“FARFALLE” è il nuovo brano dIWASABE (Sabina Canton), giovanissima cantautrice di Vicenza, che in questa canzone decide di parlare apertamente della sua esperienza con i disturbi alimentari.
“Le farfalle sono un simbolo spesso associato a questo disturbo e alla rinascita”
Il sound indie-pop è caratterizzato da un riff di chitarra che prosegue su di un beat moderno a metà tra elettronica e suoni acustici.
“Con questo pezzo volevo raccontare questa malattia con sperieratezza, con parole semplici e comprensibili a tutti. Spero di far rispecchiare in questo pezzo tutte quelle persone che hanno vissuto o stanno vivendo questo brutto momento e di dar loro la forza di affrontarlo nel modo migliore possibile, e portare la mia esperienza a chi crede che non si possa uscire da situazioni come questa, in vista di tutte le cose belle che potranno succedere in futuro”.
WASABE ha risposto alle nostre domande in questa intervista:
“ZERO” è il primo album di Penz , un disco introspettivo che arriva dopo tre anni di silenzio , con uno sguardo al passato ma ben consapevole del presente. Zero parla di amicizia, di amore, di lavoro, di scelte sbagliate, di momenti bui, di sogni realizzati e da realizzare. E’ un disco molto personale che vuole celebrare la ripartenza dell’artista, il suo ritorno in campo, la sua rinascita musicale. Ad accompagnare Penz in questo viaggio: Federico Schiavoni alla chitarra, Matteo Mazzola al basso, Marco Trivini alla batteria e Andrea Giubilei alle tastiere.
Penz ha risposto alle nostre domande in questa intervista:
Neanderthal è il disco d’esordio del cantautore bolognese Lorenzo Meloni. Dieci tracce dalle sonorità variegate che vanno ad analizzare la psiche umana nelle sue contraddizioni più viscerali, tra ironia e autoanalisi morale. Un album topografico, dalle atmosfere notturne, basato molto sulla parola, al punto da essere accostato alla poesia recitata, ma che non rinuncia a sperimentazioni, anche ardite, in termini di arrangiamento.
Luoghi e situazioni disegnati a tinte impressioniste, con un costante intreccio tra contemplazione ipnotica e racconto. Un dialogo interiore continuo con il proprio ego, spesso sdoppiato, che è filtrato da continui riferimenti cinematografici e da un’impostazione visiva di scrittura. Domina, infatti, la sinestesia e ciò si evince anche dal grande lavoro dietro ai videoclip di Quella che dormeeSig.Da Vinci, brani che, insieme a Qui, hanno anticipato l’uscito di questo disco.
Lorenzo Meloni ha risposto alle nostre domande:
Ciao Lorenzo, è da poco uscito il tuo nuovo disco Neanderthal, nei testi domina il concetto di viaggio, sia mentale che fisico. Quali sono i posti del cuore per te e cosa ti spinge ad attivare l’immaginazione? Ho origini un po’ in tutta Italia e quindi l’elenco di posti stupendi sarebbe lunghissimo. Comunque chi mi conosce sa che basta un palazzone orribile a incantarmi, per motivi che tuttora non capisco fino in fondo. A volte ci ambiento storie, a volte semplicemente mi ipnotizzo a guardare.
Sono tanti i riferimenti cinematografici ma se tu dovessi darci cinque titoli di film che ti hanno cambiato la vita? Niente batte le folgorazioni infantili quanto a capacità di piantarsi nell’inconscio, soprattutto se il film è per bambini fino a un certo punto: vado con Jurassic Park (o Lo squalo, insomma Spielberg), Alien (o Blade Runner, insomma il primo Scott), A Bug’s Life (pistola puntata alla testa ancora il miglior film Pixar), La principessa Mononoke (vabbè), Un lupo mannaro americano a Londra (shock/innamoramento da sindrome di Stoccolma infantile che sospetto mi abbia cambiato a livello caratteriale)
Raccontaci del lavoro in studio con Toller e la sperimentazione musicale presente nelle tracce Oggi sono un po’ più musicista di quando abbiamo lavorato all’album. Allora era una specie di telepatia per cui io arrivavo con testi, melodie, cambi di ritmo, e per l’identità musicale cercavo di proiettare a Carlo l’idea dell’atmosfera che volevo, procedendo per immagini, esempi musicali ecc. Come dire che dopo la composizione iniziale ha fatto tutto, ma veramente tutto lui.
Ci ha colpito molto per l’ironia Sig.da vinci, come hai concepito questa assurda rivisitazione e il video? Non stando attento in classe al liceo e chiedendomi come si facesse a ottenere un cadavere per le dissezioni anatomiche. Li rubi? (e anche qui decisamente troppi film, soprattutto Burke and Hare e il suo antenato La iena di Robert Wise. Il video è venuto di conseguenza)
Hai da poco formato anche una band, che progetto alternativo porterai avanti con loro? Nome: Altaica, genere: rock abbastanza classico, per ora in inglese, primi 10-15 pezzi già pronti per live ed eventuale album, scritti dal mio amico e bassista Edoardo Bertini. Intanto sia io che lui stiamo scrivendo a un ritmo pazzesco, quindi non ci manca certo il materiale. Stay tuned.
“ANGELI E DEMONI” è il nuovo brano della band pugliese ESTRO distribuito da Artist First, una ballad dark pop che parla dell’ esigenza di comunicare Il dolore e la sofferenza della separazione. Luce e buio, vittime e carnefici ed appunto angeli e demoni. Il sound del brano mescola Indie Pop, Dark Pop, rock e Alternative. La cellula originale del gruppo nasce nel 2011, il gruppo è formato da Andrea alla batteria, Maurizio voce e chitarra, Simone voce e basso, Gianluca voce e chitarra. Nel 2019 si qualificano come finalisti di un concorso nazionale dedicato ad Ivan Graziani, e poi vengono decretati vincitori nazionali del “Premio Pigro 2019” con il loro brano inedito “Il vuoto dentro” nella finale svoltasi presso Casa Sanremo durante la settimana del Festival; lo stesso anno sono ospiti di Red Ronnie durante il suo show in diretta nazionale. Il comune di Bari conferisce un’onorificenza artistica alla band per il risultato conseguito a Sanremo. A Luglio 2021 pubblicano il loro primo singolo “BABY” facente parte della nuova produzione musicale della band, superando le 200 mila views su youtube e oltre 300 mila streams su spotify.
La band ha risposto alle nostre domande in questa intervista:
Gabriele Ciccorelli nasce a Roma nel 1994, da sempre sensibile alle influenze storiche dei cantautori italiani. Crede che la musica sia il mezzo più potente ed immediato per trasmettere e ricevere emozioni, dei viaggi in macchina si ricordano i dischi in sottofondo, più che le destinazioni e la viabilità. Da sempre affascinato dal suono delle parole,dalle urla e dalle imperfezioni musicali. Oltre alla musica, studia recitazione, scrive romanzi, per esprimersi a tutto tondo e coccolare le parole, sottolineando la loro importanza, inventando storie e nuotare su altre realtà, che non siano necessariamente le nostre, che ogni tanto annoiano.
Dal 23 Novembre 2021 è disponibile su tutti gli store digitali, il secondo singolo della carriera artistica musicale di Ciccorelli. “Luminarie” è un brano soffice che, grazie alla particolare vocalità di Gabriele, ci abbraccia dolcemente durante l’ascolto. Dalla collaborazione con la piccola etichetta Nientedimenolab e di Rebecca Palazzolo che si è occupata della produzione del brano, distribuito da Artist First. Abbiamo fatto una chiacchierata spensierata con Gabriele per scoprire qualcosa di più sul suo mondo!
Ciao Gabriele. Iniziamo subito con le presentazioni. Parlaci del progetto musicale Ciccorelli. Da dove nasce questa spinta artistica e quali sono le tue esigenze comunicative?
Ciao a voi. Nasce tutto dalle difficoltà, soprattutto comunicative, che quando ero adolescente prendevano il sopravvento. E dall’ascolto soprattutto. Perché sono dell’idea che qualunque tipo di espressione vada in qualche modo vista prima dall’altra parte. Mi rendevo conto di ascoltare la musica mentre gli altri la sentivano e mettemo il focus sui testi dei grandi cantautori. Quindi è stato quasi naturale poi, una volta assorbito dai più grandi, provare, non ad imitarli, ma a dire la mia. Per questo a 17 anni comprai una chitarra con i soldi vinti al fantacalcio, come modo per aiutarmi a parlare, a parlarmi. E dopo tanti anni di canzoni in cameretta,ho provato a farle ascoltare a chi ne avrà voglia.
Abbiamo ascoltato anche il tuo singolo d’esordio “Manica” un brano prettamente Pop. Con “Luminarie” ti sei messo definitivamente a nudo?
È particolare proprio perché da dentro, probabilmente non lucidamente, non ho idea a quale genere ho intenzione di appartenere. Le canzoni vengono fuori sgomitando, senza progettazione e tu anche lo volessi difficilmente riesci a ribellarti a questa esplosione. Sicuramente Manica è un brano che tocca atmosfere diverse rispetto a Luminarie, abbiamo infatti pensato che potesse essere l’inizio più coerente rispetto alle canzoni che ho sempre scritto ( Una vita di storie finite prima ancora di iniziare).
Con Luminarie è stato diverso, non era in programma e anzi fino a qualche giorno prima di registrare eravamo orientati su un’altra canzone. Quando è arrivata però ho detto “è lei”, lei è la mia canzone a prescindere da tutto. È probabilmente un brano di considerazioni da uomo di mezza età, nonostante io abbia metà dell’età dell’uomo di mezza età. A prescindere da tutto, non potevo essere più sincero di così.
Cosa sono per te le luminarie? Quali sono le luci di cui non puoi fare proprio a meno?
L’idea di Luminarie nasce da una serie tv che mi ha ossessionato per anni che è “How I met your mother”, in particolare un episodio che si chiama “Sinfonia di Luminarie” in cui Robin, nel periodo di Natale, scopre di non poter avere figli ed è decisa a non raccontarlo a nessuno e Ted, senza sapere cosa la turbasse, le fa trovare a casa un gioco di luci di natale, nel buio del salotto. Senza chiederle nulla della motivazione di tanta tristezza. Da qui poi la frase “Come si trova luce al buio senza maiparlare?”
Come a sottolineare quanto sia raro nella vita fare qualcosa per qualcuno che soffre senza sapere la motivazione di tanta sofferenza. Per questo Luminarie è intesa come “Luce di speranza” che può essere una luce di natale, un Dio, una persona, una canzone, qualsiasi cosa che ci faccia stare bene senza dover spiegare il perché. Come diceva il più grande di tutti “A modo mio avrei bisogno di carezze anch’io”. Ed è così, tutti hanno bisogno di carezze, anche e soprattutto chi finge con il mondo di saper nuotare bene nella propria solitudine.
Come definiresti questo brano? Una preghiera sottovoce oppure un urlo disperato?
Tra le due direi la prima. Preferisco sempre le cose sottovoce perché non arrivano all’orecchio di cento persone, magari arrivano all’orecchio di una sola persona, ma facendo un rumore assordante. Nella canzone la parte più “ disperata” è quasi una ricerca di attenzioni, come un bambino dispettoso nei confronti dei genitori, dopo la nascita della sorella più piccola. Ma poi l’idea di dare un ritornello un po’ più vellutato, è quella di voler dare un’intenzione, a chi sente di averne bisogno.
Questa canzone è un’analisi personale, pura osservazione alle situazioni quotidiane sociali, non è una critica. Non mi piace chi nella musica vuole spiegarti come sia la vita e non potrei mai farlo io. Vuole essere speranza nelle mie intenzioni, non un modo per condividere il dolore.
Parlaci del team che ti sta accompagnando in questo percorso musicale.
Il migliore. Nientedimenolab. Sono ragazzi per bene, che hanno cercato fin dal primo momento di capire cosa volessi dire, con pazienza, entusiasmo ed esperienza. La cosa più importante nella musica è la condivisione e non parlo delle piattaforme social (anche se pure quelle..) ma del confronto, della voglia di migliorare e di crescere insieme, senza necessariamente andare in una direzione più “facile” ma mantenendo unicità, che a prescindere se bella o brutta, è la tua e quella di ogni persona che scrive qualcosa. Il brano poi è stato prodotto da Rebecca Palazzolo, che è stata super paziente con me e con tutte le mie invereconde fisime, che già ho nella vita, pensa nella musica.. Che te lo dico a fa’!
Oltre alla musica, sappiamo che hai scritto anche un libro. Ci vuoi raccontare qualcosa?
Manco a dirlo è un libro pieno di musica e manco a dirlo l’ho scritto quando stavo al terzo rewatch di quella serie lì (prima o poi me ne libererò). È una storia di tutti i giorni con un linguaggio non da tutti i giorni. Parla di questo ragazzo che ha sempre cercato “La donna della mia vita” ma in modo ossessivo, una sorta di missione. Solo che lui a differenza di Ted non è proprio il tipo che ti fa trovare le luminarie a casa se sei triste. Anzi a dirla tutta è anche un po’ stronzo. E questo libro si lega perfettamente alla musica, perché poi anche qui non c’è un vero e proprio genere, potrebbe essere rosa, ma anche commedia, una spruzzata di erotico, un po’ di dramma che sta sempre bene e una cifra di parolacce. Vai a capì.. diciamo un libro indie pop dai…che inizia e finisce con due canzoni dei Radiohead.
Salutiamoci con un consiglio per i lettori. Come districarsi e rimanere a galla in questi tempi poco inclusivi?
Mah…stanno tutti in fissa con il paddle ultimamente. Mi tocca provare pure a me. A parte gli scherzi, non sono granché bravo a consigliare, faccio già un gran casino di mio. Quello che posso dire è sempre e solo “musica”. Nella mia vita, a prescindere dalla domanda ,la risposta è sempre “Musica”. Sono tempi veloci, sta diventando tutto liquido.
Io sono dell’idea che la musica sia un grande strumento di rifugio, farla ma anche e soprattutto ascoltarla. Che è diverso sentirla. Una canzone, nel mio mondo ideale, non può mai essere un sottofondo musicale nella pausa pranzo. Una canzone è un messaggio e per capire se sia quello giusto per noi, dobbiamo cercare con forza di comprenderne ogni angolo. A prescindere da quale canzone. Anche la canzone più spensierata del mondo può salvare una vita. E ci vorrebbe una maggior attenzione, a partire dall’ educazione scolastica. Dicono semplificando “I ragazzi di oggi ascoltano solo musica di merda” ed io non sono d’accordo. I ragazzi di oggi ascoltano la musica che hanno a disposizione, se nessuno gli fa ascoltare i grandi cantautori del passato, se nessuno gli spiega quei testi, come possono appassionarsi di quella musica li? La bellezza nasce dalla conoscenza, senza conoscenza si fa quello che si può. Io a scuola odiavo il flauto e avevo insufficiente in Musica, forse se invece che farci suonare il flauto tutti insieme (Io suonavo in playback), ci avessero fatto leggere un testo di Dalla, De Andrè, Battisti/Mogol, fatti ascoltare, spiegando, forse forse avrei iniziato a suonare prima la chitarra e non avrei fatto tutto quel casino per vincere il fantacalcio.
Parole, parole, parole: parole che rimbalzano contro i finestrini di macchine lanciate a tutta velocità verso il fraintendimento, mentre accanto a noi sfilano cortei di significati e di interpretazioni che si azzuffano per farsi strada nella Storia, provando a lasciare un segno. Parole giuste, parole sbagliate; parole che diventano mattoni per costruire case, ma anche per tirare su muri; parole che sono bombe, pronte a fare la guerra o a ritornare al mittente dopo essere state lanciate con troppa superficialità: parole intelligenti, parole che sembrano tali solo a chi le pronuncia, mentre chi le ascolta cerca le parole giuste per risanare lo squarcio. Parole che demoliscono, parole che riparano. Spesso, parole che sembrano altre parole, che pesano una tonnellata per alcuni mentre per altri diventano palloncini a cui aggrapparsi per scomparire da qui. Parole che sono briciole seminate lungo il percorso da bocche sempre pronte a parlare, ma poche volte capaci di mordersi la lingua: se provi a raccoglierle, come un Pollicino curioso, forse potresti addirittura risalire all’origine della Voce, e scoprire che tutto è suono, e che le parole altro non sono che corpi risonanti nell’oscurità del senso.
Parola, voce, musica: matrioske che si appartengono, e che restituiscono corpo a ciò che sembra essere solo suono.
Ogni mese, tre parole diverse per dare voce e corpo alla scena che conta, raccogliendo le migliori uscite del mese in una tavola rotonda ad alto quoziente di qualità: flussi di coscienza che diventano occasioni di scoperta, e strumenti utili a restituire un senso a corpi lessicali che, oggi più che mai, paiono scatole vuote.
GALEA
Tutto quello che ti viene in mente se ti dico: “Generazione, Diritti, Rivoluzione”.
Ultimamente si parla tantissimo di generazioni (Millenials, GenZ) e penso che sia molto bello il fatto di potersi riconoscere in un gruppo di appartenenza, senza che questa classificazione comporti alcun tipo di limite alla propria identità, anzi. Un coro di tante voci, seppur diverse, è più risonante di quelle stesse voci prese singolarmente e questo facilita il raggiungimento di uno scopo comune.
Di primo acchito associo la parola “diritti” al passato, quindi alla strada che è stata fatta per raggiungere determinati traguardi ed è strano, perché la conquista di molti diritti è ancora decisamente in corso. Forse mi viene in mente il passato perché non sarei né lucida né oggettiva parlando di un presente che si sta dispiegando davanti ai miei occhi. Spero che nel 2060 ripenserò a questo presente come a un periodo di lotta utile a delle conquiste finalmente ottenute.
Mi viene in mente Revolution 1 dei Beatles, in particolare il verso “But when you talk about destruction, don’t you know that you can count me out (in)”, come se la posizione di Lennon riguardo ai metodi violenti della rivoluzione fosse ancora incerta e dubbiosa. Il resto del testo invece è piuttosto chiaro, ma quell’in riporta il brano in una dimensione di ambiguità e indecisione in cui è facile rispecchiarsi quando ci si interroga su come una rivoluzione dovrebbe adoperare.
APICE
Tutto quello che ti viene in mente se ti dico: “Generazione, Diritti, Rivoluzione”.
L’ordine in cui le cose mi si presentano già di per sé costituisce un viatico interessante (a mio parere, quanto meno) circa la comprensione della relazione intrinseca che esiste fra gli addendi, e circa l’innefficacia – almeno, in questo caso – della proprietà commutativa, al punto che il risultato cambia eccome a seconda del modo in cui queste parole si combinano fra loro.
Mi spiego: ogni generazione, in qualche modo, nasce nell’orizzonte predeterminato di una serie di diritti ottenuti, e di diritti da conquistare; è il mondo in cui nasciamo e proviamo ad auto-definirci che, in fin dei conti, ci spinge a capire cosa siamo e cosa non siamo, né vogliamo essere: ad ogni generazione, si lega quindi la necessità storica di rivoluzioni che, attraverso vie differenti, discendono dalla contemplazione dei diritti che esistono, ma soprattuto di quelli che ancora non ci sono. Bene, generazione–diritti–rivoluzione.
Ma è anche vero che pare intellettualmente disonesto considerarci meritevoli di qualcosa che non ci siamo conquistati, ed è anche vero che viviamo nell’era di un post-modernismo (se non di una post-contemporaneità: siamo già nel “futuro”, per alcuni…) che sembra averci dato più risposte semplici e perentorie che domande capaci di solleticare il dubbio, attivando la complessità del pensiero: tanti diritti ci precedono, e forse è proprio questo che ci ha allontanato dal concepire la rivoluzione come un appuntamento inevitabile con la Storia; l’ordine diritti–generazione–rivoluzione è fallace, oggi, perché l’ultimo addendo diventa spessa superfluo, o quanto meno si rivela un fatto di posa e di retorica stantia, e quanto mai generazionale. Ecco, questo è quello che oggi mi pare essere, spesso e volentieri, il rapporto tra le parole designate quanto meno nella contemporaneità. Credo che quello della rivoluzione sia una ginnastica a cui ci si allena attraverso la negazione, ma quella vera, e che tante battaglie a volte finiamo col combatterle solo perché ci piace “giocare alla rivoluzione“: andare fino in fondo, poi, è merito di pochi – forse, di quelli che davvero si sentono “negati” di qualcosa, perché il dolore degli altri è sempre dolore a metà e per quanto tu ti possa impegnare ad empatizzare con le ferite altrui non sarà mai come avercele incise nella carne. Punto.
Quello che oggi trovo essere l’ordine più efficace a sparigliare le carte credo sia Rivoluzione, Diritti, Generazione: credo alla forza di rottura di un atto violento (non tanto – o non solo – nelle modalità, ma negli effetti), che possa determinare diritti nuovi da cui possano prendere forza nuove generazioni di pensiero, prima ancora che di persone. Sperando che la nostra, di generazione, non se ne stia a guardare mentre qualcun’altro la sorpassa a sinistra (o peggio ancora, a destra), ma se anche fosse così poco importa: la Storia fa sempre il suo corso, e il precipitare degli eventi è necessario alla definizione di nuovi mondi.
MILELLA
Tutto quello che ti viene in mente se ti dico: “Generazione, Diritti, Rivoluzione”.
Con Generazione mi viene in mente Kurt Cobain; da adolescente pensavo fosse un “poeta”, ma crescendo ho scoperto che se ti ammazzi dopo aver “professato” determinate cose, sei solo un ciarlatano.
Diritti e Rivoluzione invece, sono due facce della stessa medaglia; una medaglia pesante per i tempi che corrono, una medaglia che a quanto pare e a quanto visto in parlamento in questo momento storico, in molti non vogliono indossare.
FLORIDI
Tutto quello che ti viene in mente se ti dico: “Generazione, Diritti, Rivoluzione”.
Generazione:
This is my generation, baby
Cavolo se sono un fottutissimo nostalgico, non so se capita spesso anche a voi ma io in preda a chissà quale ragione reale spesso pronuncio la seguente frase “sarei voluto nascere negli anni 60/70, ma mi andavano bene anche gli anni 80” ora a dirla tutta, in realtà, per 5 mesi sono un figlio degli anni 80, ma poco conta… m’interrogo spesso sul perché se scavo nel profondo, io, fino in fondò non mi riconosca in questa generazione, le risposte sono talmente tante e talmente articolate che la mia autoanalisi termina con un’emicrania alienante, i soliti dubbi e un gin tonic in più sul conto del mio povero fegato. Comunque siamo una generazione fondamentalmente sola, con riferimenti sempre meno a fuoco e obiettivi che tendiamo a credere facilmente raggiungibili e che per la legge di Murphy puntualmente non si realizzeranno, ma allo stesso tempo siamo testardi e vogliosi di provare a cambiare qualcosa
Diritti:
Raga, mi sembra di essere tornato al primo anno di università, quando forte dell’impegno politico che avevo esercitato negli ultimi due anni di liceo come rappresentate d’istituto mi apprestavo a scegliere Giurisprudenza come facoltà definitiva per la mia vocazione, quella di diventare un PM pronto a stravolgere le regole del gioco, pronto a scendere in campo in favore dei più deboli, mi ero ripromesso che mi sarei incaricato solo di cause giuste, ma ripensandoci bene questo è anticostituzionale, quindi la mia folgorante carriera magistrale è durata più o meno 4 stagioni. Però a quel tempo ho capito una grande verità per me, che scrivere canzoni (cosa che facevo già da qualche anno) poteva farmi abbracciare qualcuno che soffriva come me, poteva far arrivare la mia voce, il mio pensiero ovunque ci fosse qualcuno pronto ad accoglierlo poteva permettermi di dire la mia su armonie semplici o complesse, sapeva mettermi a nudo e sostenere cause alle quali tenevo.
Rivoluzione:
Dici che vuoi una rivoluzione
Bene, sai
Tutti noi vogliamo cambiare il mondo
Mi dici che è evoluzione
Bene, sai
Tutti noi vogliamo cambiare il mondo
Ma quando mi parli di distruzione,
sai che non puoi contare su di me
Non sai che andrà tutto bene?
Dici che hai una soluzione concreta
Bene, sai
A noi tutti piacerebbe vedere il tuo piano
Mi chiedi un contributo
Bene, sai
Stiamo facendo quello che possiamo
Ma se vuoi denaro per gente con pensieri di odio
Tutto ciò che posso dire è: fratello, devi aspettare
Non sai che andrà tutto bene?
Quando penso alla parola rivoluzione le mie sinapsi creano subito uno Swipe Up, anzi no, un link in evidenza, connesso a questa canzone e alla sua potenza espressiva. Mamma mia i Beatles.
FRANCESCA MORETTI
Tutto quello che ti viene in mente se ti dico: “Generazione, Diritti, Rivoluzione”.
Oggi fortunatamente queste tre parole si sentono nominare spesso. Stiamo vivendo un periodo in cui è molto più frequente sentir parlare di diritti rispetto a prima, specialmente grazie ai social. Credo che la mia generazione sia molto più avanti rispetto a quelle precedenti, soprattutto quando si tratta di temi come omotransfobia, femminismo, razzismo, ambientalismo. Spesso ci chiamano gioventù bruciata, quando invece bisognerebbe solo lasciarci spazio e lasciarci fare. Magari la rivoluzione è più vicina di quanto sembri.
MARSALI
Tutto quello che ti viene in mente se ti dico: “Generazione, Diritti, Rivoluzione”.
Non mi reputo un’attivista incallita, vi dico la verità, ma sicuramente sono sempre stata una persona che si è schierata o esposta nelle varie situazioni della vita per “dire la sua”. Credo che la nostra generazione, quella dei social intendo, abbia molti più strumenti rispetto ai giovani di venti anni fa per far sentire la sua voce e per sensibilizzare anche le fasce di età più adulte su dei temi che prima erano dei grandi taboo. Il tempo scorre veloce e io stessa a venticinque anni a volte mi sento indietro rispetto a certe innovazioni di pensiero ma questo non deve farci paura, la nostra piccola grande rivoluzione, anche nei confronti della musica, deve essere l’empatia, il sapersi mettere nei panni dell’altro, il vedere non sempre quelli attorno a noi come dei nemici da buttare giù ma magari come compagni di viaggio storti in questo storto pianeta. I diritti ci spettano è vero, non vanno meritati, ma dobbiamo dimostrare almeno di saperli gestire.
DAVIDE BOSI
Tutto quello che ti viene in mente se ti dico: “Generazione, Diritti, Rivoluzione”.
La musica accompagna da sempre le ‘nuove’ e le ‘vecchie’ generazioni che si susseguono nel tempo.
Ricordo quelli che più di altri hanno avuto la sensibilità di combattere per i diritti dei più deboli, degli ultimi (Bob Dylan, John Lennon, Joan Baez per citarne alcuni).
Penso alle opportunità che la musica ha di farsi portavoce della lotta per la libertà e uguaglianza fra le generazioni e il loro tempo.
ILGEOMETRA
Tutto quello che ti viene in mente se ti dico: “Generazione, Diritti, Rivoluzione”.
Ho idee molto confuse rispetto a tutto ciò che mi circonda ormai. Non ho un’opinione forte su niente. Attualmente, in questo preciso momento storico, non mi appassiona alcuna tematica che non sia legata ai vini naturali, ai ristoranti recensiti della guida Michelin e ai film di Carlo Verdone del periodo compreso tra il 1983 e il 1995. Quindi, effettuate tali premesse, posso affermare senza troppo imbarazzo che la prima cosa che avverto ascoltando queste tre parole è un leggero senso di fastidio.
Provo fastidio per me stesso, per la miseria delle connessioni associative che si sviluppano nella mia mente all’ascolto di questi vocaboli (ti accorgi/di come vola bassa la bassa la mia mente? / è colpa dei pensieri associativi / se non riesco a stare adesso qui…).
E così, la parola “generazione” mi fa pensare a tutti quei termini di più o meno recente coniazione, come “generazione x”, “generazione z”, “boomer”, “millenials”, che si leggono negli articoli di Vice o nei meme, con significati per me sempre volto vaghi e/o post-ironici.
La mia generazione, quella cresciuta negli anni ’90 insomma, dovrebbe essere sulla rampa di lancio della genitorialità, della fascinazione per gli investimenti immobiliari, del progressivo decadimento fisico che si manifesta attraverso la comparsa – sui propri profili social – delle fotografie sfocate di grassissimi pasti domenicali, serviti in approssimative teglie di alluminio, preparati con l’irrinunciabile collaborazione del proprio partner, che di solito coltiva anche un piccolo orto. Entrambi indossano vestaglie. E ascoltano i podcast di Barbero come grande momento di accrescimento culturale condiviso. Io non ho figli, vivo in albergo e mangio bresaola e broccoli bolliti per 5 giorni alla settimana.
La parola “diritti” mi fa pensare a moltissime cose fastidiose e inopportune. Potrei scriverle, perché la mia opinione non è affatto influente e anche se esprimessi dei concetti aberranti (ammesso che ne sia in grado), passerei comunque inosservato. Ma preferisco comunque non rischiare. In ogni caso, per molti anni ho ripetuto a memoria la solita filastrocca tale per cui “in un paese in cui non sono garantititi i diritti sociali, i diritti civili diventano dei privilegi”, o qualcosa del genere. È una filastrocca che mi piace ancora. Quando la recitavo, in tutti questi anni, provavo un enorme senso di autocompiacimento. Per fortuna, in tutti questi anni, nessuno mi ha mai chiesto di argomentare con maggiore grado di analisi il mio assunto. Sarebbe stato molto imbarazzante.
La parola “Rivoluzione” mi fa pensare a un compito in classe di storia avente per tema la Rivoluzione d’Ottobre, svolto in quarto superiore. Presi nove e ne ero molto orgoglioso. Tuttavia, all’epoca, ero uno studente pigro e discontinuo, senza nemmeno il fascino che solitamente si accompagna a questo archetipo di liceale. Immagino fu anche per questo che la docente si sentì in dover di ammonirmi, innanzi a tutta la classe, ricordandomi che “una rondine non fa primavera”. Credo che quell’episodio contribuì molto nella mia attitudine a ridimensionare metodicamente tutto ciò che in vita mia è stato associabile al successo. Quello stesso giorno tornai a casa, staccai il poster di CheGuevara da sopra al letto e ne appesi uno di BrunoTabacci.
SCICCHI
Tutto quello che ti viene in mente se ti dico: “Generazione, Diritti, Rivoluzione”.
Vedendo scritte queste parole mi viene in mente appunto, di quanto l’Italia abbia bisogno di una rivoluzione, di quante persone ne abbiano bisogno per continuare a vivere e per un futuro migliore. Io nella mia generazione ci credo, abbiamo molto più a cuore i pari diritti rispetto a chi invece sta al governo ora, guardate che fine ha fatto il DDL ZAN, oppure quante poche persone si sono presentate al senato durante il discorso contro la violenza sulle donne, 8 su 630. Noi, vogliamo il cambiamento, vogliamo un paese libero da pregiudizi e paure, vogliamo pari diritti senza distinzioni di sesso, orientamento o colore della pelle, vogliamo la normalità… e vuoi o non vuoi se non sarà ora, tra qualche anno le persone sedute su quelle sedie non ci saranno più e ci saranno persone più competenti (spero) verso i diritti umani.
UTAH
Tutto quello che ti viene in mente se ti dico: “Generazione, Diritti, Rivoluzione”.
Se ci dite “generazione” ci viene in mente l’ansia, ansia di dover dimostrare sempre qualcosa, ansia perché non sappiamo più aspettare. In un mondo in cui ormai tutto è a portata di mano vogliamo tutto e subito.
I diritti sono scale, sono ponti, sono tutto ciò che è utile per passare oltre.
I diritti sono Martelli che spaccano un muro, sono persone che gridano dietro quel muro, sono persone che abbattono un muro.
Rivoluzione è un termine forte, un’arma a doppio taglio. La rivoluzione, quella vera, bisogna avere il coraggio di pensarla ma soprattutto la determinazione di portarla avanti.
Se cerchi la rivoluzione, guardati attorno.
SEBASTIANO PAGLIUCA
Tutto quello che ti viene in mente se ti dico: “Generazione, Diritti, Rivoluzione”.
C’è una splendida canzone di Gaber, uscita nel 2001 che dice: “La mia generazione ha perso”. Ecco, la mia non è mai scesa in campo. E se non è mai scesa in campo allora la nostra è stata davvero una rivoluzione mancata, un occasione perduta per far riconoscere diritti tuttora repressi.
Sarà che non so bene a quale generazione appartengo: sono una sorta di ibrido cresciuto correndo per le strade di un paesino dove cellulari, computer e ogni altro congegno elettrico era visto come sacro e intoccabile per i bambini e ora sono immerso in un mondo in cui non si può e non si vuole vivere se non attraverso uno schermo.
Tra le battaglie per i diritti che la mia generazione ha perduto a tavolino, come esponente di un mondo, quello del lavoro nella musica, così sofferente e scopertosi senza alcuna tutela negli ultimi due anni, penso anche ai diritti d’autore, imbrigliati e mortificati in uffici di burocrati che ti accolgono sulle loro poltroncine come banchieri a cui stai per chiedere un mutuo.
“Non mi va più” è il debut single di MANGLA ( Gianluca Manglaviti), una canzone che parla di tutte quelle cose che ti porti dietro quando finisce una storia , quelle cose che ti ritrovi sempre nella tasca della giacca quando esci e ti muovono ancora qualcosa dentro il petto. “Non mi va più” è una di quelle frasi che diciamo sempre quando finisce una storia.
Il brano è un alternarsi di momenti sonori dove, l’energia del beat si intreccia alle ritmiche elettroniche e ai synt, in un mix di influenze indie e pop.
Gianluca Manglaviti è un giovane cantautore romano. Mangla è un “pezzetto” del suo cognome, abbreviativo che usano anche i suoi amici, compagni e professori.Di giorno è uno studente di giurisprudenza, di notte scrive canzoni accompagnato sempre da Ettore, il suo bulldog francese.
MANGLA ha risposto alle nostre domande in questa intervista:
E’ fuori da qualche giorno l’ultima fatica di Parrelle, artista che fa parte del roster dell’etichetta indipendente romana Luppolo Dischi. Dal 12 Novembre è presente su tutti i Digital Stores grazie alla distribuzione di Artist First. Si tratta del settimo singolo negli ultimi tre anni ed una cosa è restata indelebile, anche dopo diverse release: l’anima fragile di Parrelle. Chi dice che non bisogna offrire il nostro lato più debole alle intemperie di questa vita? Chi ha deciso che le piccole onde di malinconia e di dolore, che si nascondono nell’anima, non vanno condivise con chi non ci conosce personalmente?
Si tratta di rischiare. Di lanciarsi nel vuoto con un paracadute che altre volte non si è aperto, e ci ha fatto schiantare al suolo, rompendoci in mille pezzi, come un vaso di cristallo. Oppure di tuffarsi da una scogliera altissima, chiudendo gli occhi, aspettando che l’impatto con l’acqua, resistente come un muro, ci lasci scampo, e ci permetta di emergere nuovamente. Per respirare aria, a pieni polmoni.
“Alla fine siamo tutti un po’ masochisti. Alla fine siamo tutti perennemente ossessionati da un qualcosa, un qualcuno, che ci farà male, ma che speriamo possa farci stare bene. Ed anche il più cinico, il più introverso, il “senza cuore”, un cuore eccome se ce l’ha, e magari batte ancora più forte, e se ne frega del giudizio degli altri, delle consuetudini: farà male ok, pazienza, ma quegli attimi in cui rischierà tutto, saranno tra i più belli della sua vita.”
“mifacciomaleok” è il nuovo singolo di Parrelle in collaborazione con L.E.D., altro giovane della scuderia Luppolo Dischi, che come un attore di Hollywood fa un cameo di poche scene, regala al brano quel pizzico di malinconia in più ( come se già non bastava quella presente ihih ) e completa un viaggio di tre minuti tra auto flagellazione e un filino di speranza, di fiducia in sé stessi. Il tutto, perfettamente cucinato dalla produzione di Ayellow, altro astro nascente della scena musicale indipendente.
BIO
“Vivo a Boscoreale, paese in provincia di Napoli con gli occhi sul Vesuvio, in una strada che porta il nome di “Via Parrella” al singolare, ma che nel corso degli anni, grazie al dialetto, viene comunemente definita al plurale: “abito ai Parrelle”; da qui nasce il mio nome d’arte, la strada dove abito, perché ovunque mi porterà la musica non dovrò mai, e dico mai, dimenticare da dove sono partito, le mie radici. Nella vita faccio il fisioterapista alla luce del sole, e l’artista quando scende la notte, ed è più facile chiudersi nei propri spazi e lasciar parlare la musica. Le prime orecchie ad ascoltare le mie canzoni sono quelle lunghe e affusolate di Snoopy, che insieme al divano compongono la platea di tutte le mie demo”
“MONGOLFIERE”, è il nuovo brano del cantautore Alessio Marucci, nato dalla preziosa collaborazione con Marco Canigiula (autore anche per Annalisa, Emma Muscat e tanti altri) e Francesco Sponta (autore anche per Annalisa, Arisa, Anna Tatangelo e tanti altri), e prodotto negli studi di Cantieri Sonori.
Il brano affronta il tema dalla nostalgia per qualcosa che era, ma che non è più. Percorre strade fatte di ricordi, affronta il dolore di un addio, ma spera in qualcosa di migliore che arriverà. Il punto di vista, infatti, è proprio quello di una persona immersa nel suo dolore per aver perso qualcosa che credeva importante, che intorno a sé trova solo ciò che resta, ovvero macerie; ma è serena, perché sa di aver fatto il possibile per salvare quel che poteva salvare. Il meccanismo delle mongolfiere, in un certo senso, è correlato al concetto di libertà: quando una relazione finisce, che sia un amore o un’amicizia, potrebbe essere vista come qualcosa che aiuta a ritrovarci, una sorta di liberazione da un peso che ci tratteneva a terra e che liberandocene rende più agevole il decollo della mongolfiera.
Alessio Marucci ha risposte alle nostre domande in questa intervista:
Ciao Alessio, benvenuto su Perindiepoi. Ci racconti qualcosa sul tuo progetto?“Ciao a tutti gli amici di Perindiepoi. Il mio progetto è nato diversi anni fa. La musica è sempre stata la bussola mentre tutto intorno a me cambiava. Durante un periodo un po’ particolare della mia vita avevo rischiato di perderla, per delle mie paranoie, finché non ho capito che nella vita avrei potuto fare tutto, diventare chiunque, ma lei doveva esserci sempre. Da lì nacque “Un miglio da te”, pubblicato nel 2018, che parlava proprio dell’importanza di ritrovare sé stessi. Quando il progetto è nato il periodo storico/musicale era totalmente diverso: il vero pop era ancora il genere dominante, il saper cantare, sebbene stesse cominciando a calare, era ancora un’arte apprezzata… a differenza di oggi. Ma sono molto orgoglioso di portare avanti ancora questo genere, nonostante sia passato di moda”.
Mongolfiere è il tuo nuovo singolo: com’è nato questo brano? Di cosa parla? “Mongolfiere è una canzone che racconta la nostalgia per una relazione che finisce. Come dico sempre “le canzoni migliori nascono da un cuore infranto”, ma il mio messaggio questa volta è nel titolo. Se uno ci pensa, le mongolfiere non hanno nulla a che fare con la nostalgia; ma perdere qualcuno non deve per forza essere negativo. Talvolta, può rappresentare una liberazione da un peso che ci teneva a terra: tolto il peso siamo più liberi di decollare. E questo è proprio il meccanismo delle mongolfiere”.
Hai collaborato con molti autori per questo tuo ultimo lavoro. Come sono nate queste collaborazioni? Come è stato lavorare con autori che hanno scritto canzoni per big della musica italiana? “Beh, sicuramente per me è un grosso orgoglio avere al mio fianco dei professionisti di questo calibro. La collaborazione con Marco Canigiula e Francesco Sponta è nata nel 2017, più o meno, quando ci siamo messi al lavoro per “Un miglio da te”. Io stavo uscendo da un periodo di pausa, cercavo la mia strada ed ho trovato loro”.
Quali sono gli artisti che hanno maggiormente influenzato il tuo percorso artistico? “Mah, io credo che ogni artista che seguo abbia qualcosa che ha influenzato il mio percorso. In Italia penso alla tecnica vocale di Giorgia; alla agilità vocale e all’intonazione sempre perfetta, nonché alla versatilità di Anna Tatangelo; ai testi e alla bellissima voce profonda di Tiziano Ferro… se guardo al panorama internazionale, ovviamente, non posso non menzionare Christina Aguilera, Demi Lovato, Bruno Mars… mi piace molto lasciarmi influenzare dalle sonorità RnB…”.
Domanda di rito: progetti futuri? Live? Magari un disco? “Progetti futuri… tanti… ci sarà una versione acustica di Mongolfiere e le tracce per il disco ci sono. Sarà pronto presto e ne sono davvero fiero perché, non solo è il mio disco di esordio come cantante ed autore, ma anche come produttore. Meglio di così…”.
E’ uscito il 22 ottobre, “mi piaci così” ( Aurora Dischi / ADA Music Italy / Warner Music Italy ), il nuovo singolo dei LAMETTE in collaborazione con Tamì.
Il brano che arriva dopo l’esperienza alle audition di xfactor 2021, parla di una relazione d’amore in cui è difficile comunicare.
Le sonorità del brano spaziano tra Indie Pop, Alt-Pop, Lo-fi e Urban mentre il mood del brano è principalmente cloudy. Il brano sarà accompagnato da un videoclip girato a Venezia ed è stato prodotto da Alessandro Landini e masterizzato da Marco Ravelli (Pinguini tattici nucleari, Iside, Chiamamifaro, ecc).
I Lamette hanno risposto alle nostre domande in questa intervista:
Ciao ragazzi, raccontate agli amici di Perindiepoi chi sono i Lamette
“Ciao siamo Lamette, siamo due ragazzi di piacenza classe 98 . Abbiamo cominciato a fare musica insieme fin dai primi anni di scuole superiori , dopo un periodo di ricerca e di affinamento del progetto abbiamo pubblicato il nostro primo singolo nel 2020 in piena pandemia“.
Mi piaci così è il vostro nuovo brano, di cosa parla?
“Il brano parla di una relazione complicata, gira attorno al sapere accettare i difetti del proprio partner nel tentativo di mandare avanti la relazione”.
Come è nata la collaborazione con Tamì
“La collaborazione con Tamì è partita da una nostra demo che avevamo nel cassetto, una volta riascoltata abbiamo subito pensato che una voce femminile sarebbe stata perfetta su questo brano, abbiamo scelto di contattare Tamì perché vista la sua voce ed il suo stile ci sembrava la scelta più azzeccata”.
Avete partecipato alle audition di XFactor 2021, come è stata questa esperienza per voi?
“L’esperienza ad XFactor è stata senza dubbio formativa, specialmente dal punto di vista “live”, abbiamo sicuramente imparato a gestire meglio tutto l’approccio alla preparazione di un live set ed in generale l’approccio al palco”.
Quali sono i prossimi passi dei Lamette?
Al momento abbiamo un bel po’ di brani da parte, non possiamo dire molto però ci aspettano dei mesi pieni di musica.