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Indie Internazionale Intervista Pop

Lupofiumeleggenda: (Dialoghi italiano) è il primo ep da solista

“(Dialoghi italiano)” è il titolo del primo ep solista di Nicolò Verti, in arte Lupofiumeleggenda. L’ep sviluppa il concept del “dialogo”, inteso come necessità. Un dialogo non necessariamente verbale, ma fatto anche di contatto e sguardi, connessioni, emozioni. Lupofiumeleggenda si presenta come autore di canzoni, canzoni pop, proponendo un lavoro che mantiene le radici nella tradizione della musica “leggera” italiana (in particolare per quanto riguarda la “forma canzone” e l’approccio alla scrittura del testo) cercando allo stesso tempo di applicare soluzioni di metrica, linguaggio e scelte sonore provenienti da generi e artisti più internazionali. Anticipato dai singoli Troppi Anni, AXL e DOPE, alle tracce già pubblicate si aggiungono i brani “Amateur” e la focus track “Nuova luce”. Chiude il disco, “Ho bisogno di te”, una canzone acustica dall’atmosfera più intima.

Abbiamo fatto qualche domanda a Lupofiumeleggenda:

  1. Ciao è da poco uscito “Dialoghi italiano” ci racconti un po di questo tuo primo lavoro da solista e del tuo nuovo progetto musicale?

Ciao a tutti intanto!

DIALOGHI parla della necessità di comunicare. Il titolo, preso in presto dal mondo della pornografia, gioca su un concetto un po’ beffardo e paradossale: nel 2023, le persone trovano eccitante il dialogo, ancora e più che mai.

L’anno scorso mi sono trovato 30enne, con un lavoro e senza una band. Giuro che mi sentivo perso.

Poi ho pensato che dare seguito alle mie passioni dipende solo da me e adesso siamo qui a spingere sul progetto.

2. Come mai la scelta del nome d’arte “Lupofiumeleggenda”?

Lupofiumeleggenda era il nome della mia vecchia Band.

Lo avevamo scelto perché noi siamo gente di campagna, molto legata alla natura, ai suoi ritmi, ai suoi segreti. 

Quando ci siamo sciolti ho deciso di tenere il nome perché oggi dice molto sul “dove voglio andare”

E poi penso non lasci indifferenti, o piace o non piace, però si fa notare😂

3. Questo primo lavoro è incentrato sul concept del dialogo e della connessione tra le persone, cosa ti ha portato a questa scelta?

È una consapevolezza maturata spontaneamente, canzone dopo canzone.

Mi sono accorto che intimità e dialogo sono le cose di cui ho più bisogno….lo leggo ogni volta dentro ciò che scrivo

Ho pensato che forse, anche per gli altri è così…da qui il concept

4. Quali sono le tue influenze musicali più importanti? A quali artisti ti sei ispirato per produrre questo EP?

Wow, un treno di artisti

Per testi e melodie per me esiste solo Vasco, ma dire “ispirato a Vasco” è blasfemia pura, quindi passo

Sul sound ti posso dire Post Malone, Dayglow, DIIV, Surf Curse….ed Emanuele Santona, il mio musicista preferito

5. Venendo da una lunga esperienza con una band quali sono state le principali differenze nel lavorare come solista? 

Intanto ho scoperto che solista è un concetto sbagliato…la musica non è vero che si fa da soli

Io ho condiviso tutto con Santona ad esempio. 

Di certo mia, è la responsabilità globale delle cose che dico. 

C’è la mia faccia insomma!

Sono un emergente però per me questo è importante

Non mi ha obbligato nessuno ad espormi, è una mia scelta, per cui devo dargli un peso.

6. Cosa ne pensi dell’attuale scena musicale? Con quali artisti ti piacerebbe collaborare 

Per me spacca!

In America ti dico Del Water Gap (gli ho anche chiesto un feat via mail, mi ha risposto…dice di no, ma è stato super carino)

In Italia un botto di gente, ma voglio dirti tre emergenti della mia città (Parma): Alberi noi, Taha e Supo….

Dico questi solo per affinità musicale col mio progetto, ma anche gli altri spaccano.

C’è fermento in zona

7. Progetti per il prossimo futuro?

Eh un bel po’

Sto registrando nuovi brani con un bel produttore romano, scrivo con Santona, dal 2024 le date e in mezzo a tutto questo sto diventando Papà

Un bel casino la musica e la vita, ma tanto la musica è la vita quindi…

A presto! LFL

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Indie Pop

La nuova canzone d’autore ha residenza in “Via Giardini” e vive con Chiara Effe

C’è una forma, una modalità di fare le cose che continua a conquistare chi sa ancora ascoltare con il cuore, prima ancora che con le nostre orecchie sempre più intasate da fin troppo bitume, in questa contemporaneità che fa assomigliare la scena nazionale sempre più ad una discarica di plastica e catrame discografico.

Sì, perché nonostante la narrazione collettiva di questo mercato malato di superficialità cerchi di raccontare ogni giorno l’inadeguatezza della canzone d’autore di fronte all’endemica e drogata incapacità d’ascolto del pubblico nazionale (come se, poi, la responsabilità fosse solo del pubblico, e non anche di chi spesso fa proprio questi proclami esaltati travestiti da malinconici epitaffi), la verità è che esiste una risacca resistente che non smette di cercare musica che sappia “dire” e non solo “chiacchierare”, capace di rendere più che sensata la ricerca poetica del cantautore – direi quasi salvifica, necessaria. 

E’ il caso, questo, del secondo disco di Chiara Effe, cantautrice cagliaritana con la testa tra le nuvole (nel miglior significato dell’immagine: da lassù si vede tutto in modo assai più distinto…) e il cuore ben piantato nella sua terra fatta di sacrificio e amore, dura come il sasso e indomabile come il mare; e forse sono queste le parole più adatte per raccontare un album che raccoglie 12 piccole perle che stanno sul palmo di una mano, ma finiscono col prendersi presto tutto il braccio e anche oltre, come un prurito che finisce con l’arrivare al centro del petto senza dimenticarsi di stomaco e cervello. 

Un ritorno che mette a tacere il brontolio di uno stomaco a digiuno dal 2014, anno del debutto di Chiara con “Via Aquilone”, a mappare l’inizio di un viaggio che ora si sposta poco più in là, in “Via Giardini”: la città emotiva è la stessa ma le canzoni sembrano cresciute dentro un ventre più maturo, capace di aspettare il momento giusto per dare alla luce un “figlio” tenace e purissimo come il diamante. 

C’è l’eco della musica d’autore che vale, nelle dodici canzoni di Chiara, che dopotutto è stata premiata negli ultimi anni con diversi premi intitolati ai grandi cantautori della storia musicale nazionale, quasi ad ufficializzare una staffetta che l’artista ha raccolto nel tempo condensandola nella risposta di “Via Giardini”, album sospeso tra leggerezza (che non è superficialità, come direbbe un grande scrittore) e ricerca di una profondità che in alcuni brani diventa abissale, con tinte talvolta più ironiche (“Non son buono” o “Il colore della mia città”) e altre volte più compassate e nostalgiche (“La ballata del mare” o “Via Serpentara”); c’è un manifesto poetico meraviglioso come “La danza delle parole”, e in generale l’amore trasuda da ogni traccia: un amore per le cose, per le persone, per la vita come meravigliosa occasione non da perdere, in tutte le sue sfaccettature, anche quelle più fosche. 

C’è una sensazione che non si stacca dalla pelle, dopo aver fatto un giro in “Via Giardini”: esiste un posto bellissimo, in Italia, dove la musica che merita resiste ed esiste ancora. Ed è qui, in questa alcova nascosta, che sembra avere residenza Chiara Effe.

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Indie Intervista Pop

I M.A.T. più che un trio sono la strada che porta a casa

Ci sono progetti che nascono per caso, e poi si ritrovano a crescere senza nemmeno rendersene conto: idee che salgono su dalla terra umida della periferia per distendere i rami fino al cielo, e se possibile anche più in là; ci sono canzoni che s’incollano al cuore dopo il primo ascolto, lasciando in bocca il retrogusto amarostico della dipendenza quando il brano finisce e tu sei costretto a premere play ancora una volta: è il caso, questo, di “Miele”, il primo EP dei M.A.T., trio eclettico bolognese (ma con radici sparse un po’ ovunque) che ha deciso di battezzare il proprio esordio in piena estate, quando la musica va in vacanza ma i cuori continuano ad essere bisognosi di nuove melodie da cantare.

MAT, piacere di conoscervi! Non abbiamo mai avuto l’occasione di intervistarvi sulle nostre piattaforme, quindi vi chiediamo di presentarvi ai nostri lettori! Chi sono i MAT, cosa suonano e da dove vengono?

I MAT nascono a Bologna circa due anni fa dall’incontro musicale tra Thony, desideroso di produrre alcuni testi che aveva messo da parte negli anni ed Axel, che cominciava pian piano a muovere i suoi passi nella scena musicale bolognese dopo essersi trasferito in città da Napoli. Dopo alcuni esperimenti (non troppo azzeccati in realtà) il trio viene completato da Marco, il quale propose ai due proprio un prototipo di testo che diventerà 6/06, il nostro primo singolo. Ci piace immaginarci come un collettivo di idee più che una band in senso stretto, dove ognuno porta le sue influenze e si cerca di tradurle in musica. 

Come nasce il progetto? Sembrate essere amici molto affiatati, oltre che “compagni di musica”!

La storia in realtà parte in un contesto relativamente lontano dalla musica: il calcio.

Infatti noi tre siamo stati per diverso tempo compagni di squadra in un team di calcio a 7 bolognese, ed è lì che è cresciuta poi la nostra amicizia profonda prima ancora che stima reciproca dal punto di vista musicale. 

Un fatto interessante risale proprio al primo anno in cui ci siamo conosciuti: Axel, trasferitosi da poco in città, conosceva ben poco della vita notturna di Bologna e caso volle che su suggerimento di Marco si dovesse andare ad una serata al Locomotiv (locale monumento della musica a Bologna) ed indovinate con chi? Thony, che entrambi conoscevano pochissimo, e dove? Al this is INDIE. Se non era scritto…

Una breve serie di singoli prima della pubblicazione di “Miele”, un EP che mescola carnalità e poesia con il giusto dosaggio degli elementi. Perché avete scelto proprio “Miele” come titolo del disco?

Miele è un titolo figlio di un brano che si trova all’interno dell’EP che ci sembrava il riassunto perfetto di come vogliamo che la nostra musica vi faccia sentire (che è esattamente come ci sentiamo noi, in primis). Miele rappresenta qualcosa di dolce a primo impatto ma allo stesso tempo viscoso, come a volte i rapporti possono essere, in cui è facile perdersi.

Il miele è dolce, ma costa dolore ottenerlo.

Nel vostro disco, emergono influenze varie che sembrano voler sposare insieme la ricerca aurorale da una parte e sonorità grunge e garage dall’altra: come avete lavorato al disco, e quali sono stati i riferimenti principali della vostra ricerca?

Il sound del disco è il risultato dello sforzo collettivo di tradurre in un unico prodotto quelle che sono influenze molto diverse tra loro (basti pensare che Marco vive di rap, Thony ascolta cassa diritta anche alle 7 del mattino sorseggiando un cappuccino ed Axel se ne sta a piangere giorni interi con Lana del Rey in sottofondo). Un catalizzatore fondamentale l’abbiamo ritrovato in Altrove, al secolo Marco Barbieri, che ha capito ed aiutato musicalmente a capitalizzare delle idee in una visione comune e concreta. Insomma il collante perfetto, e lo ringraziamo per questo. I riferimenti principali provengono da colui che scrive le parti musicali dei brani, Axel, e si ritrovano in band come The Cure, The libertines, la stessa Lana Del Rey e Kevin Parker dei Tame Impala oltre che The Neighbourhood, band comune a tutti e tre. 

Parlateci un po’ delle canzoni: esiste, a vostro parere, un filo rosso che collega tra loro le varie produzioni?

Il filo rosso speriamo sia evidente all’ascolto, poiché tutti i brani sono strettamente legati alle nostre vite ed esperienze dell’ultimo anno e mezzo. Esperienze che spesso ci siamo trovati a vivere insieme, uniti da un rapporto intimo e profondo d’amicizia. Tutti i brani portano con loro immagini chiare di avvenimenti veri, quasi assolutamente non romanzati e speriamo di riuscire a comunicarli tutti con onestà. 

Non poteva che essere, quindi, un diario a cuore aperto di vita vera, comune. 

E invece, un brano al quale vi sentite più legati rispetto agli altri?

Risponderemo con tre brani per tre persone. Axel sicuramente è più legato a BDSM, Thony a Fra le tue gambe e Marco a Miele. 

Avete in previsione qualcosa per quest’estate? Presenterete il disco in live?

Magari! Per ora non abbiamo in programma nessun live, ma quando lo faremo, sarà rumoroso ed una grande festa itinerante.

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rock

In viaggio con i Tokyo Suicide

Tokyo Suicide, un nome che vale certo la pena di scoprire: sound deciso per un progetto che raccoglie eredità antiche, che sembrano aver attraversato lo spazio-tempo per depositarsi sulle piattaforme digitali arricchite di nuove energie, e di nuovo sudore.

Non sono certo degli esordienti, i Tokyo Suicide, a dispetto dell’esigua discografia per ora pubblicata: un disco d’esordio nel 2020, in piena pandemia, seguito da uno stop di tre anni che volge proprio quest’estate all’agognato termine, con la pubblicazione di “Here and Now”, il nuovo singolo della band che vede tra l’altro la collaborazione con Derek Sherinian (tra gli altri, Dream Theater).

Insomma, è evidente che gli ingredienti giusti c’erano tutti sin da principio per convincerci a fare qualche domanda al gruppo, e quindi, eccoci qui!

Un disco nel 2020, appena pochi mesi dopo lo scoppio del dramma pandemico; poi uno stop di tre anni: cos’è successo ai Tokyo Suicide in questo lasso di tempo?

Il progetto Tokyo Suicide è nato nel 2019 come side-project sperimentale: siamo entrati in studio quando la formazione era ancora di soli due componenti (Sean e Agostino) e abbiamo iniziato a comporre senza alcuno schema predeterminato o aspettativa. “Selfie to die for” è nato  velocemente e in maniera così spontanea, sebbene ostacolato dai vari lockdown, che ci ha lanciati verso un secondo progetto nel quale il buio delle strade ed i neon si sono trasformati in atmosfere potenti e luminose. Questo ci ha portato ad accogliere numerose collaborazioni, alcune delle quali sono entrate a far parte ufficialmente nel gruppo.

Di certo, le novità e i cambiamenti di questo triennio sembrano aver inciso sul vostro sound, che pur mantenendo l’identità degli esordi sembra destinato ad evolversi verso sonorità nuove. Come avete vissuto questa pausa, se di pausa possiamo parlare?

Abbiamo passato molto tempo a sperimentare nuove sonorità e sintesi del suono con nuovi strumenti, andando alla ricerca di un’evoluzione dell’identità iniziale. 

Here and Now” sembra richiamare al sound del primo Peter Gabriel, fondendo progressive rock e sonorità più melodiche ben capaci di elevarsi sulla densa trama di sintetizzatori che sorregge il brano. Ci raccontate come nasce la canzone?

Here and now” è una profonda analisi dei sentimenti umani, trasformata in testo,  che è poi sfociata anche in musica, durante una serata che stava quasi per finire. Era mezzanotte, stavamo per andarcene tutti dallo studio di registrazione, quando alcune note di Moog hanno iniziato a risuonare spontanee sulla batteria. A quel punto Nicole e Sean si sono messi a intonare il ritornello che poi ha dato il titolo alla canzone. La batteria fa da colonna portante a un moogbass che scandisce la trama. È stato il primo brano che abbiamo fatto ascoltare a Derek, che è entrato subito in sintonia con la band, fornendo quell’alchimia e quell’atmosfera che ci ha completati.

Non volevamo “spoilerare” subito ai nostri lettori la guest-star che avete coinvolto nella produzione del brano, ma a questo punto direi che ce ne potete parlare… anche perché davvero qui il livello si fa alto!

Eh sì, Derek Sherinian è stato per anni un punto di riferimento che ci ha cresciuto musicalmente attraverso le sue opere. L’idea di aver composto e suonato questo disco insieme a lui è a dir poco straordinaria. All’inizio dovevamo collaborare solo su un paio di tracce, poi lui stesso si è sentito molto coinvolto, chiedendoci di ascoltarne altre. Ovviamente in alcuni brani c’era più spazio per lui, altri invece erano più completi e il suo contributo è stato minore. Ma la sua professionalità e la sua arte hanno reso questo disco veramente speciale per noi.

Dal vivo, il vostro show sembra promettere davvero bene: avete qualche data in previsione per l’estate, a supporto dell’uscita del vostro nuovo singolo?

Stiamo valutando gli ambienti idonei in cui poterci esibire al meglio, anche se la scena live purtroppo non valorizza i gruppi emergenti underground.

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Indie Pop

Annusa “Fiore” di Artegiani e scoprirai il profumo della nuova canzone d’autore

Conoscete ormai di sicuro Giovanni Artegiani, perché nel corso degli ultimi anni abbiamo avuto modo più volte di parlarvene e di raccontarvi la sua musica.

Giovanni, in effetti, ci è sempre piaciuto, a noi redattori implacabili, per la sua capacità di rimanere coerente ad un’idea di scrittura che nel tempo ha saputo esplorare confini diversi, ma sempre mantenendosi fedele ai suoi rigorosi parametri estetici e poetici: un dono, quello di Artegiani, che si coniuga con una predisposizione vocale interessante, grazie a un timbro che arricchisce di spessore parole scelte appositamente per depositarsi sul fondo del cuore.

Canzoni, come direbbe lui, che possano raggiungerci ovunque siamo, alla ricerca di una dimensione di intimità che diventa collettiva fin dal primo play: con uno slancio quasi un po’ blanchito, Giovanni dedica al suo amore distruttivo e allo stesso tempo angelico l’invettiva piena d’amore di “Faccia d’angelo”, che fa il paio con altri due brani, “Tu in riva al mare” e “Quando amore non è”, che provano a raccontare l’amore (in un disco che parla d’amore) in modo un po’ diverso dal solito.

Naturalmente, come per ogni cantuatore che si rispetti anche per Artegiani l’amore viene visto nel modo meno “definibile” possibile, finendo con l’assomigliare, tutto il disco intendo, ad un prisma di rifrazione attraverso il quale Giovanni proietta le sue sicurezze ma soprattutto le sue insicurezze: un tuffo in mare aperto che mozza il respiro e lascia l’ascoltatore ad immergersi verso apnee nuove, che ricordano vecchi dolori con parole diverse, finalmente giuste.

“Guardingo” diventa così un manifesto personale che ben si adatta a tutti coloro che hanno capito che abbassare la guardia può essere fatale, ma che nonostante tutto non smettono di amare con dedizione e sacrificio; “Fiore” è la dichiarazione d’amore che non ti aspetti e che giustamente dà il nome all’intero lavoro di Giovanni, spiccando per produzione pop e slancio melodico.

Un lavoro denso, frutto di anni di ricerca e dedizione, che proietta Artegiani verso un live che confidiamo possa restituire tutta la dimensione emotiva di un disco che vale, almeno quanto un “Fiore”.

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Indie Intervista Pop

Se premi play su “Conchiglie” di Beca puoi sentire la voce del mare

Di Beca avevamo avuto modo di parlarvi giusto qualche settimana fa, all’uscita del suo singolo “Aurora”: lo stile genuino e vero dell’artista toscano ci aveva subito conquistato per spontaneità e pathos, regalandoci una buona alternativa ai singoli melensi e tutta plastica del venerdì.

Ovviamente, quando ha visto la luce, qualche settimana fa, il suo disco d’esordio ci siamo presi l’impegno con noi stessi di non perderci l’occasione di potergli fare qualche domanda: abbiamo parlato di “Conchiglie“, il suo disco d’esordio per La Rue Music Records, di amore e del mare di Viareggio; insomma, gli ingredienti sono quelli giusti per una buona chiacchierata.

Ciao Beca, piacere di ritrovarti. Ti abbiamo scoperto qualche settimana fa con “Aurora”, e subito ci aveva convinto il tuo piglio autorale capace allo stesso tempo di ammantarsi di un’ottima spinta melodica e pop. Chi è Beca, per chi ancora non lo conoscesse?

Beca è un ragazzo con una sfrenata passione per la musica, talmente sfrenata che ha avuto la malsana idea di volerla trasformare in un lavoro, e che quindi adesso sta affrontando tutte le difficoltà di un artista emergente. Beca scrive pezzi fortemente autobiografici, segnati indelebilmente da influenze proveniente dalla musica leggera e dal cantautorato italiano.

Come ti avvicini alla musica? Quali sono i primi passi che hai compiuto in questo mondo?

Il mio primo scontro con la musica è avvenuto a undici anni quando ho imbracciato per la prima volta una chitarra. Con questo strumento ho avuto degli alti e bassi durante la mia adolescenza, talvolta l’ho considerata troppo poco. Nonostante tutto però lei è rimasta lì, nel frattempo mi sono appassionato al canto e, infine stanco di relegarmi alle canzoni di altri autori, ho deciso di buttarmi nella scrittura.

Vieni da Viareggio, città musicalmente e culturalmente ricca di progetti interessanti. Come vivi il tuo rapporto con la provincia? Che relazione hai con la scena della tua città, e cosa ne pensi?

Recentemente dalla Versilia sono usciti un sacco di artisti validi soprattutto nel panorama indie. Sono molto fiero del fatto che band e artisti locali, con i quali sono legato soprattutto da un rapporto di amicizia, stiano riuscendo a prendersi delle belle soddisfazioni grazie alla loro musica.

Aurora” aveva già fatto capire al tuo pubblico che il “nuovo” Beca avrebbe dato all’elemento acquatico un valore importante… oggi “Conchiglie” conferma questa sensazione: quanto “mare” c’è, dentro il tuo album di debutto?

Il mare ha un valore centrale non solo nei miei lavori e nel mio lato artistico, ma incide tantissimo anche nella mia quotidianità. Solo la sensazione di sentire la salsedine nell’aria mi trasmette serenità e mi rendo conto di essere a casa.

Raccontaci i brani, passo dopo passo: esiste un filo rosso che li collega e li unisce, a livello concettuale?

C’è un filo conduttore che unisce i pezzi: sono tutti autobiografici, raccontano tutti diverse parti di me – le mie relazioni, le mie sensazioni e i miei percorsi mentali. Nonostante ciò, ho voluto sottolineare fin dalla scelta del titolo dell’album che ascoltarlo è come raccogliere le conchiglie sulla battigia. Certo sono tutte conchiglie, ma ognuna ti colpisce per un particolare (un contesto, una frase) che la rende diversa e speciale di fronte all’ascoltatore.

Hai lavorato con Nicola Baronti: che tipo di collaborazione è stata la vostra? Come vi siete conosciuti e avvicinati?

Ci siamo conosciuti quando venne invitato a fare il giudice al Viareggio Music Festival. Decidemmo di produrre un brano insieme e di lì nacque una collaborazione che dura tutt’oggi: con Nicola mi trovo molto bene e spero di affidare a lui anche i prossimi lavori. È una persona che fa crescere molto, sia a livello artistico che non.

Salutiamoci, ma prima rivelaci cosa farà Beca, ora che i giochi sono fatti!

Ora c’è solo una cosa da fare: suonare il disco live!

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Indie Pop

LiUK ti cerca sempre e alla fine ti trova

Non conoscevamo LiUK prima di questo ritorno dell’artista toscano, che dopo una buona serie di singoli decide di confermare le aspettative con un brano che diventa manifesto personale e inno liberatorio da tutte le energie negative che ci tirano verso il fondo: “Ti cerco sempre” è una promessa che si fa hit nella resa di una canzone utile a ricordarci che certe cose non finiscono mai, anche quando tutto sembrerebbe dire il contrario. 

LiUK non è certo uno sbarbatello, anzi: di strada ne ha già fatta eccome il giovane cantautore, che dopo aver solcato per anni palchi e festival per una gavetta provante quanto temprante, ha deciso qualche tempo fa di intraprendere un percorso solista che nel tempo lo ha visto pubblicare una buona manciata di brani che ancora non sembrano destinati a confluire in un album; “Ti cerco sempre”, in tal senso, sembra essere la definitiva apertura al pop di LiUK, che possiede nel sue corde il lirismo giusto per fare strada nel mercato mainstream nazionale, pur dovendosela vedere con una concorrenza più nutrita e spietata (perché disperata) che mai. 

“Ti cerco sempre” porta con sé la brezza dell’estate senza però dimenticare il gelo di un inverno emotivo che pare aver lasciato tracce nella penna toscana: la musica diventa così uno strumento utile a superare le tormente e le bufere del cuore, e a ricordarsi che “morire per amore” è un supplizio lento ma necessario per trarre nuove consapevolezze su sé stessi e sul proprio mondo interiore. 

Sonorità disco che incontrano un mondo autorale e interiore che merita di essere scoperto: la resa finale di “Ti cerco sempre” aiuta a nutrire le aspettative verso un progetto da tenere d’occhio, perché dotato di un ottimo margine di crescita. 

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Indie Pop

Nuovi “Cerotti” per Frambo e Scicchi

Conoscete Frambo e Scicchi?

Beh, noi sì e possiamo dire di essere tra i primi, anni fa, ad averli scoperti. Sì, perché nonostante di due cantautorini di La Clinica Dischi abbiano appena vent’anni, è già da qualche tempo che il loro nome rimbalza tra le selezioni di playlist e riviste di settore, rivelando l’ottima attitude di due talenti da non perdere di vista.

Prima di unirsi in un corpo unico che pare aver dato nuova linfa ad entrambi, hanno pubblicato diversi brani, confluiti poi in EP che hanno fatto chiacchierare di loro: sound – per entrambi, seppur con sfumature diverse – sospeso tra canzone d’autore 3.0 e urban, produzioni moderne e dotate del giusto piglio per farsi notare galleggiando su tutta la plastica del contemporaneo e una vocazione per il pop che rivela una discreta capacità di stare a cavallo di mode e stile per trovare una propria chiave di lettura del presente. E poi?

E poi è successo che frambo e scicchi, venerdì scorso, hanno deciso di pubblicare mano nella mano una ballad che sarebbe potuta essere di frambo o di scicchi, e che alla fine appartiene ad un duo che pare aver trovato l’alchimia giusta per non fare soluzioni alla continuità di un’accoppiata ben imbeccata, ben pensata: “Cerotti” è una riflessione a due sul senso dell’esistenza che tradisce una visione generazionale unitaria, condivisa e condivisibile; c’è un piglio leggero che non cede alla superficialità e che rivela la “concretezza” (anche se forse ancora un po’ acerba) di due progetti da tenere d’occhio, uniti nel segno di un buonissimo pop d’autore.

Si vocifera di un disco condiviso, e a noi l’ipotesi pare essere più che allettante: solo il tempo dirà se quello che oggi ci fa parlare sia un fuoco di paglia o un vero e proprio incendio in mezzo al petto, ma rimaniamo convinti che i numeri ci siano e non tarderanno a dare risultati. Magari, proprio partendo dai “cerotti” di questo venerdì.

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Indie Intervista Pop

Lupofiumeleggenda: Troppi Anni è la mia voglia di qualcosa di più

TROPPI ANNI è il primo estratto dall’EP “DIALOGHI ITALIANO”,scritto e prodotto insieme ad Emanuele Santona bassista della band “I SEGRETI”. Il brano parla della quotidianità di un ragazzo in questi anni 20, perfettamente divisa fra l’ordinario ed il desiderio di qualcosa di più. La quotidianità, i sentimenti, le sensazioni. Sonorità Indie e lo-fi (Dayglow, Surf Curse).

LupoFiumeLeggenda è il progetto di Nicolò Verti, con la precedente formazione ha pubblicato un disco (FUL!) e un EP live (BROEASY live session) e ha aperto i live di numerosi artisti (Marta sui tubi, Wrongonyou, Moustache prawn, Selton, Samuel, Generic animal, Kruger).

Abbiamo chiesto a Lupofiumeleggenda di rispondere alle nostre domande:

1- Ciao raccontaci chi è Lupofiumeleggenda e parlaci un po del progetto musicale  

Ciao ragazzi, intanto grazie per l’intervista.

Lupofiumeleggenda è Nicolò che compiuti i 30 anni ha avuto paura che la musica potesse uscire un giorno dalla sua vita. L’unica risposta possibile è stata scrivere un disco.

Da ragazzino scrivi le canzoni e non ti preoccupi per forza di costruirci un progetto concreto intorno, poi le band si sciolgono, si passa alla vita dei grandi e ci sono mille motivi per smettere.

Io voglio essere sicuro che ci sia spazio per la musica nel mio futuro.

2 “troppi anni” è il tuo nuovo singolo ci racconti come è nato e di cosa parla?
 

Troppi anni è il primo singolo dell’EP “dialoghi italiano” che uscirà prossimamente.

Parla di quanto la quotidianità sia un casino e di come i rapporti affettivi diventino un’ancora di salvezza, tanto da farci sperimentare una sorta di dipendenza positiva.

È stato fondamentale l’incontro con Emanuele Santona (bassista de I Segreti) coautore e produttore (insieme a Giovanni Vitulano) di questi pezzi, con lui abbiamo trovato il mood giusto. 


3 Quali sono le tue influenze musicali più importanti?

Penso che di quelli che sono i miei artisti preferiti (da Paolo Conte ai Biffy Clyro) ci sia veramente poco in questo EP.

Io ed Emanuele abbiamo fatto un gran lavoro di ricerca, molte session di ascolto per lasciarci ispirare nel sound da artisti come Beene, Dayglow, Post Malone, Current Joys, Surf Curse e Beach Fossils…alla fine mi sono affezionato a tutti questi.

Nella scrittura ho cercato una via alla semplicità….Vasco è il più grande di tutti in questo.

4 Cosa ne pensi dell’attuale scena musicale? Con quali artisti ti piacerebbe collaborare 

Sono un ascoltatore vorace e per me c’è un sacco di roba fresca e validissima nella scena attuale.

Sono anche un grande fan della drilliguria. Penso a Tedua, Bresh ecc…tutte grandissime penne. Se posso sognare mi piacerebbe scrivere con loro.

Musicalmente mi piacerebbe un sacco farmi produrre qualcosa da Lowtopic (il progetto elettronico di Francesco Bacci, già chitarra degli Ex otago…altra gran band).
E poi continuo a collaborare con Emanuele, stiamo già lavorando a nuove canzoni.


5 Progetti per il prossimo futuro?

Per ora faccio il medico, per il futuro faccio progetti in cui mi presento e dico “ciao sono Lupofiumeleggenda e scrivo canzoni”. 

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Indie Intervista Pop Post-Punk

FEBBRE dopo i LAMETTE riparte con SOTTOZEERO

SOTTOZERO” è il primo singolo di FEBBRE, progetto solista di Cristian Pinieri dei LAMETTE distribuito da Universal Music Italia. Il brano parla di una coppia di ragazzi con approcci differenti alla vita. Il ragazzo affronta le sue paure come fossero una sfida da superare, la ragazza è limitata dalle sue ansie e dai suoi mostri che la rendono prigioniera di se stessa. Il sound mescola suoni grunge, con synth ed elettronica, e le top line sono influenzate da una attitude “sangue giovane”, che però riesce a dare spazio anche a contaminazioni urban. 

Abbiamo chiesto a FEBBRE di rispondere alle nostre domande:

1. Ciao FEBBRE benvenuto sul Perindiepoi ci racconti come è nato questo progetto e come mai la scelta di questo nome d’arte

Ciao ragazzi, il progetto è nato in maniera molto naturale, avevo un po’ di demo da parte, un giorno confrontandomi con il mio produttore Alessandro Landini abbiamo capito che era arrivato il momento di pubblicare. E il nome in realtà deriva dal titolo di una di queste demo, il file si chiamava solamente febbre.wav, come nome mi piaceva e quindi ho scelto di utilizzarlo.

2. Sottozero è il singolo apri pista del tuo progetto solista, ci parli un po’ di questo brano? Come mai questa scelta di ripartire da solo?

Il brano nasce da una demo chitarra voce nei miei memo vocali, un giorno stavo facendo session con mio produttore ed abbiamo adattato la demo che avevo ad uno dei beat che stavamo cercando di chiudere in quei giorni, è stato così naturale come processo che ho scelto di utilizzare questo brano come apripista per il mio progetto. La scelta di ripartire da solo nasce principalmente da un’esigenza artistica, nell’ultimo anno è nata in me la voglia di mettermi in gioco, di avere pieno controllo del mio progetto e della mia musica, affrontare questo percorso mi è sembrata la cosa più naturale da fare.

3. Rispetto alle sonorità del progetto Lamette non abbiamo potuto fare a meno di notare uno spostamento verso delle sonorità più pop punk, quali sono le tue influenza musicali? con quali artisti ti piacerebbe collaborare?

In realtà le mie influenze musicali sono svariate, riesco veramente a variare dall’hip-hop fino al cantautorato, e ovviamente alla base di FEBBRE c’è la voglia di richiamare le sonorità e l’attitudine di ciò che mi ha influenzato nella prima età adolescenziale, ovvero tutta la scena pop punk californiana. Se Dovessi scegliere al momento un artista con cui collaborare probabilmente direi Rose Villain, sono del parere che sia una delle artiste più forti e versatili nel panorama attuale.

4. Oggi fare musica per un emergente è diventato sempre più difficile, considerate le dinamiche legate al mondo dello streaming e del digitale, come vivete voi musicisti tutto questo? Quali pensi possano essere le mosse migliori per riuscire a ritagliarsi uno spazio tra le tantissime proposte?

Penso che la cosa migliore da fare per ritagliarsi un proprio spazio sia essere se stessi e credere in ciò che si sta facendo, il tempo e la costanza penseranno al resto

5. Domanda di rito cosa dobbiamo aspettarci da FEBBRE in futuro ?

Sicuramente quest’estate mi potrete trovare in giro per i live, ed in generale per tutto quest’anno abbiamo intenzione di pubblicare tanta musica.

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