“Go Wild” è il nuovo singolo dei Facile, uscito venerdì 12 luglio 2024. Una traccia che mette in risalto le migliori peculiarità del duo lombardo: stoner rock stile Palm Desert, chitarre affilate e una scrittura sensibile.
Artwork e foto: Riccardo Garofalo
Queste le parole con le quali la band presenta la canzone: «Immersi in una vita di monotonia ed eccessi, noia ed estasi, “Go Wild” si dipana come un ritratto crudo di anime tormentate in cerca di sé stesse. Ogni movimento è un’eco di sofferenze passate, ma come anime pure ci aggrappiamo alla speranza. E così inizialmente non molliamo, ma poi scendiamo solo più in basso, cercando conforto nell’oscurità.»
Puoi ascoltare il brano qui:
BIO
I Facile nascono in un garage nella bassa Brianza, disconnessi dalla frenesia metropolitana. Spinti dall’esigenza di trasformare in musica le quotidiane esperienze della vita di periferia, scrivono per guarirsi da una visione metereopatica e disillusa della vita. Vivono nella scena underground brianzola dove si raccontano attraverso distorsioni e groove decisi, partoriti in lunghe sessioni di rilascio emotivo e ricostruzione musicale in studio di registrazione.
“Xenofemminismo” è il nuovo singolo di WOR x Beyond Hyperion, uscito martedì 2 luglio 2024. Ci sono dei momenti in cui gli astri si allineano: questa è la traccia techno rap sovversiva di cui avevamo bisogno adesso, per ballare contro la violenza della discriminazione. Godiamocela.
Foto: Erika Arno
Queste le parole con le quali WOR presenta la canzone: «“Xenofemminismo” è una traccia di stampo Post Techno europea, soprattutto berlinese, dove il Rap si unisce al mondo dei rave e delle proteste per i diritti sociali. Tra le influenze anni ‘90 e un trait d’union di energia, rabbia e ballo, viene posto il problema delle politiche di genere in un mondo dove gli esseri umani sono sempre più automi, schiavi della rivoluzione digitale. Lo Xenofemminismo è “una delle più stimolanti tendenze del femminismo contemporaneo” a detta di Nero Edizioni e la traccia si ispira al libro omonimo di Helen Hester.»
Puoi ascoltare il brano qui:
BIO
WOR, nome d’arte di Federica Suriano, è una rapper pugliese classe ‘99 con base a Bologna. Attiva dal 2020 da sempre scrive testi frutto dei suoi conflitti, barre che altro non sono che un tentativo continuo di convertire in parole il caos, alternandosi tra questioni sociali, culturali e demoni interiori.
Beyond Hyperion è il nome del progetto di musica elettronica di Marco Grifi; producer bolognese classe ’98. L’Hyperion sound unisce Dark Techno e Cyberpunk, con contaminazioni Hard Techno, Drum and Bass e da OST di videogiochi e film. Il ventaglio di produzioni tuttavia è molto ampio, trovano spazio infatti anche Crossover Rock/Metal, Alt Hip Hop, Post Punk e Ambient. Futuri distopici, neon, intelligenze artificiali e suoni industriali sono tutte parti dell’immaginario musicale che il produttore bolognese vuole portare. Avete mai avuto la sensazione che il futuro sembra essere un luogo oscuro e spaventoso? Bene, ma ora balliamoci sopra.
“tt ok” è il nuovo singolo di Saphe, uscito venerdì 7 giugno 2024. Nel mare magnum della scena pop-punk italiana, un brano che finalmente si distingue per autenticità e qualità. In attesa della seconda parte del concept godiamoci questa nuova traccia, certi che la pink cute demon Saphe sia già pronta a spiccare il volo.
Foto: Omnia Social Strategy
Queste le parole con le quali l’artista presenta la canzone: «”tt ok” è la prima uscita di un concept composto da due brani. In questo brano l’artista narra in maniera sognante di una realtà calma, lineare, in ordine, ok. Ciò che diventerà chiaro nell’evoluzione della traccia è che c’è tutto tranne che ordine in questa apparente e filtrata sensazione di benessere. Un equilibrio forzato, imposto, quasi psicopatico.»
Puoi ascoltare il brano qui:
BIO
Saphe nasce dalla battaglia interiore tra l’essere autenticamente sé stessi. È il tentativo rivoluzionario di fermarsi e toccare i propri sentimenti senza paura, nel mezzo di vite veloci che ci educano alla repressione emotiva. Saphe è la figlia impulsiva ed iperemotiva che vuole costringere i padri della scorsa generazione a dire ti voglio bene.
“Love Dies Slowly” è il nuovo singolo di Facile, uscito martedì 4 giugno 2024. Una canzone dai connotati quasi salvifici, per riscattarsi dalle delusioni sentimentali. Le chitarre ruvide e l’intensità della performance vocale contribuiscono a rendere il brano pressoché impeccabile.
Foto: Riccardo Garofalo
Queste le parole con le quali la band presenta la canzone: «Un grido di rabbia generata dalla fine di un amore logorato dal tempo. “Love Dies Slowly” è uno sfogo necessario dove si racconta di un sentimento tanto profondo quanto deleterio che porta ad una necessità di liberazione. La frustrazione per la fine di un rapporto difficile che porta con sé anche bellezza e nostalgia viene espressa dal cantato gridato ed emotivo, sostenuto da groove sempre più decisi.»
Puoi ascoltare il brano qui:
BIO
I Facile nascono in un garage nella bassa Brianza, disconnessi dalla frenesia metropolitana. Spinti dall’esigenza di trasformare in musica le quotidiane esperienze della vita di periferia, scrivono per guarirsi da una visione metereopatica e disillusa della vita. Vivono nella scena underground brianzola dove si raccontano attraverso distorsioni e groove decisi, partoriti in lunghe sessioni di rilascio emotivo e ricostruzione musicale in studio di registrazione.
“This Hard Love” è il nuovo singolo di Facile, uscito venerdì 3 maggio 2024. Un brano che cavalca le inquietudini emotive di un amore travagliato a suon di chitarre, come nella miglior tradizione del rock alternativo americano.
Queste le parole con le quali la band presenta la canzone:
«Sospesi nell’indifferenza di un cuore prosciugato, tra dolore e amore tormentato, “This Hard Love” si snoda in un viaggio malinconico attraverso le fratture dell’anima. Promesse spezzate echeggiano nel vuoto, mentre ci si ergeva insieme, pronti a sfidare il mondo. Quanto più ci sforziamo di avvicinarci, tanto più questa dura forma d’amore minaccia di strapparci l’uno dall’altro. Ciò che un tempo era un rifugio diventa una gabbia di gelo, satura dell’abbandono e del rimpianto di un legame andato in frantumi.»
Puoi ascoltare il brano qui:
BIO
I Facile nascono in un garage nella bassa Brianza, disconnessi dalla frenesia metropolitana. Spinti dall’esigenza di trasformare in musica le quotidiane esperienze della vita di periferia, scrivono per guarirsi da una visione metereopatica e disillusa della vita. Vivono nella scena underground brianzola dove si raccontano attraverso distorsioni e groove decisi, partoriti in lunghe sessioni di rilascio emotivo e ricostruzione musicale in studio di registrazione.
Vi piace la musica che sale dalle cavità della terra, ricordando ai vostri piedi come si fa a tenere il ritmo? Il suono lontano di mille esplosioni nel cielo di Londra, mentre da un’auto che passa si sente l’eco del primo disco dei Clash? Vi piace pensare che anche il rocker più duro può nascondere un cuore tenero?
Allora, non avete altro da fare che sintonizzarvi sulle frequenze dei LEHAVRE, neonato progetto campano con non poca gavetta alle spalle e una forte necessità di correre dietro ad un tempo che fugge: “Come i Clash” è il biglietto da visita di una band che non puoi perdere di vista.
Ciao, LEHAVRE! Partiamo dalle domande semplici: da cosa deriva il vostro nome d’arte?
La ricerca del nome è l’aspetto che ci ha tormentato di più. A un certo punto c’erano le canzoni, c’era il progetto intero e persino un live alle porte, ma mancava il nome. Poi è arrivata l’illuminazione. Un film di Aki Kaurismäki, un gioco da tavolo, un porto sicuro, una squadra di calcio che in modo rocambolesco raggiunge la serie A francese. Erano tutti segnali. Alla fine quel nome, così musicale e imponente, era sempre stato sotto i nostri occhi.
Raccontateci qualcosa di voi, in modo da far scoprire ai nostri lettori chi siate. Come nasce il progetto?
Mentre tutti scrivevano canzoni in cameretta noi, impossibilitati ad uscire per il lock-down, non avevamo nulla da dire. Se non vivi non scrivi. Quando tutto è tornato alla normalità l’urgenza di scrivere canzoni è stata troppo forte, quindi io e il batterista (Marco e Lorenzo) abbiamo raccolto i cocci del precedente progetto (Kafka Sui Pattini) e abbiamo formato un gruppo nuovo, accogliendo a bordo un altro Marco. Per rispondere alla tua domanda, il progetto nasce in modo eruttivo: dovevamo buttare fuori quello che avevamo covato silenziosamente per due anni.
Avete uno stile che fonde il pop punk dei primi duemila con un ottimo gusto retrò: quali sono i vostri principali riferimenti musicali?
Arctic Monkeys per sempre.
“Come i Clash” esplicita un approccio che sembra volersi fare manifesto: come nasce la canzone? E perché avete deciso di partire proprio da qui?
Niente ti descrive meglio di ciò che ami. E ciò che ami lo omaggi. Come i Clash è una dichiarazione d’amore, oltre che di intenti. Quale miglior modo di presentarsi al mondo se non dire “hey, ecco dove voglio arrivare ed ecco come ho intenzione di riuscirci” mentre alzi il volume della distorsione.
Sembrate però allo stesso tempo dei romantici, oltre che dei “dinamitardi”… dobbiamo aspettarci anche ballad più malinconiche, dai vostri futuri passi discografici?
Sicuramente, probabilmente non saranno ballad nel senso canonico, ma i prossimi singoli affronteranno tematiche più introspettive.
Grazie del vostro tempo e a presto! Vi vedremo dal vivo, prima o poi?
Consocete Digiovanni? Non ancora? Beh, inutile dirvi che se siamo qui a chiedervelo è perché non potete più rimandare: una settimana, il cantautore livornese ha pubblicato un singolo d’esordio che ci ha fatto tornare a ben sperare sulla musica d’autore nazionale, e di certo non potevamo esimerci dal rivolgergli qualche domanda.
Digiovanni, è un piacere averti con noi! Allora, il tuo è un percorso che comincia anni fa e vanta collaborazioni importanti: come mai hai deciso di esordire solo adesso?
Ciao! Piacere mio di essere qui su Perindiepoi!
In effetti quello attuale non è un vero e proprio esordio. Lo è come cantautore ma prima di Digiovanni c’era una band che ha fatto i suoi passi: un disco, le finali di Sanremo Giovani, tanti locali italiani, le finali di Sanremo Giovani, un passaggio sul palco del Teatro Ariston e un Tour a New York (“The Manhattan Clubs Tour”) in cui ho avuto la fortuna di suonare la mia musica inedita in italiano nei club più importanti di Manhattan.
Nel mentre ci sono state anche tante collaborazioni con artisti e persone incredibili come Gary Lucas, Steve Sidwell, la Metropole Orkest ma soprattutto Vinicio Capossela, con cui continuo ad essere in contatto.
Quindi, come vi dicevo, non è un vero e proprio esordio. Mi piace più chiamarlo… la seconda prima volta.
Raccontaci un po’ di te: chi è Digiovanni?
Digiovanni è la parte di me che vuole avere una identità più cantautoriale rispetto al passato. Quindi Digiovanni nasce dalla scrittura della musica e dei testi. Io non potrei essere, però, Digiovanni senza Alessio Macchia, non solo il bassista in studio e nei live, ma soprattutto un mio carissimo amico e grande punto di appoggio.
Sei di Livorno, terra di grandi artisti e cantautori. Come vivi il rapporto con la tua città?
Musicalmente il rapporto con la mia città è…strano. Mi piace citare proprio Vinicio Capossela: “Livorno dà gloria soltanto all’esilio e ai morti la celebrità”. E’ così.
A Livorno l’arte si respira e si vive per le strade. Tantissimi dipingono, tantissimi suonano. C’è un detto che dice “A Livorno, il peggior portuale suona il violino coi piedi” qui c’è il fascino e la condanna. Proprio per questo, e per lo spirito labronico, nessuno da soddisfazione a nessuno. Puoi aver fatto le cose più grandi ma a Livorno tutto svanisce in tre parole: “de, ecco lui…”.
Livorno ha i pregi e i difetti di una città di provincia. Se poi provi a proporre qualcosa fuori dai cliché cittadini…. aiuto.
Però amo follemente la mia città, non potrei vivere da nessuna altra parte. E poi c’è il mare.
Parliamo di “In piedi sopra il mare”: il tuo debutto appare come una vera e propria preghiera a te stesso, come un promemoria di qualcosa che non ti devi dimenticare di fare. E’ così?
“In piedi sopra il mare” è una via di fuga, la ricerca spasmodica di qualche breve momento di pace.
La vita e le cose che succedono ti spingono molto a spegnere, a non pensare, essere sempre razionale. La quotidianità è tremenda, alienante. A un certo punto ho iniziato a sentire che mi mancava qualcosa, ho iniziato a non sentirmi più realmente me stesso, quello che conoscevo. Non c’è malinconia del passato nel brano ma la voglia di cercare di ritrovare una sensazione ben precisa che da troppo tempo non sento più addosso: la spensieratezza. Quello stato d’animo in cui puoi permetterti per qualche istante di non sentire il tempo sul polso e smettere di pensare, proprio come quando si sta “In piedi sopra il mare”
Con chi hai lavorato al brano?
Ho la fortuna di lavorare con un gruppo di persone splendide che credono e si impegnano nel progetto. Mi fa piacere salutarli e ringraziarli tutti pubblicamente.
Musicalmente, oltre che con Alessio Macchia, “in piedi sopra il mare” ha avuto la produzione di Andrea Pachetti (già produttore/collaboratore di artisti come Emma Nolde, Zen Circus, Bobo Ronderlli, Dente, ecc….). Senza di lui il brano non avrebbe mai potuto essere come è. E’ stato davvero prezioso.
Mi fa piacere salutare e ringraziare anche gli altri musicisti che hanno registrato “In piedi sopra il mare”: il “geometra”, grande tastierista degli Zen Circus, e Simone Padovani, fantastico batterista che ha collaborato/collabora con grandi artisti come Bobo Rondelli, Emma Nolde e molti altri.
E ora? Quali saranno i prossimi passi di Digiovanni?
Intanto mi godo questa uscita che sta riscuotendo davvero un gran bel riscontro. Poi faremo altre cose fino a gennaio in cui uscirà il nuovo album.
Quindi non vi allontanate troppo! Ci saranno molte altre novità!
Conoscete i Malmö? Non ancora? Non vi preoccupate, qui siete nel posto giusto per poter ovviare alle vostre mancanze. Esattamente come abbiamo fatto noi, una settimana fa, all’uscita del loro nuovo singolo “Sciara”.
No, non è esattamente il brano che potete aspettarvi in questi tempi di canzoni e playlist strappalacrime: a noi, qualche lacrimuccia ce l’ha strappata in effetti, ma senza il bisogno di dover cantare nemmeno una parola. Sì, perché i Malmö (che non sono proprio degli esordienti, anzi: di strada e dischi ne hanno già fatti eccome) hanno deciso di lanciarsi in un’operazione complessa e avventurosa, quella che passa attraverso la narrazione strumentale.
Un rischio, nell’era del “deficit d’attenzione”, ma allo stesso tempo il modo migliore per sfidare l’ascoltatore e avvicinarlo a qualcosa di finalmente diverso, di finalmente nuovo. Seppur dotato di un cuore estremamente antico.
Benvenuti sulle nostre colonne, Malmö! “Sciara” è un brano che non ti aspetti, nella densità dei venerdì di pubblicazione: un lavoro che non nasconde un coraggio che sembra voler prendere slancio proprio dall’anomalia di una proposta diversa… come nasce l’idea di un lavoro strumentale?
In verità in entrambi i nostri precedenti album c’era un brano strumentale ed entrambi erano la title track, quindi l’approccio a questo tipo di lavori è sempre stato nelle nostre corde. Siamo assolutamente consapevoli della scelta estrema e rischiosa nel pubblicare un brano strumentale, ma siamo anche molto consapevoli su cosa e chi vogliamo essere e il messaggio che vogliamo trasmettere.
L’evoluzione del brano è magmatica, continua: l’incedere ritmico dell’arpeggio iniziale di perde e si ritrova costantemente, seguito dal continuo sovrapporsi delle parti. Cosa volevate raccontare con questo brano?
É un brano che ha diversi momenti, quello iniziale con le chitarre classiche che riporta un po’ ai mari del Sud fino al finale ossessivo quasi tribale nel quale basso e timpani scandiscono il tempo. E’ il racconto di un’eruzione in tutte le sue fasi, dalla quiete all’esplosione!
Il nome del brano ha un’origine geografica: ce la spiegate?
Sciara (la sciarpa del fuoco) è un luogo dell’Isola di Stromboli dove la lava cola a picco nel mare. Stroboli è uno di quei vulcani che fortunatamente non ha esisti funesti e anzi le sue attività appaiono spettacolari, la contemplazione del pianeta che fa il suo corso.
Dal vivo sarà complesso portare tutta la densità sonora di un lavoro come “Sciara” e, ci immaginiamo, di un potenziale album in uscita. Avete già pensato a come portare in giro il vostro lavoro? Avete intenzione di promuoverlo dal vivo?
Questo brano anticipa l’uscita di un ep, interamente strumentale, dal titolo Zolfo.
Nell’approccio a questo lavoro abbiamo un po’ cambiato rotta, dato che nei precedenti album abbiamo sempre cercato di registrare quello che noi quattro suonavamo dal vivo. Stavolta non ci siamo posti limiti, come per esempio il grosso apporto dei timpani e delle percussioni, ma siamo già a lavoro per adattare e rendere la nuova produzione gradevole ed efficace anche in contesti live.
Malmö, grazie per il vostro tempo: quando sentiremo di nuovo parlare di voi?
Speriamo molto preso, il 20 Ottobre usciranno gli altri 3 brani dell’ep Zolfo e stiamo preparando un live in doppio set. Una prima parte dove suoneremo il nuovo lavoro strumentale e una seconda in cui faremo brani del vecchio repertorio cantato.
Non conoscevamo LiUK prima di questo ritorno dell’artista toscano, che dopo una buona serie di singoli decide di confermare le aspettative con un brano che diventa manifesto personale e inno liberatorio da tutte le energie negative che ci tirano verso il fondo: “Ti cerco sempre” è una promessa che si fa hit nella resa di una canzone utile a ricordarci che certe cose non finiscono mai, anche quando tutto sembrerebbe dire il contrario.
LiUK non è certo uno sbarbatello, anzi: di strada ne ha già fatta eccome il giovane cantautore, che dopo aver solcato per anni palchi e festival per una gavetta provante quanto temprante, ha deciso qualche tempo fa di intraprendere un percorso solista che nel tempo lo ha visto pubblicare una buona manciata di brani che ancora non sembrano destinati a confluire in un album; “Ti cerco sempre”, in tal senso, sembra essere la definitiva apertura al pop di LiUK, che possiede nel sue corde il lirismo giusto per fare strada nel mercato mainstream nazionale, pur dovendosela vedere con una concorrenza più nutrita e spietata (perché disperata) che mai.
“Ti cerco sempre” porta con sé la brezza dell’estate senza però dimenticare il gelo di un inverno emotivo che pare aver lasciato tracce nella penna toscana: la musica diventa così uno strumento utile a superare le tormente e le bufere del cuore, e a ricordarsi che “morire per amore” è un supplizio lento ma necessario per trarre nuove consapevolezze su sé stessi e sul proprio mondo interiore.
Sonorità disco che incontrano un mondo autorale e interiore che merita di essere scoperto: la resa finale di “Ti cerco sempre” aiuta a nutrire le aspettative verso un progetto da tenere d’occhio, perché dotato di un ottimo margine di crescita.
Jampa Capolongo: un nome che, inevitabilmente, finisce con l’incollarsi nella memoria e non andarsene più via, anche se passano anni e litri d’acqua sotto i ponti.
Non so perché, ma credo di aver già avuto occasione di ascoltare Capolongo, forse proprio all’epoca del suo debutto con “Pensieri in scala“, un disco che – a seguito del ritorno del cantautore sulle scene – ho riascoltato prima di scrivere queste parole su “Un giorno lontano da tutto”, singolo che vede la luce proprio oggi e segue a ruota libera la pubblicazione di “Non vale di meno”, ripartenza con lancia in resta di Jampa data alla grande distribuzione poco prima della fine del 2022.
Ebbene, chissà perché quel disco, “Pensieri in scala“, sia finito con l’arenarsi in un passato decisamente non troppo glorioso, sperso tra le spire di un’amnesia che colpisce ormai tutto e tutti ma, evidentemente, non si accanisce su di me, che “Pensieri in scala”, per qualche motivo che devo ancora del tutto chiarire, ho l’impressione di averlo ascoltato in qualche vita precedente; forse che le cose belle, alla fine, finiscono con l’assomigliarsi e ricondursi tutte, mano nella mano, nella certezza di un possesso geloso, di un bagaglio salvavita che dovremmo poter aprire ogni volta che ci si piazza davanti qualcosa di davvero brutto, di davvero insopportabile, per ricordarci che profilo abbia, invece, la “bellezza”?
Non lo so, ma so che Jampa è uno che ha la stoffa, che avrebbe meritato di più con quel disco d’esordio e che mi auguro possa raccogliere, seppur in differita, tanti meriti quanti ne merita proprio con questa rinascita autorale, che in fondo rinascita non è perché ripesca esattamente da dove aveva pescato fin qui: dalle profondità della poesia, alla ricerca della “parola che suona” e di un’idea di canzone che non perda il suo afflato quasi rivelatorio.
E’ per questo che diventa davvero difficile non lasciarsi sedurre dalla morbidezza e, allo stesso tempo, dalla franca spontaneità di “Un giorno lontano da tutto”, autopsia di un momento che abbiamo vissuto migliaia di volte e che ci fa chiedere cosa sarebbe la nostra vita senza tutti questi cerchi alla testa (non di santità, ma di confusione esistenziale) e senza tutte questi ostacoli che il nostro cuore incontra quotidianamente sulla propria strada.
Un sound fresco, che richiama ai cantautori di inizio millennio ma allo stesso tempo “parla” una lingua universale, che potrebbe capire e sulla quale potrebbe riflettere sé stesso anche lo sbarbatello che si confronta per la prima volta con l’amore.
Perché, diciamocelo, quando amiamo per davvero siamo tutti adolescenti sbarbatelli.