrice calabrese trapiantata a Roma, classe 1985. Il suo esordio discografico avviene nel 2020 con la pubblicazione dell’EP Canzoni indigeste. Autunno e A.C.C. segnano l’inizio della collaborazione con Maionese Project e anticipano un nuovo album, la cui uscita è prevista nel 2022.
GiusiPre ha riposto alle nostre domande in questa intervista:
– Ciao GiusiPre, A.C.C., titolo del tuo ultimo singolo, è l’acronimo di Amore, cinismo e caffè. Qual è il tuo modo di affrontare in questo momento della tua vita i sentimenti?
“In questo momento li vivo con serenità: è stato un percorso lungo, ma ho imparato a fidarmi di quello che provo e a non dubitare dell’amore che ricevo. Spesso la paura di perdere e l’orgoglio possono essere d’ostacolo, soprattutto quando costruisci una relazione”.
– Il caffè come metafora della quotidianità, raccontaci la tua giornata tipo
“La mia giornata tipo inizia molto presto rigorosamente con un’intera macchinetta di caffè da 4 tazze!Nel giro di un’ora sono pronta per sfrecciare sul G.R.A. alla volta del mio lavoro, che amo tanto quanto la musica: Stare a scuola e insegnare mi piace tantissimo, incontrare le studentesse e gli studenti è una fonte di gioia anche quando i problemi sono tanti, anche quando le giornate sono grigie e difficili.Al rientro compenso l’attesa nel traffico con musica a palla e canzoni di ogni tipo, poi a casa si pranza, si fa rassegna stampa e un po’ di spetteguless, che non fa mai male. Nel pomeriggio tra un po’ di studio e qualche serie tv si procede con le prove. I vicini fino ad ora non si sono mai lamentati! La sera è il momento degli amici o di un bel film rilassante, e quando possibile di concertini carini in giro per la Capitale“.
– Il riff di chitarra è l’elemento chiave dell’arrangiamento, come è nata l’idea di dare questa veste leggera e ballereccia al brano?
“La scelta è stata assolutamente spontanea anche per smorzare un po’ la pesantezza della situazione narrata nel testo. In tutta sincerità ho vissuto davvero quella situazione e avevo bisogno di riderci su, mantenendo un giusto equilibrio senza prendermi troppo sul serio. Daniele Giuili e Nicola D’Amati hanno capito al solito e mi hanno aiutato a fare il resto!”.
– Il videoclip è ambientato in una disco anni ’70. Qual è l’aneddoto più divertente che è capitato durante le riprese e qual è lo storytelling?
“Nel video ci sono due GiusiPre, una molto cazzuta e allegra, l’altra più sofisticata e snob: alla fine la prima prevale sull’altra, sempre nell’ottica di dare spazio alla leggerezza. Con Silvia Morganti (art director) abbiamo considerato la festa in disco come un momento per mettere da parte i pensieri e godersi la compagnia, la spensieratezza e naturalmente la musica. Il mood anni ‘70 lo abbiamo scelto anche suggestionati dai suoni della canzone.La giornata di riprese inevitabilmente è stata super divertente e la cosa che sicuramente ci ha fatto più ridere è stato girare le scene di brindisi e cicchetti riempiti tè alla pesca: verosimile ma estremamente deludente! “.
– Questo singolo è il secondo da quando hai iniziato a collaborare con la Maionese Project. Come ti stai trovando con questa nuova realtà?
“Decisamente bene! Sono affiancata da persone che tengono molto in considerazione quello che propongo e che mi lasciano completa libertà di gestione e movimento, cosa fondamentale per un artista e per nulla scontata.
– E il primo singolo è stato Autunno in cui canti la precarietà della tua generazione paragonandola alla stagione della caducità. Una tua riflessione a riguardo
“La precarietà ci affligge da tanto, da prima del Covid purtroppo, e nel corso degli anni diventa sempre più difficile accettarla, soprattutto quando sei bravo a fare quello che fai, e lo fai con professionalità e passione. In Autunno parlo anche del dover abbandonare i propri luoghi d’origine per andare a fare un lavoro precario e di come questa condizione lavorativa precaria investe anche il piano affettivo ed esistenziale. Il punto è non lasciare che le passioni si spengano, cercare un senso in quello che facciamo che possa andare oltre il tempo determinato lasciando il segno. E aggiungo soprattutto è necessario interessarci, partecipare alla vita politica e andare a votare”.
“STASERA MI BUTTO” è il nuovo singolo di SCHIANTA (Calogero Chianta), nato nell’entro terra siciliano. Il brano uscitoper Aurora Dischi / ADA Music Italy, è stato inserito nelle playlist editoriali di Spotify, New Music Friday Italia, Sangue Giovane e Scuola Indie.
Il brano parla di quella “scossa” che si prova dopo una rottura, quel mix di rabbia, tristezza, strafottenza e amore che ti si muove nello stomaco subito dopo la fine di una relazione. Il sound, a metà tra indie old school e il pop punk, si rifà a la wave 80’s mixata a melodie più energiche di influenza post punk.
Schianta ha risposto alle nostre domande in questa intervista
Oggi abbiamo il piacere di ospitare Marco Galimberti, in occasione della sua nuova uscita “Ero solo un bambino”. Ecco cosa ci ha raccontato!
Ciao, Marco benvenuto! Come stai? Soddisfatto di questa nuova uscita?
Ciao!!! Grazie per l’invito!!! Tutto bene dai, nonostante il periodo non sia proprio dei migliori.
Sì, sono soddisfatto di questa nuova uscita, perché era una canzone che avevo nel mio pc da tanto tempo ormai e finalmente può arrivare alle orecchie di tutti. Sta avendo dei buoni risultati e soprattutto tanti commenti positivi, questo mi rende molto felice. Con questo brano sono arrivato terzo al Premio Mia Martini e ho vinto il premio per la miglior interpretazione.
Che emozioni speri di suscitare in chi ascolta il pezzo?
Spero che ascoltando il mio brano l’ascoltatore riesca ad immedesimarsi perché credo abbia un testo ed un significato abbastanza universale. Penso che di base la canzone si porti dietro un filo di nostalgia e di malinconia, ma anche voglia di rivalsa e perseveranza nel seguire i propri sogni.
A quali artisti italiani o internazionali ti sei ispirato nella tua musica?
I miei artisti italiani preferiti e dai quali cerco di carpire qualche segreto sono Fabrizio Moro, Ultimo e Cesare Cremonini. Potrei citare anche Renga e i cantautori del passato: da De Andrè a Dalla, passando per Baglioni e Venditti. Non ascolto tanta musica estera contemporanea.
Qual è il messaggio di Ero solo un bambino?
Tutti noi abbiamo sogni e speranze che durante il nostro percorso cerchiamo di raggiungere e la canzone parla proprio di questo. Soprattutto i sogni che si hanno da bambini sono i più veri e spesso commettiamo l’errore di arrenderci davanti alle difficoltà facendo, di fatto, un torto al bambino che siamo stati.
Com’è stato il processo di scrittura del brano?
Scrissi il testo ormai un paio di anni fa in un momento in cui pensavo di abbandonare la mia, seppur breve, carriera musicale. Una sera è nato il testo di questa canzone, dopodiché è rimasto “in cantina” per qualche tempo. A fine 2020 dall’incontro con Luca Sala, autore che ha scritto per Emma, Tiromancino e altri grossi nomi della musica italiana, è nata la musica del brano fino al momento della registrazione delle voci che ha suggellato la creazione della canzone.
Parole, parole, parole: parole che rimbalzano contro i finestrini di macchine lanciate a tutta velocità verso il fraintendimento, mentre accanto a noi sfilano cortei di significati e di interpretazioni che si azzuffano per farsi strada nella Storia, provando a lasciare un segno. Parole giuste, parole sbagliate; parole che diventano mattoni per costruire case, ma anche per tirare su muri; parole che sono bombe, pronte a fare la guerra o a ritornare al mittente dopo essere state lanciate con troppa superficialità: parole intelligenti, parole che sembrano tali solo a chi le pronuncia, mentre chi le ascolta cerca le parole giuste per risanare lo squarcio. Parole che demoliscono, parole che riparano. Spesso, parole che sembrano altre parole, che pesano una tonnellata per alcuni mentre per altri diventano palloncini a cui aggrapparsi per scomparire da qui. Parole che sono briciole seminate lungo il percorso da bocche sempre pronte a parlare, ma poche volte capaci di mordersi la lingua: se provi a raccoglierle, come un Pollicino curioso, forse potresti addirittura risalire all’origine della Voce, e scoprire che tutto è suono, e che le parole altro non sono che corpi risonanti nell’oscurità del senso.
Parola, voce, musica: matrioske che si appartengono, e che restituiscono corpo a ciò che sembra essere solo suono.
Ogni mese, tre parole diverse per dare voce e corpo alla scena che conta, raccogliendo le migliori uscite del mese in una tavola rotonda ad alto quoziente di qualità: flussi di coscienza che diventano occasioni di scoperta, e strumenti utili a restituire un senso a corpi lessicali che, oggi più che mai, paiono scatole vuote.
SVEGLIAGINEVRA
Tutto quello che ti viene in mente se ti dico “Sanremo, Canzone, Pop”.
SANREMO
Musica e fiori. Se penso a Sanremo, penso principalmente a queste due parole.
Ogni anno, da anni e anni, la tradizione vuole che milioni e milioni di italiani siano lì, davanti alla tv, a guardare il festival più importante della musica italiana. E se è vero che la musica sia lo specchio della società in cui viviamo, Sanremo è sicuramente tra le la vetrine più grandi a cui un artista italiano può aspirare per essere riconosciuto come tale. Dev’essere proprio bello salire su quel palco.
CANZONE
La prima canzone che mi viene in mente in questo momento è “Senza Fine” di Gino Paoli. L’ho sentita prima in radio, mentre tornavo a casa. Una canzone può essere tante cose, può avere diversi significati per chi la scrive e per chi l’ascolta. Può aiutare per capire quello che ancora non abbiamo capito, confermare quello che sappiamo già, insegnare, far innamorare, far piangere e ridere e infinite altre cose. Questa è la musica e questo è il motivo per cui ho scelto di far sì che scrivere canzoni diventi il mio mestiere.
POP
Pop dalla parola popolare, per tutti. Erano artisti pop persino Mozart e Strauss, lo sono stati Armstrong e Ellington, Crosby e Sinatra e persino se non soprattutto Elvis quando trasformò il rock & roll nel nuovo pop dei suoi anni e i Beatles che, unificando musica e moda, influenzarono per sempre il concetto di musica divenendo la più grande band pop di tutti i tempi. Potrei fare altri mille nomi per dimostrare che più che un genere è un movimento sociale e culturale, associato di anno in anno alle mode e alle rivoluzioni. Evoluto e sviluppato negli anni in più sottogeneri, dal blues o dal jazz, è stata la musica contemporanea e moderna di ogni epoca, un segno generazionale distintivo. Chiudo il monologo (il mio prof all’università di storia della musica sarebbe super fiero di me) con un esempio che riguarda i giorni nostri. L’indie è il pop di oggi, la nostra musica popolare. Non pensate al genere musicale ma focalizzatevi sul linguaggio. Vent’anni fa, i gli adolescenti parlavano come nelle canzoni di Raf e Luca Carboni, oggi parlano come fanno Calcutta e Mahmood nelle loro. Per questo la canzone è lo specchio della società, lo vediamo dalle parole usate, dalle frasi, dalle citazioni, dalle tematiche importanti tirate in causa, dai bisogni emotivi ed esistenziali per le nostre generazioni che oggi sono diverse da quelle della generazione di mia madre per esempio. Evviva il Pop, sempre.
IBISCO
Tutto quello che ti viene in mente se ti dico “Sanremo, Canzone, Pop”.
(il festival di) Sanremo è il tempio della musica pop italiana (?)
Rompiamo gli indugi evitando di giocare a nascondino dentro piazze desolate: l’obiettivo di questo esercizio non sarà certo farmi parlare dell’urbanistica dell’estrema Liguria o della serialità di Andy Warhol.
Il punto di vista che maggiormente suscita il mio interesse in relazione a queste tre parole cerca di osservare quanto sia legittimo considerarle facenti parte di uno stesso discorso autoreferenziale. Dovrò necessariamente essere imparziale nel giudizio onde evitare di cadere in tediosi disappunti tanto retorici quanto potenziali cause di futuri incoerenti (perché nella vita mai dire mai). Sebbene il mio trascorso come ascoltatore di musica (italiana in questo caso) abbia mire ben lontane dai canoni che inevitabilmente un contenuto generalista come “il festival di” applichi alla sua selezione editoriale (senza offesa, è un dato di fatto) non posso fare altro che domandarmi per quale motivo io mi ritrovi ogni anno a guardarlo e, per di più, mi ritrovi ad assistere, all’interno del contesto in esame, all’esibizione di artisti che, forse per un mio vizio di forma, mai avrei accostato a Sanremo. Forse sono proprio tra coloro incapaci evitare la trappola della “logica delle quote”. Il pubblico indie (quello vero) certamente seguirà la kermesse se in “gara” ci saranno i Baustelle (in effetti mai vi hanno preso parte). Bando all’ironia, è la musica italiana che per legittimarsi quale popolare deve necessariamente passare dal certificato di partecipazione a Sanremo o la musica popolare (e quindi anche indie? Ma in che senso?) lo è a prescindere dai palinsesti dentro cui compete? Ha senso settare la musica sui linguaggi della competizione? Se sì, chi deve deciderne le sorti? Il referendum aka televoto o una giuria di sedicenti esperti che “w la musica elettronica perché ha un sound moderno”? Ma quindi chi ha vinto? Forse non so rispondere. In tutto questo mi chiedo perché ogni anno io guardi il trecentosettantottesimo festival della canzone italiana. Le opzioni di risposta tra cui scegliere sono: a) perché sono curioso; b) perché voglio “controllare” e sono masochisticamente invidioso; c) perché lo guardano tutti; d) “ah ma io non l’ho guardato, lo stava guardando mia madre ed ero lì anche io.” Fatemi sapere nei commenti del link in bio.
(“Tutto quello che ti viene in mente” dovrà necessariamente perdonare i formati anarchici.)
Allora diciamo che se sei “indie”, ma non hai un tatuaggio dei Joy Division sul costato, se ogni tanto di nascosto a mezzanotte di un qualsiasi venerdì dai una sbirciata alla “New music Friday”, ma in macchina ascolti il “This is Echo & The Bunnymen” eh… e partecipi a conversazioni dove si dice “che genere fai/fanno?”, ma in centro a Bologna e con l’indulgenza plenaria che causa bere birra in piazza San Francesco, allora forse, come me (forse), “pensavi di”, ma non ci stai capendo un cazzo di Sanremo, musica italiana, Pop.
STEFANELLI
Tutto quello che ti viene in mente se ti dico “Sanremo, Canzone, Pop”.
Leggo queste parole e mi viene in mente tutta la mia giovinezza. Mi ricordo tutti i rituali collegati ad esse. Le serate di Sanremo con il volume basso del televisore e la Gialappa’s band in radio a tutto volume. Penso anche all’anno scorso. Ero in studio con i Blindur e lavoravamo a nuove idee. Durante quei giorni ovviamente non potevamo che fare il tifo per l’unico e solo concorrente in grado di arrivare in finale con un videoclip delle prove generali. Sono tempi difficili e i nuovi eroi hanno nuovi volti. IRAMA è stato il nostro eroe capace di travolgere un sistema complesso con un cavillo ancora più insensato e ha riempito i nostri cuori di gioia.
Penso che la canzone pop sia sicuramente un ottimo ingrediente per unire le persone. Il rituale che ne consegue – tutti uniti attorno al fuoco – è la missione.
Spero di poter partecipare al gran festival perché sarebbe bellissimo e solo l’idea mi elettrizza.
I Phoenix hanno fatto un disco intero ambientato in Italia. Mi piace tutto “anche il mio lato brutto”. Ciao vi amo.
CASPIO
Tutto quello che ti viene in mente se ti dico “Sanremo, Canzone, Pop”.
Se penso a Sanremo mi vengono in mente fiumi di parole. E mi viene in mente Fiumi di parole perché, alla fine, forse era ancora meglio quel Sanremo lì. Quello che odorava di naftalina, polvere e stantio anche attraverso lo schermo. Quello che non guardavamo. Nonostante avessi accolto con un certo entusiasmo le scelte felici (furbe) degli ultimi anni che l’hanno reso fruibile anche alle nuove generazioni, a tratti persino interessante, era meglio quel Sanremo lì. Perché quel Sanremo lì lasciava la musica indie in disparte, di nicchia, lontana. La lasciava essere ancora quello che dovrebbe essere oggi: distante dai numeri, dai palazzetti, dai feat con quelli tanto più famosi che ora vogliono te, indipendente, perché fa figo. Quel Sanremo lì lasciava l’indie essere ancora musica fuori dagli schemi del grande mercato. Quella musica che si fa per il più puro, semplice, dimenticato gusto di farla.
FRAMBO
Tutto quello che ti viene in mente se ti dico “Sanremo, Canzone, Pop”.
Non riesco a non pensare ai violini, e successivamente penso a casa dei nonni. La musica in casa mia c’è sempre stata, e Sanremo è un evento che in qualche modo riunisce tutti. Il dubbio che mi viene è: il pensiero dei nonni è solo un amarcord o si lega con il sapore del Festival? Effettivamente soltanto negli ultimissimi anni la kermesse si sta modernizzando con artisti freschi, giovani, alcuni anche della scena in cui mi trovo io. L’aria fresca fa sempre bene, e questo abbracciare la nuova leva della musica italiana mi fa proprio felice. C’è da dire che Sanremo si guarda non per trovare musica super ricercata, ma per ritrovarsi il Pop a cui siamo abituati da qualche annetto a questa parte. Ecco, secondo me c’è stato un bel cambio di genere: il festival è passato dall’italianissima canzone cantautorale italiana alla hit pop. Non che sia un male, anzi.
LEO CALEO
Tutto quello che ti viene in mente se ti dico “Sanremo, Canzone, Pop”.
Per quanto non sia troppo lontano dall’essere vetrina, con lo scopo di esporre le migliori scelte dell’anno scolastico, Sanremo è un po’ come un Natale in famiglia, intrinseco di incomprensioni, disapprovazione, bellezza, novità e nonni che si ostinano a ripetere le stesse cose in un grande tavolo musicale. Credo che vada di pari passo con quella che definiamo “canzone pop” in Italia, dalle sviolinate retrò piene di leggera nostalgia o lo stesso “indie”, che ormai è talmente popolare da non esserlo quasi più. Io che vivo di nomadismo, di linguaggio musicale che forse è sempre in moto verso onde sonore internazionali, non sono il più adatto a interpretare o analizzare il panorama della canzone italiana o lo stesso Sanremo, ma andando avanti con gli anni maturo sempre più l’idea che il Festival non sia solo un punto fermo in cui si diventa automaticamente dei critici musicali o completamente dei finti disinteressati, ma semplicemente un momento di comunità in cui possiamo renderci società su un ambito che non avrebbe senso di esistere, se non fosse sempre confrontato e messo in discussione. Tendo a non essere mai specifico, lo ritengo limitante sotto certi punti di vista perché nella nostra “forma canzone” si trovano sempre aspetti positivi, negativi e soprattutto soggettivi e credo che il migliore modo di fare musica, che sia Italiana, pop, anti-pop o d’avanguardia, sia proprio farlo nel modo in cui ci sentiamo veri nel farlo, senza preoccuparsi in che mare di musica liquida, questa zattera, andrà a naufragare. La musica è un linguaggio e come tale serve per trasmettere un messaggio e ognuno ha il proprio, forse basterebbe imparare di nuovo ad essere liberi di tirare fuori la propria essenza senza farsi “influencerare” dall’estetica del freddo mercato.
SESTO
Tutto quello che ti viene in mente se ti dico “Sanremo, Canzone, Pop”.
Sanremo, il concorso canoro, la gara tra canzoni, il momento giusto per farsi notare a tutti i costi. Lui è piaciuto più di lei o viceversa. Ammetto che non ci trovo nulla di reale in un concorso, la musica è emozione ma anche una cosa molto personale e soggettiva.
Sanremo è un programma televisivo, non musicale, ed andrebbe preso per tale. Come faccio a dire questo è più bello di questʼaltro? Sanremo lo vedo si come un opportunità per farsi vedere dal grande pubblico, ma quale grande pubblico segue Sanremo?
Lo fa per amore della musica? Si trova davanti allo schermo perché su Netflix quella sera non cʼè niente di interessante? Come vedi ho solo altre domande e nessuna risposta valida.
Amo la canzone Italiana nelle sue molteplici forme, amo il detto / non detto che ti lascia in bocca la nostra lingua in un testo a più strati. Alle volte il metatesto è più importante del testo, se hai davanti un ascoltatore pronto ad andare oltre.
Adoro le canzoni che non dicono niente ma lo dicono con grande maestria, con due o tre bei termini messi al punto giusto. Adoro le canzoni didascaliche che provano a spiegarti tutto ma poi ti trovi ad avere altre domande alle quali non riesci a dare risposta.
Il Pop nella mia vita non lʼho scelto, mi è stato tramandato dagli ascolti in casa dei miei , sempre attenti alle nuove uscite ma fedeli ai loro beniamini. Ho ascoltato moltissima musica di tutti i generi più o meno ( dal più duro al più classico), ma non ho mai abbandonato totalmente la canzone popolare, quella che è fatta semplice ma semplice non è, la musica per la gente comune.
TERACOMERA
Tutto quello che ti viene in mente se ti dico “Sanremo, Canzone, Pop”.
Sanremo rievoca ricordi infantili, seduti su un classico divano da nonni impolverato ad aspettare il vincitore della competizione.
Un palco affascinante con uno storico musicale che appartiene a poche altre realtà internazionali con competizioni artistiche difficili da accettare per i molti compromessi. Un lato della musica popolare che si divide tra imprenditoria e cuore musicale. La musica italiana a prescindere dal pop e dal festival non ha necessità di mezzi per aumentarne la qualità. Pensiamo che essa abbia una grande forza e molte volte venga sottovalutata.
Un lessico complesso e carico di un emozionalità unica al mondo. Ha permesso anche alla musica popolare italiana di raggiungere una profondità artistica notevole rispetto ad altri lati della canzone commerciale più superficiali. Pop per molti è un aggettivo negativo da affiancare alla musica per colpa di tanti prodotti che puntano alla volatilità della canzone cercando di spremerla al massimo nel minor tempo possibile, mentre a prescindere da ogni genere che sia pop, cantautorato, rock o hip-hop se la musica ne è protagonista e le persone che ci hanno lavorato hanno investito impegno e passione, anche nel prodotto più commerciale troviamo idee musicali acute e diversi piani di lettura di un testo che al primo ascolto può sembrare superficiale.
FRANCESCO PINTUS
Tutto quello che ti viene in mente se ti dico “Sanremo, Canzone, Pop”.
Questa tavola rotonda sembra fatta apposta per questo periodo della mia vita. Sono stato a Sanremo per due week end nell’ultimo mese per le finali di Area Sanremo e forse proprio per questo ho molte più cose che mi vengono in mente alla luce di quello che ho vissuto, sentito e percepito in quei giorni.
Andando dritto al punto, penso a quanto trasversale sia il termine pop se visto verticalmente nel tempo. Mi spiego, nella canzone italiana ciò che è pop è sempre mutato in maniera connaturata alle tendenze musicali, il pop è sempre stata quella musica così potente da essere in grado di raggiungere le grandi masse, a prescindere dal significato che stava trasmettendo o dal genere proposto in senso strettamente musicale. E Sanremo in questo processo (anche se con tutti i ritardi annessi e connessi) ci rende in grado di percepire parte di questo cambiamento se osservato cronologicamente. Provate a pensare a tutti i vincitori di Sanremo dagli anni 50 ad oggi, osservarne il processo di mutazione stilistica e concettuale vuol dire anche fare un percorso storico tra le tendenze musicali italiane legate ai gusti dei più (qui si aprirebbe tutto un discorso su chi sono “i più” e su quanto le tendenze proposte da Sanremo vadano molto più incontro al target televisivo che alla popolazione nella sua interezza, due concetti che con l’avvento di internet e dello streaming si sono sempre più ricavati due spazi ben diversi, ma è un processo di cui tutti siamo consapevoli e che vi risparmio volentieri).
Il pensiero un po’ disordinato che sto cercando di esprimere è che, se anche volessimo per assunzione addossare a Sanremo la responsabilità di rappresentare la canzone pop italiana di anno in anno, tanto basterebbe a farci capire come il concetto di pop sia eterogeneo e mutevole, è che sia quindi più interpretabile come un atteggiamento, un’attitudine e una visione, piuttosto che un genere musicale in senso stretto. Il problema è che, come in tutti i paesi, anche l’Italia ha vissuto periodi caratterizzati da un “brutto” pop, che quindi ha fatto prendere a molti le distanze da questo termine in maniera protezionistica, per evitare di finire in un calderone di cui si aveva probabilmente paura.
PAUL GIORGI
Tutto quello che ti viene in mente se ti dico “Sanremo, Canzone, Pop”.
Sanremo canzone italia pop
Cosa penso se mi dicono: “Sanremo, canzone italiana, pop”. E’ una domanda difficile. Mi vengono in mente i fiori di certo.
Mi vengono in mente quelle sere dell’anno che sembra tornare Natale intorno alla tv. Mi viene in mente uno dei primi video che guardai di Lucio Battisti (anche perchè non ce ne sono proprio moltissimi) del suo Sanremo 69. Mi vengono in mente Morgan e Bugo.
Mi vengono in mente canzoni molto molto belle dove mio fratello mi batte sempre perchè se ne ricorda di più. In Italia abbiamo una grande tradizione quasi invalicabile e a dir poco sacra di musica.
Fuori o dentro Sanremo. A tratti, o almeno in questo periodo, questa consapevolezza rimane addosso come un maglione di lana. Mi tiene un gran caldo ma al tempo stesso mi pizzica un po’. Quindi , per rispondere alla domanda iniziale potrei riassumere tutto dentro una sola parola: Jalisse.
ILCLASSICO pubblica il nuovo singolo CAMERA MIA, CAMERA TUA in cui si raccontano le dinamiche di una coppia che ancora deve imparare a conoscersi, con un invito ad abbattere la timidezza iniziale. È naturale provare agitazione e imbarazzo quando siamo nel momento della frequentazione, siamo catapultati in un continuo saliscendi di sorprese, alla ricerca del mare anche nel pieno centro di una città, di una via di fuga dalla quotidianità.
Il brano è prodotto interamente dal duo che ha deciso di mostrare un lato più leggero della sua musica, attingendo a sonorità funky con un omaggio alla disco music degli anni ’70.
Ecco la nostra intervista con ILCLASSICO
Ciao ragazzi, CAMERA MIA, CAMERA TUA è un inno all’amore nel freddo dell’inverno. Qual è il messaggio che volete trasmettere?
Ciao! Mah, “Inno” forse è un po’ esagerato. Però ci fa piacere sentirlo dire, perché un inno è qualcosa che viene cantato da un vasto gruppo di persone e queste persone ci si riconoscono con tutte se stesse. Alla fine è quello che si spera possa accadere quando scrivi una canzone che parla di te senza filtri, una canzone che ti mette a nudo, e speri che ci si possa riconoscere anche chi sta in ascolto. Il fulcro del messaggio sta in quella frase dilemma “Vieni prima, vengo prima io”. Insomma prima o poi ci passano tutti! È un punto focale della vita di coppia che mette tanta agitazione e tanto imbarazzo. Abbiamo voluto scherzarci un po’ sopra, alleggerirlo. È nata dalle nostre vite e dai racconti delle persone a noi più vicine, i nostri amici.
2. Il brano vuole omaggiare la disco music anni ’70. A quali pezzi di quella decade avete fatto riferimento e perché avete voluto riprendere questo genere?
Ci è venuto spontaneo tuffarci nella Disco Music. Questo mood è nato durante la scrittura e si prestava perfettamente all’aria leggera e ironica espressa nel testo. Quindi siamo tornati ad ascoltare gli artisti che più amiamo di quel mondo: Earth, Wind & Fire, Bee Gees, KC & The Sunshine Band, ma anche Michael Jackson.
3. La vostra discografica è musicalmente molto varia, cosa unisce i vostri pezzi finora e qual è secondo voi, la chiave vincente e il vostro tratto distintivo?
Nel nostro piccolo cerchiamo sempre di rinnovarci da un pezzo all’altro, di non ripeterci mai. A volte il tuffo riesce meglio, altre volte l’atterraggio andrebbe migliorato, ma la cosa più bella ogni volta è scoprire che le canzoni più apprezzate sono quelle più spontanee, quelle più sincere. Spesso sono anche quelle più libere a livello sonoro, dove gli arrangiamenti sono dettati dal puro divertimento, senza alcun preconcetto “discografico” (diciamo così)…
4. Nel ritornello citate “Notting Hill”. Perché? Elencateci cinque film romantici che vi hanno segnato.
Enrico forse è quello più romantic come gusti, Simone è più sull’action. Ma ci proviamo… Partiamo da “Notting Hill”, ovviamente… In coda ti diciamo… “Le pagine della nostra vita”, “Across the Universe”, “A piedi nudi nel parco”, “Harry, ti presento Sally”.
5. Il vostro curriculum è davvero ricco, numerose sono state le collaborazioni di ciascuno prima di arrivare a creare questo duo. Qual è l’insegnamento maggiore che avete tratto in tutti questi anni?
Che l’importante nella musica è inseguire una visione, nutrire giorno dopo giorno quella visione, affinarla e lavorare per riuscire a comunicarla al pubblico. Oggi siamo talmente tanti a fare musica che non esiste una formula, non esistono regole, non esiste “così funziona” o “così non funziona”. Nessuna strada percorribile è una garanzia di successo, nessuno ci assicura un lavoro. Tanto vale divertirci e farlo a modo nostro, perché alla fine il pubblico quello lo percepisce. Non si può mentire al pubblico!
6. Un pregio e un difetto dell’uno e dell’altro e come vi siete conosciuti?
Ci siamo conosciuti tra le mura di “Music Academy since 1999” a Bologna, durante il nostro percorso di studi: Enrico studiava Music Production, Simone batteria. Enrico va in ansia facilmente davanti agli inconvenienti tecnici, Simone è più reattivo nell’affrontarli. Enrico è sicuramente quello che fa più tardi la sera, Simone si sveglia sempre molto presto.
Non ti sappiamo dire quali tra questi siano i difetti e quali pregi, decidi tu… ahahah!
“FARFALLE” è il nuovo brano dIWASABE (Sabina Canton), giovanissima cantautrice di Vicenza, che in questa canzone decide di parlare apertamente della sua esperienza con i disturbi alimentari.
“Le farfalle sono un simbolo spesso associato a questo disturbo e alla rinascita”
Il sound indie-pop è caratterizzato da un riff di chitarra che prosegue su di un beat moderno a metà tra elettronica e suoni acustici.
“Con questo pezzo volevo raccontare questa malattia con sperieratezza, con parole semplici e comprensibili a tutti. Spero di far rispecchiare in questo pezzo tutte quelle persone che hanno vissuto o stanno vivendo questo brutto momento e di dar loro la forza di affrontarlo nel modo migliore possibile, e portare la mia esperienza a chi crede che non si possa uscire da situazioni come questa, in vista di tutte le cose belle che potranno succedere in futuro”.
WASABE ha risposto alle nostre domande in questa intervista:
“ZERO” è il primo album di Penz , un disco introspettivo che arriva dopo tre anni di silenzio , con uno sguardo al passato ma ben consapevole del presente. Zero parla di amicizia, di amore, di lavoro, di scelte sbagliate, di momenti bui, di sogni realizzati e da realizzare. E’ un disco molto personale che vuole celebrare la ripartenza dell’artista, il suo ritorno in campo, la sua rinascita musicale. Ad accompagnare Penz in questo viaggio: Federico Schiavoni alla chitarra, Matteo Mazzola al basso, Marco Trivini alla batteria e Andrea Giubilei alle tastiere.
Penz ha risposto alle nostre domande in questa intervista:
Neanderthal è il disco d’esordio del cantautore bolognese Lorenzo Meloni. Dieci tracce dalle sonorità variegate che vanno ad analizzare la psiche umana nelle sue contraddizioni più viscerali, tra ironia e autoanalisi morale. Un album topografico, dalle atmosfere notturne, basato molto sulla parola, al punto da essere accostato alla poesia recitata, ma che non rinuncia a sperimentazioni, anche ardite, in termini di arrangiamento.
Luoghi e situazioni disegnati a tinte impressioniste, con un costante intreccio tra contemplazione ipnotica e racconto. Un dialogo interiore continuo con il proprio ego, spesso sdoppiato, che è filtrato da continui riferimenti cinematografici e da un’impostazione visiva di scrittura. Domina, infatti, la sinestesia e ciò si evince anche dal grande lavoro dietro ai videoclip di Quella che dormeeSig.Da Vinci, brani che, insieme a Qui, hanno anticipato l’uscito di questo disco.
Lorenzo Meloni ha risposto alle nostre domande:
Ciao Lorenzo, è da poco uscito il tuo nuovo disco Neanderthal, nei testi domina il concetto di viaggio, sia mentale che fisico. Quali sono i posti del cuore per te e cosa ti spinge ad attivare l’immaginazione? Ho origini un po’ in tutta Italia e quindi l’elenco di posti stupendi sarebbe lunghissimo. Comunque chi mi conosce sa che basta un palazzone orribile a incantarmi, per motivi che tuttora non capisco fino in fondo. A volte ci ambiento storie, a volte semplicemente mi ipnotizzo a guardare.
Sono tanti i riferimenti cinematografici ma se tu dovessi darci cinque titoli di film che ti hanno cambiato la vita? Niente batte le folgorazioni infantili quanto a capacità di piantarsi nell’inconscio, soprattutto se il film è per bambini fino a un certo punto: vado con Jurassic Park (o Lo squalo, insomma Spielberg), Alien (o Blade Runner, insomma il primo Scott), A Bug’s Life (pistola puntata alla testa ancora il miglior film Pixar), La principessa Mononoke (vabbè), Un lupo mannaro americano a Londra (shock/innamoramento da sindrome di Stoccolma infantile che sospetto mi abbia cambiato a livello caratteriale)
Raccontaci del lavoro in studio con Toller e la sperimentazione musicale presente nelle tracce Oggi sono un po’ più musicista di quando abbiamo lavorato all’album. Allora era una specie di telepatia per cui io arrivavo con testi, melodie, cambi di ritmo, e per l’identità musicale cercavo di proiettare a Carlo l’idea dell’atmosfera che volevo, procedendo per immagini, esempi musicali ecc. Come dire che dopo la composizione iniziale ha fatto tutto, ma veramente tutto lui.
Ci ha colpito molto per l’ironia Sig.da vinci, come hai concepito questa assurda rivisitazione e il video? Non stando attento in classe al liceo e chiedendomi come si facesse a ottenere un cadavere per le dissezioni anatomiche. Li rubi? (e anche qui decisamente troppi film, soprattutto Burke and Hare e il suo antenato La iena di Robert Wise. Il video è venuto di conseguenza)
Hai da poco formato anche una band, che progetto alternativo porterai avanti con loro? Nome: Altaica, genere: rock abbastanza classico, per ora in inglese, primi 10-15 pezzi già pronti per live ed eventuale album, scritti dal mio amico e bassista Edoardo Bertini. Intanto sia io che lui stiamo scrivendo a un ritmo pazzesco, quindi non ci manca certo il materiale. Stay tuned.
“ANGELI E DEMONI” è il nuovo brano della band pugliese ESTRO distribuito da Artist First, una ballad dark pop che parla dell’ esigenza di comunicare Il dolore e la sofferenza della separazione. Luce e buio, vittime e carnefici ed appunto angeli e demoni. Il sound del brano mescola Indie Pop, Dark Pop, rock e Alternative. La cellula originale del gruppo nasce nel 2011, il gruppo è formato da Andrea alla batteria, Maurizio voce e chitarra, Simone voce e basso, Gianluca voce e chitarra. Nel 2019 si qualificano come finalisti di un concorso nazionale dedicato ad Ivan Graziani, e poi vengono decretati vincitori nazionali del “Premio Pigro 2019” con il loro brano inedito “Il vuoto dentro” nella finale svoltasi presso Casa Sanremo durante la settimana del Festival; lo stesso anno sono ospiti di Red Ronnie durante il suo show in diretta nazionale. Il comune di Bari conferisce un’onorificenza artistica alla band per il risultato conseguito a Sanremo. A Luglio 2021 pubblicano il loro primo singolo “BABY” facente parte della nuova produzione musicale della band, superando le 200 mila views su youtube e oltre 300 mila streams su spotify.
La band ha risposto alle nostre domande in questa intervista: